Un significativo articolo scritto prima dell'11 settembre 2001



Un significativo articolo scritto prima dell'11 settembre 2001
spunti da un articolo apparso sul N. 86 de "La Contraddizione"

chiuso in redazione il 3 settembre 2001

a cura di Vinicio Gasparrone



Sfoglio annoiato gli indicatori statistici. Il Superindice americano
èpositivo per la quarta volta di seguito. Poi vai a leggere dentro e scopri
che è positivo perché è aumentata l'offerta di moneta, sono diminuite le
domande di sussidi di disoccupazione, che è sempre più difficile richiedere
ecc. ecc .. La produzione è invece in calo per il decimo mese consecutivo.
E allora capisci che la recessione deve ancora venire. E che sarà dura.

Gli americani sono liberisti finché il dollaro è sopravvalutato e flussi di
capitali si riversano a comprare la "mondezza" della new economy. Ma per
combattere la recessione ora devono abbassare il dollaro. Un poco, solo un
poco, quel tanto che gli basta per recuperare quote di mercato. Se per caso
di abbassa un po' di più la frittata è fatta. Devono atterrare tenendo su
il muso dell'aereo. Se no è la fine di tutto ... Gli Stati Uniti oggi
attirano il 64 % del totale dei flussi netti di capitale, pari al 7,75%,
del risparmio mondiale. Se i "mercati' si convincono che il dollaro può
scendere assisteremo al più grande deflusso di capitali della Storia...



Il liberismo è l'ideologia rovesciata del monopolio monetario e finanziario
che l'America impone sul resto del mondo. Comprate quello che volete, basta
che lo paghiate in dollari. Fate tutti i debiti che volete, basta che li
contraete presso una banca americana e che siano denominati in dollari. Ma
questa volta il buco è troppo grosso : 450 miliardi di dollari nel 2000.
Nel solo mese di giugno 2001 il disavanzo commerciale è di 29,41 miliardi
di dollari. Alzare le spese militari. Questo è l'unico sistema.Investire in
armi, venderle, usarle. Distruggere ricchezza e poi ricostruirla : warfare
invece di wefflare. Benessere selettivo, keynesismo elitario e quìndi
ampiamente giustificato e gradito dai 1iberisti" del Texas. L'unico dubbio
è dove.



Qui entrano in scena i geopolitici.Attenzione sono una famiglia con strette
regole di eugenetìca e filiazione spirituale. Prendiamo Condoleeza
Rice,stella emergente nel "clan" dei Bush. 1 suoi mentoris sono il Gen.
Brent Scowcroft (consigliere alla sicurezza di papà Bush) e Josef Korbel,
che è stato mentore e padre adottivo anche di quella gentildonna che
risponde al nome di Madeleine Albright. Korbel era un professore
specializzato in "Russia e comunismo", amico di Zbìgnew Brezinski, quello
della Grande Scacchiera. Tutti fanno capo a due grandi vecchi della
politica estera usa : Kissinger e Huntington, l'autore indimenticabile
dello Scontro di civiltà.



Zbygniew Brzezinsky, La grande scacchiera:

"L'Eurasia occupa la scacchiera sulla quale si svolge la lotta per il
dominio sul mondo. La maniera in cui gli Usa "gestiscono" l'Eurasia è di
importanza cruciale. Il più grande "continente" sulla faccia del pianeta ne
costituisce anche l'asse geopolitico. Qualunque potenza che la controlli,
controlla anche due delle tre aree più sviluppate e maggiormente
produttive. Il compito più urgente per gli Usa è sorvegliare affinché
nessuno stato o gruppo di stati abbia la possibilità di cacciarli
dall'Eurasia o anche solo di indebolirne il ruolo di arbitro. Nel 2010, la
collaborazione franco-tedesca (polacco-ukraina) potrebbe diventare la
colonna portante geostrategica dell'Europa. Ma potrebbe anche presentarsi
uno scenario potenzialmente molto insidioso: la nascita di una grande
coalizione tra Cina, Russia, e forse Iran, in chiave antiegemonica".



Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale:

"La guerra del Golfo è stata la prima "guerra tra civiltà" dell'epoca
post-guerra fredda. La posta in gioco era stabilire se il grosso delle
maggiori riserve petrolifere del mondo sarebbe stato controllato dai
governi saudita e degli emirati oppure da regimi indipendenti
antioccidentali in grado e forse decisi a utilizzare l'arma del petrolio
contro l'occidente. Si assicurò un'imponente presenza militare nel Golfo
anche in tempo di pace. Al termine del conflitto, il Golfo Persico era
diventato un lago americano. Se avrà seguito, l'ascesa della Cina produrrà
nei primi anni del XXI secolo tensioni tremende sulla stabilità
internazionale. L'emergere della Cina quale potenza dominante in Asia
orientale e sudorientale andrebbe contro gli interessi americani così come
questi sono stati storicamente concepiti."



Israele è la miccia sempre accesa. Quanto è lunga la miccia e fino a dove
può bruciare? La polveriera non è in Medioriente. Il Medioriente al massimo
è la seconda parte dellamiccia. La polveriera è in un punto imprecisato
della cosiddetta area "turanica"(Iran, Afghanistan, Tagikistan,
Khirghisistan Azerbaijan, Uzsbekistan, Pakistan) : da secoli il ventre
molle della Russia; ma (attenzione) è il ventre molle anche della Cina.
Dalle etnie Uigure (turche) si risale verso lo Xin Xiang: il più grande
bacino minerario e petrolifero del mondo.

Da lì si controlla tutta l'Eurasia. Si controllano "corridoi" del terzo
millennio. Da lì - da quei "corridoi eurasiatici" - passano gli oleodotti.
Da lì passano le vie della droga. Da lì passano i mercanti di "schiavi" che
riforniscono le industrie e i commerci di tutto il mondo.

1 democratici di Clinton avevano preferito la più nota "via dei Balcani".
Puntavano anche loro verso il centro dell'Eurasia, ma volevano arrivarci
con le bandiere della "democrazia", la Nato, gli europei. E soprattutto non
volevano problemi con la Cina. Anzi volevano "pacificare" tutto il
Pacifico. Bush no. Ha bloccato qualsiasi accordo sulla riunificazione delle
Coree, ha ripreso le "guerre stellari" ....



"Octopus"come viene chiamato il complesso militare di spionaggio e droga
(intelligence, dicono) che da oltre 40 anni governa la politica estera
americana punta verso l'Eurasia.

Da troppo tempo per mollare la presa oggi.





E arrivò l'11 settembre ......



IlSole24ore,18-9-01

ANALISI


Sull'Afghanistan dei talebani convergono gli interessi strategici legati a
oleododdi e gasdotti
Kabul siede sulle vie del greggio

di Roberto Capezzuoli

Il petrolio è la materia prima i cui scambi sovrastano quelli di ogni altro
prodotto di base.
Il volume d'affari dei combustibili nel commercio internazionale
rappresenta, in valore, più del 50% del volume che si registra per tutte le
commodity nel loro complesso.
Le direttrici dell'oro nero e del gas naturale sono quindi altrettanto
importanti del petrolio stesso.

Questa è, da sempre, la chiave che consente di dare spiegazioni a guerre
senza fine, combattute in Paesi che spesso sono poverissimi e privi di
risorse.
Essa fornisce anche spiegazioni al periodico affacciarsi di nazioni come
l'Afghanistan sul proscenio della politica internazionale.

Gli oleodotti (e naturalmente anche i gasdotti) sono un impareggiabile
mezzo di trasporto per le aree che non hanno sbocco al mare, accorciano le
distanze tra i pozzi e le attrezzature portuali, danno garanzie di durata
e, normalmente, anche di economicità di gestione.
Sono però "vie" poco flessibili, esposte alle alterne vicende geopolitiche,
soggette a possibili attentati.
Ma il loro valore è immenso, perchè oltre a trasportare le principali fonti
di energia sono in grado di modificare proprio la sudditanza dalle
alternative politicamente scomode, o comunque vulnerabili.

