[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 120



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 120 del 22 giugno 2021

In questo numero:
Piero Craveri, Karl Egon Loenne, Giorgio Patrizi: Benedetto Croce (parte prima)

MAESTRI. PIERO CRAVERI, KARL EGON LOENNE, GIORGIO PATRIZI: BENEDETTO CROCE (PARTE PRIMA)
[Dal Dizionario biografico degli italiani, vol. 31, 1985, nel sito www.treccani.it]

Benedetto Croce nacque a Pescasseroli (L'Aquila) il 25 febbraio 1866 da Pasquale e Luisa Sipari, di famiglia abruzzese i cui titoli di proprieta' risalivano al sec. XVII. Il nonno Benedetto (1794-1854), magistrato borbonico, era stato consigliere presso la Suprema Corte di giustizia in Napoli.
Fu educato a Napoli: iscritto a nove anni al collegio della Carita', prosegui' gli studi al liceo Genovesi. Nel 1883 si trasferiva a Roma nella casa dello zio Silvio Spaventa, divenuto tutore suo e dei fratello Alfonso, dopo la morte dei genitori e della sorella nel terremoto di Casamicciola di quell'anno. Si iscrisse alla facolta' di giurisprudenza e seguo' con scarso profitto solo i corsi del primo anno, in particolare quelli del Filomusi-Guelfi. L'anno seguente prese a frequentare le lezioni di filosofia morale di Antonio Labriola, che aveva conosciuto nella casa dello zio Silvio, in via della Missione, luogo di incontro del mondo politico, intellettuale e giornalistico della capitale.
Nel 1886, senza pensare piu' alla laurea, che non prese mai, tornava a Napoli. Fin dagli anni dei liceo aveva inclinazione per gli studi eruditi e letterari, di cui sono testimonianza i primi scritti pubblicati dal 1882 (Pagine sparse, 2, 1, 1943) che aveva proseguito nel soggiorno romano lavorando soprattutto alla Biblioteca Casanatense. A Napoli il C. entro' nel fiorente ambiente di eruditi e studiosi della Societa' storica, allora presieduta da Bartolomeo Capasso, legandosi di profonda amicizia col De Blasiis, S. Di Giacomo e M. Schipa.
Prendono inizio in questi anni gli studi del C. sul 1799 che, accresciuti da altri contributi nell'anno del centenario, vennero poi raccolti ne La rivoluzione napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche (1899), e sulla storia culturale e politica dell'Italia meridionale dei periodo aragonese, in parte poi raccolti in Storie e leggende napoletane e in Uomini e cose della vecchia Italia e altre sillogi. Di questo periodo (1889-1891) e' anche l'ampia monografia su I teatri di Napoli dalla Rinascenza alla fine del secolo decimottavo, di cui redasse anche una diversa edizione nel 1916.
Nel 1892, con S. Di Giacomo, il C. dava vita alla rivista Napoli nobilissima, che uscira' fino al 1906 (ebbe una breve ripresa negli anni 1920-22), volta a illustrare i monumenti storici ed artistici napoletani e a divulgare la conoscenza dell'arte antica meridionale. La rivista fu affidata per la redazione a Giuseppe Ceci, ed in essa il C. scrisse una messe di articoli, rubriche e note.
Ma il lavoro piu' maturo di questo periodo sono le ricerche raccolte successivamente nel volume su La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza (I ediz., Bari 1917). illustrazione di taluni aspetti della vita morale e civile dell'Italia nel Quattro-Cinquecento. Fu con quest'ultimo lavoro, opera ancora frammentaria, che si fecero piu' stringenti nel C. gli stimoli ad approfondire i problemi logici e metodologici della storiografia e ad orientare gli studi in quella direzione che diede il suo primo frutto con la memoria su La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte letta nel 1893 all'Accademia Pontaniana, di cui era divenuto uno dei soci piu' attivi.
