Aggiornamento Nablus



Ricevo e inoltro dal presidio di Nablus.
Nat

Incontro dell’International Peace Teams Forum, Hares, 29 giugno.

Anche il presidio di pace di Nablus per la prima volta è stato presente a un incontro del IPTF. Insieme a noi erano presenti le donne dell’IWPS (International Women Peace Service) che ci ospitavano nella loro casa di Hares (distretto di Salfit), e rappresentanti di ISM (International Solidarity Movement), Operazione Colomba, Quakers Service, EAPPI (Ecumenical Accompaniment Program Palestine-Israel), una donna palestinese iniziatrice del gruppo Women for Life, che si dedica ad azioni di sensibilizzazione, informazione e lotta nonviolenta contro il muro rivolte alle donne dell’area di Salfit e che lavora in particolare con l’appoggio dell’IWPS.
L’incontro e’ stato particolarmente breve, quasi tutte le delegazioni sono arrivate con ore di ritardo, giusto per non dimenticare le difficolta’ di movimento nella Palestina Occupata. Poiché i quaccheri dovevano ripartire dopo un’ora, ci siamo limitat* ad un giro di presentazioni e alle comunicazioni urgenti, lasciando approfondimenti e sviluppi alla discussione sul forum elettronico. E’ emersa chiara l’esigenza di comunicare con anticipo e precisione le richieste di presenza e interposizione, tanto nelle azioni contro il muro, quanto nei villaggi minacciati dai coloni. Alcuni gruppi (noi e l’EAPPI ad esempio) hanno spesso molt* volontar* che potrebbero essere utili ma non riescono ad organizzarsi in tempo. Viceversa nella zona di South Hebron Hills la scarsità di persone è una costante. Il presidio ha ribadito la propria disponibilita’ a portare volontari* in altre aree (South Hebron, Yanoon…) fino a che la situazione a Nablus si dovesse mantenere (militarmente) tranquilla. 
A Rafat un villaggio nell’area di Mas’ha, a luglio inizierà il summer camp delle ragazze (12-17 anni) di Flowers against the Wall, organizzato da Women for Life. Tutt* siamo invitat* ad andare a dare un’occhiata e una mano.
Noi abbiamo ripreso e rilanciato la proposta, nata dall’incontro precedente, di creare momenti di formazione comuni sull’azione non violenta, generici e specifici. L’ISM organizza training generali quasi settimanalmente a Ramallah, Quaccheri e Operazione Colomba possono invece creare momenti di formazione ad hoc, per esigenze specifiche. Il 17 luglio l’ICHAD (Israeli Comitee Against House Demolitions) organizza un training e sono ancora richiest* trainer. 
Forti solo del training dell’Assopace (ottimo ma necessariamente generico, dall’arrivo all’aeroporto, al lavoro in gruppi di affinita’) ci sentiamo spesso un po’spers* nel confronto diretto con la violenza militare. Anche l’esperienza che alcun* di noi possono avere sull’azione diretta nonviolenta e sulla difesa nonviolenta in particolare, non ci pare né adeguata né sufficiente di fronte ad un esercito. 
Sarà infine necessario mandare informazioni schematiche sulle nostre attivita’ in vista di una brochure riassuntiva per la ricerca di nuov* volontar* per tutte le organizzazioni.
Il prossimo incontro sarà il 27 luglio ad Abud, ospiti di Operazione Colomba.

