L'IDEOLOGIA AMERICANA: LIBERISMO SENZA CONSENSO, CAMUFFATO DA FONDAMENTALISMO PARARELIGIOSO E IMPACCHETTATO NELLA RETORICA DELLA DEMOCRAZIA



SAMIR AMIN

L'IDEOLOGIA AMERICANA: LIBERISMO SENZA CONSENSO, CAMUFFATO DA
FONDAMENTALISMO PARARELIGIOSO E IMPACCHETTATO NELLA RETORICA DELLA
DEMOCRAZIA



Oggi gli Stati Uniti sono governati da una giunta di criminali di guerra,
arrivata al potere quasi con un colpo di stato, dopo elezioni dubbiose (ma
perfino Hitler era stato eletto correttamente!). Dopo il suo "incendio del
Reichstag" (l'11 settembre) questa giunta ha accordato alla polizia dei
poteri analoghi a quelli in dotazione a suo tempo alla Gestapo. La giunta
ha il suo "Mein Kampf" (The National Security Strategy of the United
States, del 2002), le sue organizzazioni di massa (l'Associazione dei
Patrioti) e i suoi predicatori. Bisogna avere il coraggio di proclamare
queste verità, e smettere di nascondersi dietro la frase ormai insipida e
beffarda "i nostri amici americani".

La cultura politica è il prodotto della storia considerata sulla lunga
durata, ed è naturalmente caratteristica di ogni paese. Quella degli Stati
Uniti è segnata su questo piano da specificità molto diverse da quelle che
caratterizzano la storia del continente europeo: la fondazione della Nuova
Inghilterra da parete di sette protestanti estremiste, il genocidio degli
indiani, la schiavitù dei neri, lo sviluppo dei "comunitarismi" sorti con
la successione delle ondate migratorie del XIX secolo.

La modernizzazione, il laicismo e la democrazia non sono il prodotto di una
evoluzione (o rivoluzione) delle interpretazioni religiose, ma al contrario
queste si sono adattate, più o meno felicemente, alle esigenze di quelli.
Tale processo di adattamento non è stato privilegio del protestantesimo.
Nel mondo cattolico ha operato in maniera certo diversa, ma non meno
efficace. In tutti i casi ha creato un nuovo spirito religioso, liberato
dai dogmi. In questo senso la Riforma non era la "condizione" dello
sviluppo del capitale, anche se tale tesi (di Weber) gode di larga
popolarità nella società che è oggetto della sua lusinga (l'Europa
protestante). La Riforma non è neppure stata la forma più radicale di
rottura ideologica con il passato europeo e le sue ideologie "feudali" -
fra le altre la sua precedente interpretazione del cristianesimo. Al
contrario, ne è stata la forma più confusa e primitiva.

Vi è stata una "riforma delle classi dominanti" che si è saldata con la
creazione di chiese nazionali (anglicana, luterana) controllate da tali
classi e che sanciva un compromesso fra la borghesia emergente, la
monarchia e la grande proprietà rurale, scartando la minaccia delle classi
popolari e dei contadini. L'arretramento dell'idea cattolica di
universalità che si è espresso nell'istituzione delle chiese nazionali ha
svolto un'unica funzione: radicare più profondamente la monarchia,
rafforzarne il ruolo di arbitro fra le forze dell'Ancien Régime e quelle
rappresentate dalla borghesia in ascesa, rafforzare il loro nazionalismo e
ritardare il sorgere di nuove forme di universalismo, che
l'internazionalismo socialista avrebbe proposto più tardi.

Ma ci sono stati anche dei movimenti di riforma che si sono impadroniti
degli strati popolari vittime delle trasformazioni sociali prodotte dal
capitalismo emergente. Tali movimenti hanno riprodotto forme antiche di
lotta - quelle dei millenarismi medievali - che non erano avanzate rispetto
al loro tempo, ma bensì in ritardo rispetto alle sue esigenze. Si è dovuto
attendere la Rivoluzione francese - con le sue mobilitazioni popolari
laiche, democratiche e radicali - e poi il socialismo perché le classi
dominate imparassero a esprimersi con efficacia nelle nuove condizioni. Le
sette protestanti in questione si sono nutrite di illusioni di tipo
fondamentalista. Hanno creato un terreno favorevole alla riproduzione
infinita di "sette" portatrici di visioni apocalittiche, come quelle che si
vedono fiorire negli Stati Uniti.

