Fw: 4 NOVEMBRE. UNA VITTORIA? NO UNA STRAGE



 su l'Adige di ieri, è uscito questo editoriale sul 4 novembre di
Francesco Comina, corrispondente da Bolzano


 4 NOVEMBRE. UNA VITTORIA? NO UNA STRAGE


 Nemmeno lo squillo di una tromba dovrebbe risuonare oggi, 4 novembre,
 giorno del ricordo di tutte le vittime della grande guerra. Solo un
 pensiero silenzioso può rendere onore ai giovani che furono costretti
 a morire per l'ordine disumano di uccidere ed essere uccisi.

 Questa è la vittoria che glorifica la guerra, l'"estasi laica per il
 massacro", un'esatsi che oggi ci viene propugnata come un evento
 festoso da ricordare con il presentat'arm.

 Festeggiare la vittoria significa onorare la guerra, perchè la
 vittoria non è la fine della battaglia, ma l'epilogo che ritorna nel
 suo inizio furioso e conflittuale. La vittoria non conduce mai alla
 pace perchè già nelle sue premesse simboliche essa ci riporta alla
 visione macabra della sconfitta dell'altro, del suo annientamento,
 della carneficina. E quindi è ancora un momento terribile della
 guerra, è il disvelamento agghiacciante dei cadaveri che sono rimasti
 a terra su entrambi i fronti, uomini con i loro sogni, giovani con i
 fiori per le loro findanzate lontane, ragazzi poco più che
 adolescenti mandati al macello per difendere una patria tanto
 estranea dalla loro vita.

 Oggi a torto li chiamano martiri. Ma in loro non c'era alcuna
 vocazione al martirio, c'era solo un atto di obbedienza dovuto al
 volere del capo. Il martirio è un'altra cosa: è la scelta sofferma,
 meditata, forte e coraggiosa di difendere la vita degli altri dalle
 usurpazione del potere ingiusto, cattivo, spietato, contrario ai
 valori della fede e della coscienza.

 Ho avuto il grande privilegio di avere un nonno che ha combattuto per
 l'esercito austro-ungarico sul fronte russo durante tutta la prima
 guerra mondiale. E' ritornato a casa ferito, ma vivo. Quando
 ricordava gli anni della sua terribile esperienza, rivelava il volto
 assurdo della guerra, il volto bifronte di una istituzione stupida e
 insensata. "Quando i nostri ufficiali si allontanavano per un
 momento - mi raccontava con la cartina dell'Europa orientale davanti
 agli occhiali - da entrambi i fronti si alzavano fazzoletti bianchi
 in segno di cessazione delle ostilità. E subito uscivamo dalle nostre
 trincee per scambiarci tabacco, cioccolata, the o caffè. Eravamo
 giovani della stessa età, impauriti e infreddoliti. I nostri
 superiori ci dicevano che eravamo nemici e insistevano con
 l'inculcarci la cultura dell'odio. Ma i nostri nemici erano come
 noie, figli di una assurda guerra".

 Oggi mi pento mille volte di non avere raccolto e archiviato le
 storie del nonno, che con l'indice storto per via di una pallottola
 che gli ha attraversato la mano, aveva vissuto gli anni della sua
 giovinezza nelle terre minate della Russia e che da quella esperienza
 era uscito con un senso di rigetto totale della guerra rifiutando in
 seguito di aderire al fascismo, "un'idologia - diceva spesso quando
 si parlava del Duce- infarcita di violenza e di prepotenza".

 Ricordare quell'inutile strage che fu la vittoria della prima guerra
 mondiale ha senso solo nella dimensione del silenzio per cui è
 importante uscire dalla subalternità alle cerimonie solenni delle
 forze armate attraverso piccole cerimonie nonviolente che tornino a
 rileggere le memorie dei condannati a morte, degli obiettori di
 coscienza, dei deportati, dei resistenti, dei costruttori di pace.
 Per dire oggi che la guerra non può più appartenere alle modalità
 della politica, alle regole della vita civile, che non può più essere
 un modo legittimo per risolvere le controversie fra i popoli. Perché
 ogni vittoria è una sconfitta e ogni guerra è uno sterminio.

 Ce ne accorgiamo in questi giorni in cui la vittoria americana su
 Saddam Hussein sta rivelandosi per quello che è: un fallimento
 politico e strategico, un incubo militare, che rischia di impantanare
 gli eserciti in un nuovo Vietnam, in una palude infinita e
 permanente. Senza vittoria e senza grandi onori.




 "La pace non sarà mai sicura e tranquilla fino a quando i poveri, per fare
un passo avanti in difesa del loro pane e della loro dignità, saranno
lasciati nella diabolica tentazione di dover rigare di sangue la loro
strada"
                                                         Primo Mazzolari

 "il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello stare dalla parte di
chi ce li tiene"
                                                         Don Milani