19/12 Milano: Dibattito sulla guerra in Iraq e iniziativa in ricordo di Lelio Basso



incontro-dibattito




VERSO IL FORUM SOCIALE MONDIALE DI BOMBAY 2004





LA GUERRA IN IRAQ E LA PACE DEI POPOLI




La guerra in Iraq non si è conclusa. L'occupazione perpetua la guerra e
blocca ogni possibile soluzione di pace. Per il ritiro immediato di tutte le
truppe di occupazione in Iraq e per la ricostruzione di un Iraq libero e
democratico. Il ruolo e le proposte della società civile planetaria e del
Forum Sociale Mondiale per il conseguimento di una pace e di una giustizia
vere e durature



MILANO - VENERDÌ 19 DICEMBRE 2003 ore 20.45

CAMERA DEL LAVORO - C.SO PORTA VITTORIA 43





partecipano

FRANÇOIS HOUTART (sacerdote, segr. Forum Mondiale delle Alternative, Cons.
Int. Forum Sociale Mondiale)

SUBHI TOMA (sociologo iracheno esule in Francia, già perseguitato da Saddam
ed esponente opposizione all'occupazione dell'Iraq)



intervengono

Don FABIO CORAZZINA (Pax Christi, di ritorno dall'Iraq)

JOSÉ LUIZ DEL ROIO (Punto Rosso-Fma, Cons. Int. Forum Sociale Mondiale)

PIERO MAESTRI (Rivista Guerre&Pace, Bastaguerra)

AUGUSTO ROCCHI (Segr. prov. Rifondazione Comunista)



coordina

SIMONETTA JUCKER (gruppo Bastaguerra Milano)



Organizzano

ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO-FMA, ATTAC MILANO, BASTAGUERRA MILANO,
ERRE RIVISTA, GUERRE&PACE, PRC FEDERAZIONE DI MILANO, SOCIALPRESS, TERRE DES
HOMMES, UN PONTE PER. e altri in via di definizione




  _____ 



Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale per i beni
librari e gli istituti culturali.

Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita  di
Lelio Basso.



RICORDO DI LELIO BASSO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA



MILANO - VENERDÌ 19 DICEMBRE 2003 ore 10-13


SALA ALESSI - PALAZZO MARINO - PIAZZA SCALA 2




Saluto di SALVATORE CARRUBBA (Assessore alla Cultura - Comune di Milano)



Intervengono

ALDO ANIASI (comandante partigiano, già Sindaco di Milano)

FRANÇOIS HOUTART (professore emerito Università Cattolica di Lovanio,
Consiglio Internazionale Forum Sociale Mondiale)

ALBERTO MARTINELLI (professore di Scienza politica Università di Milano,
Consigliere Comunale)

ELENA PACIOTTI (parlamentare europea, Presidente Fondazione Lelio e Lisli
Basso)





*	Proiezione di un video autobiografico
*	Lettura di un messaggio di LUIS IGNACIO DA SILVA "LULA" (Presidente
del Brasile)

 (in allegato l'intervento di François Houtart in ricordo di Lelio Basso)





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ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it
FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it
LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it lup at puntorosso.it
EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it edizioni at puntorosso.it
VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA
TEL. 02-874324 e 02-875045 (anche fax)www.puntorosso.it
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François HOUTART

IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE NELLE LOTTE SOCIALI
LELIO BASSO - IL TEORICO MILITANTE


Celebrare il centesimo anniversario della nascita di Lelio Basso è
un'impresa che incute una certa apprensione, in quanto si tratta di
affrontare insieme un contributo teorico e una pratica giuridica e politica
che hanno segnato un'epoca. La prima volta che io l'ho incontrato fu in
occasione della seconda sessione del Tribunale Russell nel 1967, in
Danimarca. Egli era uno dei componenti della giuria, insieme con Jean-Paul
Sartre e Bertrand Russell. Si trattava di giudicare i crimini di guerra
degli Stati Uniti nel Vietnam. I lavori si svolgevano secondo precise
regole procedurali, tipiche del funzionamento di un tribunale, ma senza che
le decisioni potessero avere il minimo effetto penale. Eppure le
conseguenze morali e politiche di quell'iniziativa dovevano risultare
considerevoli.