Questa prima inclinazione del C. per gli studi filosofici ebbe una svolta decisiva nel 1895, quando il Labriola, con cui i rapporti, stretti durante il soggiorno romano, non si erano mai interrotti, gli invio' il suo opuscolo In memoria del "Manifesto dei comunisti", che egli fece pubblicare presso la casa editrice Loescher, come in seguito altri scritti del Labriola. Ne derivo' per il C. un forte impulso allo studio della filosofia e dell'economia e un interesse nuovo alla vita civile e politica. Fu un "appassionamento politico", in primo luogo per le dottrine socialiste, che lo fece entrare in rapporto con gli ambienti del socialismo italiano, ma che ando' negli anni seguenti stemperandosi nel corso degli studi che intraprese sul marxismo, che lo portarono a scrivere su alcuni aspetti centrali di esso i saggi - poi raccolti nel volume Materialismo storico ed economia marxistica (1900) - che tra il 1896 e il 1899 aveva pubblicato, tra l'altro, su la Riforma sociale e su Critica sociale nonche' ancora su Divenir social, collaborazione quest'ultima che diede origine ai suoi rapporti con Georges Sorel.
Sono questi anche gli anni in cui il C. venne sviluppando altri interessi di studio, segnatamente quello per l'opera del De Sanctis del quale si fece editore e su cui, rispondendo alle obiezioni dei critici, fra i quali il Carducci, pubblico' una prima memoria per la Pontaniana, Francesco De Sanctis e i suoi critici recenti (1898). "La filosofia ebbe da allora parte sempre piu' larga nei miei studi - ricordava il C. - anche perche' in quel mezzo, distaccandosi alquanto intellettualmente dal Labriola che non sapeva perdonarmi certe conclusioni che io traevo dalle sue premesse, comincio' la mia corrispondenza e collaborazione. con il Gentile, che conobbi giovanissimo, ancora studente dell'universita' di Pisa, e che aveva pubblicato recensioni dei miei lavori intorno alla teoria della storia ed al marxismo" (Contributo alla critica di me stesso, in Etica e politica).
Nel 1899, a Perugia dove trascorreva l'estate, aveva anche stretto una duratura amicizia con Carlo Vossler, testimoniata dal Carteggio Croce-Vossler (1951), in cui troviamo il primo annuncio della fondazione de La Critica. E fu a Perugia nel '99 che prese a lavorare intorno a "un'Estetica e una storia dell'Estetica", di cui il il primo frutto fu la memoria per la Pontaniana, Tesi fondamentali di un'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1900), che due anni dopo sara' seguita dall'opera fondamentale del sistema filosofico crociano: l'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902).
Il primo numero de La Critica usci' nel gennaio 1903 dallo stampatore Vecchi di Trani. La rivista fu poi, dal 1906, edita a Bari da Giuseppe Laterza lungo quasi un quarantennio, fino al 1945, cui seguira' fino al 1952 la serie dei Quaderni della Critica, sempre sotto la direzione dei C., che si giovo' della stretta collaborazione prima di Giovanni Gentile e Guido De Ruggero, poi di Adolfo Omodeo. Dall'incontro con Laterza, che risale al 1903, nacque uno stretto rapporto di amicizia e una intensa collaborazione di cui vanno ricordate le maggiori collane editoriali dalla "Biblioteca di cultura moderna", ai "Classici della filosofia moderna", fondati nel 1907, e agli "Scrittori d'Italia", iniziati nel 1910; infine alla serie delle opere del C. che prese forma dal 1908 con la terza edizione dell'Estetica (il C. aveva gia' pubblicato alcune sue opere in altra forma dal Laterza) nelle quattro partizioni de "la filosofia dello spirito", dei "saggi filosofici", degli "scritti di storia letteraria e politica" e degli "scritti varii".
Tra il 1903 e il 1915 il C. prosegui' i suoi studi di storia letteraria e civile, con una vasta messe di saggi pubblicati su La Critica, tra cui vanno ricordati quelli poi raccolti ne La letteratura della nuova Italia, i cui primi due volumi uscirono nel 1914 e il terzo e quarto nel 1915 (gli ultimi due nel 1939 e nel 1940), i Saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1911) e il lavoro sulla Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, scritti negli anni 1914 e 1915 e pubblicati successivamente ne La Critica, poi raccolti in due volumi nel 1921. Ma furono soprattutto gli anni in cui scrisse, dopo l'Estetica, le sue maggiori opere filosofiche che delineano il suo sistema di "Filosofia dello Spirito". Nel 1905 negli Atti dell'Accademia Pontaniana (XXXV, mem. I) uscivano i Lineamenti d'una logica come scienza del concetto puro, che aveva "una seconda edizione interamente rifatta" col titolo Logica come scienza del concetto puro nel 1909. Lo stesso anno pubblicava la Filosofia della pratica. Economia ed etica, e Wilhelm Windelband gli richiedeva, per una collana tedesca, una monografia sulla filosofia della storia che usci' a Tubinga nel 1915e coi titolo di Teoria e storia della storiografia nell'originale italiano nel 1917. Accanto a queste opere maggiori vanno, tra gli altri scritti, segnalati due volumi: il Saggio sullo Regel seguito da altri scritti di storia della filosofia (1909) che raccoglie tra l'altro lo studio critico pubblicato nel 1906 su La Critica dal titolo Cio' che e' vivo e cio' ch'e' morto della filosofia di Hegel, e quello sulla Filosofia di Giambattista Vico (1910).
