In: ECCO PERCHE' HA VINTO HAMAS




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Ecco perchè ha vinto Hamas


di

Luisa Morgantini

31 Gennaio 2006



La travolgente vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi era da lungo
tempo  annunciata. E' un terremoto politico ed una trasformazione, per ora
nella  massima legalità, del Movimento di Liberazione della Palestina.
L'Olp non è più  l'unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese.
Hamas, che non ha mai  fatto parte dell'Olp, è stato eletto
democraticamente dalla popolazione  palestinese residente nei territori
ancora occupati militarmente da Israele, e  ora dovrà governare e fare i
conti con la complicata vicenda della gestione  quotidiana. Hamas,
movimento politico religioso, ha sempre trattato da traditori  i firmatari
dell'accordo di Oslo ed ha praticato, in questi anni, una politica  di
servizi sociali e di aiuti economici alla popolazione conducendo nello
stesso  tempo una resistenza armata che ha avuto negli attentati suicidi
contro i civili  israeliani la più tragica espressione.

Le motivazioni dello stravolgente successo di Hamas sono molteplici,
esterne  e interne alla Palestina. La comunità internazionale si è
meravigliata, ed ha  minacciato di tagliare i fondi al nuovo governo
palestinese. Hamas è nella lista  stilata dagli Usa ed accettata
dall'Unione Europea delle organizzazioni  considerate terroriste. Ma questa
minaccia fatta prima e dopo i risultati delle  elezioni ha solo il potere
di rafforzare Hamas, perché i palestinesi hanno  capito in questi anni e lo
hanno ripetuto molte volte soprattutto agli Europei  -che non mancano mai
di far pesare la loro generosità- che è di una soluzione  politica che
hanno bisogno, che non ne possono più di vivere alla mercé  dell'esercito
israeliano e chiedono di avere un po' di giustizia e di poter  vivere in
libertà e con dignità nella loro terra. I giovani di Gaza che  sventolavano
bandiere verdi, gialle, rosse, a noi, osservatori elettorali, lo  dicevano
sorridendo: vogliamo essere liberi, vogliamo l'indipendenza.

La Comunità Internazionale ha la massima responsabilità nel non avere
voluto/saputo risolvere il conflitto e dare così spazio a forze religiose.
Sempre più spesso ci si chiede se tutto ciò non sia voluto, basta vedere i
risultati delle politiche cosiddette occidentali a partire dalla Ex
Yugoslavia  alla prima guerra del Golfo e alla dichiarazione di Bush sullo
scontro di  civiltà. Nazionalismi e identità religiose ortodosse si sono
affermate contro la  visione laica e secolare della politica e degli Stati.
Nella situazione  specifica del conflitto Israelo-palestinese, nessuno ha
fatto pressioni  sufficienti per fare applicare da Israele gli accordi
firmati con l'Olp nel  lontano 1993, né tantomeno le risoluzioni
dell'Assemblea e del Consiglio di  Sicurezza delle Nazioni Unite.
L'assassinio di Rabin da parte di un  fondamentalista ebreo e la successiva
vittoria di Netanyahu sono state il  segnale della deriva del processo di
pace e degli accordi di Oslo a cui non si è  voluto dare ascolto.

E' fin dalle prime violazioni degli accordi da parte del governo israeliano
che molti dirigenti palestinesi, tra i quali lo stesso Arafat ma ancor più
Faisal Husseini, leader amato e rispettato da tutti i palestinesi, ogni
volta  che incontravano leader europei lanciavano un appello: "Non
lasciateci soli a  negoziare con il governo israeliano, loro sono forti e
noi deboli, loro occupano  le nostre terre militarmente. Noi abbiamo messo
nel cassetto i nostri sogni,  quello di abitare la Palestina storica, dove,
prima della dichiarazione di  Balfour, ebrei, cristiani, musulmani,
vivevano insieme. Il 15 Novembre del 1988  abbiamo sancito di volere uno
stato in coesistenza con lo stato d'Israele, non  sui confini della
spartizione dell'Onu del '47, ma sui confini delle terre  occupate nel
1967, il 22% della storica Palestina. Fate in modo che la sfida che  noi
abbiamo accettato possa dare dei risultati, fate pressione su Israele
affinché porti avanti il ritiro dai territori. Se continua in questo modo,
se  Israele continua ad occupare e confiscare le nostre terre, se aumenta
la  presenza dei coloni, se aumentano i check point e la separazione dei
palestinesi  dentro enclaves, noi non avremo la pace, ma la sconfitta
dell'autorità  palestinese e le forze che verranno al potere saranno
fondamentalisti religiosi,  non partiti secolari come quelli che noi
rappresentiamo".