Sulla base di fatti accertati da testimonianze e documenti irrefutabili,
posti in una precisa prospettiva storica e interpretati in funzione di una
riflessione teorica, il Tribunale faceva appello al diritto internazionale,
ai principi etici che regolano i rapporti fra le nazioni, alla dignità dei
popoli e delle persone, per pronunciare una sentenza che anticipava il
futuro e poneva le basi per un ulteriore sviluppo del diritto dei popoli.
Questa sessione memorabile doveva essere l'origine sia della Dichiarazione
universale dei diritti dei popoli (Carta di Al-geri) del 1976, sia del
Tribunale permanente dei diritti dei popoli, a Bologna, nel 1979.

Il 16 settembre 1978 ero a Lovanio e stavo per partire per Roma, dove si
doveva tenere una sessione della Fondazione internazionale, quando dalla
radio appresi della morte inattesa di Lelio. Difficile farsene una ragione,
perché fino all'ultimo egli aveva moltiplicato le inizia-tive e percorso il
mondo intero in difesa dei diritti dei popoli. A lui che conosceva tanto
be-ne Rosa Luxemburg, avevo intenzione di raccontare un aneddoto. Mia
nonna, la contessa Henry Carton de Wiart, che faceva da staffetta fra il
Governo belga in esilio a Le Havre e le forze della resistenza in Belgio,
all'inizio della guerra del 1914, venne arrestata dai tedeschi e detenuta
nella prigione femminile di Berlino. Divenne amica di Rosa Luxemburg,
arrestata per altre ragioni, e si racconta che per trovarsi durante l'ora
d'aria quotidiana fischiet-tassero l'Internazionale. Purtroppo non ho
potuto raccontargli l'episodio, che avrebbe ag-giunto qualcosa alla sua
erudizione in materia.

La riflessione che voglio proporre parte dalla pratica intellettuale e
politica di Lelio Basso, per trarne insegnamenti teorici e concreti. Sarà
seguita da considerazioni più generali sul soggetto, per arrivare infine
alla situazione contemporanea, il che ci permetterà di capire che cosa
significhi oggi pensare il mondo e contribuire alla sua trasformazione.


1. Lelio Basso, intellettuale nelle lotte sociali

Quando si ripercorrono la vita e le opere di Lelio Basso, si ritrovano
alcune grandi linee che tracciano in maniera molto precisa la sua
concezione dell'intellettuale entro le lotte sociali. Anzitutto,
l'importanza della teoria come base della costruzione delle analisi, in
quanto, secondo lui, deve esistere un'armonia tra teoria e pratica. Non è
questione di dogma, bensì di rigore scientifico, per cui egli si oppose
tanto al determinismo quanto al positivismo. E poi la dimensione etica,
giacché senza questo elemento la coppia teoria-pratica può solo pervenire
al compromesso. Da qui il ruolo dell'intellettuale come costruttore di
legami fra le tre dimensioni: teoria, pratica ed etica. Ciò lo condusse a
prendere posizioni molto chiare rispetto alle alleanze o agli orientamenti
politici.

Ma per Lelio Basso, tutto ciò non era concepibile senza la partecipazione a
una forma orga-nizzata del movimento sociale o politico. Egli fu infatti un
uomo di lotta, un attore politico all'occorrenza, mostrando con la pratica
che non esisteva incompatibilità fra l'essere un in-tellettuale e l'impegno
concreto. La sua esperienza ha dimostrato che certo non è facile. Non solo
fu incarcerato varie volte - questo d'altra parte per un intellettuale come
lui poteva essere in qualche modo un regalo, lo si è visto per Gramsci - ma
visse costantemente in tensione, se non in conflitto, con le istanze del
partito cui aveva aderito.

La sua opzione teorica era il marxismo, che egli considerava un metodo per
scoprire l'istanza di libertà del soggetto umano (così si esprimeva la sua
tesi, scritta nel 1925) e di a-gire sulla società esistente per superarla.
Pur ricordando costantemente certi fondamenti teorici di Marx, in
particolare la tensione fra lo stato delle forze produttive e i rapporti
sociali di produzione, egli criticò severamente sia le interpretazioni
evoluzioniste ed economiciste, sia il giacobinismo e l'avanguardismo
leninista, o il primato dell'organizzazione sul movimento. Da qui la sua
affinità con il pensiero di Rosa Luxemburg.

