Talebani a Torino



SCENE DI DIDATTICA TALEBANA


Il presidente del Consiglio ha poi aggiunto che l'Occidente comunque è
destinato a continuare ad "occidentalizzare e conquistare i popoli". "L'ha
fatto con il mondo comunista, l'ha fatto con una parte del mondo islamico".
Ma, ha sottolineato, c'è "un'altra parte ferma a 1400 anni fa". E, da
questo punto di vista, "dobbiamo essere consapevoli della superiorità e
della forza della nostra civiltà ". "Credo che si debba essere convinti di
questo", ha detto ancora Berlusconi ricordando le "tante lotte, i tanti
contrasti, le controversie, le guerre, ma anche le conquiste della nostra
civiltà ". Tra queste ha ricordato "le libere istituzioni e l'amore per la
libertà".
da   "Il Corriere della Sera", 26 settembre 2001


L'evolvere dei costumi, lo stesso significato che viene dato a termini
apparentemente non equivoci come "libertà" può essere compreso, a volte,
attraverso la riflessione su eventi apparentemente minori che pure ci danno
l'immediata percezione dell'aria che si respira nella società. E' per
questo motivo che riteniamo utile portare a conoscenza del maggior numero
possibile di persone una vicenda recentemente avvenuta al Liceo Gioberti di
Torino.
Venerdì 14 settembre una circolare del Ministro dell'Istruzione "invitava
caldamente" tutte le scuole italiane a partecipare al lutto per le vittime
dell'attentato dell'11 dicembre, manifestando il proprio cordoglio con tre
minuti di silenzio.
La natura di questo invito è stata interpretata con dalla Dirigente
Scolastica del Liceo Gioberti, Angela Suppo, nella Circolare n. 16 che, nel
merito, afferma:
"I tre minuti di silenzio in commemorazione delle vittime erano obbligatori
o meno?
A prescindere dal fatto che nel linguaggio dell'amministrazione pubblica il
concetto di 'invito' non è analogo a quello di 'invito a pranzo', sempre
declinabile, la formula del caldo invito era chiaramente una formula di
cortesia. Forse anche, in una occasione simile, non dovuta."
Viene da chiedersi cosa abbia indotto una Dirigente Scolastica, sicuramente
oberata da molteplici impegni, ad impegnarsi nell'esegesi di una
comunicazione ministeriale.
Il mistero è presto risolto, un comunicato, firmato da 11 studenti delle
classi I e III B dello stesso liceo ci fa sapere, fra l'altro, che:

"Noi non condividiamo affatto gli atti terroristici e siamo profondamente
toccati dalla morte di tanti civili, non auspichiamo certo regimi
integralisti: di certo nessuno di noi è stato insensibile di fronte alle
catastrofiche immagini che la televisione ci ha trasmesso, anzi eravamo
increduli e impietriti per quello che stavamo vedendo. Ma abbiamo deciso,
dopo aver molto discusso con i compagni, di uscire dall'aula manifestando
il nostro dissenso di fronte al fatto che solo in questa occasione lo Stato
Italiano abbia deciso di mostrarsi addolorato.

Lunedì 17 la Preside si è presentata nelle nostre classi chiedendo i
nominativi di coloro che si erano allontanati dall'aula (ci chiediamo per
quale scopo lo abbia fattoŠ.), accusando i dissenzienti di essere dei
'fanatici hollywoodiani insensibili alla morte e facendoci sentire quasi
dei filoterroristi.".

A quanto ci è dato di comprendere:
- alcuni studenti hanno ricevuto un invito e , prendendo alla lettera il
termine, lo hanno declinato. Non hanno, però, che fosse simile ad un invito
a pranzo ed hanno motivato, con parole e scritti, la loro scelta. Hanno,
insomma, pensato di essere liberi di scegliere. E' stato, infatti,
insegnato loro che la nostra civiltà permette una relativamente ampia
libertà di pensiero, parola ed azione ed, evidentemente, hanno preso sul
serio gli insegnamenti ricevuti;
- il Dirigente Scolastico, che i suoi studenti continuano a chiamare
Preside forse perché ignari della rilevanza del ruolo che svolge, ha
interpretato la comunicazione ministeriale ed ha stabilito che si scrive
invito ma si legge ordine e che, di conseguenza, saremmo di fronte ad una
mancanza nei confronti della disciplina scolastica.