Va, inoltre, ricordata, per il rilievo che essa necessariamente assume nella biografia intellettuale del C., la polemica che egli ebbe con Giovanni Gentile intorno all'idealismo attuale, con due scritti, pubblicati su La Voce (ottobre e dicembre 1913), raccolti col titolo Una discussione tra filosofi amici nel secondo volume delle Conversazioni critiche (1918).
Nel 1910 il C. ricevette, su proposta del ministro Sonnino, a cui l'aveva segnalato Giustino Fortunato, la nomina a senatore (XXI categoria: censo). Il C. non aveva mai partecipato in modo diretto alla vita politica. Il '98 lo aveva visto, su posizioni liberali, solidarizzare pubblicamente con i socialisti e trovarsi poi in sintonia con le posizioni di Zanardelli e Giolitti. Si trovo' piuttosto a svolgere un ruolo politico come uomo di pensiero, di cui per altro era pienamente consapevole, come mostrano i giudizi su "l'opera della Critica e i suoi collaboratori" nelle pagine da lui scritte ne La storia d'Italia dal 1871 al 1914 (pp. 255 ss.).
Non irrilevante, al di la' delle numerose polemiche d'ordine accademico, di cui va ricordata quella del 1908 (pubbl. 1909) Il caso Gentile e la disonesta' nella vita universitaria italiana, e' la sua partecipazione alla vita civile ed amministrativa. Anche qui numerose le polemiche in difesa del patrimonio artistico, librario ed archivistico. Nel novembre 1900 aveva assunto l'incarico, che tenne per nove mesi, di amministratore delle scuole elementari e medie del comune di Napoli. Molto attiva inoltre, come abbiamo accennato, la sua partecipazione alle istituzioni culturali napoletane. Nel luglio 1914, per le elezioni amministrative del comune di Napoli fu presidente del "fascio dell'ordine", l'alleanza liberale, moderato-cattolica, contrapposta al "blocco" delle Sinistre.
Difese le posizioni "neutraliste" con articoli de La Critica e assieme a Cesare De Lollis su L'Italia nostra, organo dell'omonima associazione, con una polemica culturale molto ferma contro il dilagare della demagogia nazionalista, in difesa dell'unitarieta' della cultura europea e del ruolo che in essa, in modo particolare, vi svolgeva quella tedesca di cui diede testimonianza nel volume Pagine sulla guerra poi ristampato col titolo di L'Italia dal 1914 al 1918 (1919) e di cui ulteriore documentazione trovasi nel primo volume dell'Epistolario (Napoli 1967).
Nel giugno del 1920 Giolitti, con cui non aveva mai avuto rapporti personali, lo chiamava a far parte del suo ultimo ministero come titolare del dicastero della Pubblica Istruzione. Si mosse in una congiuntura difficile, in contrasto con la burocrazia ministeriale, con scarse simpatie in quei settori del Senato che provenivano dall'insegnamento universitario e, alla Camera, con la diffidenza dei popolari e la scoperta ostilita' dei socialisti e dei settori liberaldemocratici di ispirazione massonica che costituivano la maggioranza nella commissione parlamentare della Pubblica Istruzione, in cui il C. ebbe difficolta' a varare provvedimenti legislativi minori e si trovo' poi respinto il progetto istitutivo dell'esame di Stato, su cui il governo intendeva far perno per riformare la scuola media. il progetto era stato elaborato da una commissione ministeriale alla cui presidenza il C. aveva chiamato Giovanni Gentile. Con le risultanze di questa commissione il dissenso del C. aveva riguardato soltanto l'obbligatorieta' dell'insegnamento religioso nelle scuole elementari, che egli non propose. La bocciatura parlamentare del suo progetto di legge sull'esame di Stato lo indusse a presentare le dimissioni a Giolitti, che le respinse prevedendo di li' a pochi mesi lo scioglimento delle Camere. Numerose le iniziative prese nell'ambito dei suoi poteri, tra cui vanno ricordati il trasferimento della Biblioteca nazionale di Napoli dal Museo in un'ala della reggia e la ripresa delle relazioni culturali con la Germania, con la restituzione degli istituti confiscati durante la guerra. Nel giugno del 1921, nell'assenza da Roma di Giolitti, porto' a termine l'incarico di risolvere lo sciopero degli impiegati dello Stato.