Le sette protestanti che si sono trovate costrette a emigrare
dall'Inghilterra del XVII secolo avevano sviluppato un'interpretazione
assai particolare del cristianesimo, che non è condivisa né dai cattolici
né dagli ortodossi, e neppure - almeno non allo stesso grado di estremismo
- dalla maggioranza dei protestanti europei, compresi naturalmente gli
anglicani, che dominavano fra le classi dirigenti inglesi. La Riforma nel
suo complesso rimetteva in primo piano l'Antico Testamento che cattolici e
ortodossi avevano emarginato, in una interpretazione del cristianesimo non
come proseguimento, ma come rottura del giudaismo.

La forma particolare di protestantesimo impiantata nella Nuova Inghilterra
è destinata a segnare l'ideologia americana con un forte impronta, fino ai
nostri giorni. Sarà il motivo per cui la nuova società americana partirà
alla conquista del continente, legittimandola con termini estratti dalla
Bibbia (la conquista violenta della terra promessa da parte di Israele,
tema ripetuto a sazietà nel discorso americano). Più tardi gli Stati Uniti
estenderanno a tutto il pianeta il loro progetto di realizzare l'opera che
"Dio" ha loro ordinato di compiere. Il popolo degli Stati Uniti si
percepisce come "popolo eletto" - sinonimo nei fatti di "Herrenfolk", per
riprendere il parallelo con la terminologia nazista. Oggi siamo a questo
punto. Ed è la ragione per cui l'imperialismo americano (non l'"Impero") è
destinato a diventare ancora più selvaggio dei suoi predecessori, che
peraltro non si dichiaravano investiti da una missione divina.

Io non sono fra quelli che pensano che il passato diventi per forza di cose
"trasmissione atavica". La storia trasforma i popoli. In Europa è successo
così. Disgraziatamente lo svolgersi della storia degli Stati Uniti, lungi
dal contribuire a cancellare la mostruosità originaria, ne ha rafforzato
l'espressione e perpetuato gli effetti, che si tratti della "Rivoluzione
americana" o del popolamento del paese da parte di ondate migratorie
successive.

La "rivoluzione americana" oggi vantata più che mai, è stata solo una
guerra di indipendenza limitata, senza alcun effetto sociale. Nella loro
rivolta contro la monarchia inglese, i coloni americani non volevano
trasformare nulla nei rapporti economici e sociali, ma soltanto non
condividerne più i profitti con la classe dirigente della madrepatria. Essi
volevano il potere per se stessi, non per fare cose diverse da ciò che
facevano nell'epoca coloniale, ma per continuare a farle con maggior
determinazione e maggiore profitto. Il loro principale obiettivo era
l'espansione a ovest, che fra l'altro implicava il genocidio degli Indiani.
In questo contesto, il mantenimento della schiavitù non era minimamente in
discussione. I grandi capi della rivoluzione americana erano quasi tutti
grandi proprietari schiavisti e i loro pregiudizi in questo campo erano
incrollabili.

Il genocidio degli Indiani si è iscritto del tutto naturalmente nella
logica di missione divina del nuovo popolo eletto. E non si creda che si
tratti di un passato del tutto passato. Fino agli anni 60 il genocidio è
stato rivendicato con orgoglio (mediante i film di Hollywood che opponevano
il cow-boy - simbolo del Bene - all'indiano - il Male) e ha costituito un
elemento importante nella "educazione" delle generazioni successive.

Lo stesso per la schiavitù. Dopo l'indipendenza, è passato quasi un secolo
prima che la schiavitù fosse abolita, non per ragioni morali, come aveva
invocato la Rivoluzione francese, ma soltanto perché non era più
conveniente nel contesto dell'espansione capitalista. Ci volle poi ancora
un secolo perché i Neri americani si vedessero riconoscere un minimo di
diritti civili, senza peraltro scuotere il razzismo perfetto della cultura
dominante. Fino agli anni 60 si procedeva ai linciaggi, e le famiglie
facevano pic-nic per assistere all'esecuzione, condividerne l'allegria e
scambiarsi le foto dei linciaggi precedenti. La cosa si perpetua con
maggiore discrezione, o in maniera indiretta, con l'esercizio della
"giustizia" che manda a morire migliaia di condannati - quasi tutti Neri -
di cui si sa che almeno la metà sono innocenti, senza che l'opinione
pubblica se ne preoccupi più di tanto.

