"Un paese non ancora abbastanza sicuro". Nuovo rapporto di Amnesty International sull'Afghanistan



Gent.mi tutti,

vi trasmettiamo il comunicato stampa della Sezione Italiana di
Amnesty International:



"Un paese non ancora abbastanza sicuro".
Nuovo rapporto di Amnesty International sull'Afghanistan




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COMUNICATO STAMPA
CS89-2003

"UN PAESE ANCORA NON ABBASTANZA SICURO".
NUOVO RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULL'AFGHANISTAN

Amnesty International ha ribadito oggi il timore che la situazione in
Afghanistan non sia tale da permettere la promozione dei programmi di
rimpatrio volontario dei rifugiati e dei richiedenti asilo e ha chiesto ai
paesi interessati di non esercitare pressioni per far ritornare i rifugiati
in un contesto non sostenibile. "Le condizioni di sicurezza in tutto
l'Afghanistan si sono fortemente deteriorate nel corso del 2003 e non si
può dire che siano mutate in modo decisivo, duraturo ed effettivo. È dunque
difficile pensare di promuovere il rimpatrio in un futuro immediato" - ha
dichiarato Luca Lo Presti, coordinatore Afghanistan della Sezione Italiana
di Amnesty International.

Nel suo rapporto, intitolato Afghanistan - Invisibili e dimenticati: il
destino degli afgani che rientrano nel paese, Amnesty International
denuncia che, nelle attuali condizioni, l'impossibilità per molti rifugiati
e profughi interni di tornare ai luoghi di origine o di scelta sta dando
vita a una nuova emergenza e a un ulteriore ciclo di abbandono del paese.

"La praticabilità del rientro è anche ostacolata dall'inadeguatezza degli
aiuti e dell'assistenza alla ricostruzione da parte della comunità
internazionale. Occorre rimediare a questa situazione: l'Afghanistan non
può scomparire nuovamente dall'agenda internazionale" - ha aggiunto Lo
Presti. "La situazione è esacerbata inoltre dal fatto che, in molti casi,
il ritorno si sta svolgendo in circostanze che non è possibile definire
volontarie".

Negli ultimi venti anni, il Pakistan e l'Iran hanno garantito rifugio a
quasi sei milioni di rifugiati afgani. Tuttavia, negli ultimi anni, Amnesty
International ha notato che il "peso dell'asilo" in questi due paesi ha
determinato pressioni per spingere i rifugiati al rientro, in violazione
degli standard del diritto internazionale.

Facendo credere che si tratti di un rientro in sicurezza, paesi non
confinanti con l'Afghanistan, tra cui Regno Unito e Australia, hanno a loro
volta manifestato l'intenzione di costringere i richiedenti asilo e i
rifugiati afgani a rientrare nel paese. Questo rappresenta un ulteriore
motivo di preoccupazione per Amnesty International.

"Se i rifugiati non possono rientrare nel loro paese di origine vi è sempre
più la possibilità, confermata da quanto accaduto in Afghanistan a partire
dal 2002, che essi cercheranno nuovamente di ottenere riparo in altri
paesi. Favorire la praticabilità del rientro è dunque nell'interesse degli
stessi rifugiati, del paese di origine e dei paesi di asilo, sia confinanti
che lontani rispetto al paese da cui provengono questi ultimi"  - ha
proseguito Lo Presti.

Amnesty International chiede ai paesi non confinanti con l'Afghanistan che
ospitano rifugiati, specialmente a quelli industrializzati come l'Australia
e gli Stati membri dell'Unione Europea, di essere consapevoli del fatto che
il rientro forzato dei rifugiati o dei richiedenti asilo le cui domande
sono state respinte trasmette un segnale sbagliato ai paesi in via di
sviluppo che ospitano masse ben più ampie di afgani, e cioè che essi a loro
volta possono dare inizio alla fase di rientro.

L'organizzazione per i diritti umani ha ribadito che l'assistenza alla
ricostruzione dell'Afghanistan deve essere adeguata e concreta, che deve
essere garantito un effettivo livello di sicurezza in tutto il paese e che
le istituzioni nazionali che si occupano di giustizia, polizia e riforme
sociali devono essere messe in grado di operare ovunque e in modo tale da
rispettare i diritti umani.

"Solo quando queste condizioni saranno soddisfatte, sarà possibile per i
rifugiati e i profughi interni interrompere il ciclo dell'abbandono e
ritornare nei luoghi di origine in modo davvero volontario e praticabile" -
ha concluso Lo Presti.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 23 giugno 2003

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