L'età



L’età

Ogni epoca ha le sue linee guida mediante le quali scorre la quotidianità della vita. Identificarle, aiuta a comprendere la realtà. Chi scrive, azzarda un’ipotesi. 

Nel corso degli ultimi 40 anni - a mio parere - l’età si è imposta come perno che fa girare il sistema. 
C’è sempre al momento che ha più anni e chi meno; dalle alte cariche istituzionali (alcune destinate per motivi anagrafici a sfuggire all’imputazione per crimini di guerra) ai bambini (che crescono sguazzando su cumuli di immondizia).

Gli adolescenti, i ragazzi, i piccoli fino a qualche decennio fa indossavano un pantalone e una maglietta qualunque sia; adesso - come sappiamo - rappresentano corteggiate fasce di consumatori.

L’epoca degli studi universitari aveva un suo percorso, una durata precisa.  Attualmente i tre anni di base non bastano; chi può e riesce, fa la specialistica ma poi anche master, ecc. Si sa quando si comincia e non quando si finisce. C’è stata una svalutazione dei titoli di studio e inoltre è messa in disparte qualsiasi volontà dell’istituzione università rivolta a far sviluppare capacità critica. 

In ogni fascia d’età è in atto uno slittamento che porta (chissà, forse fino ai novantenni) a guardare la fascia precedente. Cioè ad esempio, i quarantenni hanno come punto di riferimento i trentenni, non se stessi. Tengono sott’occhio i più giovani. L’età è divenuta un capitale da conservare e all’occorrenza da saper spendere bene. Così la tv si avvale di star ottuagenarie e inossidabili.
 
Vivere ognuno in un’età falsata rappresenta uno ‘sbocco’ che va a coprire quei valori, obiettivi, sentimenti che man mano si sono perduti e che la società attuale non chiede più a nessuno.
Così tutte le sere un’importante partita di calcio ci dà possibilità di scelta; possiamo immedesimarci col giocatore promettente oppure col campione trentanovenne. Inoltre, ogni fine settimana è d’importanza sportiva fondamentale a causa degli eventi previsti con magnifici atleti di tutti i tipi. Gli spettacoli tv ci inondano di maschi e femmine da favola... 

Si pensi ancora all’importanza dell’età quando c’è da ricercare lavoro. Adesso se si rimane a spasso a 40-50 anni è un dramma; in genere, prima si veniva considerati come degli esperti, già formati.           

Gli ‘sbocchi’ - mediante i quali si attuano le linee guida - hanno la loro massima efficacia nel momento in cui possono essere toccati con mano; usufruiti in qualche modo da tutti noi. Cosicché ci sono dei simboli alla portata di molti, che si diffondono. Ad esempio, nelle piccole stradine dei centri storici - ben più che in periferia - è possibile ascoltare i passi. Di donne, ma non solo, che con le proprie scarpe fanno rumore. Quelle brave, in effetti, danno l’idea dei soldati in libera uscita: cadenzano alla grande. La scarpa alla moda può non essere comoda o bella ma deve avere i tacchi per il giusto richiamo. Chissà che qualcuno non si cimenti in un’analisi di lombrosiana memoria attribuendo un tipo di rumore a determinate caratteristiche della persona: età, bellezza, ceto sociale. Ascolto come batti e ti dirò chi sei. 

Abbiamo avuto epoche in cui tenevano banco le linee guida della morale e della cultura. Oggi non interessano. E’ sufficiente avere una minima informazione di tutto su tutto e ci sentiamo poi in grado di presentare una ’personale e argomentata opinione’ sulla situazione politica in Ucraina così come sui campionati europei di scherma. E’ sufficiente aver visto la tv!