Le ondate successive di immigrazione hanno svolto il loro ruolo nel
rafforzamento dell'ideologia americana. Gli immigranti non sono certo
responsabili della miseria e dell'oppressione all'origine della loro
partenza. Al contrario, ne sono le vittime. Ma le circostanze - cioè la
loro emigrazione - li portano a rinunciare alla lotta collettiva per
cambiare le condizioni comuni di classe o di gruppo nei rispettivi paesi,
per aderire all'ideologia del successo individuale nel paese che li
accoglie. Tale adesione è incoraggiata dal sistema americano, che ne trae
ogni vantaggio. Ritarda la presa di coscienza di classe, che appena
comincia a maturare, deve fronteggiare una nuova ondata migratoria e non
riesce a realizzarsi sul piano politico. Ma nello stesso tempo la
migrazione incoraggia il comunitarismo della società americana. Il successo
individuale non esclude l'inserzione forte in una comunità originaria (gli
irlandesi, gli italiani ecc.) senza la quale l'isolamento individuale
rischierebbe di essere insopportabile. Qui ancora il rafforzamento di
questa dimensione dell'identità - che il sistema americano recupera e
incoraggia - avviene a detrimento della coscienza di classe e della
formazione del cittadino.

Quando a Parigi il popolo partiva "all'assalto del cielo" (mi riferisco
alla Comune del 1871) negli Stati Uniti le bande costituite dalle
generazioni successive di immigranti poveri (irlandesi, italiani ecc.) si
ammazzavano reciprocamente, manipolate con perfetto cinismo dalle classi
dominanti.

Negli Stati Uniti non esiste alcun partito operaio, non è mai esistito. I
sindacati operai, peraltro potenti, sono "apolitici". Lo sono in tutti i
sensi del termine, non avendo come riferimento alcun partito loro prossimo
per natura, e non essendo neppure capaci di sostituirvisi producendo essi
stessi un'ideologia socialista. Essi condividono con tutta la società
l'ideologia liberale, che domina senza rivali. Continuano a battersi per
rivendicazioni limitate e precise che non mettono in discussione il
liberismo. In un certo senso sono dei "post-moderni", e lo sono sempre
stati.

Le ideologie comunitarie non potevano costituire un sostituto all'assenza
di un'ideologia socialista della classe operaia. Neppure per la più
radicale, cioè la comunità nera. Giacché per definizione il comunitarismo
si inserisce nel quadro del razzismo generalizzato che esso combatte sul
proprio terreno, senza andare oltre.

Uno degli aspetti più trascurati nell'analisi delle differenze che
oppongono le ideologie "europee" (nella loro diversità) all'ideologia
americana è quello dell'impatto esercitato dalla filosofia illuminista
nella rispettiva formazione.

Come è ben noto, la filosofia illuminista è l'elemento di partenza decisivo
per la costituzione delle culture e delle ideologie dell'Europa moderna,
tanto che il suo impatto è rimasto importante fino ai nostri giorni. Ciò è
vero non solo per i centri precoci del capitalismo in formazione, sia
cattolici (Francia) che protestanti (Inghilterra e Paesi Bassi), ma anche
per la Germania e perfino per la Russia. Negli Stati Uniti invece la
filosofa illuminista ha avuto un impatto solo marginale e ha interessato
una frangia "aristocratica" (e schiavista) rappresentata da Jefferson,
Madison e pochi altri, mentre la Nuova Inghilterra delle sette restava
impermeabile al suo spirito critico. La sua cultura dominante è più vicina
alle streghe di Salem che all' "empio" Illuminismo.

Il risultato di tutto ciò, che si è affermato man mano che si rafforzava la
borghesia "yankee" uscita in primo luogo dalla Nuova Inghilterra, è stato
una sostituzione semplice ma falsa: che la Scienza (bisogna intendere le
scienze esatte - la fisica) regola il divenire della società. E'
un'opinione comune senz'altro condivisa negli Stati Uniti, da più di un
secolo, sia fra le classi dominanti che nel popolo.

A me sembra che appunto questa sostituzione spieghi alcuni tratti
caratteristici dell'ideologia americana. Anzitutto l'insignificanza della
sua filosofia, ridotta alla versione più miserabile dell'empirismo. Poi il
suo sforzo costante di ridurre le scienze dell'essere umano e della società
a scienza "pura" (e "dura"): l'economia "pura" al posto dell'economia
politica, la "scienza della genomica" all'antropologia e alla sociologia.
Questa deriva - ahimè - avvicina molto l'ideologia americana contemporanea
a quella promossa dai nazisti, e trova un terreno fertile nel profondo
razzismo che la storia ha prodotto negli Stati Uniti. Da questa visione
della Scienza risulta poi un'ulteriore deriva: l'attrazione per le
costruzioni cosmologiche (il "Big Bang" ne è l'espressione più popolare).
L'Illuminismo aveva fatto capire che la Fisica è la scienza delle
"particelle dell'universo scelte come campo di ricerca", non la scienza
dell'Universo nella sua totalità, che è un concetto metafisico e quindi non
scientifico. Su questo terreno, il pensiero americano è più vicino alla
concezione pre-moderna (per non dire medievale), preoccupata anzitutto di
conciliare fede e ragione, piuttosto che alla tradizione scientifica
moderna. Questa deriva - all'indietro - era assai adatta alle sette
protestanti della Nuova Inghilterra, come alla società immersa in una
religiosità diffusa che essa ha generato.

