dal presidio di pace a nablus



riceviamo dal nuovo turno del presidio

Nablus 21 maggio

Sono le 17,30, dopo una notte tanquilla la giornata fresca e soleggiata
non ha riservato cattive sorprese.
Giorni addietro, al campo di rifugiati di Balata abbiamo visitato un mostra
fotogtrafica della Palestina dagli anni Venti al 1948. Rassegna di immagini,
talvolta drammatiche, che capovolgono l'assioma sionista di "una terra senza
popolo".
Un popolo e la sua civiltà, le belle case, i villaggi, che nel susseguirsi
cronologico delle fotografie, appaiono oltraggiati, distrutti, cancellati
dall'aggressiva presenza dell'altro che non riconosce altro da se.
Anche qui è il bianco europeo, non diversamente che nelle Americhe, a scaricare
i suoi torti, i suoi derelitti o i suoi conquistadores, per predare le terre
altrui. Che di spogliazione si tratta proprio quanto più si ammanta di fanatismo
religioso o laico espansionismo.

Prima di lasciare Balata siamo andati a trovare Mohammed Naim Alaraj, padre
di un bambino ucciso recentemente dagli Israeliani. è una storia come tantissime
in questa terra. Connotata da un elemento drammaticamente originale. Il
bambino morì sulla porta di casa colpito deliberatamente da un soldato,
nel corso di una ennesima provocazione compiuta dalle camionette militari
nel campo. La sera dopo, l'altro soldato israeliano che si trovava a bordo
della jeep, bussò alla porta della famiglia in lutto e piangendo espresse
la sua disperazione per quanto accaduto.
Nonostante la disperazione condivisa la morte non torna indietro.


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