Faisal Husseini, la cui improvvisa morte è stata una perdita di grande peso
per il popolo palestinese, era molto più esplicito di Arafat. Ricordo che
in una  conversazione con altri parlamentari europei, disse, ed eravamo
agli inizi del  2001, che l'Europa doveva fermare Sharon e il suo piano di
distruzione  dell'Autorità Palestinese perché se ci fosse riuscito Hamas
avrebbe preso il  potere e lui non voleva che sua figlia un giorno fosse
costretta a portare il  velo o che lui stesso perdesse i suoi diritti
individuali.



Oggi la grande minaccia è realtà. Hamas ha vinto le elezioni che si sono
svolte, da parte palestinese, nella massima correttezza procedurale e senza
violenze, come del resto le altre elezioni nazionali: quelle del '96 che
hanno  sancito la nascita di un Consiglio legislativo palestinese secondo
gli accordi  di Oslo, ma non uno Stato Palestinese e quelle che hanno
scelto Mahmoud Abbas  presidente. In quelle elezioni e in queste odierne,
gli osservatori  internazionali hanno potuto apprezzare oltre che la forte
presenza delle donne,  la competenza e l'organizzazione dei seggi
elettorali e le stesse campagne  elettorali portate avanti con
comportamenti da fare invidia sicuramente a noi  italiani. Niente brogli.
Intimidazioni e boicottaggio sono invece venuti da  parte israeliana,
arresti di candidati, impedimento a muoversi e a fare campagna  elettorale,
non solo a Gerusalemme est ma tra un paese e l'altro dei territori,
assassinii mirati, come a Gaza il giorno 23 due giorni prima del voto,
uccidendo  un militante del Fronte Popolare che guarda caso è diventato il
terzo gruppo  politico dopo Hamas e Fatah nelle liste nazionali. E i
palestinesi non finiscono  mai di sorprendere. In queste elezioni persino
la plateale violazione di una  norma della legge elettorale, che proibisce
il giorno delle elezioni di essere  davanti ai seggi a fare propaganda per
candidati o a esporre i simboli o  bandiere, veniva vissuta e spiegata come
un espressione della democrazia e della  volontà unitaria del popolo
palestinese a fare delle elezioni un vero processo  democratico. "Vedi - mi
dicevano- guarda, io ho il cappello di Hamas e la  bandiera verde, accanto
a me c'è Fatah con la sua bandiera gialla e la bandiera  palestinese,
accanto a Fatah, c'è la bandiera rossa del Fronte Popolare e poi  tutti gli
altri che distribuiscono indicazioni di voto. Siamo qui insieme senza
nessuna tensione, stiamo festeggiando le nostre elezioni".

Ora Hamas ha vinto e dovrà governare, i suoi dirigenti non vogliono farlo
da  soli, hanno chiesto di farlo con il tanto odiato Fatah e altri.
Mahomoud Zahhar,  quando lo abbiamo incontrato a Gaza la sera prima del
voto, era stato molto  diretto: "nella nostra lista a Gaza appoggiamo tre
indipendenti, uno di loro  cristiano, siamo per il pluralismo. Non
riconosceremo Israele fino a quando  Israele non riconoscerà noi, possiamo
continuare il cessate il fuoco, lo stiamo  rispettando fin da quando
abbiamo fatto l'accordo con Mahoumud Abbas nel 2004,  lo abbiamo fatto
malgrado gli assassini mirati, ma il governo Israeliano deve  cessare gli
attacchi contro la nostra popolazione, smetterla di bombardarci e di
ucciderci. La gente voterà per noi perché in questi anni siamo stati tra di
loro, abbiamo fatto scuole, ospedali, abbiamo aiutato la popolazione,
mentre i  leader di Al Fatah si arricchivano e la corruzione diventava
sistema".

