Il deserto iracheno in soccorso della borsa valori di Wall Street



Il deserto iracheno in soccorso della borsa valori di Wall Street
Il Nobel Lawrence Klein denuncia le ragioni economiche che spingono gli Stati Uniti alla «guerra permanente». In suo aiuto arriva Joseph Stiglitz
Enzo Modugno

«Le spese militari per la guerra in Iraq tengono lontana la recessione» ha dichiarato di recente il Nobel per l'economia Lawrence Klein, uno dei padri dell'econometria. Sarebbe interessante un'indagine per accertare quanti sono i politici che credono davvero alle capacità apocalittiche degli islamisti, e quanti invece capiscono che per scongiurare gravi crisi economiche è necessario organizzare l'antislamismo sensazionale - erede diretto dell'anticomunismo - che giustifica la guerra e le spese militari. A sinistra sono più avvertiti, Prodi è un economista, e sarà stata la Rice a spiegare a D'Alema quanto sia importante per l'indebitata economia degli Stati Uniti la gestione militare del ciclo economico e la funzione antirecessiva della guerra. Il rifinanziamento delle missioni militari è stato quindi votato consapevolmente, per non turbare l'andamento dell'economia. Ma questo naturalmente non può essere detto. Gli economisti ufficiali preferiscono non parlarne perché usare le spese militari contro le recessioni è considerato un fallimento della professione. Ed è così anche per i politici che debbono perciò giustificarle con i pericoli per la sicurezza. Questo giornale può vantare invece un intervento di Augusto Graziani che andrebbe ripubblicato tutte le volte che si torna a parlare della guerra. Apparso il 31 dicembre 2002, prima dell'invasione dell'Iraq, ha previsto la lunga guerra di guerriglia che dura tuttora, spiegandone i motivi. Un riarmo in grande stile determina la ripresa generale dell'economia se a trarne vantaggio non sono solo le industrie degli armamenti ma anche altre industrie collaterali: per questo gli Usa avrebbero cercato in Iraq un conflitto prolungato, che giustificasse l'invio massiccio di mezzi di ogni tipo per un tempo significativo. «La ripresa dell'economia - scriveva Graziani - si verifica quando, con l'occupazione del territorio, occorrono forniture di ogni genere, e se la guerra si trasforma in guerriglia non vi sono tecnologie o equipaggiamenti che possano avere ragione con certezza della resistenza delle popolazioni attaccate». Questo spiega anche perché i comandi militari Usa non gradiscano testimoni, si tratti dei giornalisti non embedded o dei medici di Emergency. Non è concesso indagare sui metodi per far durare venticinque anni la «guerra globale al terrore», come è nei programmi dell'amministrazione Usa. Che pure deve farlo perché «i conflitti prolungati - spiegava Graziani - esercitano un influsso sull'attività economica di tutti i paesi che, direttamente o indirettamente vi sono coinvolti». Adesso ne parlano i Nobel per l'economia. Non solo Lawrence Klein, ma anche Joseph Stiglitz che aveva scritto sulle spese per la guerra, risultate dieci volte superiori a quelle ufficialmente dichiarate. Chissà se è il Nobel ad infondere coraggio, o se ci vuole coraggio per prendere il Nobel.

Il manifesto, 26 aprile 2007
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Aprile-2007/art57.html