URGENTER-GUERRA NELLA GUERRA ALLE DONNE IN IRAK



DONNE IN IRAK
La spaventosa condizione delle donne irakene. Stupri, rapimenti, uccisioni
per l'onore sono diventati normali. A Falluja, il Congresso dei Mujahideen
ha pubblicato un decreto invitando a violentare le bambine prima che lo
facciano gli Americani. L'appello sembra sia stato ascoltato
10 dicembre 2004 / 14 h 21

Organizzazioni e movimenti femministi, allertati sulla violenza fatta alle
Irakene, si mobilitano in un contesto disastroso: parallelamente
all'applicazione della Sharia, promulgata nel 2003 in Irak, l'escalation
islamica si fa ogni giorno più oppressiva e opprimente.   
"La situazione della donna in Irak si degrada rapidamente, assomiglia
sempre più ai giorni più bui della rivoluzione islamica iraniana. Di questo
passo l'Irak diventerà in qualche anno uno Stato islamista": è Yanar
Mohammed, 45 anni, presidente dell'Organizzazione per la Libertà delle
Donne in Irak (OFWI) che è così pessimista. Essa si è dedicata alla lotta
per il diritto delle donne irakene dopo aver scoperto la storia di sua
nonna, adolescente sposata senza consenso a un uomo di 60 anni, fuggita il
giorno dopo del suo matrimonio, ripresa, per mettere poi al mondo cinque
bambini tra cui la madre di Yanar.
"Come dimostra la storia di mia nonna - spiega - la situazione della donna
è sempre stata problematica, anche nell'Irak degli anni '60 quando la donna
era considerata come la più moderna del mondo arabo perché portava la
minigonna e le studentesse erano alla moda. Vento di libertà sparito con
Saddam Hussein. Detto ciò, anche paragonata alle violenze compiute contro
le donne sotto Saddam Hussein, la situazione oggi è notevolmente
peggiorata".
Per tentare di mobilitare la comunità internazionale e soprattutto
americana, l'OFWI - filocomunista, una delle organizzazioni femministe più
attive - ha lanciato una campagna contro il terrorismo islamico di cui la
donna è la prima vittima.
Queste Irakene che, minacciate, vivono nella clandestinità, utilizzano il
web per informare il mondo. Sul sito di Al-Jazeera, su dei siti arabi di
Londra, Yanar Mohammed da dei dettagli spaventosi sulle violenze che sono
raddoppiate durante il Ramadan - poiché gli islamisti invitano a rispettare
severamente le leggi islamiste per sottolineare la santità di questo mese.
"Noi riceviamo delle testimonianze terribili, spiega Yanar Mohammed.
Stupri, rapimenti, uccisioni per l'onore sono diventati normali. Più di un
centinaio di donne sono state violentate a Bagdad durante il Ramadan.
Nelle campagne e anche in alcune città, le ragazze e le donne sono vendute
per poche centinaia di dollari. I gruppi islamisti sono riusciti a imporre
il velo in molte regioni e uno di loro, il "Mujahideen Shura Group", ha
pubblicato un appello a celebrare il Ramadan uccidendo le donne non velate.
La violenza non è solo contro le musulmane. A nord della città di Mosul,
delle cristiane sono state rapite, violentate da un'organizzazione islamica
e poi vendute a un'altra organizzazione, afferma l'OFWI.
Un altro fatto drammatico, a fine ottobre, a Falluja, mentre gli Americani
penetravano nella città, il Congresso dei Mujahideen pubblica un decreto
inviato ai corrispondenti stampa a Bagdad invitando a violentare bambine di
dieci anni prima che lo facciano gli Americani e, secondo l'OFWI, l'appello
sembra sia stato ascoltato.
La violenza è anche economica e sociale. Sempre secondo l'OFWI, da alcune
settimane, almeno un migliaio di studentesse hanno rinunciato a studiare
all'università a causa delle pressioni degli islamisti.
Yanar Mohamed e il suo movimento non sono le sole a lanciare un grido
d'allarme sul degrado rapido della situazione della donna in Irak. Certo
gran parte dei racconti del movimento di Mohamed devono essere presi con
prudenza, vista la difficoltà a verificare la loro verità sul terreno. Così
a Falluja, nel mezzo dei combattimenti, nessun corrispondente di stampa
estera si trovava nella città e i reportage dei media americani si sono
basati per molti giorni solo sulla testimonianza di alcuni giornalisti
irakeni. D'altra parte, coscienti dell'interesse della comunità
internazionale per il tema, diverse organizzazioni politiche irakene
sfruttano la situazione e conducono una guerra mediatica che non facilita
testimonianze affidabili. E' dunque chiaro che l'avvenire delle donne
irakene prese tra l'occupazione americana, l'ascesa degli islamisti e le