Per Lelio, l'intellettuale non è colui che apporta una verità dall'esterno.
Il vero soggetto della storia sono le classi subalterne, la cui esperienza
è fonte di immaginazione creativa. Da qui il suo interesse prima per il
movimento operaio e poi per quello di liberazione nazionale. Come
intellettuale, egli ne raccolse la storia fin nei minimi dettagli.
L'accento posto sul soggetto collettivo gli permetteva di mettere in
rilievo il ruolo delle lotte culturali. Il dominio di classe si realizza
non solo nell'aspetto socio-economico - egli affermava - ma anche con il
carattere "aristocratico-scientifico" della cultura.

Nel concreto, egli esercitò il suo ruolo analizzando l'evoluzione del
capitalismo centrale, in particolare quello europeo, e mettendone in
rilievo la capacità di adattamento, il che gli permise di non sottovalutare
l'avversario e di proporre strategie adeguate. Ma egli accom-pagnò anche in
maniera critica il cammino del movimento operaio e delle sue espressioni
politiche. Non esitò ad affermare che il sindacalismo europeo otteneva
vantaggi immediati facendo concessioni sulla questione del potere e che i
partiti del centro-sinistra realizzavano un accordo con la modernizzazione
capitalista, accettando quindi implicitamente, di fatto, i principi e i
valori della borghesia.

Nella sua visione che andava oltre le frontiere dell'Europa, egli notò che
il terzo mondo era oggetto di uno sfruttamento analogo a quello della
classe operaia del capitalismo centrale, non sotto la forma di rapporto
salariale, ma mediante la sua dipendenza, in quanto periferia. La sua
analisi lo portò a concludere che all'origine di tale situazione si trovava
l'accumulazione su scala mondiale, e che l'imperialismo americano vi
svolgeva un ruolo chiave. In questa prospettiva, le lotte di liberazione
nazionale costituivano, alla metà del ventesimo secolo, la versione
contemporanea del soggetto collettivo subalterno. Da qui l'interesse di
Lelio Basso per il Vietnam, l'Africa portoghese, il Sudafrica e per le
lotte di liberazione d'America centrale. Su sua iniziativa, il secondo
Tribunale Russell fu dedicato all'America Latina.

Tale approccio fa capire che l'intellettuale non si dedica solo
all'analisi, ma deve anche agi-re sul reale. Da qui la classica questione
della scelta fra riformismo e rivoluzione. Per Lelio, è un falso dilemma.
Il pensiero deve essere radicale, come la prospettiva, ma la pratica può
concretarsi in azioni minimali. Si tratta di una terza posizione fra
riformismo tradizionale e rivoluzionari astratti, ma mai una "terza via"
alla Giddens.

Egli considerava il diritto come intermediario fra i due termini. La sua
formazione di giurista gli permetteva di rendersi conto dell'importanza
delle istituzioni. Lungi dal considerare il lavoro giuridico come bastione
protettore delle situazioni acquisite, egli lo vedeva come un fattore di
cambiamento entro il processo storico. Per questo ragione probabilmente
egli si impegnò tanto nella redazione della Costituzione italiana. Ma
nell'ultima fase della sua a-zione egli si orientò soprattutto verso il
diritto internazionale.

La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo proclamata dalle Nazioni
Unite gli risultava insufficiente. Bisognava completarla con una
Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, che fu proclamata ad
Algeri nel 1976. Questa servì da base al Tribunale permanente dei popoli e
alle numerose sentenze che dovevano derivarne. Il ruolo dell'intellettuale,
in questo caso, consiste dunque nel rispondere alle situazioni di
ingiustizia e ai lamenti delle vittime dei sistemi economici, politici e
giuridici esistenti, per emettere un giudizio e gettare le fondamenta di un
nuovo quadro istituzionale. Nessuna necessità di gettare alle ortiche la
prospettiva rivoluzionaria, né di rifugiarsi in un riformismo senza
orizzonti. L'intellettuale deve necessariamente accompagnare i movimenti
sociali (come allora i movimenti di libera-zione nazionale) e contribuire a
fornir loro gli strumenti per analizzare la situazione e co-struire
soluzioni concrete. Con ciò Lelio Basso contribuì ad arricchire un percorso
teorico di natura euristica, cioè aperto a ulteriori interrogazioni. Così
egli vedeva il legame fra la sua convinzione di marxista rivoluzionario,
radicalmente critico del capitalismo, e il suo lavoro di giurista, cui
aveva peraltro affiancato un interesse di storico dei movimenti sociali.

