Note di un'antiamericana



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From: Lorenzo <lorenzocalza at tin.it>
Sent: Tuesday, September 25, 2001 12:32 AM
Subject: Un'analisi molto lucida.


Anche chi non la condivide, legga. Ne vale comunque la pena.

Lorenzo


Note di un'antiamericana
ROSSANA ROSSANDA
il manifesto di sabato 22 settembre

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/22-Settembre-2001/art1.htm


Osiete con me o siete con bin Laden, grida Bush, mentre si appresta a
punire l'Afghanistan, talebani, non talebani e popolo inclusi. Conosco
il ricatto. Non ci sto. Non mi schiero con Bush e lascio agli stolti
di dedurne che sono con bin Laden. Vorrei ragionare su quel che è
successo, su quel che può succedere e sul che fare.

L'11 settembre non è stata una guerra. Le guerre impegnano le nazioni.
E' stato un atto terroristico e ne possiede tutti i lineamenti: la
priorità del simbolo, il colpire inatteso, la segretezza della mano,
l'intreccio omicidio suicidio, destinati a moltiplicare il panico. Il
terrore ha per primo fine il terrore. Non tutti i molti attentati
della storia sono terroristici, ma questo sì: chi lo ha compiuto
conosceva il bersaglio, le debolezze del suo dominio dal cielo, la
sicura amplificazione dei media. Grazie ai quali le due Torri sono
crollate non una ma diecimila volte sugli schermi, aiutando a gridare:
è una guerra e chiamando alla guerra. Gli attentatori lo avevano
certamente messo nel conto.
Non è stata l'apocalisse. Non nell'accezione ingenua della
devastazione enorme: altre più massicce devastazioni si sono seguite
negli ultimi dieci anni. Ma non abbiamo definito apocalisse quella dei
centocinquantamila sgozzati in Algeria, dei sei settecentomila Tutsi
uccisi dagli Hutu, dei trecentomila ammazzati nell'Iraq
dall'operazione "Tempesta nel deserto" e il mezzo milione di bambini
che muoiono, si dice, per l'embargo dei medicamenti. Tanto meno i
trentacinquemila morti in Turchia e i settantamila in India, in questo
stesso 2001, anche se la speculazione non è estranea a quelle
catastrofi. Dunque alcune stragi pesano come montagne, altre come
piume? Se non è corretto valutare un evento soltanto dal numero delle
vittime non è neanche lecito valutarlo soltanto dal vulnus portato
all'idea di sé che ne ha chi ne è ferito, in questo caso gli Stati
uniti. Ancora più torbido il richiamo colto all'Apocalisse: scontro
finale fra la Bestia e l'Agnello. Il Bene siamo noi la Bestia sono
loro. Così ha detto Bush e ha aggiunto "Dio è con noi".
Non è stato l'assalto dell'Islam alla cristianità, come sulle prime si
è detto (antinomia veneranda, ricorda Bocca). Poi ci si è ritratti con
imbarazzo: non è l'Islam ma il fondamentalismo islamico che colpisce
l'occidente cristiano. Ma l'Islam è un oceano e dimostrare che ha i
suoi fondamentalismi è facile quanto dimostrare quelli del
cristianesimo e dell'ebraismo. E tuttavia Ariel Sharon non è "gli
ebrei", Pio XII non è stato "i cattolici" e neppure lo stolto Bush è
"gli americani", anche se di queste aree sono o sono stati i leader
designati. Cattiva polemica, confusione. In verità nulla fa pensare
che quello alle due Torri sia un attacco al cristianesimo, dubito che
sia un attacco alla democrazia, certo non lo è al mondo delle merci e
dei commerci contro il quale nessuno nell'Islam, neanche i talebani,
ha nulla. Chi ha colpito ha voluto colpire l'arroganza degli Stati
uniti nel Medioriente e metterne in difficoltà gli stati arabi
alleati.
Non è stata una vendetta dei poveri. L'Islam non parla di questione
sociale, ma senza questo i poveri non sono in grado di compiere che
una jacquerie. L'attacco alle due Torri è tutto fuorché una jacquerie.
Non è dei poveri né per i poveri la dirigenza della Jihad, che
traversa tutto l'Islam senza avere (ancora) uno stato proprio e gioca
anche sulla disperazione, ignoranza ed oppressione delle masse il cui
consenso è necessario alle dittature arabe, costringendo queste ultime
a tirare il sasso e nascondere la mano. La Jihad è agita da potentati
politici e finanziari che degli States conoscono il funzionamento e i
mezzi e in questo senso Osama bin Laden, saudita, già agente della
Cia, è un modello. Viene da una famiglia che dal 1940 è il più forte
gruppo di costruzione e trasporti dell'Arabia saudita, ma partecipa a
holding dell'elettricità (a Rihad e a La Mecca, a Cipro e in Canada),
nei petroli, nell'elettronica, nell'import-export, nelle
telecomunicazioni (Nortel e Motorola) e nei satelliti (Iridium).
Famiglia e Arabia saudita hanno liquidato Osama con due miliardi di
dollari che egli gestisce sulle borse e nella miriade di società off
shore dei suoi. E alimenta le ong islamiche Relief e Blessed Relief.
Questi sono "loro", la Bestia contro la quale ci leviamo, noi, il
Bene. Sono quelli che gli Stati uniti hanno creduto di utilizzare in
Afghanistan e nel Medioriente e oggi gli si rivoltano contro. E' una
lotta per il dominio in quello scacchiere. Non è fra i guai minori di
Bush che i saudiani siano i maggiori finanziatori della Jihad ma
l'Arabia saudita il paese più intrinsecamente legato agli interessi
americani.