L'atteggiamento del C. di fronte all'ascesa del fascismo, dopo la marcia su Roma, fu simile a quello di altri esponenti liberali. In una intervista dell'ottobre 1923 osservava: "nel fatto non esiste ora una questione di liberalismo e di fascismo, ma solo una questione di forze politiche. Dove sono le forze che possono, ora fronteggiare o prendere la successione del governo presente? Io non le vedo. Noto invece grande paura di un eventuale ritorno alla paralisi parlamentare del 1922" (Pagine sparse, II, 1943, pp. 477 s.). "Non riuscivo, neppure per ipotesi e immaginazione, a raffigurarmi un'Italia che si rassegnasse a lasciarsi togliere la liberta' per la quale aveva combattuto", notera' altrove (Nuove pagine sparse, I, p. 83)., che era una soverchia fiducia che la solidita' liberale delle istituzioni statutarie potesse essere coniugata con una azione di restaurazione conservatrice guidata dal fascismo. "Un segreto istinto di ritrosia" (ibid., p. 83) gli fece tuttavia rifiutare tutti gli incarichi che gli vennero offerti. Nell'estate che segui' il delitto Matteotti passo' decisamente all'opposizione. Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1925, per invito di Giovanni Amendola, scrisse e pubblico' il Manifesto degli intellettuali antifascisti, in risposta ad uno redatto da Giovanni Gentile e firmato da un gruppo di intellettuali fascisti.
Con pochi altri colleghi rimase al Senato quale oppositore del regime, recandosi, tra il 1929 e il 1934 a tutte le sedute, per votare contro le leggi liberticide. Nel 1929 prese la parola in Senato contro i patti lateranensi.
Pur nelle vicende impegnative del primo dopoguerra e dell'avvento dei fascismo l'attivita' di pensiero e di studio dei C. continuo' senza soste. Vero e' che esse appartengono ad una stagione nuova, piu' determinata dall'impegno civile. "I miei lavori filosofici e storici, senza cessar di essere severamente scientifici" egli stesso osserva, "si mossero, con maggiore e piu' rapida corrispondenza che per l'innanzi, secondo le nuove esigenze che la coscienza morale poneva". Vanno innanzi tutto ricordate le tre storie, "ideate gia' prima della guerra", la Storia del Regno di Napoli (1925), la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928) e la Storia d'Europa dal 1815 al 1915 (1932) a cui nel 1929 si era accompagnato il volume sull'Eta' barocca in Italia. Accanto a queste opere di sintesi, continuarono numerosi i lavori di storia letteraria e civile, raccolti principalmente nelle due serie di Uomini e cose della vecchia Italia (1927), nei Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1931), nelle Varieta' di storia letteraria e civile (1935) e nelle Vite di avventure, di fede, di passione (1936). Le opere filosofiche piu' importanti di questo periodo furono La poesia: introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura (1936) in cui riprendeva i temi gia' trattati nell'Estetica, e La storia come pensiero e come azione (1939), in cui invece riprendeva i temi trattati in Teoria e storia della storiografia. Di questo periodo vanno anche ricordati i saggi, tra cui gli Elementi di politica, raccolti nel volume Etica e politica (1931)e Il carattere della filosofia moderna (1941).