Finita la parte più formale abbiamo approfittato di essere a Hares per fare alcune visite. L’idea di incontrarci a turno in luoghi diversi ha infatti anche lo scopo di conoscere le specificità del territorio e le modalità di resistenza.
Siamo stat* prima a casa di un abitante di Hares, attivo dalla prima Intifada, che ci ha ricordato la rilevanza strategica dell’area di Salfit, nel cuore del West Bank, un’area in cui il rapporto popolazione locale - coloni è di 1 a 1. F., di Women for Life, ci ha anche ricordato il catastrofico impatto ambientale di questa proporzione, gli effetti di inquinamento del suolo e delle falde provocati dalle acque di scolo delle colonie e dei loro stabilimenti industriali chimici. 
M. sudafricana dell’EAPPI, ha voluto ricordare come l’esperienza della lotta contro l’Apartheid in Sudafrica, senza forzature e meccaniche sovrapposizione, possa essere un’ispirazione per la lotta del popolo palestinese. Ne è nato un acceso dibattito sul boicottaggio dei prodotti israeliani, che vedeva tutt* gli internazionali da una parte, e i/le palestinesi dall’altra a ricordarci che boicottare i prodotti israeliani è sostanzialmente impossibile per una famiglia palestinese. Il mercato è monopolizzato dei prodotti delle colonie (di pessima qualita’, io non ricordo di avere mangiato frutta e verdura cosi’ cattiva dai tempi in cui vivevo a Berlino…), la terra dei/delle contadin* viene requisita, nelle citta’ avere un orto e’ un lusso per poch*. Gli/le internazionali insistevano sia sull’aspetto simbolico, comunicativo e di empowerment psicologico di un boicottaggio totale dei prodotti israeliani, che arrivasse fino al blocco della stessa distribuzione (come era accaduto nelle township del Sudafrica con i prodotti “bianchi”), sia sul rischio reale e concreto della dipendenza alimentare del West Bank. Gettare la popolazione palestinese nella fame sarebbe infatti semplicissimo nelle condizioni attuali.
In generale la visita è stata breve ma si e’ rilevata un ottimo momento per sollevare il livello del discorso dagli aspetti tecnici e organizzativi e scoprire le carte delle nostre posizioni politiche, riscontrando pur nelle ovvie differenze, una grande sintonia di fondo tanto tra internazionali quanto con i/le “padron* di casa”.
La seconda visita è stata a Mas’ha, il villaggio teatro del campo contro il muro del 2003. Sei mesi di incontri, azioni, dibattiti, con la partecipazione di migliaia di palestinesi, israelian* e internazionali. Un momento che ha segnato l’inizio della resistenza contro il muro, oltre ad avere dimostrato che palestinesi e israelian* possono lottare insieme quando condividano gli stessi obiettivi. Un campo finito con l’irruzione dell’esercito, la distruzione di alcune case che ospitavano gli/le ospiti (l’accampamento di tende era stato distrutto nei primi mesi) e la deportazione di un significativo numero di internazionali. Arrivare oggi a Mas’ha e’ sconsolante. Il muro circonda il villaggio, e ha requisito il 95% della terra. Una casa, quella in cui siamo stat* ospiti, e’ pero’ rimasta fuori dal muro. La famiglia si e’ vista offrire consistenti cifre in denaro per abbandonarla. Poiche’ si sono rifiutato oggi vivono cosi’: a casa loro si accede dal corridoio tra i due cancelli elettrici che compongono il passaggio da un lato all’altro della barriera. Su un lato della seconda barriera, quella dal lato “israeliano”, si apre un porta elettrificata, chiusa anche da un lucchetto. Da li’ si entra nel cortile della casa. Di fronte alla casa stessa il muro non e’ fatto di recinzione elettrica come in tutta l’area (e come normale nelle zone rurali) ma di blocchi di cemento di otto metri di altezza (quelli usati per le aree urbane per intenderci) che bloccano completamente la vista sul resto del villaggio per una ventina di metri. Alle spalle della casa, separate da un’ulteriore cancellata, le case dei coloni ad una distanza di circa dieci metri. Come dire, per tirare i sassi contro le finestre della case i coloni non debbono scomodarsi, possono farlo dal salotto, in pantofole e pigiama, ben protetti dalla postazione militare accanto a loro. In teoria la famiglia possiede la chiave della porticina, ma questa chiave gli viene frequentemente requisita per punizione, ad esempio q¿So che e’ difficile credermi. Io stessa mentre ero li’ non credevo ai miei occhi. Speravo fosse il set di un film. Sul sito del presidio http://assopace.blog.tiscali.it/ potrete vedere qualche foto ma so che sara’ difficile immaginare qualcosa di cosi’ allucinante.


Ruby
Presidio di pace a Nablus 


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