Per raggiungere i suoi obiettivi, Lelio Basso - laico convinto - non esitò
ad allearsi con i credenti di cui aveva colto la serietà dell'impegno. Fece
appello non solo ai cristiani, ma an-che a musulmani e buddisti. Si
circondò anche, fra i suoi collaboratori più prossimi, di cri-stiani di cui
aveva scoperto - mediante la teologia della liberazione - la solidità delle
con-vinzioni. Ciò rivela la dimensione umanista di Lelio, che sapeva
superare ogni barriera.


2. L'intellettuale come attore sociale

Per affrontare questa materia, che potrebbe investire intere biblioteche,
mi limiterò ad a-vanzare cinque tesi che riassumono una posizione precisa
in materia e che sono ispirate al pensiero di Lelio Basso.

1. L'intellettuale è un essere socialmente situato. Può sembrare ovvio, ma
non è inutile ricordarlo. L'intellettuale parla di un luogo, utilizza un
linguaggio e si pronuncia su una realtà di cui fa egli stesso parte. E'
uomo o donna, orientale od occidentale, ricco o povero, di una determinata
origine sociale, frutto di una tradizione culturale, di un modo di pensare,
di una esperienza politica; è credente, agnostico o ateo, onusto di lauree
o autodidatta. In breve, la categoria non è affatto omogenea e tuttavia
possiede una consistenza propria. L'intellettuale esiste. Non è il guru che
esce dal nulla e domina il reale. Non è neutro, non più che la scienza e il
sapere. Deve dunque esserne cosciente. Senza essere il burattino delle
condizioni della sua esistenza, ne sa prendere le distanze e rendere
visibile il luogo da cui parla.

2. L'intellettuale è un attore centrale nella costruzione della cultura.
Egli può rappresentare il reale "come una totalità strutturata complessa,
razionalmente inventariabile". Se la cultura è l'insieme delle
rappresentazioni, essa è evidentemente creazione di tutti e si costruisce
in una storia collettiva in cui ognuno possiede un ruolo. La specificità
dell'intellettuale è di proporre una seconda lettura della realtà vissuta
nel quotidiano, di fissare le logiche che ne collegano i vari elementi, di
elaborare delle ipotesi esplicative, di porre le fondamenta delle
anticipazioni, in breve di aggiungere all'esperienza immediata quella di
una attività culturale che l'arricchisce per trasformarla. Da qui il suo
ruolo nella storia delle lotte sociali, che esigono di trascendere il
vissuto quotidiano per comprendere la genesi, le funzioni, le strutture che
si costruiscono nell'azione.

3. L'intellettuale è critico, a pena di perdere la sua identità. La critica
non significa disimpegno o cinismo con il pretesto dell'obiettività o della
neutralità scientifica. Essa esige rigore e spirito aperto, umiltà
intellettuale e diritto all'errore. Non implica affatto la rinuncia alla
teoria, come sostengono il neo-positivismo o il post-modernismo, a
condizione che non si trasformi in dogma e dunque in mascheramento del
reale, e che resti aperta a un percorso euristico.