E' un interesse economico quello che guida i tracciati delle grandi vie del
petrolio.
Ma è soprattutto un interesse strategico.
Proprio in questo contesto Kabul - città rasa al suolo più volte,
poverissima, con le sue donne coperte dal bourqa e con la legge islamica
che abbatte statue e rifiuta la tv - gioca nello scacchiere internazionale
un ruolo tutt'altro che nuovo.

Da secoli l'Afghanistan è considerato dai russi il naturale sfogo verso i
mari caldi, per evitare le forche caudine del Bosforo, troppo facili da
chiudere, strozzando l'economia russa e costringendola, come alternativa, a
fare i conti con i mari ghiacciati dell'estremo Nord.
Per secoli il paese è stato anche l'ambizione degli inglesi, desiderosi di
uno sbocco verso le aree dell'Asia centrale, dove le frequenti lotte tra
etnie diverse lasciavano (e lasciano) spazi a una colonizzazione indiretta.
Come è noto le invasioni finora hanno avuto, per l'occupante, un esito
disastroso. Ma non abbastanza per cancellare l'Afghanistan dall'elenco dei
progetti strategici.

La posta in gioco sono le strade del greggio e del gas, e non da ieri (si
veda <Il Sole-24 Ore> del 10 maggio scorso).
La Russia, indebolita ma desiderosa di tenere il controllo sulle frontiere
asiatiche, vede ancora nell'Afghanistan un nodo importante, come all'epoca
dell'invasione di Breznev.

Gli Stati Uniti, oggi con gli occhi puntati sul paese asiatico per ben
altri motivi, sono forse ancor più interessati da un punto di vista
economico e strategico a Kabul, che potrbbe ospitare una pipeline capace di
aggirare la Russia e di evitare l'Iran, conducendo gas e petrolio dal
Turkmenistan e dalle altre repubbliche ex-sovietiche verso il Pakistan o
verso l'India, e poi verso il mare, senza quindi affrontare i nodi politici
di paesi di cui Washington ha buone ragioni per diffidare.

Sicuramente anche la Cina, reduce da un patto di non aggressione con Mosca,
ha suoi piani precisi sulla struttura più vantaggiosa da dare all'area, e
tutto ciò anche se finora nessuno ha trovato in Afghanistan giacimenti di
petrolio, di gas, e nemmeno di oro e di pietre preziose.

Per gli Stati Uniti una pipeline che tagli fuori Caucaso e Iran
costituirebbe l'affrancamento dai rifornimenti di greggio provenienti dal
Golfo Persico.
Una considerazione che difficilmente sarà trascurata, anche in questi
frangenti.

La via migliore per una condotta, che sembrava passare per Herat, è oggi
saldamente controllata dai Talebani, anzi, è stata la loro prima grande
conquista, non a caso.
Però non sono all'orizzonte alternative al regime pashtun, quello che è
oggi al potere a Kabul, e nemmeno in caso di guerra dichiarata si può
prevedere una stabilità politica che restituisca vigore ai giochi nell'area.

Un oleodotto infatti non è investimento di poco conto.
Leonardo Maugeri, nel suo recente libro <Petrolio>, ricorda che il prezzo
medio di un oleodotto è di un milione di dollari al chilometro, stazioni di
pompaggio e valvole comprese, ma può salire di molto se la zona è
geograficamente impervia.
Non costituisce invece un problema la lunghezza: l'oleodotto
"dell'Amicizia", che collega il Volga russo alla Germania, ha una portata
di 1,4 milioni di barili al giorno ed è lungo più di 2mila chilometri,
mentre la pipeline che dalla città canadese di Edmonton conduce a Chicago
arriva a 3mila chilometri.

Quel che è da ridurre ai minimi termini è invece il rischio di furti e di
sabotaggi.
Forse è anche su questi interrogativi che si sviluppano oggi le
considerazioni dei vertici economici e militari americani, che per
garantirsi un appoggio russo o pakistano rischiano di dover concedere ad
altri il controllo delle highway del petrolio.