Il giudizio del C. sul deflagrare del conflitto mondiale fu quello di una "guerra di religione", in cui vedeva lo sbocco inevitabile dell'ascesa in Europa del nazifascismo. Dopo la caduta del regime fascista ebbe subito un ruolo eminente ponendo il problema dell'abdicazione di Vittorio Emanuele III e di una reggenza fino al referendum istituzionale. La preoccupazione del C. fu quella di garantire la continuita' istituzionale con un rapido passaggio dal regime regio a quello dei partiti costituzionali. Si trovo' in netto contrasto su questo punto con le autorita' alleate, in particolare con quelle inglesi e con gli ambienti di corte e venne a trovarsi in una posizione mediana tra il governo Badoglio e i partiti dell'intransigenza istituzionale P.C.I., P.S.I. e P.d'A. Ebbe influenza determinante sul congresso antifascista di Bari (29 gennaio 1944) e sulla posizione intermedia che ne usci', di richiesta dell'abdicazione del sovrano e della creazione della giunta dei partiti antifascisti. Dopo l'arrivo di Togliatti e il ritiro della pregiudiziale istituzionale da parte dei comunisti (marzo 1944). le autorita' alleate appoggiarono la linea che egli andava sostenendo dall'agosto 1943 assieme a Sforza, Tarchiani, Rodino', De Nicola e altri. Con la rinuncia al trono di Vittorio Emanuele III e la luogotenenza si rese possibile la costituzione del secondo governo Badoglio (aprile 1944), con la partecipazione dei partiti antifascisti, nella cui definizione il C. ebbe un notevole ruolo di mediazione politica e del quale entro' a far parte come ministro senza portafoglio. Dopo la liberazione di Roma il C. entro' anche nel primo governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, dandone le dimissioni il 27 luglio seguente.
La posizione del C., continuo' ad essere coerente con l'impostazione inizialmente data alla sua azione politica dopo il 25 luglio, solo che a cambiare profondamente fu il peso, e quindi il ruolo, delle forze in giuoco. Gli elementi di continuita' dello Stato liberale, che egli aveva inteso riaffermare, dovevano essere coniugati con la nuova realta' delle forze democratiche e dei nuovi partiti di massa. Il C., che aveva assunto la presidenza del P.L.I., su molte idee guida entro' subito in collisione con le posizioni assunte dagli altri partiti. La questione dei poteri del C.L.N. lo trovo' sulle posizioni negative e rigide del P.L.I. e cosi' il conseguente atteggiamento verso il governo Parri nel novembre '45. Significativa e' anche la sua posizione sui poteri della futura Costituente, da limitarsi strettamente alla redazione della nuova carta costituzionale, e la posizione assunta sulla legge elettorale con la costituzione, insieme con Bonomi, Einaudi, Nitti e Orlando, della Lega per la difesa delle liberta' democratiche con la proposta, di contro alla proporzionale, del collegio uninominale. Era stato membro della Consulta e fu eletto alla Costituente nella lista dell'Unione democratica nazionale. Sarebbe intervenuto nel dibattito sul progetto di costituzione solo per pronunziarsi contro l'art. 7 che regolava i rapporti tra la S. Sede e lo Stato italiano. Intervenne ancora il 4 giugno 1947 portando il voto di fiducia del P.L.I. al terzo governo De Gasperi, sottolineando l'approvazione per "il ritorno alla prassi costituzionale di una maggioranza che governa e di una minoranza che conduce con metodo democratico l'opposizione" (Scritti e discorsi politici (1943-1947), II, p. 399); ancora il 24 luglio dello stesso anno si pronunziava contro l'approvazione da parte della Costituente del trattato di pace, giusta una difesa del principio di nazionalita' di cui si era fatto interprete presso gli Alleati fin dall'indomani della caduta del regime fascista. Il 30 novembre 1947 dava le dimissioni da presidente del P.L.I. Nel maggio 1948 tornava al Senato come senatore di diritto: il C., riuscendogli ormai troppo stancante viaggiare, partecipo' solo al voto del Senato per l'adesione italiana al Patto atlantico (luglio '49).
Dal '45 la sua partecipazione alla vita politica democratica per quanto intensa si fece dunque piu' mediata, come testimonia, del resto, la maggior parte dei suoi interventi e delle sue polemiche, centrate su questioni di principio e sulla delucidazione del significato storico e ideale delle questioni. Gia' nell'agosto '43 aveva chiesto la soppressione dell'Accademia d'Italia e presiedette al rinnovamento dell'Accademia dei Lincei. Nel febbraio 1947 fondava l'Istituto italiano per gli studi storici con l'aiuto di Raffaele Mattioli, chiamando a dirigerlo Federico Chabod.
Furono questi ultimi anni, di piu' intensa partecipazione politica, parimente operosi come testimoniano i volumi da lui pubblicati, dai Discorsi di varia filosofia (1945), alle Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952), a cui debbono aggiungersi i tre volumi dei Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento (1945 e 1952), i saggi su La letteratura italiana del Settecento (1948), e le serie degli Aneddoti di varia letteratura e delle Pagine sparse.
Il C. mori' a Napoli il 20 novembre 1952.