4. L'economia del sapere tende a strumentalizzare l'intellettuale.
L'accrescimento del ruolo del sapere e dell'informazione nel quadro dello
sviluppo dell'economia capitalista tende a ridurre il ruolo
dell'intellettuale a quello di servo del mercato. Aumenta il numero dei
laureati. Il funzionamento dell'economia su base sempre più su coloro che
Robert Reich chiama "i manipolatori di simboli". Si moltiplicano i
ricercatori, gli specialisti, gli insegnanti. Diventano sempre più numerosi
i servizi che utilizzano i cervelli. Ma lungi dal favorire il ruolo critico
dell'intellettuale, tale evoluzione tende a strumentalizzarli, a farli
rientrare nella logica del sistema, obbligandoli a posizionarsi sul mercato
culturale e a preoccuparsi della propria riproduzione come categoria
sociale. Per quanto possa sembrare paradossale, nella misura in cui si
accrescono le condizioni oggettive di un'estensione del lavoro
dell'intellettuale, nella stessa misura decrescono le sue possibilità di
funzione critica.


3. Il ruolo dell'intellettuale di fronte al movimento altermondialista

Lelio Basso ha vissuto i momenti forti del movimento sociale contro il
fascismo. Ha accompagnato le lotte operaie del secondo dopoguerra. Ha
svolto un ruolo importante in favore delle lotte di liberazione nazionale.
Abbiamo il diritto di domandarci che cosa ci apporti quella esperienza,
fatta di pensiero e di pratica, per affrontare la situazione contemporanea.

Dopo il Consenso di Washington, destinato a orientare l'economia mondiale
in senso neo-liberista, allo scopo di ristabilire un tasso elevato di
accumulazione, a sua volta destinato a far fronte alle sfide delle nuove
tecnologie e delle concentrazioni, abbiamo assistito a una duplice
offensiva che si è manifestata tanto nei centri quanto nelle periferie. Per
aumentare la parte del capitale nell'utilizzo del prodotto sociale, era
necessario, nelle circostanze del momento, diminuire quella del lavoro e
quella dello stato.

Da qui le politiche di deregolamentazione, di delocalizzazione, di
riduzione dei salari reali, la falcidia delle misure di tutela della salute
e della disoccupazione, la diminuzione relativa delle pensioni, gli
ostacoli giuridici o di altra natura frapposti al funzionamento delle
organizzazioni dei lavoratori. Da qui anche i piani di aggiustamento
strutturale che obbligano gli Stati a ridurre le spese, specialmente nel
settore dell'istruzione, della salute e degli investimenti pubblici e
infine le privatizzazioni, sempre più numerose.

Il capitale alla perpetua ricerca di nuove frontiere come fonte di
accumulazione, il che costituisce la sua logica interna, apre oggi tre
cantieri privilegiati, oltre a quelli che ha sempre esplorato.
L'agricoltura contadina, i servizi pubblici e la biodiversità. Nel primo
caso, si tratta di far rientrare l'agricoltura contadina nel campo del
mercato capitalista, organizzando un'agricoltura produttivista sempre più
dominata dalle grandi imprese con la conseguente eliminazione del piccolo
contadino. Ciò riguarda praticamente la metà dell'umanità, circa tre
miliardi di persone.

Nel secondo caso, i servizi pubblici costituiscono un enorme giacimento
finanziario che bisogna mettere sul mercato e l'operazione consiste nel
pretendere che solo il settore privato riesca a operare con efficienza in
questi campi: l'istruzione, la salute, l'acqua, l'elettricità, i trasportiŠ
facendone opportunità di profitto a vantaggio del capitale. Quanto al
terzo, esso costituisce una delle fonti di ricchezza del futuro, quando una
parte dell'industria passerà dalla chimica alla biologia, soprattutto in
campo farmaceutico.

A questo panorama bisogna aggiungere che, malgrado la decolonizzazione che
era stata oggetto di tante lotte sociali fra gli anni cinquanta e settanta,
l'estrazione di ricchezza dal Sud da parte del Nord non ha fatto che
aumentare. Oggi questa operazione si effettua mediante meccanismi giuridici
e finanziari utilizzati dalle imprese transnazionali e inquadrati dagli
organismi finanziari e commerciali internazionali, quali la Banca mondiale,
il Fondo monetario internazionale o l'Organizzazione mondiale del
commercio. Tale estrazione si realizza mediante la fissazione di prezzi
delle materie prime e agricole, mediante il servizio del debito, i tassi di
interesse in particolare dei capitali a breve termine, con il rimpatrio
degli utili, le esigenze degli investimenti stranieri diretti, con i
trasferimenti nei paradisi fiscali, il drenaggio dei cervelli eccetera.

