Avvenire 15 dicembre 2002 - L'elogio della coscienza



Tommaso Valentinetti*

Il 15 dicembre di 30 anni fa veniva promulgata la prima legge che
riconosceva nel nostro Paese il diritto all'obiezione di coscienza.
Grazie a quella legge, nei giorni successivi, alcune decine di
obiettori uscivano di prigione. Per molti altri iniziava una storia
che arriva fino ai nostri giorni.
In realtà quella legge riconosceva ancora assai parzialmente il
diritto ad obiettare. Tante, infatti, erano le contraddizioni
dell'articolato che mostrò subito un suo perdurante intento punitivo:
il servizio civile, ad esempio, durava otto mesi in più rispetto al
servizio militare e le domande di obiezione erano esaminate da una
commissione ministeriale semi-militare incaricata di sondare (non si
sa poi con quale strumentazione) la validità delle motivazioni
soggettivamente addotte dagli obiettori. Per non dire, sempre a
proposito di ostacoli frapposti, della gestione dell'intero sistema
del servizio civile affidata al Ministero della difesa che, facile
intuirlo, non appare il più adatto ad apprezzare le ragioni di chi
rifiutava di servire la Patria in armi. Da ciò sono scaturite
interminabili querelles tra militari da un lato e obiettori ed enti,
dall'altro.
Tuttavia, nonostante che l'apparato remasse contro, il numero degli
obiettori è andato di anno in anno aumentando e il fenomeno è
diventato una scelta "normale" tra i giovani italiani, tanto che il
numero degli obiettori ad un certo punto superava quello dei militari
di leva.
Solo di recente, nel 1998, una nuova legge ha sostituito la
precedente, riparando almeno in parte ai guasti da essa provocati. Ma,
ahimè, dopo due anni una nuova legge decretava la sospensione della
leva obbligatoria (e quindi anche dell'obiezione di coscienza) a
partire dal 2007.
In un simile scenario, a che cosa può servire ricordare questi 30 anni
di obiezione di coscienza?
Il primo motivo è dato da un doveroso omaggio che il nostro Paese deve
a questi "servitori" che hanno fatto una scelta di coscienza.
Soprattutto a coloro che, prima del 1972, hanno fatto da apri-pista.
Ma ci piace ricordare anche uomini come Lorenzo Milani, Giorgio La
Pira e Ernesto Balducci, che ebbero a cuore la sorte degli obiettori
difendendo la possibilità, per una persona, di affermare sempre il
primato della propria coscienza.
Il secondo motivo per "festeggiare" è che l'obiezione non è morta. Non
si potrà mai negare infatti ad un uomo, anche se avesse scelto
volontariamente di servire in armi, il diritto di obiettare a un
comando che contrasti con la propria coscienza. Le centinaia di
"obiettori" (non solo giovani di leva, ma anche soldati
professionisti) che, dall'inizio della seconda Intifada, si rifiutano
di servire nelle forze armate israeliane, ci stanno drammaticamente a
ricordare non solo l'attualità della guerra ma anche i drammi
quotidiani delle singole coscienze. Oggi, il nostro pensiero va a
loro, così come ai tanti obiettori che, in molti paesi, non vedono
ancora riconosciuto i loro diritti.
Se dunque l'obiezione non è morta, non sono morti nemmeno quei valori
che portarono al sacrificio i primi obiettori e che hanno continuato
ad ispirare migliaia di giovani. Parliamo, insomma, di un'obiezione
razionale e radicale alla guerra, a qualsiasi tipo di guerra e a ogni
modo e strumento per prepararla. Se qualcuno pensasse di aver tagliato
l'erba sotto i piedi degli obiettori perché ha tolto l'appiglio della
leva obbligatoria forse ha sbagliato i conti. Sì, perché fino a quando
l'aspirazione alla pace non sarà realizzata per tutta l'umanità si
dovrà continuare a muovere "guerra alla guerra", perché purtroppo
molti uomini pensano ancora che proprio dalla guerra, e dalla sua
preparazione, può nascere la pace.
Ci sembra, infatti, che l'invito del Concilio "a considerare
l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova" venga
spesso stravolto: sempre più gente si affanna a inventare nuovi modi
per fare la guerra, facendola diventare, a seconda dei casi,
umanitaria, chirurgica, preventiva. Si perde di vista, insomma, quella
"necessità di evitare la guerra" che il Concilio stesso richiamava,
così come sempre meno spazio viene dato alle alternative alla guerra
per la soluzione dei conflitti.
Insomma, l'impegno per gli obiettori non si esaurisce, anzi coinvolge
tutti, uomini e donne: non si tratta più tanto di "evitare" il
militare, ma di vincere, con le armi della nonviolenza, la lotta per
la pace.


*vescovo di Termoli-Larino
presidente nazionale di Pax Christi










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