La corruzione, è diventata la parola magica e demagogica, dietro la quale
si  nascondono le responsabilità reali. Indubbiamente esiste, ma non è vero
che  tutti sono corrotti e tutti si sono arricchiti. Ed è vero che anche
dall'interno  di Al Fatah sono venute le prime critiche. Dire che in questi
anni non è stato  fatto nulla e i soldi sono stati intascati dai veri
leader è chiaramente un  falso. Gli aiuti dell'Unione Europea secondo le
indagini volute dal Parlamento  Europeo e condotte dall'Olaf sono stati
usati per la realizzazione dei progetti  per i quali i fondi erano stati
designati.

Dalla provocazione di Ariel Sharon sulla spianata delle Moschee, e con gli
attacchi militari israeliani ben 330 milioni di euro impiegati nelle
diverse  infrastrutture palestinesi sono stati distrutti dagli attacchi
israeliani. Le  enormi spese per le forze di sicurezza sono state volute
dalla Comunità  Internazionale e dal bisogno di trovare una collocazione
alle migliaia di  giovani che hanno partecipato alla lotta di liberazione
nazionale.

La politica di Sharon, ma anche di Barak e Peres è stata quella di fare
tabula rasa dell'Autorità Palestinese, prima con Arafat e poi con Mahoumud
Abbas, sia quando formò il governo dal quale si dimise che da Presidente.
"Non  ci sono partner per la pace", hanno continuato a ripetere, mentre
costruivano il  Muro di annessione territoriale, definendo in modo
unilaterale, come ha ribadito  il nuovo leader del Kadima, Ehud Olmert
nella recente conferenza di Hertzilya i  confini israeliani, "che tengono
conto della demografia".

Nessuna responsabilità di Al Fatah quindi? No, indubbiamente enormi. In
primo  luogo il fatto di credersi unici e insostituibili, senza rendersi
conto del  distacco che il loro modo di gestire il potere creava con la
popolazione e con  gli stessi aderenti di Al Fatah, molti dei quali hanno
votato Hamas. Non si sono  mai affrontati seriamente i problemi che
emergevano tra una direzione pur sempre  palestinese che tornava in
Palestina dopo aver pagato per la scelta di lotta  l'esilio, ma che
assumeva il potere nella diffidenza di chi aveva vissuto sotto
l'occupazione militare israeliana dall'interno dei territori. La
popolazione  palestinese non è mai stata chiamata a partecipare in modo
continuo alle scelte  difficili che si sono dovute fare. Anche Arafat si
rivolgeva alla popolazione  per ribadire le grandi affermazioni di
principio, ma senza dare responsabilità e  coinvolgere la popolazione nella
costruzione quotidiana di uno stato che ancora  non c'è. Abuso di potere,
nepotismo, corruzione hanno fatto la loro parte  insieme al fallimento del
processo di pace, che Israele ha definitivamente  bloccato con la decisione
del ritiro unilaterale da Gaza. Altra illusione ben  presto franata dal
controllo israeliano, malgrado la presenza europea a Rafah e  dell'inviato
speciale Wolfhenson, sulla mobilità delle merci e delle persone e
sull'aumento dei coloni nella Cisgiordania. Il giorno dopo le elezioni a
Gaza  nel check point delle merci, tonnellate di pomodori sono andati
distrutti.