Ne risulta una duplice fonte di resistenze. Anzitutto, le resistenze che
nascono dal rapporto salariale capitale / lavoro e che si manifesta sia
nelle società industrializzate del Nord, dove il lavoro è oggetto di
attacchi di ogni genere, sia nelle periferie dove si moltiplicano i
subappalti, spesso in condizioni sociali deplorevoli. Si tratta, per usare
le categorie di Marx, di una sussunzione reale del lavoro al capitale.

Ma esiste un numero enorme di persone che non si trovano in questa
condizione: le centinaia di milioni di piccoli agricoltori, il settore
informale urbano delle grandi metropoli del Sud, in breve tutte le attività
in cui la dipendenza dal capitale non è diretta, ma in cui la sussunzione è
formale, cioè esercitata da meccanismi giuridici o finanziari che tuttavia
interferiscono nella vita quotidiana di gruppi sociali sempre più numerosi
nel mondo.

Da qui il moltiplicarsi delle resistenze, dai popoli autoctoni come gli
zapatisti in Messico, ai movimenti femministi che si radicalizzano, i
contadini senza terra del Brasile, i poveri inurbati nelle città
tailandesi, i dalit in India, gli extracomunitari clandestini dei paesi
europei, i lavoratori del settore sanitario in Salvador, i difensori delle
foreste nello Sri Lanka, la popolazione di Cochabamba che ha condotto una
lunga lotta contro la privatizzazione dell'acqua, le popolazioni rurali che
si oppongono alle grandi dighe che distruggono il loro ambiente di vita, in
breve tutti coloro che in qualche maniera subiscono le conseguenze
dell'ampliamento della logica dell'economia di mercato capitalista, che
sull'altare dell'accumulazione non esita a sacrificare innumerevoli gruppi
sociali e a perseguire la distruzione sistematica dell'ambiente.

Tutto ciò porta inoltre al genocidio di coloro che non hanno più i mezzi
per vivere del loro lavoro, dei piccoli contadini che muoiono di fame su
terre non coltivate perché non più redditizie, e sono decine di migliaia di
persone che ogni giorno muoiono di fame. L'opposizione alla guerra come
forma armata del neo-liberismo si fa ogni giorno più presente, e una
manifestazione mondiale contro la guerra in Iraq il 15 febbraio di
quest'anno ha radunato più di quindici milioni di persone in tutto il mondo.

Fatto nuovo dal 1999 in qua, tutti questi movimenti si ritrovano in due
tipi di iniziative diverse ma parallele. Da una parte, la protesta contro i
poteri decisionali che applicano le politiche neo-liberiste: Banca
mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del
commercio, G otto, Unione Europea o ancora il Forum economico di Davos,
think tank di tali politiche. Dall'altra, i grandi assembramenti come
Forum, mondiali, continentali, nazionali, locali, dove si costruisce
progressivamente una coscienza collettiva che unisce le lotte specifiche in
una coalizione contro il neoliberismo, contro l'egemonia mondiale del
capitale e alla ricerca di alternative, come dice la Carta del Forum
sociale mondiale elaborata a Porto Alegre.

Non è facile costruire la convergenza, giacché la cultura di lotta dei
movimenti legati alla soggezione reale del lavoro al capitale (in
particolare i sindacati) è molto diversa da quella dei movimenti e delle
iniziative provenienti da gruppi sociali soggetti al capitale  in maniera
formale. E' molto importante l'alleanza con le Organizzazioni non
governative progressiste, ma ciò introduce un nuovo elemento di
suddivisione delle decisioni nel quadro delle convergenze. La definizione
delle alternative è plurale, ma a poco a poco si fa strada l'idea che
devono situarsi tutte in una prospettiva antisistemica e non solo in un
patto compromissorio con il capitalismo.

Gli intellettuali si trovano nello stesso tempo sollecitati da queste nuove
iniziative e rimessi al loro posto. Ci si aspetta che essi esercitino una
riflessione sulle situazioni esistenti, che stabiliscano dei legami fra i
diversi settori di lotta sociale, che apportino idee per le soluzioni, che
analizzino i processi di lotta, che decrittino le strategie degli
avversari. Ma nello stesso tempo non è da loro che ci si aspetta la
leadership, a meno che alcuni non facciano la scelta di inserirsi
direttamente nell'azione dei movimenti.

