patrizia



08 Dicembre 2005                      [Fonte: La Stampa]
 
Ha qualcosa di surreale, il racconto di Patrizia Triolo, 39 anni e la faccia gonfia, un cerottone sul naso e un bel po’ di rabbia dentro. Non fosse che la signora è lì e ti racconta per filo e per segno com’è andata, e non avesse in mano le radiografie che immortalano il suo setto nasale fratturato, con tanto di referto da un mese di prognosi per la guarigione, il suo sembrerebbe un racconto da film, da romanzo, o giù di lì.
Questa signora cui la polizia ha tirato manganellate in testa fracassandole il naso abita a Meana, è vedova, ha una figlia di 17 anni, lavora alla concessionaria «Valsusa Car» di Bruzolo. Non è né di Askatasuna, né anarchica, né militante in qualche partito. Non fosse che lavora, incarnerebbe lo stereotipo della casalinga di Voghera. Se l’è prese così: succede che, dopo aver partecipato alla fiaccolata del 5 novembre e al corteo del 16, la Patrizia decide di andare anche lei al presidio di Venaus; il cognato, attivista dei no-Tav di Susa, l’invita, e lei ci va. Finisce «di turno» la notte tra lunedì e martedì. «Come fa Pisanu a dire che la polizia non ha caricato? Bugiardo. Anzi, no, mi correggo, che magari è capace che mi denuncia, è mal informato». 
Su a Venaus quella notte «c’è la casetta di legno della pro-loco, con le stufe, le panche e i tavoli. E fuori, sul prato, ci sono i fuochi, tè e cioccolata calda. C’è musica, ci sono anziani che se la raccontano. Siamo meno di cento: forse solo 50 persone». A un certo punto, «Con un’altra signora, facciamo due passi, allontanandoci dal presidio. Poi decidiamo di andarci a prendere un tè caldo. Mentre io e lei camminiamo verso la casetta, vediamo arrivare verso di noi una massa di poliziotti con i caschi, gli scudi e tutto. Allargo le braccia e dico “Oddio! Venite qua? Oh no!”. Non faccio in tempo a finire la frase “andate via”, che uno dei poliziotti mi vola addosso e mi picchia sulla testa con il manganello. Così. A freddo. Due donne, e disarmate. Voglio dire: non è che ci fosse uno scontro, un tafferuglio, due parti che si fronteggiavano. No. Siamo state solo, per puro caso, le prime a incrociarli mentre arrivavano. Una cosa allucinante. Si vede che avevano deciso di picchiare chiunque si parasse loro davanti». 
La Patrizia porta le mani al viso, l’altra cade. «C’era un mucchio di sangue che mi veniva giù dal naso. Non ci potevo credere. La donna che era con me è per terra, e loro la prendono a calci con quegli stivaloni, dicendole di alzarsi. Una donna, madre di due figli. Io ci resto così male, ma così male, ... così senza parole, così sbaccalita, che il grosso dei poliziotti passa avanti, e a quelli in coda li fermo uno per uno, cinque o sei degli ultimi, e dico: “Ma oh? Si fa così? Ma ha visto? Perché mi picchiate, cosa ho fatto di male?” Mica ho pensato che magari me ne davano delle altre, di botte. Nessuno mi risponde: vanno avanti, a svegliare a calci quelli che dormono». Poi «Mi portano nella casetta, e chiamano l’ambulanza, ma da sotto non la fanno salire, insomma alla fine sono le 6 meno 20 di mattina quando arrivo all’ospedale a Susa. C’erano altre tre donne ferite, e 4 poliziotti che si facevano medicare, ai quali sento che i carabinieri dicono: “Stiamo qui con voi, con quelli non si sa mai”. Come se noi potessimo essere pericolose per loro. Ma per chi ci hanno preso? Per delinquenti? E mentre eravamo lì al Pronto soccorso, tra loro si dicevano: “Tu c’eri, al G8?” E noi si continuava a scuotere la testa, perché noi non siamo mica di quella pasta lì. Ah, non m’era mai successa una cosa simile nella vita, non siamo mica degli habitué dei casini». «Comunque gli occhi di quel poliziotto, non me li dimentico. Aveva certi occhi da matto. Io quello lo denuncio. Cioè, lo querelo. Mi hanno detto che la denuncia dopo un po’ decade, invece la querela è più forte. Mi hanno pure denunciato per resistenza a pubblico ufficiale. Ma quale resistenza? Non sono riuscita a dire né a ne ba, non mi hanno manco detto di andare via. Mi hanno picchiata, e basta. Mica si può far passare una cosa così. Eravamo pochi: bastava dicessero di spostarci, e l’avremmo fatto. Nessuno si metteva in 50 contro 800. E poi nessuno aveva pietre, bastoni, niente. Se è così, la prossima volta finisce che¿