Il pericolo prodotto da queste derive minaccia ormai l'Europa, come è ben noto.

La combinazione tipica della formazione storica della società statunitense
- dominio di un' ideologia religiosa "biblica" e assenza di partiti operai
- ha prodotto una situazione ancora senza paragoni, quella di un partito di
fatto unico, il partito del capitale.

I due segmenti che costituiscono tale partito unico condividono lo stesso
liberismo fondamentale. L'uno e l'altro si rivolgono alla sola minoranza -
il 40% dell'elettorato - che "partecipa" a questo tipo di vita democratica
tronca e impotente loro offerta. Ogni segmento ha la propria clientela -
nelle classi medie, visto che le classi popolari non votano - e vi ha
adattato il proprio linguaggio. Ognuno cristallizza al proprio interno un
conglomerato di interessi capitalistici segmentati (le lobbies) o dei
sostegni "comunitari".

La democrazia americana costituisce oggi il modello avanzato di ciò che io
definisco "democrazia a bassa intensità". Il funzionamento è fondato su una
separazione totale fra la gestione della vita politica,  basata sulla
pratica della democrazia elettorale, e quella della vita economica,
regolata dalle leggi dell'accumulazione del capitale. Tale separazione poi
non è oggetto di discussione radicale, ma fa parte di quel che si definisce
il consenso generale. Ma essa annienta tutto il potenziale creativo della
democrazia politica e castra le istituzioni rappresentative (parlamenti e
altre), rese impotenti di fronte al "mercato" di cui accettano i diktat.
Votare democratico o votare repubblicano non ha alcuna importanza, giacché
il futuro non dipende dalle scelte elettorali ma dalle vicende del mercato.

Lo Stato americano è perciò al servizio esclusivo dell'economia (cioè del
capitale di cui è fedele servitore esclusivo, senza doversi preoccupare di
altri e diversi interessi sociali). E può esserlo perché la formazione
storica della società americana ha bloccato - nelle classi popolari - la
maturazione di una coscienza politica di classe.

In Europa invece lo Stato ha rappresentato (e può tornare a essere) il
punto di passaggio obbligato del confronto fra interessi sociali e su
quella base favorire i compromessi storici che danno senso e portata reale
alla pratica democratica. Se lo Stato non è obbligato a svolgere tale
funzione dalle lotte di classe e dalle lotte politiche che mantengono la
propria autonomia di fronte alle logiche esclusive dell'accumulazione del
capitale, allora la democrazia diventa una pratica beffarda, proprio come è
negli Stati Uniti.

La combinazione di una religiosità dominante, sfruttata a vantaggio di un
discorso fondamentalista, e dell'assenza di coscienza politica delle classi
dominate conferisce al sistema di potere degli Stati Uniti un margine di
manovra senza confronti, che annulla la portata potenziale delle pratiche
democratiche riducendole allo status di rituali anodini
(politica-spettacolo, inaugurazione delle campagne elettorali con le
sfilate di majorettes ecc.).

Ma attenzione a non sbagliarsi. Non è questa ideologia fondamentalista
dalle pretese religiose che si trova ai posti di comando e imporrebbe la
sua logica ai veri detentori del potere - il capitale e i suoi servi nello
Stato. E' bensì il capitale che prende da solo tutte le decisioni più
convenienti e solo successivamente mobilita l'ideologia americana in
questione per metterla al suo servizio. I mezzi utilizzati - una
disinformazione sistematica mai vista - riescono allora efficaci, perché
isolano gli spiriti critici e li sottopongono a un ricatto odioso e
permanente. Il potere riesce così a manipolare senza difficoltà una
"opinione pubblica" mantenuta nella stupidità.

In questa situazione, la classe dirigente degli Stati Uniti ha sviluppato
un cinismo perfetto, avvolto in un'ipocrisia che tutti gli osservatori
stranieri possono constatare, ma che il popolo americano non riesce mai a
vedere! Inoltre, tutte le volte che è necessario, viene usata la violenza
nelle sue forme più estreme. Tutti i militanti radicali americani lo sanno:
vendersi o essere assassinati è la sola scelta che gli viene lasciata.