Se ci riferiamo all'azione svolta precedentemente da Lelio Basso, non c'è
alcun dubbio che il suo impegno oggi si eserciterebbe entro questa
costruzione. Celebrare l'uomo politico di sinistra, il giurista eminente,
il teorico progressista, il partigiano del socialismo, non può consistere
solo nell'evocare dei ricordi. Si tratta piuttosto di portare avanti la sua
azione, attualizzare il suo impegno, essere presenti nelle nuove forme di
lotte sociali, oggi mondializzate. Significa lavorare a rimettere il
diritto dei popoli al di sopra del diritto degli affari, significa
esercitare pressioni sulle istituzioni per metterle al servizio degli
oppressi e non del capitale, accompagnare i Forum delle forze popolari
ovunque si organizzino.

Riassumendo, si potrebbe dire che di fronte alla situazione contemporanea
di crescita della potenza del capitalismo che ha costruito le basi
materiali della sua riproduzione mondiale grazie alle nuove tecnologie
dell'informatica e delle comunicazioni satellitari, di fronte alle
conseguenze drammatiche dell'evolversi della sua logica e di fronte allo
sviluppo delle resistenze, il ruolo dell'intellettuale consiste in tre
compiti principali: analizzare i processi in corso, delegittimare il
sistema economico dominante e ricercare le alternative.

Analizzare le situazioni, allo scopo di smontare i meccanismi di dominio
economico, che sono più complessi di prima, e di metterne in luce le
conseguenze. Delegittimare, perché il sistema si presenta come il più
efficace mai immaginato per la produzione di beni e servizi. Infatti questo
discorso troncato non si interroga sulle condizioni sociali ed ecologiche
di tale produzione, né sul ventaglio di distribuzione della ricchezza.
Malgrado tutti i discorsi, si produce ciò che crea valore aggiunto e non
per soddisfare in primo luogo i bisogni degli uomini. Le ineguaglianze si
accrescono costantemente e ancor più con l'orientamento neoliberista
dell'economia mondiale. Mai si è generata tanta ricchezza e mai ci sono
stati tanti poveri.

Non è dunque sufficiente condannare gli abusi o gli eccessi del sistema (un
certo capitalismo selvaggio), ma va condannata la logica che ne presiede le
pratiche. Oggi l'84% delle risorse mondiali è assorbito dal 20% della
popolazione. Se si definisce l'economia come l'attività umana destinata ad
assicurare le basi materiali della vita fisica, culturale e spirituale
dell'insieme degli esseri umani nel mondo, il sistema capitalista è il più
inefficace che l'umanità abbia mai prodotto. Il giudizio morale deve
seguire la critica economica, e le forze spirituali di tutto il mondo, di
ogni tradizione laica o religiosa, dovrebbero avere il coraggio di andare
oltre la condanna degli abusi e denunciare esplicitamente le logiche che
costruiscono il sistema. L'etica sociale delle chiese cristiane e delle
altre grandi religioni avrebbe allora ben altra forza profetica e
contribuirebbe anche all'elaborazione di un'etica del post-capitalismo.

Prima di concludere, vorrei ricordare un aspetto specifico del compito
degli intellettuali di oggi, e vorrei parlare in particolare della
trasformazione mercantile dell'insegnamento superiore. Lelio Basso sarebbe
stato molto sensibile su questo punto. Infatti in tutto il mondo la
pressione del mercato sull'università tende a ridurne il ruolo a quello di
scuola tecnica superiore al suo servizio. Senza fare dell'università
l'unica fonte del sapere, sarà opportuno ricordare che cosa essa sia stata
nel corso della storia.

Dal dodicesimo secolo in poi le università furono il luogo privilegiato di
produzione del pensiero e della formazione di ricercatori e di
intellettuali, non solo in Europa ma anche in Cina o in Vietnam. Senza
dubbio, in tutte le società la riproduzione sociale e culturale  è una
delle funzioni dell'insegnamento. Jean Marc Fontan ricorda a questo
proposito che dal diciannovesimo secolo l'università intese modellarsi "su
basi oggettivo-scientifiche, ostentando una neutralità sociale lontana
dallo spirito critico ereditato o ispirato dall'illuminismo". Malgrado
tutto, restò peraltro un luogo di pensiero, anticipando non solo i
progressi scientifici, ma anche i modi di organizzazione delle società.