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L'attivita' filosofica e quella storico-politica del C. devono essere intese ed esposte, nel ricco svolgimento della sua vita, come un'unita', anche se molteplice e nel corso del tempo diversamente accentuata. L'occuparsi di storia (res gestae) e di storiografia - e la riflessione su di esse - diede al C. impulsi importanti per i suoi studi filosofici, ed ebbe un ruolo centrale nel suo pensiero filosofico, dall'inizio del Novecento fino alle sue opere ultime. Questo studio fu al tempo stesso un'importante premessa per le sue prese di posizione politica, specialmente rispetto al fascismo e divenne, in particolar modo nelle opere sulla storia d'Italia dopo l'unita' e sulla storia d'Europa nel secolo decimonono, l'efficace espressione della opposizione intellettuale alla dittatura fascista. Gia' dallo schizzo autobiografico del C. del 1915 Contributo alla critica di me stesso (Etica e politica, quarta ed., 1956) e dalla bibliografia delle sue pubblicazioni del Borsari si puo' vedere che gli interessi storici, accanto allo studio della letteratura e dei suoi problemi, precedettero di piu' di un decennio i suoi intensi studi filosofici, e che doveva passare piu' di un altro decennio prima che la coscienza politica del C., finora poco sviluppata e manifestatasi solo occasionalmente, si profilasse e si impegnasse chiaramente nel dibattito sull'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale.
All'inizio quindi fu la storia ad affascinare il C., la storia come oggetto di erudizione letteraria, che pero' non e' arida e antiquata, poiche' riceve impulso dall'incontro del C. con la citta' di Napoli, la sua patria elettiva, con le sue testimonianze del passato e la sua gente, e che porta con se' un elemento di viva umanita' e trova un punto di contatto anche nelle apparentemente insignificanti tradizioni popolari.
Espressione di questa fase di interesse umano per la storia sono le molteplici ricerche, all'incirca degli anni fra il 1882 e il 1900, sulla topografia storica, sulle tradizioni popolari e sulla biografia e aneddotica dell'Italia meridionale e in particolare della sua citta' (Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, 1911; La rivoluzione napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche, 1912; I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, 1916; La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, 1917; Storie e leggende napoletane, 1919; Aneddoti di varia letteratura, 1942; Pagine sparse, 1919-20; Nuove pagine sparse, 1949).
Con l'andar del tempo il C. non fu piu' soddisfatto di questo lavoro erudito sul passato e, stimolato anche dai suoi studi sul marxismo, si senti' sempre piu' spinto ad una comprensione piu' profonda della storia e in particolare allo studio del problema del rapporto con il passato dell'uomo che pensa e agisce nel presente. Una prima riflessione sistematica sulla storia si trova in una conferenza tenuta all'Accademia Pontaniana a Napoli nel 1893, La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (Primi saggi, 1927). La tesi del C. parte dal rifiuto della concezione positivistica ed edonistica dell'arte. In questo modo egli puo' respingere anche l'interpretazione positivistica della storia (historia rerum gestarum) come scienza nel senso di scienza naturale, senza per questo svalutare la storiografia ispirata a questa concezione. Sicche' nel momento in cui il C. concepisce l'arte come un campo a se' stante, con gli stessi diritti, accanto alla scienza, cioe' come "raffigurazione dell'oggetto nella sua concretezza", la collocazione della storia nel campo dell'arte significa la sua liberazione da quelle errate e per questo irrealizzabili aspettative di scientificita'. Ma cio' significa allo stesso tempo non una svalutazione della storia, ma la sua autonomia all'interno del campo dell'arte, come "narrazione dei fatti", a differenza dell'arte, intesa in senso piu' ampio come rappresentazione generalmente indipendente dai fatti. Il C. difende in seguito quest'autonomia della storia nel saggio Il concetto della storia anche contro ogni tentativo di una sua interpretazione generale da parte di qualsiasi tipo di filosofia della storia (Primi saggi, 1927).