La vera domanda è perché ora? Fino a dieci anni fa la Jihad non era
così forte e fino a dieci giorni fa agiva solo all'interno dell'Islam,
ala ortodossa contro le "deviazioni", l'Algeria è il più sanguinoso
esempio. Finché non ne è stato toccato, l'occidente non se ne è curato
affatto, privilegiando i rapporti d'affari, massacratori o
fondamentalisti che fossero i detentori di gas per l'Europa, di armi
contro l'Unione sovietica o gli alimentatori di un contenzioso
pakistano contro l'India. Non se ne è curato quando sotto gli occhi di
tutti sono affluiti, negli ultimi anni, ad addestrarsi
nell'Afghanistan, i fondamentalisti di ogni provenienza.
E invece si doveva vedere come la Jihad assumesse grandi dimensioni da
quando il Medioriente ha smesso di essere assieme paralizzato e
coperto dal deterrente delle due superpotenze e una sola di essa è
rimasta in campo, gli Stati uniti. I quali sono diventati parte in
causa, sollecitatori e finanziatori di tutti i conflitti del settore,
per i loro immediati interessi o per inintelligenza dei processi.
Neanche l'acuto Noam Chomski si ricorda che prima del 1989 una guerra
nel Golfo sarebbe stata impensabile. E che chi negli emirati vi ha
chiamato gli States, da tempo non apprezza che essi così pesantemente
vi restino. Non apprezza, il mondo arabo, che gli Usa esigano il
rispetto delle risoluzioni dell'Onu dall'Iraq ma non lo esigano (e non
occorrerebbe una guerra) da Israele. La Jihad insomma è cresciuta nel
venire affine di qualsiasi visione laica di riscatto di quelle
popolazioni con la caduta dell'Urss e col blocco assieme contingente e
leonino fra dirigenze arabe e Pentagono. Nazionalismo,
fondamentalismo, concretissimi interessi di alcuni e disperazioni di
molti hanno fatto della Jihad la miscela esplosiva che oggi è.
Azioni e reazioni degli Stati uniti le hanno facilitato il terreno di
coltura, come lo accrescerà la dissennata reazione di Bush che farà a
pezzi in Afghanistan molti, non bin Laden, e però non oserà invaderlo:
i russi gli hanno spiegato che non ce la farebbe. Ma bombarderà a
destra e a sinistra Kabul e forse, secondo le abitudini, Baghdad. Si è
sbagliato chi di noi ha pensato che l'unificazione capitalistica
facesse degli Usa un impero, sia pur meno colto di quello che già non
piaceva a Tacito, ma che sarebbe stato oggettivamente assimilatore e
mediatore. Gli Usa non sono questo. Si muovono in modo ancora più
arrogante di Francia e Inghilterra, che avevano spartito con l'ascia
la regione, e per di più in tempi che offrono a chi si sente umiliato
e offeso i mezzi e i saperi per destabilizzare chi lo umilia o lo
offende.
Nulla è stato più stupido che allevare il terrorismo e pensare di
servirsene. Esso è imprendibile e lo resterà finché non avrà perduto
il consenso sul suo proprio terreno. Ma non lo perderà di certo mentre
Bush bombarda l'Afghanistan. Anzi con questa azione gli Stati uniti
perderanno anche il sostegno degli stati arabi finora amici. La Lega
araba ha già cominciato. Bush si infila in una guerra dalla quale non
tirerà fuori i piedi perché l'ha promessa ai suoi concittadini, che al
92 per cento la vogliono anche loro: ma non dividerà gli stati arabi,
e accrescerà il potenziale di vendetta della Jihad. La sola guerra che
è in grado di vincere è in casa sua contro la tanto vantata "società
aperta": effetto fatale delle emergenze. Si espone a essere colpito di
nuovo, a non vincere da nessuna parte e perdere poco a poco il
consenso che la scossa dell'11 settembre gli ha dato.
Ci sono errori senza rimedi.

