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L'informazione, l'Iraq e la crisi dei liberal

JOSEPH HALEVI, il manifesto

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3 giugno 2004 - La nota editoriale pubblicata dalla direzione del New York
Times il 26 maggio è molto più di un'autocritica. È l'espressione del
coinvolgimento silenzioso nella politica del presidente Bush
dell'establishment liberal che ora si trova spiazzato ed in crisi di fronte
allo sfacelo statunitense in Iraq. La linea politica del quotidiano sia
verso la questione del terrorismo prima, che verso l'Iraq poi, è stata
prevalentemente disegnata da Judith Miller, una giornalista di spicco. La
nota editoriale critica gli articoli che, nei mesi precedenti all'invasione
dell'Iraq, accreditavano la tesi di una minaccia proveniente da presunte
armi di distruzione di massa. Il canale principale utilizzato per
trasmettere queste «informazioni» era, per ammissione della stessa Miller,
Ahmad Chalabi e la sua organizzazione. Ne consegue che il maggior organo
statunitense aveva la massima fiducia nel personaggio prescelto da
Washington per instaurare un regime fantoccio in Iraq. Che l'uomo fosse
inaffidabile il New York Times lo sapeva benissimo ed i giornali britannici
lo avevano ampiamente provato prima dell'invasione.

Si è trattata quindi di una precisa scelta politica da parte della
direzione. L'establishment liberal condivide anche l'essenza della nuova
tattica di Washington Bush di implicare, attraverso l'Onu, l'Europa per
salvare Washington dal totale collasso in Iraq. Tuttavia a tal fine era
necessario togliere di mezzo l'ormai inutile Chalabi con la messa in scena
dell'incursione nella sua sede e delle trame con Teheran.

La sua eliminazione ha però evidenziato l'insostenibilità di tutta
l'impostazione del New York Times in materia. Dotato di maggior senso
storico dei politicanti di Bush, il quotidiano ha deciso pertanto di
confessare come primo passo verso una soluzione che però i liberal non
hanno. Un modo per costruire un'alternativa sarebbe quello di riconoscere
che:

a) tutte le giustificazioni adotte per scatenare la guerra in Iraq sono
false, compresa quella dell'instaurazione della «democrazia»

b) che l'obiettivo della guerra era geoeconomico. Esattamente nel senso
espresso dal democratico Zbigniew Brzezinski nel libro La grande scacchiera
ove si sostiene che il controllo dell'area che va dallo Yemen all'Asia
centrale permetterebbe a Washington di condizionare il polo industriale
europeo ed asiatico.

Questo era il motivo della guerra e nient'altro, tant'è che la negazione
dei diritti ad altri popoli, come per i palestinesi, si sta intensificando.
Ma questo i liberal dell'establishment non lo vogliono ammettere e parlano
solo di errori nei canali di informazione e nei metodi di occupazione. Così
essi rafforzano la strategia di Washington di intervenire militarmente nei
punti energetici chiave del pianeta. È del 16 maggio un articolo del Los
Angeles Times (Christian Miller, «The Politics of Petroleum») che descrive
le operazioni militari dell'esercito colombiano e dei paramilitari assieme
a 500 unità delle forze speciali Usa nella regione di Arauca per proteggere
ed espandere, sgomberando il territorio, gli interessi di una
multinazionale petrolifera statunitense.

Molto più dei liberal ufficiali la reale interlocutrice Usa della sinistra
italiana ed europea dovrebbe essere la coalizione per un preciso ritiro
dall'Iraq che si appresta a manifestare in tutto il paese il 27 di giugno.
Senza questa mobilitazione dal basso Washington non se ne andrà mai e la
guerra continuerà per molto tempo perché l'attuale gruppo di interessi al
potere è la massima espressione della nefasta tesi geoeconomica di
Brzezinski.


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:: notizia n. 3319 postata il 03-jun-2004 19:57 ECT



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