Zapatero «L'America terrà il comando: ecco perché ho deciso il ritiro»



Nell'intervista Zapatero spiega le motivazioni del ritiro delle truppe
spagnole
dall'Iraq e la volontà di arrivare a un accordo sulla Costituzione
europea sotto la presidenza irlandese.

Nicola Vallinoto

==

Corriere della Sera 23.4.04

«L'America terrà il comando: ecco perché ho deciso il ritiro»

Il premier Zapatero: «Ci siamo riallineati a Francia e Germania Così Madrid
potrà avere un posto nel motore dell'Unione Europea»

Presidente José Luis Rodríguez Zapatero, che cosa ha pensato pronunciando
il giuramento come nuovo capo del governo spagnolo? «In quel momento avevo
due idee nella testa. Un sentimento di responsabilità. E poi una grande
passione, voglia di cominciare a fare cose». 
Il giorno in cui lascerà questa casa in cui è appena arrivato, che epitaffio
politico vorrebbe avere? 
«Mi piacerebbe che si dicesse di me che non sono cambiato come persona.
Credo sia quello che la gente mi chiede di più». 
E che epitaffio politico scriverebbe per il suo predecessore, José Maria
Aznar? 
«Che non ha avuto un buon carattere. Credo che se avesse avuto un altro
carattere e un altro modo di fare non avrebbe preso molte delle decisioni
che ha preso e alla fine il suo mandato sarebbe stato molto migliore». 
Nel suo discorso di investitura, però, Lei ha detto che durante gli anni
di Aznar sono state attuate politiche positive per la Spagna. A che cosa
si riferiva? 
«Soprattutto al periodo della crescita economica, della creazione di nuovi
posti di lavoro». 
Non pensa di non aver rispettato la sua promessa sulle truppe in Iraq con
la decisione di non aspettare fino al 30 giugno, di non cercare di
promuovere
una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza per il trasferimento di
potere all'Onu? 
«Un anno fa chiesi che le truppe non fossero inviate in Iraq. Dopo
l'uccisione
dei nostri nove agenti dei servizi segreti dissi a Aznar che ero disposto
a che le truppe rimanessero se fosse intervenuta l'Onu. Da quel momento
fino alla campagna elettorale non c'è stato nessun movimento. Dal giorno
delle elezioni, il 14 marzo, ho avuto un'infinità di riunioni, contatti
e conversazioni, anche con Colin Powell e Tony Blair... Abbiamo raccolto
una frase di un alto funzionario americano che dice testualmente: "Lei si
immagina che 130.000 soldati americani siano comandati da una persona che
non sia un generale americano?"». 
A chi è stata detta? 
«Al ministro della Difesa José Bono. Era evidente che non c'era nessuna
possibilità che l'Onu prendesse il controllo. In questo scenario non aveva
assolutamente senso rimanere in una falsa attesa, creando incertezza lì
tra le nostre truppe e qui tra i nostri alleati... Dopo aver ottenuto in
qualità di presidente del governo tutti i ragguagli e le garanzie di
sicurezza,
ho preso la decisione che l'operazione di rientro si poteva annunciare.
Per questo lunedì e non domenica, in questo stesso ufficio, ho dato l'ordine
al ministro Bono di riportare le truppe a casa». 
Come dimostrerà agli alleati che il ritiro non implica un indebolimento
dell'impegno della Spagna nella lotta al terrorismo? 
«I promotori della guerra in Iraq, partiti da un errore iniziale, adesso
hanno deviato verso un discorso con poco fondamento. La guerra in Iraq è
stata fatta per cercare le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Perché adesso discutiamo di terrorismo? Le armi non sono comparse. Tutti
i servizi di intelligence allora dissero con chiarezza che il regime
orribile
di Saddam non aveva nessun legame con il terrorismo... Adesso son dovuti
andare verso il grande inganno del terrorismo. Non va bene. Credo che quello
che ha fatto il governo spagnolo meriti un'attenzione che va oltre il
rispetto
degli impegni elettorali. In un doppio senso. Primo, non può esserci un
ordine mondiale né un'azione bellica che non sia compresa dalla popolazione.
Secondo, non si può combattere il terrorismo internazionale con i metodi
della guerra convenzionale. Così si apre solo un'altra porta al
radicalismo...».

Che sensazione ha avuto dalla conversazione con il presidente Bush su questo
tema? 
«Una doppia sensazione. La prima, che logicamente gli sarebbe piaciuto che
non avessimo ritirato le truppe. E la seconda, che rispettava la decisione
di un governo democratico. Cosa di cui non ho mai dubitato perché siamo
nazioni libere, amiche ed alleate...». 
Non teme che il ritiro rovini le relazioni tra Spagna e Usa? 
«Gli Stati Uniti sono una grande democrazia. Credo che nelle relazioni
internazionali
bisogna essere leali, e il principio della lealtà è la sincerità. Siamo
d'accordo con tutte le operazioni di pace e di sicurezza che portino la
bandiera dell'Onu. Non con le guerre unilaterali e preventive». 
Che cosa pensa delle minacce alla Spagna registrate in un video dopo il
suo annuncio di mantenere le truppe in Afghanistan? 
«Il governo che presiedo non accetterà mai il ricatto di un gruppo
terrorista.
L'unica cosa che faremo con il terrorismo sarà combatterlo con tutta la
forza dello Stato e della legge. Ho dato ordine al ministro degli Interni
di rafforzare la lotta contro il terrorismo». 
La Spagna non ha bisogno di un piano per impedire che si diffondano idee
estremiste? 
«Naturalmente. Abbiamo bisogno innanzi tutto di essere coscienti del
problema.
E' un problema serio di una portata che non abbiamo ancora calcolato. E'
una priorità assoluta del governo. Metterò tutti i mezzi possibili a
disposizione».

