ebrei americani e inglesi .....



Vi invio per conoscenza
claudio scazzocchio

Noi ebrei americani...  ( 28/08/2002)

L'appello di 3075 intellettuali, cittadini Usa, al governo Bush per la pace
in Medio oriente

Sulla scia dell'ondata di sangue che di recente ha colpito il Medio Oriente,
molti israeliani e palestinesi - ed i loro sostenitori negli Stati uniti
- sono tornati ad adottare uno schema di ragionamento
contrapposto,«noi-contro-loro»,
in cui entrambi si considerano vittime innocenti e ignorano o minimizzano
le ingiustizie che hanno inflitto, e continuano ad infliggere, all'altro
popolo. In realtà, sia il popolo israeliano che quello palestinese hanno
sofferto gravi torti l'uno da parte dell'altro, anche se in misura diversa
e ineguale; entrambi hanno legittimi motivi di risentimento, legittime paure
e legittima sfiducia nella reale volontà dell'altro di accettare un compromesso
per arrivare alla pace.

Sebbene i firmatari di questa lettera abbiano opinioni molto diverse sulle
responsabilità dell'attuale situazione, tutti abbiamo una visione comune
di quali debbano essere gli elementi costitutivi della soluzione.

I vari tentativi di costruire una fiducia reciproca hanno raggiunto un vicolo
cieco. L'unica alternativa ad una guerra senza fine è un accordo globale
basato su principi semplici ma radicali:

- la vita degli israeliani è preziosa quanto quella dei paestinesi;

- i popoli israeliano e palestinese hanno lo stesso diritto
all'autodeterminazione
nazionale ed a vivere in pace e sicurezza;

- i popoli israeliano e palestinese hanno lo stesso diritto ad un'equa
suddivisione
dei territori e delle risorse della Palestina storica.

Persone di buona fede in tutto il mondo hanno da tempo capito con una certa
precisione quel che una soluzione sostenibile, nel rispetto di questi principi,
dovrebbe prevedere:

- due Stati nazionali, Israele e Palestina, con eguale sovranità, eguali
diritti ed eguali responsabilità;

- spartizione del territorio secondo i confini precedente alla guerra del
1967, modificati solo da scambi territoriali minori reciprocamente concordati;

- evacuazione di tutte le colonie israeliane costruite nei territori occupati,
tranne quelle all'interno di aree di scambio concordate fra le due parti;

- riconoscimento di Israele da parte dei palestinesi e degli Stati arabi
e loro rinuncia a qualsiasi ulteriore rivendicazione territoriale;

- accettazione da parte dei palestinesi di limiti concordati al «diritto
al ritorno» in cambio di risarcimenti finanziari ai profughi.

Parecchi anni fa sondaggi di opinione dimostravano che la maggioranza sia
degli israeliani che dei palestinesi era disposta ad accettare un accordo
di questo genere. Nonostante le attuali carneficine, lo cose potrebbero
ancora stare così; ma un compromesso è difficile quando la maggioranza di
entrambe le parti appoggia azioni militari provocatorie che considerano
puramente difensive, mentre poderose minoranze continuano a perseguire
obiettivi
territoriali massimalisti.

Se gli israeliani e i palestinesi non sono disposti o capaci di negoziare
una pace sostenibile, la comunità internazionale deve prendere l'iniziativa
nel promuoverne una. Ciò è nell'interesse di lungo termine non solo degli
israeliani e dei palestinesi, ma anche degli americani: gli eventi recenti
hanno reso dolorosamente evidente che la nostra stessa sicurezza nazionale
è profondamente minata dalla instabilità e ingiustizia in Medio Oriente.

Gli Stati uniti hanno una speciale responsabilità della tragica impasse
attuale, in virtù delle nostre massicce sovvenzioni economiche e militari
al governo israeliano: 500 dollari l'anno per ogni cittadino israeliano.
Il nostro paese ha una influenza straordinaria sulla politica di Israele,
se solo il nostro governo avesse il coraggio di usarla. Come ebrei americani
che hanno profondamente a cuore la sicurezza duratura di Israele, facciamo
appello al nostro governo perché condizioni il proseguimento degli aiuti
all'accettazione da parte di Israele di una soluzione, concordata a livello
internazionale, che preveda i due Stati nazionali.

Estremisti di entrambe le parti sicuramente attaccheranno un simile accordo.
Per farlo rispettare potrebbero essere necessarie forze militari straniere,
disposte ad accettare eventuali perdite umane. Si può comunque sperare che
la maggioranza sia degli israeliani che dei palestinesi si convinca che
una pace imperfetta è preferibile ad una guerra senza fine.

Non c'è garanzia che questo approccio funzionerà; ma è pressoché sicuro
che ogni altra alternativa è destinata al fallimento.