L'incontro, di grande importanza, del C. con il marxismo avvenne nel 1895 attraverso il suo maestro romano e amico paterno, Antonio Labriola (l'esposizione e documentazione fatta dal C. di questo incontro si trova nel saggio Come nacque e come mori' il marxismo teorico in Italia (1895-1900) del 1937 raccolto insieme ai saggi contemporanei al dibattito sul marxismo nel volume Materialismo storico ed economia marxistica, 1900; cfr. anche A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce. 1885-1904, Napoli 1975. Per quanto riguarda l'importanza dei marxismo nello sviluppo della storiografia italiana cfr. Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, 1921). Il significato di questo incontro per il C. sta nel fatto che esso risveglio' in lui, per la prima Volta, anche se per un breve periodo, un vivo interesse politico che riempi' il vuoto di interiore scontentezza provato per le ricerche fatte fino ad allora, e che inoltre lo spinse a dedicarsi a studi di economia e ad arricchire la sua visione della vita e della storia attraverso concreti aspetti economici, sociali e politici. In relazione a questa ampliata esperienza egli sviluppo' il suo giudizio sul marxismo, che pero' non gli diede risposta definitiva riguardo al problema che lo interessava, ma che tuttavia divenne, per l'ampliamento e l'intensificazione della problematica, una premessa fondamentale per l'elaborazione della sua filosofia sistematica. Il nucleo centrale dell'interpretazione dei marxismo, che il C. svolse in diversi saggi dal 1896 fino al 1902, Si puo' puntualizzare in tre domande: quale forza conoscitiva sta nella concezione marxista? Quali conseguenze per l'azione concreta derivano dal marxismo? Come si puo' definire in generale l'azione pratica? Il C. non trova la forza conoscitiva del marxismo ne' in una generale interpretazione della realta', ne' nello sviluppo delle leggi storiche o in una filosofia della storia, ma in un arricchimento dell'umano sapere sui fenomeni economici e il loro legame con la vita umana.
Il marxismo, secondo il C., non si risolve in una motivazione scientifica del socialismo, neppure come premessa necessaria dell'azione politica. Esso e' piuttosto l'espressione di una determinata convinzione e posizione etico-politica, in cui, in generale, sia pure con contenuto diverso, consiste il concreto impulso all'azione. Il marxismo ha quindi un carattere pratico e politico e si rifa' in questo ad una determinata situazione storica. Se deve di nuovo influire sull'agire, esso deve essere ripreso con fede e convinzione intima, cosa alla quale il C. stesso fu disposto solo per brevissimo tempo. Alla fondamentale chiarificazione dell'azione, secondo il C., il marxismo non apporto' alcun contributo. Il C. cerco' dapprima questa chiarificazione piuttosto nell'economia pura, ma deluso da questa, si volse ben presto ai tentativi di chiarire la posizione dell'azione nell'ambito della propria filosofia dello spirito.
La critica crociana al marxismo significo', per la cultura italiana, un piu' stretto collegamento con le posizioni revisionistiche di Eduard Bernstein, di Georges Sorel e anche di Antonio Labriola. Dopo la seconda guerra mondiale il C., stimolato questa volta dal confronto con la Russia, e con i partiti a struttura marxista del proprio paese, riprese i suoi studi sul marxismo con accenti molto critici (Filosofia e storiografia, 1949).
All'inizio dei secolo, il C., sulla base dei suoi studi sulla essenza dell'arte e della storia, e animato inoltre dal dibattito sul marxismo, si accinse ad una fondamentale chiarificazione filosofica delle sue concezioni. Lo spunto gli venne ancora una volta offerto dal campo dell'arte. Nelle sue Tesi sull'estetica e, ancora piu' conseguentemente, nella sua Estetica egli intraprese il superamento della concezione naturalistico-empirico-edonistica e di quella intellettualistica dell'arte e della realta', identificando in generale arte ed espressione, cioe' espressione dell'individuale - intuizione -, e determinava l'arte come attivita' spirituale e teoretica autonoma rispetto alla logica come conoscenza dell'universale, interpretandola anzi come necessario fondamento di questa (Tesi fondamentali di un'estetica come scienza dell'espressione linguistica generale, in Atti dell'Accademia Pontaniana, XXX [1900], Memoria III; Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, 1902). L'espressione, che parte dalle impressioni come presupposti indispensabili, non e' pero' la loro conseguenza necessaria, ma e' un'attivita' umana che si sviluppa liberamente. Partendo dalla sua identificazione di arte ed espressione, il C. chiarificava e rafforzava la base filosofica del dibattito sul carattere delle opere d'arte come estrinsecazione dell'arte e della realizzazione della funzione, solo a loro assegnata, di stimoli fisici della riproduzione di un'espressione estetica, base teorica, fra l'altro, della sua critica letteraria. L'ulteriore definizione dell'estetica porta il C. ad un abbozzo di interpretazione filosofica di tutta la realta'. Il C. distingue dall'espressione, cioe' l'attivita' teoretica, il volere, cioe' l'attivita' pratica, che ha come base e presupposto l'attivita' teoretica. Egli suddivide i due campi, teoria e prassi, fra loro reciprocamente connessi, in altri due gradi: sull'espressione, in quanto fondamentale attivita' teoretica, che ha come contenuto l'individuale, si fonda l'attivita' logica, che tende alla conoscenza dei concetti, all'universale; l'attivita' pratico-economica, la volonta', l'azione, che tende generalmente al conseguimento degli scopi, costituisce la base per la morale, che a sua volta tende a fini razionali e quindi universali, nei quali trova il suo particolare carattere di attivita' morale.