Oggi Fatah deve fare i conti con una sconfitta e finirla con l'occupazione
del potere. Finora, forse ha giocato la sorpresa e lo shock, la reazione è
stata  quella di un normale paese democratico. Fatah dice di essere pronto
ai passaggi  di potere in modo pacifico e di riconoscere la volontà
espressa dalle urne. Il  presidente Abbas non intende rassegnare le
dimissioni, del resto non richieste  da Hamas, e, nel suo discorso ha
ribadito la scelta della pace e del negoziato e  di voler mantenere i
poteri che gli sono conferiti dalla legge, tra l'altro la  direzione delle
forze di sicurezza. Ed è proprio da parte dei servizi di  sicurezza che
viene la protesta più forte, anche Dahlan ora parlamentare eletto  a Khan
Yunis, ha dichiarato minacciosamente che le forze di sicurezza non devono
essere toccate. Quando alcuni delle forze di sicurezza sono entrati nel
Consiglio legislativo palestinese a Ramallah,

gridando contro il comitato centrale di Al Fatah e reclamandone le
dimissioni, manifestavano anche contro Hamas che il giorno prima aveva
innalzato  la bandiera verde sul davanzale della sede del Consiglio e uno
dei giovani di Al  Fatah ha dichiarato che lui era entrato per rimettere al
suo posto la bandiera  palestinese e non quella di Hamas o di Al Fatah. Ma
proprio le forze di  sicurezza, con la loro tracotanza e conflitti interni
sfociati in sparatorie ed  uccisioni ha contribuito non poco allo
scollamento della popolazione verso Fatah  e al voto per Hamas.

Adesso tutti temono che Hamas licenzi migliaia di dipendenti e dirigenti
pubblici sostituendo i propri aderenti a loro. E questo sarà un test
importante  per Hamas

Non ritengo che il voto ad Hamas, sia la scelta di un fondamentalismo
religioso e dell' islamizzazione della società palestinese, è un voto
legato,  più che alla religione, alle condizioni di vita, alla tragedia
quotidiana dell'  occupazione militare, delle umiliazioni ai check point,
della mancanza di  libertà, di lavoro. E' un voto di protesta e critica
all'occupazione del potere  del più grande partito dell'Olp, Al Fatah e una
sfida alla comunità  internazionale.

E' stato un voto per il cambiamento di una popolazione che dagli accordi di
Oslo invece di vedere la nascita di uno Stato palestinese ha visto la
crescita  degli insediamenti ed un'autonomia nelle sue grandi città che
divide palestinesi  da palestinesi, ha visto crescere un muro che annette
terra allo Stato di  Israele, e continua a vedere migliaia e migliaia di
palestinesi nelle carceri  israeliane.

Ma il pericolo di una deriva religiosa c'è ed è per questo che, la società
civile palestinese, quella che abbiamo conosciuto in tutti questi anni deve
uscire nuovamente allo scoperto sui diritti civili. A Qalqilya, dove
peraltro ha  vinto Fatah, il nuovo sindaco di Hamas ha già impedito i
festival di musica che  si tenevano da anni. Da queste elezioni escono
malissimo le forze democratiche e  laiche che pagano anche loro la
separazione dalla popolazione e la tradizione di  una sinistra che non
riesce a trovare l'unità e un progetto comune. Chissà che  anche per loro
la vittoria di Hamas sia portatrice di un risveglio politico e  culturale.

Inizia una nuova grande sfida: l'Unione Europea e la Comunità
internazionale  sono chiamate a riconoscere il legittimo governo
palestinese, e fare pressioni  su Hamas perché entri definitivamente nel
gioco democratico, prosegua la tregua  militare riconoscendo le risoluzioni
delle nazioni Unite e vada al tavolo del  negoziato che al momento non c'è
non per volontà palestinese ma per volontà  israeliana. Non si aspetti il
risultato delle elezioni israeliane per fare  pressioni su Israele, che
palesemente viola ogni legalità internazionale, si  agisca subito.
Dopotutto il Likud quando vinse le elezioni nel 1977 era accusato  dai
laburisti di essere il partito dei terroristi delle bande dell'Irgun e
dello  Stern.