Yali Amit, University of Chicago; Stanley Aronowitz, CUNY Graduate Center;
Rosalyn Baxandall, SUNY Old Westbury; Joel Beinin, Stanford University;
Noam Chomsky, Massachusetts Institute of Technology; Natalie Zemon Davis,
Princeton University; Gerald Graff, University of Illinois at Chicago; Charles
G. Gross, Princeton University; Lawrence Grossberg, University of North
Carolina-Chapel Hill; Edward S. Herman, Wharton School, University of
Pennsylvania;
Stanley Hoffmann, Harvard University; Russell Jacoby, University of
California-Los
Angeles; Leo Kadanoff, University of Chicago; Leon Kamin, Northeastern
University;
Evelyn Fox Keller, Massachusetts Institute of Technology; Rabbi Michael
Lerner, Tikkun Community; Seymour Melman, Columbia University; N. David
Mermin, Cornell University; Martha Nussbaum, University of Chicago; Frances
Fox Piven, CUNY Graduate Center; Hilary Putnam, Harvard University; Paul
Rabinow, University of California-Berkeley; Bruce Robbins, Columbia University;
Anne Roiphe, novelist, New York; Ellen Schrecker, Yeshiva University; Stephen
R. Shalom, William Paterson University; Elaine Showalter, Princeton University;
Alix Kates Shulman, novelist, New York; Peter Singer, Princeton University;
Alan Sokal, New York University; Abraham L. Udovitch, Princeton University;
Immanuel Wallerstein, Yale University; Ellen Willis, New York University;
Howard Zinn, historian, Auburndal MA,

e, al momento, altre 3050 firme.

Alan Sokal, Department of Physics New York University 4 Washington Place
New York, NY 10003 USA sokal at nyu.edu Tel: 1-212-998-7729 Fax: 1-212-995-4016

Traduzione di Marina Papa Sokal
LETTERA AL GUARDIAN
Ebrei contro l'occupazione ( 10/08/2002)

Un gruppo di quarantacinque intellettuali britannici ebrei ha annunciato
ieri, mediante una lettera inviata al quotidiano The Guardian,di voler
rinunciare
al diritto acquisito che ogni ebreo ha alla cittadinanza israeliana.

LETTERA AL GUARDIAN
Ebrei contro l'occupazione

Un gruppo di quarantacinque intellettuali britannici ebrei ha annunciato
ieri, mediante una lettera inviata al quotidiano The Guardian,di voler
rinunciare
al diritto acquisito che ogni ebreo ha alla cittadinanza israeliana. Questa
inziativa è stata presa in segno di protesta contro «la politica barbara»
attuata dal governo Sharon nei confronti dei palestinesi. Il gruppo comprende
scrittori, esponenti del mondo accademico e artisti. Tra i firmatari figurano
Steven Rose, direttore del gruppo di ricerca Brain and Behaviour (Cervello
e comportamento) presso la Open University, attualmente impegnato anche
in una campagna per sospendere i finanziamenti dell'Unione europea a favore
delle università israeliane, e la professoressa Irene Bruegel, appartenente
a Jews for Justice for Palestinians, un gruppo di ebrei che combatte per
i diritti dei palestinesi. Anche il regista teatrale e produttore
cinematografico
Michael Kustow, il cantante Leon Rosselson e lo scrittore Mike Marqusee
hanno sottoscritto il documento. Pubblichiamo qui di seguito per esteso
il testo della lettera. «Siamo ebrei, nati e cresciuti fuori da Israele
e, in virtù della "legge del ritorno", abbiamo il diritto legale di ottenere
la residenza e la cittadinanza israeliana. Desideriamo rinunciare a questo
"diritto" non richiesto per i seguenti motivi:



1- Consideriamo moralmente ingiusto che questo diritto acquisito ci venga
conferito mentre coloro che più hanno diritto ad un reale "ritorno" sono
obbligati a fuggire o terrorizzati e ne sono di fatto esclusi.

2- La politica di Israele nei confronti dei palestinesi è barbara - noi
non desideriamo identificarci in alcun modo con ciò che Israele sta facendo.


3-Siamo in disaccordo con il principio secondo cui l'emigrazione sionista
verso Israele rappresenti una "soluzione" per la diaspora ebraica, per
l'antisemitismo
o il razzismo - a prescindere da quanto gli ebrei siano stati vittime di
razzismo, non hanno diritto a trasformare altri in vittime.

4- Desideriamo esprimere la nostra solidarietà a tutti coloro che stanno
lavorando perché in un futuro Israele, la Cisgiordania e la striscia di
Gaza divengano luoghi dove le persone possano vivere senza alcuna restrizione
di natura razziale, culturale o etnica.

Aspettiamo con ansia il giorno in cui tutti i popoli della regione saranno
in grado di vivere in pace tra loro sulla base della non discriminazione
e del rispetto reciproco. Forse alcuni di noi vorranno persino vivere lì,
ma solo se i diritti dei palestinesi saranno rispettati. A coloro che
considerano
Israele un "rifugio sicuro" per gli ebrei di fronte all'antisemitismo, diciamo
che non ci può essere sicurezza quando si assume il ruolo dell'occupante
e dell'oppressore. Ci auguriamo che il popolo di Israele e i suoi leader
possano comprenderlo al più presto.