I morti innocenti di una guerra combattuta da vigliacchi



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Sent: Thursday, December 20, 2001 9:13 AM
Subject: [Lilliput-FI] Morti innocenti


Da Lisa Clark
Beati i costruttori di pace
Faccio una rapidissima traduzione di un articolo comparso sul Guardian di
Londra di questa mattina (20/12). L'autore è Seamus Milne, editorialista.



I morti innocenti di una guerra combattuta da vigliacchi



Il prezzo di sangue già pagato nella guerra americana contro il terrorismo
sta cominciando a diventare chiaro. Ma questo prezzo non è stato pagato né
dall'Inghilterra né dagli Stati Uniti, e nemmeno per ora dai leader di Al
Qaida o dei Talebani considerati responsabili degli attentati dell'11
settembre. E' stato pagato dalla popolazione afgana, che niente aveva a che
fare con le atrocità, che non aveva eletto la teocrazia Talebana, che non ha
avuto voce in merito nella decisione di offrire il loro paese come rifugio a
Bin Laden  e ai suoi amici.

Il Pentagono, come è sua abitudine, è stato piuttosto reticente nel dire
quante persone si stimi siano morte sotto i suoi missili. Comprensibile,
visto che il Pentagono è molto sensibile all'impatto che questo dato
potrebbe avere sul sostegno alla coalizione internazionale. Infatti, i
commenti dei portavoce militari statunitensi alle domande riguardo il numero
di vittime civili sono in genere "il numero non è confermato da fonti
indipendenti." In altri casi negano recisamente che ci siano state vittime.
I mezzi di informazione USA sono stati particolarmente prodighi (si fa per
dire!) di dati: il Los Angeles Times è riuscito solo a tirare ad indovinare
che siano morti "per lo meno qualche decina di civili."

Adesso, per la prima volta, uno studio sistematico indipendente sul numero
di morti civili in Afghanistan è stato fatto da Marc Herold, professore di
Economia all'Università del New Hampshire. Esaminando e confrontando i
rapporti di agenzie umanitarie, dell'ONU, di testimoni oculari, giornalisti
TV e di agenzie internazionali, Herold stima che almeno 3.767 civili siano
stati uccisi dalle bombe USA tra il 7 ottobre e il 10 dicembre. Una media,
cioè di 62 morti innocenti al giorno. Un totale che supera il numero di
3.234, attuale stima dei morti periti negli attentati di New York e
Washington dell'11 settembre.

Naturalmente, il totale calcolato da Herold è solo una stima. Ma ciò che
colpisce del suo studio non è solo il lavoro meticoloso di controlli
incrociati tra le varie fonti, quanto il modo in cui per ogni singolo
bombardamento prenda sempre la cifra più bassa tra quelle riferite. Il suo
totale non include coloro che sono morti in un secondo tempo, in conseguenza
delle ferite riportate; né quelli uccisi negli ultimi dieci giorni; né
quelli che sono morti di freddo o di fame o perché sono state interrotte le
forniture di aiuti alimentari o perché costretti a scappare dai
bombardamenti. Né comprende i combattenti militari uccisi (che alcuni
analisti stimano, sulla base dell'esperienza di precedenti bombardamenti a
tappeto, superiori a 10.000), né i prigionieri massacrati a Mazar-i-Shairf,
a Qala-i-Janghi, all'aeroporto di Kandahar e altrove.

I sostenitori della guerra continuano a dire che queste morti sono solo
degli sfortunati, ma necessari, danni collaterali di una giusta campagna
combattuta per sradicare le reti globali del terrorismo. Non hanno niente in
comune, ci dicono, con le vittime civili degli attentati alle Torri Gemelle
perché ... i civili afgani non sono stai uccisi intenzionalmente dagli
americani.

In effetti, la distinzione morale è molto meno netta, tanto per usare un
eufemismo. Come sostiene Herold, l'elevato numero di morti civili afgani è
una conseguenza diretta della tattica e della scelta di obbiettivi da parte
degli USA (e dei britannici). La decisione di affidarsi principalmente a
bombardamenti aerei da alte quote, di colpire le infrastrutture urbane e di
attaccare ripetutamente città e villaggi ad alta densità di popolazione è
stata una scelta consapevole al fine di non mettere a rischio le vite di
piloti e soldati americani e inglesi, sacrificando invece un numero
elevatissimo di vite sul terreno: ma non dei loro nemici dichiarati, i
Talebani, ma di civili afgani. Migliaia di innocenti sono stati uccisi negli
ultimi due mesi, non come danno collaterale inevitabile nella battaglia per
rovesciare il regime dei Talebani, ma come conseguenza del basso valore
attribuito alla vita dei civili afgani da parte degli strateghi militari
americani.

I raid su obbiettivi come la diga idroelettrica di Kajakai, la centrale
telefonica di Kabul, la sede delle televisione Al Jazeera, camion e autobus
colmi di rifugiati e autocisterne civili che trasportavano carburante ...
tutti questi non sono stati errori. E le persone morte in questi
bombardamenti non sono state uccise per sbaglio. Ma l'opinione pubblica
occidentale è diventata sempre meno sensibile a queste persone uccise in
loro nome. Dopo che gli AC-130 americani avevano distrutto il villaggio
agricolo di Chowkar-Karez in ottobre, uccidendo almeno 93 civili, un
portavoce del Pentagono si è sentito di poter affermare che "quelle persone
sono morte perché le volevamo morte". Mentre il Ministro della Difesa
Rumsfeld alle domande ha risposto: "Non posso affrontare l'argomento di quel
villaggio."

Ieri Rumsfeld, senza volere, ha ammesso la scarsità di impatto che la
campagna in Afghanistan (che ancora, lo ricordiamo, non è riuscita a
raggiungere il suo scopo principale: assicurare alla giustizia Bin Laden e i
leader di Al Qaida) ha avuto sinora sulla minaccia terrorista, ipotizzando
nuovi attentati cataclismici, anche su Londra. Non si farà nessun minuto di
silenzio e raccoglimento per i morti civili afgani, non ci saranno necrologi
per loro nei nostri giornali, né commemorazioni funebri alla presenza dei
nostri Primi Ministri, come si fece per le vittime delle Torri Gemelle. Ma
ciò che è stato dimostrato, in modo crudele e incontrovertibile, è che gli
Stati Uniti e i suoi seguaci di campo sono disposti a sacrificare migliaia
di innocenti in una guerra combattuta da vigliacchi.