La profonda trasformazione delle università attualmente in corso non è
frutto di una decisione brutale. E' una marcia lenta, che ne rende meno
visibile il progredire. Dalla riduzione dei fondi pubblici all'aumento
degli studenti, dai prestiti rimborsabili alla riduzione degli anni di
studio in favore di una sedicente "formazione continua", dall'emarginazione
del pensiero critico all'abbandono di interi settori di ricerca in materia
di scienze umane, dalla privatizzazione della ricerca alla creazione di
cattedre da parte delle imprese multinazionali, dalla riduzione dei servizi
amministrativi al mercato delle prestazioni, dalla creazione di università
d'impresa a quella di università-impresa, il processo sembra irreversibile.

Gli effetti di tale evoluzione sono più evidenti nelle società del Sud, ma
anche quelle del Nord ne sono toccate. Le istituzioni internazionali
appoggiano tale orientamento: la Banca mondiale raccomanda ovunque un
arretramento dello Stato e un maggior coinvolgimento del settore privato,
l'Unione Europea favorisce un miglior adeguamento dell'insegnamento
superiore alle esigenze dell'economia (neoliberista).

L'accrescimento della dualità sociale risponde alla logica di un'economia
che si costruisce sul potere d'acquisto delle classi sociali che ha
maggiori redditi e sul "pensiero unico delle tecnoscienze". Il bisogno di
nuove frontiere per l'accumulazione del capitale trova uno sbocco nei
servizi pubblici (fra cui l'istruzione) che dunque bisogna privatizzare. La
redditività economica orienta la ricerca, perfino per le scienze sociali.
Non solo l'università diventa un'istituzione al servizio del mercato, ma la
sua stessa funzione si trasforma in merce. Il degrado del sapere,
l'addomesticamento del pensiero, l'ineguaglianza culturale e sociale ne
sono il risultato finale.

Mentre dappertutto si costruiscono le convergenze dei movimenti di
resistenza al modello economico, politico e culturale dominante, a che
punto sono l'università e i suoi docenti? Sono così paralizzati dal sistema
o handicappati dalla loro dignità di intellettuali? Le alternative
esistono: rafforzare l'università come servizio pubblico, far uscire
l'istruzione dalla logica del mercato, offrire spazi al pensiero critico,
agganciare la ricerca ai bisogni prioritari dell'umanità. Chi prenderà
l'iniziativa di costituire l'università come attore sociale mondiale capace
di muoversi in difesa del genere umano? Perché non elaborare una carta che
ne riaffermi le basi della missione scientifica e sociale, i principi di
funzionamento e le prospettive di mondializzazione? Tutte le istituzioni e
tutti i docenti universitari potrebbero sottoscriverla. Potrebbe nascere un
Forum mondiale delle università, punto di incontro di tutti coloro che
vogliono ricostruire la funzione universitaria e metterla al servizio della
società e degli esseri umani in tutto il pianeta, invece di asservirla al
mercato. E questo potrebbe anche essere un obiettivo nella linea della
liberazione dei popoli.

Lelio fu un profeta, ma di tipo assai particolare. Fece una scelta in
favore delle classi sociali e dei gruppi umani subalterni, dai quali non
era egli stesso uscito. La sua voce si è levata universalmente in favore
della liberazione degli oppressi, dei popoli emarginati e degli individui
dimenticati della storia. Egli ha proclamato il diritto a esistere di
coloro che Suzan George chiama "le folle inutili". Egli ha superato le
divisioni filosofiche e religiose. Si è impegnato nel lavoro giuridico e
nella riforma in profondità delle istituzioni. Fu un rivoluzionario che
accettava i piccoli passi. Che oggi la sua memoria ci ispiri per il nostro
impegno intellettuale e mondialista.

Roma, 27/11/2003



Traduzione di Nunzia Augeri