difficoltà della quotidianità è sempre più preoccupante e che le
testimonianze degne di fede si moltiplicano.
Così, Swanee Hunt, ex ambasciatrice degli Stati Uniti in Austria,
fondatrice del movimento Women Waging Peace, segue da vicino la situazione
da due anni. Christina Posa, esperta diu Oxfam International -
confederazione di 12 organizzazioni che, in più di 100 paesi elaborano
soluzioni durevoli all'ingiustizia - si trovava, anch'essa, fino a poche
settimane fa in Irak. Entrambe parlano di una situazione catastrofica e
invitano a mobilitarsi le organizzazioni femminili del mondo per tentare di
fermare le sevizie di cui sono vittime migliaia di donne irakene a causa
della crescita dell'integralismo musulmano.
Hind Makiya, militante irakena, fondatrice del Baghdad Women's Foundation e
del Iraqi Women's Foundation - due organizzazioni con base in Gran Bretagna
- è oggi una delle cinque donne del Consiglio per la Ricostruzione
dell'Irak. Essa ritiene che se la situazione della donna nelle grandi città
è più o meno protetta, i problemi siano seri nelle campagne a causa della
pressione dei leader tribali e degli imam.
Ala Talabani, ex vicepresidente dell'Unione per le Donne del Kurdistan e
esiliata in Gran Bretagna dal 1991, ha fondato nel 2003 l' Iraqi Women's
High Council per tentare di influire sul ruolo delle donne nel dopo Saddam.
Essa riferisce testimonianze spaventose di Irakene, in particolare durante
il periodo del Ramadan. Talabani ha anche protestato presso le autorità
americane dopo la decisione del Consiglio irakeno e dello sciita Abdelaziz
al-Hakim di sopprimere il Codice di Famiglia.
Sempre più la stampa internazionale si fa portavoce di questa situazione.
Il mese scorso, la BBC ha pubblicato molti reportage filmati in Irak
sull'imposizione con la forza del velo alle donne e alle ragazze. Nel
"Washington Times", la giornalista Sharon Behn, basandosi sulle
testimonianze di decine di  Irakene ha pubblicato in novembre un reportage
su delle donne minacciate di morte perché non rispettano la tradizione.
Mobilitazione anche delle organizzazioni internazionali. Amnesty e l'UNFPA,
United Nations Population, hanno lanciato grida d'allarme in seguito a casi
di donne minacciate e violentate per aver infranto le leggi dell'islam. In
uno dei suoi recenti rapporti, Amnesty afferma che in Irak come in molti
paesi in guerra, la violenza contro le donne è utilizzata come un'arma
mirante a punire e a disumanizzare il nemico. Amnesty parla "di un aumento
brutale della violenza contro la donna irakena in pochi mesi".
Queste militanti accusano gli Stati Uniti di svolgere un ruolo non
trascurabile nel degrado della situazione della donna. Alla fine del 2003,
il Consiglio del Governo irakeno, sotto tutela americana, e la metà dei
membri del quale sono capi religiosi e tribali, adotta una risoluzione - la
risoluzione 137 - che abolisce la legge irakena sulla famiglia del 1959 e
la sostituisce con la Sharia islamica.
La legge del 1959 limitava considerevolmente la poligamia, proibiva il
ripudio, concedeva dei diritti alla madre e proibiva il matrimonio alle
ragazze prima dei 16 anni.
Dopo la prima guerra del Golfo, Saddam Hussein, cercando il sostegno degli
islamisti, aveva fatto marcia indietro su alcune conquiste di questo
codice. La celebre "campagna per la fedeltà" al Baas era in realtà una
operazione di terrore contro le donne che prevedeva in particolare la
decapitazione sommaria delle prostitute. Oggi, le militanti irakene
accusano l'occupazione americana di aver lasciato portare avanti il
processo avviato da Saddam Hussein.
Alcuni giorni dopo l'adozione del nuovo regolamento da parte del governo
irakeno, duecento  donne sono scese in strada per chiedere agli Stati Uniti
di far cessare questa violazione dei diritti umani, ma il movimento è
passato inosservato.
Al contrario, i media, controllati dagli Americani, hanno dato rilievo alle
reazioni positive di un gruppo di donne islamiste che respingono l'idea di
uguaglianza e spiegano che una donna è nata per essere madre e aiutare suo
marito.
Segno del cambiamento - una misura semplice, ma simbolica - la Giornata
internazionale delle Donne che, dal 1959, si svolgeva in marzo per
celebrare la pubblicazione del Codice di famiglia, è stata spostata al 18
agosto, giorno di nascita di Fatima Zahra, figlia del profeta Mohammed.

Per saperne di più il sito dell'Organizzazione delle donne irakene :
<http://www.equalityiniraq.com>www.equalityiniraq.com