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31 Gennaio 2005

Come un aviere Usa stupra in Italia una bambina ma guadagna l'impunità per
l'ignavia del ministero dell'ing. Castelli

Storia assai istruttiva, questa che vi racconto oggi. In breve l'antefatto.
Nell'inverno 2002, a Pordenone, una banda di farabutti stupra una ragazzina
di tredici anni.

di Giorgio Frasca Polara



Storia assai istruttiva, questa che vi racconto oggi. In breve l'antefatto.
Nell'inverno 2002, a Pordenone, una banda di farabutti stupra una ragazzina
di tredici anni. Della banda fanno parte, insieme ad un paio di minorenni,
l'albanese Kasem Placu (20 anni) e Robert Scott Gardner (19 anni), aviere
americano di stanza alla base Usaf di Pordenone. Lo stupro viene consumato
in un appartamento avuto in prestito dal valoroso soldato Usa; la vittima,
non solo violentata per ore ed ore ma anche maltrattata, sarà ricoverata in
ospedale. La ragazza denuncia la banda, la polizia conferma le accuse con
prove inconfutabili (prova del Dna).


Diciotto mesi di indagini culminano nell'arresto dei quattro della banda.
Ma proprio i principali responsabili dell'infamia (l'aviere Usa e
l'albanese) non potranno essere processati, insomma non pagheranno nemmeno
con un giorno di galera la loro criminale impresa. Ed il bello è che,
paradossalmente, non è colpa loro ma dell'irresponsabile ignavia delle
autorità italiane, in particolare del ministero della Giustizia
amministrato dall'ing. Castelli. Vediamo come e perché sulla base della
risposta-scaricabarile che il ministro della Difesa Antonio Martino ha
fornito per iscritto alla deputata dei Verdi Luana Zanella che aveva
chiesto (al ministro della Giustizia, che non elegantemente ha passato la
palla al collega Martino) conto e ragione dell'incredibile esito della
vicenda.


Cominciamo naturalmente dal caso più scandaloso, quello dell'aviere Usa.
Spiega Martino che "si è rinunciato all'esercizio della giurisdizione
spettante allo Stato italiano nei confronti del militare Nato" in
considerazione di tre elementi: "la giovane età dell'imputato", "che,
comunque, lo Stato di origine del medesimo avrebbe esercitato l'azione
penale" (il come si è visto con i protagonisti della tragedia del Cermis:
il cavo della funivia tranciato al culmine di un gioco di due avieri Usa
che poi, in Usa, l'hanno fatta franca alla faccia dei venti morti), e
infine "che il Paese di origine (vale a dire gli Stati Uniti, ndr) avrebbe
fatto fronte ai risarcimenti dovuti alla parte lesa italiana".

Quali e quante garanzie erano state ottenute dall'autorità giudiziaria
italiana, ed in particolare dalla procura di Pordenone e dalla procura
generale di Trieste? Evidentemente poche o punte se è potuto accadere che,
mentre l'aviere farabutto se ne tornava tranquillamente al suo paese, "le
autorità statunitensi non hanno dato seguito alla pratica di risarcimento
ritenendo non sufficienti gli elementi posti a fondamento della richiesta e
hanno manifestato perplessità sulla natura delle imputazioni mosse nei
confronti del Gardner". Risultato: una volta scappati i buoi, la procura di
Pordenone ha chiuso la stalla avviando procedimento nei confronti
dell'aviere ormai tranquillo a casa sua!


Altrettanto stupefacente quanto è accaduto per l'albanese Kasem Placu.
Privo di permesso di soggiorno, era stato rinchiuso nella casa
circondariale di Treviso, dove non sapevano del carico pendente su di lui
per lo stupro. Risultato: l'ufficio matricola della prigione di Treviso
avverte (per telefono!) l'ufficio immigrazione della questura che sta per
scarcerare l'infame e chiede la scorta per espellerlo. Il che puntulamente
avviene: Kasem Placu parte da Bologna in aereo per Tirana, su convalida da
parte del tribunale di Treviso del decreto di espulsione. Insomma, con
(quasi) tutti i crismi, anche questo farabutto guadagna la libertà
addirittura con accompagnamento a casa. E il prescritto nulla osta al
rimpatrio che avrebbe dovuto essere emesso dall'autorità giudiziaria, cioè
dalla procura della repubblica di Pordedone o dalla procura generale di
Trieste? Anche in questo caso il ministro della Difesa Martino s'incarica
di prendere le difese del collega ing. Castelli: "la mancanza del nulla
osta non determina, secondo costante giurisprudenza della Cassazione,
l'invalidità del provvedimento". Ovviamente ora anche l'albanese è
irreperibile.


Vi è chiaro ora perché la risposta richiesta da Luana Zanella a Castelli è
arrivata (quasi un anno dopo) da Martino? Perché l'ing. Castelli avrebbe
dovuto contestare a più di un magistrato l'ignavia (a dir poco) con cui
questa truce vicenda si è trasformata in un ignobile scandalo d'impunità.
Chi paga tutto questo? Assolutamente nessuno. Anzi qualcuno ha pagato: la
pavera bambina (tredici anni) di Pordenone: in tutta la lunga risposta del
ministro della Difesa non c'è una sola parola di solidarietà, di
omprensione, di scuse nei suoi confronti. Che vergogna.


Questa diffusione è curata dall'Associazione
ITACA,
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www.itacaonline.org

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