G8 e guerra



G8: GENERE, GLOBALIZZAZIONE E GUERRA

Elettra Deiana

L'ordine globale del mercato e della società ridotta a marchio - per dirla
con Naomi Klein - procede di pari passo con l'ordine globale della guerra.
Anzi è un tutt'uno con esso, se ne nutre intrinsecamente e inesorabilmente,
non ne può prescindere. Quando si parla contro la globalizzazione e si vuol
giustamente contrastare l'idea che si tratti di un "naturale" processo
economico in sé né buono né cattivo ma "orientabile" in un senso o
nell'altro, tale addirittura da accogliere alcune grandi istanze del
movimento che lo contesta, bisogna ricordare anche - e forse innanzitutto -
la logica e la pratica di guerra che presiede alla globalizzazione e la
struttura alla radice.
Non è un caso che, nell'imminenza del G8, accadano nel mondo due fatti di
notevole significato politico e simbolico, oltre che pratico. Il primo è
l'inaugurazione programmata a Genova, per oggi 17 luglio, di una nuova
portaerei da 4000 miliardi di lire. Il taglio del nastro vedrà la presenza,
come è ovvio, del neo-ministro alla Difesa Antonio Martino, in compagnia
degli stati maggiori della Marina e delle Forze armate e in un clima di
esaltazione militare intorno alle meraviglie tecnologiche del nuovo
"gioiello" di famiglia, che concorrerà - così si dice - a fare grande
l'Italia nel consesso mondiale dei grandi. Non potrebbe esserci dunque
episodio più emblematico della vera natura del summit mondiale, che ha
costretto la città di Genova a subire l'onta della militarizzazione,
dell'assedio poliziesco, dello scempio delle garanzie democratiche che la
Costituzione assicura alla vita quotidiana. A cominciare da quella,
elementare ma essenziale, di potersi muovere liberamente nella propria
città.
Aumento delle spese militari: questo è uno degli aspetti strutturali
dell'intreccio fra ordine globale del mercato e ordine globale della guerra.
La corsa all'incremento delle spese militari vede ormai coinvolti tutti i
Paesi occidentali, a cominciare ovviamente dagli USA e a dispetto,
altrettanto ovviamente, delle raccomandazioni delle Nazioni Unite. Essa è
destinata a conoscere nuovi, inquietanti balzi in avanti, nuove inquietanti
urgenze dettate dalla "sicurezza" occidentale. In Italia, tra il 2000 e il
2001, quindi sotto la guida di un governo di centrosinistra, le spese
militari sono aumentate di oltre il dieci per cento. Non c'è dubbio che esse
siano destinate a lievitare ulteriormente fin dalla prossima finanziaria,
perché, ha assicurato il ministro Martino nella sua prima audizione in
Commissione Difesa alla Camera, "le politiche della difesa sono divenute un
fattore di importanza primaria, sempre più spesso chiamate a dare il loro
contributo e comunque a essere cruciali per la definizione dei nuovi
rapporti internazionali". E perché anche l'Italia, ha spiegato il ministro,
non può più restare confinata nel ruolo di Paese "consumatore di sicurezza"
ma deve attivamente porsi all'avanguardia tra quelli che sono "produttori di
sicurezza". Cioè fabbricanti di armi, responsabili armati dell'ordine e
della sicurezza del mercato mondiale.
Da Genova agli USA: la distanza è grande ma la logica è la stessa. Grande
clamore mediatico dunque e tripudio militar-patriottico per il successo del
primo test anti-missile dell'era imperiale di Bush II. E' questo il secondo
episodio di portata paradigmatica scandalosa, se ancora gli scandali
facessero scandalo, a cui guardare con attenzione per interpretare
adeguatamente la globalizzazione e l'evento G8. Il Grande per antonomasia
tra i Grandi - il presidente Bush appunto - se ne viene al summit di Genova
con questo biglietto da visita, mal digerito ma non contrastato da alcuni
partner europei, indigesto ai Paesi che stanno fuori dall'ambito della
stretta fedeltà alla Nato, insopportabile per tutti gli altri. E' difficile
dare torto a questi ultimi.
Gli USA riaffermano così che la barra imperiale è totalmente nelle loro
mani, che possono infrangere, quando vogliono e come vogliono, regole,
accordi, trattati, da quello di Kyoto sull'ambiente passando per il trattato
Abm del '72, che impose la moratoria delle armi nucleari. Ma gli USA, in
questo modo, inaugurano anche, o cercano di inaugurare, un nuovo New deal
militar-guerresco: la produzione di armamenti di ogni tipo come volano della
ripresa economica. Un inquietante deja vu, squisitamente capitalistico, un
tragico "ricorso" storico di natura imperial-imperialista.
Hanno dalla loro, gli Usa, le potenze occidentali, l'Italia di Berlusconi,
l'ideologia della "nuova" sicurezza occidentale, della "nuova" Nato, del
"nuovo" modello di difesa. Tutti concetti che i governi di centrosinistra
hanno accolto, legittimato, realizzato, fino all'accettazione, pratica e
ideologica, della guerra umanitaria nei Balcani. Così stanno le cose e fino
ad oggi, su questo fondamentale versante delle scelte e degli orientamenti
politici, non ci sono state smentite né grandi né piccole da parte del
centrosinistra.
Il governo è intenzionato a essere veramente all'avanguardia. Ne possiamo
essere certi. Infatti, secondo il ministro Martino, "l'Italia deve poter
raggiungere a medio termine un livello di spesa, per la funzione difesa,
allineato a quello dei maggior partner europei, cioè circa l'1,5 del PIL"
contro l'attuale 1,O9 per cento e deve efficacemente garantire la
transizione al nuovo modello di difesa basato sull'esercito professionale e
sulla riqualificazione complessiva di questa trasformazione. Tutto questo -
è sempre il ministro a assicurarci - per il fatto che il governo è ben
consapevole di quanto profondo sia il mutamento del concetto di difesa nel
nuovo scenario mondiale e di quali siano di conseguenza i nuovi compiti che
ne discendono: non più di difesa in "senso classico" ma di gestione di crisi
locali e regionali: peace support operations, insomma. Ovvero compiti
ispirati al modello Nato come gendarme del mondo, contro tutto ciò che
disturba l'impero alle sue frontiere e ai suoi confini, secondo lo spirito
della nuova Nato emerso e consacrato nel summit di Washington dell'aprile
del 1999. In piena guerra contro la Federazione Iugoslava.
La globalizzazione è anche questo e anche questo deve entrare come capitolo
di prima grandezza nella discussione, riflessione, azione culturale e
politica del movimento dei movimenti, che in questi giorni si è dato
appuntamento a Genova. E che doverosamente dovrà recuperare il contributo
che in tal senso è venuto con grande forza dal controvertice femminista
"Punto G, genere e globalizzazione" che, sempre a Genova, il 15 e 16 giugno,
ha aperto la contestazione al G8 proprio mettendo al centro dei suoi lavori
l'intreccio tra dinamiche economiche e dinamiche militari.



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