Feste a Gerusalemme



Title: Feste a Gerusalemme

Feste a Gerusalemme

 

FULVIO GRIMALDI PER MONDOCANE 28/12/01

 

Auguri da Gerusalemme, un posto che migliore per un capodanno di pace non c’è.  Per un capodanno antiterrorista, sotto la mira di occupanti dalle salde tradizioni, da Deir Yassin  (Begin) a Sabra e Shatila (Sharon), fino alla soluzione   della questione palestinese mediante l’allontanamento di tre milioni di estremisti, possibilmente, come i mille della Seconda Intifada, con i piedi in avanti. Siamo in tanti, in viaggio dall’Italia e dal mondo, filtrati per i varchi tra le angherie chiamate controlli, delle battute viperine su “gli amici delle pulci”, o delle “scimmie terroriste”, ma subito finiti in braccio a un’ospitalità  da perseguitati, più sincera e affettuosa di qualsiasi cenone in famiglia. Lo Stato palestinese è un ovocita in cui l’Intifada ha iniettato la vita. L’embrione è già stato innestato nel ventre del mondo. Saremo tutti levatrici. La mangiatoia del bimbo è fatta di macerie, enormi crateri, terreni inariditi con sopra arti strappati di ulivo e di limone, ogni qualche ora un corteo con una bara sulle spalle, una volta su quattro un bambino. Siamo in tanti, donne, uomini, ragazzi, chi nonviolento, chi non-nonviolento ma per la pace, chi con le pietre dell’Intifada, chi con gli incontri tra le parti. Io sto nel Forum Palestina e lo striscione “Intifada fino alla vittoria” miete infiniti consensi tra gli stracci del popolo più impoverito, turlupinato, abbandonato, offeso, innocente del mondo, tra le pozze di sangue dell’ultima colonia del colonialismo d’antan e della prima colonia dell’imperialismo a stelle, striscie e stella di Davide. Qualcuno qui ci ha chiamati, nell’ombra di arcate a sesto acuto che di Sabra e Shatila ne hanno viste tante mille anni fa, ci chiama “ruscello nel deserto”. Deve succhiare l’acqua dal cielo, mentre chi gli ha preso patria, terra, casa, nome, centomila volte la vita, 150mila volte lui stesso torturandolo nelle carceri, ama sguazzare nelle piscine che seccano le sue falde, la sua vita. A Hebron, sopra la cellula di 500 taleban ebraici infiltrati da Brooklyn, sventola una bandiera a stelle e striscie con sopra la stella di Davide. Vuole essere il vessillo del pianeta.  Traiamo forza, addirittura allegria, a sentirci tutti parapalestinesi  e cogliamo  stille di latte e miele per crescere e moltiplicarci. Latte e miele da 50 anni rubati a queste genti, ma che trasudano da  canzoni, lanci di pietre, abbracci all’ombra di mostri d’acciaio che fanno sembrare di presepe la tua casa, ma che ospitano 10 missili, quaranta obici, 15.000 pallottole e appena tre esseri contro le 12 persone raggomitolate sotto la trave dell’uscio, l’ultima a crollare nei bombardamenti. E poi le bandiere, quelle palestinesi, infuocate, veloci come saette, su qualsiasi picco possa essere visto da chi deve ricordarsi che qui non è a casa sua. E tremare. A casa, il bassotto Nando tiene la trincea contro Bushlusconi. Non so chi sta meglio. O peggio.