Sempre nella citata Circolare, moderna edizione delle grida di manzoniana
memoria, il Dirigente Scolastico afferma:

"Certo nessuno potrebbe costringere la mente umana a tenere un
raccoglimento interiore che non desidera praticare, ma certamente in tali
casi è corretto rispettare il silenzio degli altri, con un comportamento
che non dia disturbo, per non essere assimilati a chi ride e brinda alla
morte di un uomo. Poiché si sono verificati invece schiamazzi e risate, e
un'anticipazione dell'intervallo senza ritorno in classe al termine dei tre
minuti di silenzio, ritengo che il mio intervento, richiesto dalla docente
fiduciaria che aveva assistito all'episodio, sia stato doveroso, data la
tragicità del momento storico, per il ruolo che all'interno
dell'istituzione ricopro."

Questo brano è, a nostro avviso, un esempio interessante di un pensiero che
si sviluppa su più livelli: si da un ordine e lo si chiama invito, si
riconosce che non si può ordinare il raccoglimento interiore e ci si
accontenta di quello esteriore, si da un giudizio morale negativo non sul
comportamento di chi ha taciuto magari pensando ad altro ma su quello di
chi ha apertamente espresso il proprio punto di vista e ne ha tratto le
conseguenze. Un buon esempio di scuola gesuitica o, se si preferisce,
talebana.
D'altro canto, sull'aspetto strettamente disciplinare della vicenda il
comunicato degli studenti che, lo ripetiamo, è firmato afferma:

"Precisiamo infine che durante i 3 minuti noi, proprio perché rispettosi
dell'opinione altrui e non volendo affatto disturbare il silenzio, ci
stavamo recando nel cortile della scuola quando siamo stati bloccati dalla
coordinatrice della succursale che ci ha aggrediti verbalmente, intimandoci
di uscire fuori dall'edificio. Da parte nostra c'è stata, in un primo
momento, una reazione in risposta a queste parole, ma autonomamente abbiamo
deciso di ignorare la provocazione e di scendere in cortile per evitare di
violare il silenzio."

Ci si trova, insomma, di fronte a due testimonianze sullo stesso fatto (i
presunti schiamazzi): una della Dirigente Scolastica e l'altra degli
studenti coinvolti in questa vicenda. Ognuno è libero di prestare fede a
quella che gli sembra più verosimile. E', però, opportuno rilevare che vi è
un pieno accordo sulla questione centrale: si è ritenuto di imporre agli
studenti un precisa posizione politica e vi è stato il rifiuto di discutere
con loro le ragioni della loro scelta contraria a quell'imposizione. Se gli
studenti, infatti, affermano che:

"Dopo il suo discorso teso a colpevolizzarci e a condannare la nostra
scelta, la Preside è andata via senza darci la possibilità di replica."
Effettivamente, infatti, se è stato violato un ordine per di più moralmente
indiscutibile, non vi era ragione di discutere con dei giovinastri.
Se, come crediamo, la scuola pubblica deve essere aperta al libero
confronto delle idee e delle posizioni, in un angolo della nostra Torino la
libertà, che dovrebbe distinguerci dagli integralismi di tutti i tipi, è
stata posta sotto sorveglianza.

Fatti del genere devono, a nostro avviso, far discutere e stimolare
all'azione. Troppo spesso la logica della guerra, dello scontro, dello
schieramento rende coloro che pretendono di difendere la libertà simili, se
non peggiori, ai nemici, reali o presunti, che affermano di combattere.


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