Se ne accorge l'Europa che ora lo sostiene ora ne prende le distanze,
firma patti scellerati con la Nato e poi elucubra sull'articolo 5, non
vuole mandare i ragazzi di leva nelle montagne afghane né complicarsi
le cose con i musulmani che si trova in casa, né col Mediterraneo,
dove l'Italia della seconda repubblica - sia detto fra parentesi - fa
ancora meno politica della prima.
Dovremmo accorgercene anche noi, che pure siamo stretti fra la spada e
il muro, perché non c'è occasione che non sia buona per cercare di
massacrare la poca sinistra che resta. Abbiamo anche noi le nostre
colpe, non fosse che di omissione. Scrive Pintor che non ci
aspettavamo quel che è successo: è vero. Ma non è una virtù. Come gli
Usa abbiamo guardato a noi stessi e non al mondo, dove pure nulla era
nascosto. Coprendoci il capo con la cenere dei comunismi, abbiamo
cessato di guardare a chi era incastrato in condizioni materiali più
delle nostre tremende. Prendiamo la Palestina: uno stato confusionale
fa oscillare la sinistra fra senso di colpa verso gli ebrei, rigurgiti
di antisemitismo e, come ha scoperto Mannheimer, vorremmo tanto che i
palestinesi smettessero di agitarsi. Tale è il peso del fallimento dei
socialismi reali che alcuni di noi si sono persuasi che nulla ci sia
da fare, tanto il male è nel mondo e il mondo è del male, mentre
alcuni altri si sono illusi sulle virtù rivoluzionarie di identità
arcaiche, che ci sono parse lodevoli perché antimoderniste e tutte si
sono involte su sé stesse, fra degenerazione e paralisi.
Ora gli eventi ci presentano i conti e bisogna rispondere per quello
che siamo. Non siamo tutti americani - io almeno non lo sono. Non
apprezzo i "valori" liberisti che gli Stati uniti impongono, mi duole
il lutto dei loro cittadini ma non mi piace che si credessero al di
sopra delle conseguenze di quel che il loro paese fa. Mi si dirà
antiamericana? Sì lo sono, e mi stupisco che esitino tanto ad esserlo
molti amici che più di me in passato lo erano. Considero che gli Stati
uniti stiano facendo ancora una politica imperialista che ferisce
altre popolazioni e si rivolterà contro loro stessi: sono
antimperialista, altra parola che mi sembra bollata di ostracismo.
La verità è che siamo deboli. Ma questo non ci assolve dal dire no,
Bush è un pazzo pericoloso, non colpirà la Jihad ma molta gente senza
colpa, e spingerà gli Stati uniti a vivere assediando il mondo e ad
esserne assediati.