Aggiornamento Nablus 19



Nablus 26 Agosto 2004 (continua)

Spari e sassi, sassi e spari: la situazione si stabilizza in questo
modo,fino a quando da un tetto cade un sasso grandissimo che centra una
delle jeep.
Parte un applauso fragoroso, pacche sulle spalle, sguardi compiaciuti che
cercano anche in me complicita'.
Non posso non sorridere, anche se so che questa labile soddisfazione sara'
a breve sgretolata dalla riposta israeliana.
Infatti ripartono i colpi, ricominciano le fughe a caccia di un qualsiasi
riparo, che non sempre si trova.
Arrivano le ragazze che da un mese vivono a Nablus e da loro apprendo che
c'e' stato qualche sparo da parte palestinese.
Rimandando ad altre sedi e situazioni i commenti di tipo politico, non
possiamo non pensare alle conseguenze che tutto cio' provochera'.
Decidiamo di andare alla clinica in centro per metterci a disposizione dei
volontari del Medical Relief.
E' pericoloso avventurarsi nella casbah, ma il passaparola palestinese ci
guida nei vicoli piu' sicuri e giungiamo a destinazione.
Gli spari sono ripetuti e vicini, ci consigliano di aspettare che la
situazione si calmi.
Gia', ma quando?
Dopo circa un'ora ci raggiunge W., un amico volontario il cui fratello e'
stato ferito la mattina ed ora e' a casa, per fortuna non in condizioni
gravi.
Passiamo a trovarlo e poi di nuovo nella citta' vecchia per essere al fianco
degli abitanti sotto pressione da ore.
Si susseguono esplosioni e spari molto vicini.
Passiamo in una piazzetta e da una finestra vengono esplosi dei colpi
vicino a noi: 5 donne e un volontario in divisa.
Sento la paura e l'imprevedibilita' della situazione, sento che siamo molto
esposti e accelero, mentre W. urla in ebraico ai soldati di non sparare.

I vicoli e gli anfratti sono la fortuna e la maledizione della citta'
vecchia: in quel labirinto riesci a trovare il modo di ripararti, ma puoi
anche sbagliare angolo e capitare all'improvviso davanti a un cecchino.
Inoltre i soldati stanno perfezionando l'orribile tecnica di passare casa
per casa facendo esplodere i muri intermedi, per non strare allo scoperto.
E' cio' che avviene in queste ore e nei giorni scorsi.
I botti sono ripetuti, ci tappiamo le orecchie, alcuni bambini piangono ad
ogni scoppio, altri si eccitano e gli adulti li riparano contro i muri.
Sono segregati in casa da settimane e convivono con la violenza delle armi
e degli esplosivi, con lo spettro dell'occupazione della propria casa o
dell'arresto indiscriminato, con la possibilita' del proiettile vagante o
deliberatamente sparato.
Sono di questi giorni infatti i casi dell'uomo ucciso mentre si affacciava
alla finestra di casa sua, o della bimba ferita al volto nel bagno.
Nel nostro angolo piu' o meno riparato convergono volontari, uomini e
bambini.
Qualcuno porta il caffe', ci si rilassa un attimo.
Ci pensano gli Apaches dall'alto a ricordarci che non va bene e che
l'esercito non intende mollare la presa.
Si sentono raffiche di mitraglia dagli elicotteri, ma qualcuno sostiene che
sono rumopri registrati per terrorizzare, non vedendosi tracce di fumo.
In effetti l'effetto spavento funziona, alcune persone abbandonano
spontaneamente le proprie case.
Accompagniamo fuori donne e bambini, anziani e uomini che devono per forza
attraversare la piazza col cecchino per andarsene.
Mentre cammino al fianco di queste persone sento di essere in pericolo e di
dipendere dagli umori di qualcuno appostato dietro alla finestra, ma come
tutte le altre ragazze e i volontari mi metto spontaneamente dalla parte
piu' esposta.
A volte arrivano gli spari vicino a noi, altre volte in aria, altre volte ancora
passiamo senza problemi.
A discrezione...
Passano le ore, siamo stanchi e coi nervi a fior di pelle per i botti, ma
nel vicolo si e' creato un piccolo mondo, fatto di caffe', scambi
linguistici italiano arabo, giochi col palloncino, sguardi complici tra
donne, chiacchiere sulla tv italiana con gli uomini.
Ogni tanto ci compattiamo perche' qualcuno deve passare e ci si alterna per
scortarlo.

Arriva la sera, i colori della citta'- presepio  di Nablus virano al rosa,
come e' rosa il palloncino su cui un bambino di 10 anni ci chiede di
scrivere il nostro nome.
E' sempre difficile andare da via da queste case, dove sappiamo che nei
prossimi giorni, purtroppo, questa situazione si ripetera'.
Salutiamo tutti, ci ringraziano, gran pacche sulle spalle coi ragazzi e
tanti ciao.
Un braccio ingessato si agita piu' degli altri: e' di M.,13 anni, che e'
stato ferito qualche giorno fa dai cosiddetti proiettili di gomma e che ha
passato almeno mezz'ora nel disperato e caparbio tentativo di insegnarmi a
contare in arabo.
Penso a come si puo' crescere in questa situazione, guardo ancora una volta
questi bambini e ragazzi, poi mi soffermo su I., volontario giovanissimo
del M.R., che in questi giorni ci sta dimostrando una maturita' ed un senso
di responsabilita' nella situazioni di crisi assolutamente encomiabile.
Sembra che si formino nel dramma ragazzi eccezionali, coraggiosi e forti,
ma a cui qualcuno ha rubato la giovinezza: prima ancora e' successo ai loro
genitori e ai nonni.
Da parte di altri si notano scompensi e segni di squilibrio, vien da
chiedersi quale futuro li aspetta e come sara' possibile riparare a tutti
questi traumi.
Ce ne andiamo pensando a cosa accadra' stanotte nella citta' vecchia e nei
campi profughi.
L'aria e' fresca e i colori della sera incantevoli.
Potrebbe essere una sera meravigliosa.
Domani e' venerdi', potrebbe essere giorno di festa

BiDiTi