È disposto a rinunciare a una parte del potere ottenuto a Nizza per
sbloccare
l'approvazione della Costituzione europea? 
«Beh, il potere ottenuto a Nizza non è mai entrato in vigore. Pertanto credo
che bisogna vederlo da un'altra prospettiva. I margini sul potere dei grandi
Paesi, Francia, Germania e Italia sono piccoli. Secondo me, è più importante
il peso della leadership che avere 0,5 voti in più nel momento del calcolo
di fronte a una minoranza di veto. Logicamente difenderemo il diritto ad
avere la massima rappresentanza. Arriveremo a un accordo, la Costituzione
europea si farà sotto la presidenza irlandese. Il mio obiettivo è che questa
Costituzione sia firmata a Madrid: un omaggio alle vittime dell'11 marzo».

Che vantaggi concreti crede che possa avere la Spagna da questo
riallineamento
con Francia e Germania? 
«Stare nel motore d'Europa. Negli anni in cui siamo stati con la Francia
e la Germania ci è andata bene perché si sono fatti progressi nella
costruzione
di un'Unione Europea con una coesione economica e sociale». 
Quali argomenti userà per cercare di convincere il lehendakari (leader del
governo basco, ndr ) Ibarretxe a ritirare il suo piano indipendentista?

«Sarà un colloquio lungo, spero di affrontarlo presto, in questo stesso
ufficio. Userò due argomenti essenziali. Il primo: un partito democratico
e un governante democratico non possono avventurarsi in un progetto che
non rispetti i procedimenti di riforma dell'ordinamento giuridico. Il
secondo:
la mia volontà di avanzare nell'autonomia dei Paesi Baschi. Esiste uno
spazio
in cui si può stabilire un dialogo senza arrivare allo scontro radicale».

Prima di essere eletto, lei ha detto che questa potrebbe essere la
legislatura
in cui l'Eta scomparirà. Crede che sia realmente possibile? 
«Lavorerò intensamente per questo scopo. Non voglio fare nessuna promessa
che non possa rispettare, ma ci sono condizioni che indicano che ci
avviciniamo
alla fine». 
Ne l suo discorso di investitura ha promesso di aumentare del 30 per cento
l'investimento nella ricerca. 
«Del 25 per cento». 
...Costruire 180.000 case popolari l'anno, aumentare lo stipendio minimo
a 600 euro al mese e destinare 4 miliardi di euro alle pensioni più basse.
È verosimile che tutto questo possa farsi senza aumentare né le tasse né
il deficit? E dovendo scegliere, quale aumenterebbe prima? 
«Dovendo scegliere, se c'è un ciclo economico di crescita o di previsione
di crescita, aumentare un po' il deficit è molto meno problematico che
aumentare
le tasse». 
Quindi, la pressione fiscale in questa legislatura non aumenterà... 
«Assolutamente no. È un impegno forte che ho preso. La pressione fiscale
non aumenterà. C'è un unico limite: che la lotta contro il terrorismo e
la sicurezza degli spagnoli esiga un forte investimento». 
Prima delle elezioni ha detto che se avesse vinto il suo partito, il Psoe,
si sarebbe aspettato le dimissioni di tutti i dirigenti delle grandi imprese
privatizzate nominati dai popolari. Poi invece il suo governo ha fatto
intendere
che non interverrà... 
«Non è successo quello che avevo pronosticato. Ma, al di là di questo,
voglio
un governo che non intervenga nella vita delle imprese». 
Ha concluso il suo discorso di investitura promettendo «il miglioramento
sociale degli umili». .. 
«Questo si fonde con la mia idea di democrazia e di progresso sociale. L'ho
detto in molte occasioni: i cittadini devono avere sempre più diritti e
i potenti un po' meno potere». 
Si impegna affinché in questa legislatura si raggiunga la piena uguaglianza
della donna rispetto all'uomo in tutti i campi? 
«Ci sono ancora molte cose da fare. Naturalmente se ottenessimo in due
legislature
un'eguaglianza reale e totale sarebbe una conquista storica. Ci sono due
obiettivi per cui lavoreremo. Primo, la partecipazione delle donne negli
organi direttivi delle imprese. Inaugureremo un meccanismo di incentivi
fiscali e di altro tipo. Il potere politico e quello economico sono i due
grandi strumenti per il cambiamento sociale. Adesso nel governo abbiamo
8 ministre e 8 ministri, è una questione di pedagogia...». 
E il secondo obiettivo? 
«La vita lavorativa deve conciliarsi con la vita familiare. Dobbiamo
sostenere
una politica di aumento della natalità. La Spagna ha bisogno di bambini».

Un'ultima domanda più personale. Che ruolo avrà sua moglie, Sonsoles
Espinosa,
nel nuovo contesto politico? 
«Nessuno. Ciò che lei cerca è la discrezione e, nei limiti del possibile,
il mantenimento di una vita familiare con un certo grado di privacy». 

El Mundo 
Traduzione di Valeria Saccone