L'ideologia americana, come tutte le ideologie, subisce l'usura del tempo.
Nei periodi "calmi" della storia - segnati da una buona crescita economica
accompagnata da ricadute sociali giudicate soddisfacenti - la pressione che
la classe dirigente deve esercitare sul popolo si allenta. Di quando in
quando, secondo i bisogni del momento, tale classe dirigente "gonfia"
l'ideologia americana con mezzi che sono sempre gli stessi: viene indicato
un nemico (sempre esterno, la società americana è buona per definizione),
l'Impero del Male o l'asse del Male, che permette la "mobilitazione totale"
di tutti i mezzi destinati ad annientarlo. Ieri era il comunismo, che ha
permesso - con il maccartismo (opportunamente dimenticato dai
filo-americani) di intraprendere la guerra fredda e subalternizzare
l'Europa. Oggi è il "terrorismo", pretesto evidente (l'11 settembre
assomiglia talmente all'incendio del Reichstag) per far passare il vero
progetto della classe dirigente: garantirsi il controllo militare del
pianeta.

L'obiettivo dichiarato della nuova strategia egemonica degli Stati Uniti è
di non tollerare l'esistenza di una potenza capace di resistere ai comandi
di Washington, e perciò di cercar di smantellare tutti i paesi giudicati
"troppo grandi" e di creare il massimo di Stati sottomessi, prede facili
per stabilirvi basi americane che ne assicurino la "protezione". Un solo
Stato ha il diritto di essere "grande", gli Stati Uniti, come hanno detto
gli ultimi tre Presidenti (Bush senior, Clinton e Bush junior).

L'egemonia degli Stati Uniti riposa dunque in definitiva più sulla
sovradimensione della loro potenza militare che sui "vantaggi" del loro
sistema economico. Possono dunque porsi come leaders incontestati della
Triade, facendo della loro potenza militare il "pugno visibile" che impone
il nuovo ordine imperialista agli eventuali recalcitranti.

Incoraggiata da questi successi, l'estrema desta americana è riuscita a
prendere le redini del potere a Washington. Ormai la scelta è chiara:
accettare l'egemonia degli Stati Uniti e il virus liberale rafforzato,
ridotto al principio elementare di "make money" (far soldi), o rifiutare
l'uno e l'altro. La prima alternativa dà a Washington la responsabilità di
"rimodellare" il mondo a immagine del Texas. La seconda è la sola che possa
contribuire alla ricostruzione di un mondo pluralistico, democratico e in
pace.

Se avessero reagito nel 1935 o nel 1937, gli europei sarebbero riusciti a
fermare il delirio hitleriano. Reagendo solo nel settembre 1930 si sono
inflitti decine di milioni di vittime. Bisogna agire perché di fronte alla
sfida dei neo-nazisti di Washington, la risposta sia più tempestiva.

L'ideologia americana - come contenuto essenziale - si riduce a un
liberismo (economico) senza condivisione, prodotto da un "consenso" che
l'assenza di coscienza politica delle classi dominate (che ho spiegato con
la storia della formazione sociale americana tracciata prima) non ha
permesso di intaccare in maniera sufficientemente seria. Tale ideologia -
molto povera - si cela dietro un discorso fondamentalista para-religioso.
Poi viene il processo di imballaggio della merce in una retorica insipida
sulla "democrazia". Che la classe dirigente può allora manipolare
svergognatamente, con una quasi certezza di successo presso l'opinione
stupida che essa ha creato. Sentir dire che negli Stati Uniti l'opinione
pubblica ha un peso notevole - e a volte anche decisivo - nella formazione
delle decisioni - cosa che tutti i filoamericani ripetono, dietro i
liberali come dietro ai conservatori - dovrebbe far sorridere. Esistono
pochi casi al mondo in cui l'opinione pubblica è altrettanto manipolata
come negli Stati Uniti. L'insipida retorica democratica con cui
impacchettano la loro merce impegna solo coloro che sono così ingenui (o
hanno interesse a farsi passare per tali) da credervi.



Bibliografia:
Questo scritto sintetizza idee sviluppate nei dettagli nei miei tre libri
seguenti:

Samir Amin, Le virus libéral, la guerre permanente et l'américanisation du
monde ; Le temps des Cerises, 2003, section IV-2, pages 71 et suivantes.

Samir Amin, L'eurocentrisme, critique d'une idéologie ; Economica -
Anthropos, 1988 ; chap II-section I, pages 55 et suivantes.

Samir Amin, Modernité, Démocratie et Religion, Critique des culturalismes ;
in corso di pubblicazione, Première Partie section II, Modernité et
interprétation des religions.

Voir également, pour la critique de la « Science » comme idéologie :
 François Lurçat, L'autorité de la Science, CERF, Paris 1995.

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