A tal proposito, lo studioso della storia Johan Huizinga parla di ‘generale indebolimento del raziocinio’ e traccia un percorso chiaro, che ritengo qui utile trascrivere: “...Nelle vecchie e più ristrette forme di convivenza il popolo si crea e si organizza a sé i suoi divertimenti: canto, danza, giuoco, atletica. Tutti insieme si canta, si danza, si giuoca. Con l’odierna civiltà, per la grandissima maggioranza, tutto si è ridotto a veder cantare, danzare, giuocare. Va da sé che la duplice funzione - attore e spettatore - è sempre esistita, anche nelle civiltà primitive. Ma l’elemento passivo cresce continuamente in confronto a quello attivo. Persino nello sport, questo poderoso fattore della moderna civiltà, abbiamo sempre più il fatto di una massa che ‘assiste’ al giuoco. L’allontanamento dello spettatore dalla partecipazione attiva alla grande azione è anzi progredito ancora di un passo. Tra il teatro e il cinematografo vi è il passaggio dall’assistere a uno spettacolo all’assistere all’ombra di uno spettacolo. Parole e azione non sono più azione viva, ma solo riproduzione. La voce che l’etere ci porta non è più che un’eco. E persino si supplisce all’assistere delle persone alle gare con dei surrogati: radiocronaca degli incontri sportivi, lettura della cronaca su giornali sportivi. In tutto ciò è evidente un afflosciarsi dell’anima e del vigore dell’odierna cultura, che assume un aspetto particolarmente importante nell’arte cinematografica moderna. 
Nel cinematografo la drammaticità è quasi tutta riposta nel fatto visivo, di fronte al quale il parlato ha un’importanza affatto subordinata. L’arte di ‘assistere’ allo spettacolo si trasforma in un’abilità a rapidamente percepire e comprendere delle immagini visive che si trasformano continuamente. I giovani hanno educato in se stessi questo ‘sguardo cinematografico’, portandolo a un grado che stupisce le persone della passata generazione. Il mutato atteggiamento spirituale implica però l’atrofia di intere serie di funzioni intellettuali...il cinematografo lascia inerte un gruppo di mezzi di percezione estetico-intellettuali; e questo deve cooperare all’indebolimento del raziocinio.
Il meccanismo dei moderni divertimenti di massa costituisce inoltre, essenzialmente, un impedimento alla concentrazione. L’elemento dell’abbandono e della trasfusione nell’opera d’arte, data la riproduzione meccanica di ciò che si vede e si ode, vien meno per forza. Manca quel ripiegamento su se stessi e quel senso del sacro. Ora il ripiegamento su quanto vi è in noi di più profondo e il senso di ciò che, nel momento, vi è di sacro, sono cose che non possono mancare all’uomo che voglia possedere una cultura.
La suggestibilità visiva sempre pronta è il punto attraverso il quale la pubblicità afferra l’uomo moderno, e lo colpisce nel lato debole della sua diminuita capacità di giudicare. Questo vale ugualmente per la pubblicità commerciale come per la propaganda politica...”.          

Visto che il citato libro di Huizinga è stato pubblicato nel 1935 (La crisi della civiltà, Editore Einaudi, 1962, trad. Barbara Allason, pagg. 44-45), è possibile oggi fare un passo avanti?
 
A mio parere - fermo restando la validità di quanto illustrato dallo studioso olandese - ai giorni nostri c’è il recupero di ruolo assegnato alla persona media: ognuno è chiamato a far spettacolo mediante se stesso, il proprio corpo e le movenze. Si tratta di una particina che può essere recitata individualmente oppure in connubio con chi cammina, parla, sta in strada o dappertutto insieme a noi. Non s’intende solo fisicità (i giovani infatti ne traggono poco beneficio), ma è un modo complessivo di ragionare e di fare.  

E’ una parte all’apparenza marginale che tiene su il sistema, ci prende appieno e ci fa sentire possessori di un’identità: siamo portatori di una forma di capitale età e il nostro compito è di rappresentarla al meglio. 

Dopo l’epoca del denaro (che è alla portata di sempre meno persone) e quella del progresso tecnico (rispetto al quale non si sta più al passo), la risorsa età è divenuta la linea guida centrale a disposizione, che contribuisce a farci trascorrere la vita in uno stato vegetativo. Attraverso l’età comprendiamo e ci orientiamo nel mondo; opera in noi il dominio.  

29/5/7 - Leopoldo BRUNO                


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