Newsletter Osservatorio Iraq: 19/2005





Newsletter Osservatorio Iraq
19/2005
02 - 16 dicembre 2005


Iraq, il giorno dopo. 

Si è votato giovedì in quasi  tutto il paese, scegliendo tra le oltre
duecento
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1772>formazioni
politiche che si sono presentate in lizza. In realtà la partita si gioca
tutta tra le
cinque<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1747>
maggiori coalizioni, che rappresentano sia la contrapposizione tra le etnie
sia quella tra le identità laiche e religiose. E' forte il timore che in
Iraq siano i partiti religiosi a vincere, poiché, come ricorda il
caporedattore del quotidiano Al Jarida,
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1760>Kais
Alazawi  <http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1760>
"una parte della Costituzione sarà rinegoziata nel corso dei prossimi mesi"
e "c’è il rischio che l’Iraq divenga uno stato islamico". La  stessa
possibilità è stata analizzata da Gilbert Achcar, che in uno suo saggio del
luglio 2005  ora in
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1771>traduzione
italiana   ne spiega le radici e le ragioni, non soltanto in Iraq ma in
tutta l'area di quello che si vuole far diventare "Grande Medio Oriente".

La formazione attuale delle milizie incaricate di gestire la sicurezza ne
mostra i rischi e i pericoli: il sospetto che sia in atto una "vendetta"
privata è già forte, e potrebbe tramutarsi in pericolosa realtà con un
governo
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1751>permanente,
immune da responsi immediati.

La scoperta delle carceri segrete gestite direttamente o indirettamente dal
governo iracheno è strettamente legata a questa ipotesi, e ripropone ancora
una volta il problema della tortura. Come ha sottolineato l'Alto
Commissario per i diritti umani
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1738>delle
Nazioni Unite, Louise Arbour, "la proibizione totale e assoluta della
tortura, pietra miliare del sistema internazionale di protezione dei
diritti umani, è minacciata.
Il diritto inerente all’integrità fisica e alla dignità della persona - un
principio che si credeva inattaccabile - fa ormai parte delle vittime di
quella che viene chiamata guerra contro il terrorismo”.

Una guerra che comporta l’uso di pratiche che dovrebbero essere proibite,
ma che in virtù della formulazione stessa dei
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1726>trattati
internazionali 
possono essere tranquillamente adottate, secondo le convenienze politiche
ed economiche.


L’azione di contrasto a queste pratiche, e alla guerra tutta, non può
essere lasciata nelle mani della sola “classe politica”. Come afferma, nel
suo ruolo di medico,
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1746>Angelo
Stefanini  ”La guerra può essere assimilata a una malattia che ha fattori
di rischio che vanno eliminati prevenzione primordiale o modificati
prevenzione primaria e sui cui effetti si deve intervenire precocemente
prevenzione secondaria e i professionisti sanitari potrebbero svolgervi un
ruolo importante, promovendo e sostenendo azioni che prevengano la guerra e
contro il commercio internazionale delle armi”.


Invece sembra passare la teoria che tutto questo sia normale, e sia giusto.
Non si è ancora spenta l’eco del
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1735>documentario
di Rai News 24 su Falluja, che raccontava in immagini quello che era facile
sapere già da tempo , che un
<http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1741>nuovo
video  pone il dubbio su cosa significhi “missione umanitaria”. E, secondo
le dichiarazioni di esponenti del governo, nelle “missioni umanitarie” è
normale uccidere, perché si è in guerra.  Anche ridendo. Anche ”annichilendo”.


Non hanno ucciso, ed erano davvero in missione umanitaria, i quattro
esponenti del <
http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=1749>Christian
Peacemaker Teams, che sono stati rapiti il 26 novembre. Presenti a Baghdad
prima, durante e dopo l’invasione, sono stati tra i primi ad occuparsi di
detenuti, a denunciare gli arresti indiscriminati e violenti, le torture e
i maltrattamenti. Hanno organizzato tende di denuncia e di solidarietà con
le famiglie degli arrestati in molte città irachene, tra le quali Balad,
Ba’aquba e la stessa capitale, Baghdad. Hanno cercato di fare pressioni
presso i comandi delle basi militari americane dove venivano incarcerati
gli iracheni arrestati per far sì che le famiglie potessero avere
informazioni e accesso ai loro cari. Hanno organizzato campagne di
solidarietà attiva e di pressione sul governo statunitense e canadese.

Quattro di noi.


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