Il C. caratterizza come non rilevanti, per la riflessione filosofica, tutte le suddivisioni dell'espressione, secondo forme e contenuti specifici dell'arte, essendo questi determinanti e adatti solo all'uso empirico. Per tutti i campi e' valida l'osservazione di base che lo sviluppo di attivita' costituisce autonoma realizzazione di valore. Quindi a questi campi vengono attribuiti il bello, il vero, l'utile e il buono come corrispettive realizzazioni di valore, e questi stanno a loro volta fra loro, nello stesso rapporto dei quattro campi, nella su menzionata relazione. "I quattro valori s'implicano regressivamente per la loro concretezza: il vero non puo' star senza il bello, l'utile senza entrambi, e il buono senza i tre precedenti" (Tesi..., p. 45). I contrari di questi valori, per esempio il brutto, non hanno una propria esistenza indipendente, ma consistono piuttosto nella non completa realizzazione dell'attivita' cominciata, nel persistere di elementi di passivita'.
Il C. riconduce in seguito la storia, in quanto rappresentazione dell'individuale, al campo dell'arte come espressione dell'individuale e considera, come suo momento differenziale, la sua subordinazione al criterio di realta'. Egli rifiuta, come una contraddizione in se', una filosofia della storia, perche' per lui storia significa concretezza e individualita', mentre la filosofia tende ai concetti, alla conoscenza dell'universale.
Nelle Tesi di un'estetica, e successivamente in forma piu' estesa nell'Estetica, il C. attribuisce alla storia determinate funzioni anche in rapporto al lavoro retrospettivo sulle espressioni artistiche. La storia deve far presenti le condizioni originarie di un'espressione artistica, e cosi' rendere possibile e facilitare la riproduzione dell'espressione originaria, in base alle sue "estrinsecazioni" attuate nella attivita' pratica dell'artista. Se la riproduzione dell'espressione e' riuscita, allora e' compito in particolare della storia della letteratura rappresentare l'espressione nella sua storicita', e cioe' nella sua posizione all'interno di un determinato circolo evolutivo dell'espressione artistica, secondo il rapporto di questa espressione con un determinato problema della forma artistica.
In contrapposizione ad altri campi, il concetto del progresso dell'arte quindi non si riferisce al totale sviluppo, ma allo specifico superamento di determinati problemi dell'espressione. Il C. integra, come del resto ha fatto anche nelle altre opere sistematiche con le corrispondenti problematiche, la sua Estetica con una rappresentazione storica che si orienta programmaticamente e praticamente secondo il concetto di arte precedentemente sviluppato. La storia e' qui storia dell'evoluzione di una particolare filosofia dell'arte e si possono riconoscere chiaramente nelle sue pagine su Vico, sull'idealismo tedesco, su Herbart e su De Sanctis, i suoi precursori e ispiratori, come, nelle polemiche contro il positivismo e il sensismo, la sua provocazione diretta e i suoi avversari.
Il C. pone al centro della sua Logica, che segue all'Estetica cronologicamente e sistematicamente, la sua definizione del concetto puro, di cui mette in rilievo i caratteri principali - espressivita', universalita' e concretezza -, cioe' la qualita' di universale concreto che fonde il suo carattere come espressione, la sua universalita' e la sua realizzazione nel caso singolo (Logica come scienza del concetto puro, 1909). "Il concetto (puro) e' l'universale rispetto alle rappresentazioni (singole) e non si esaurisce in nessuna..." (Logica). Con questo il concetto puro viene dichiarato come appartenente al campo teoretico; la sua qualita' distintiva e' nel suo carattere di atto logico, cioe' nella comprensione dell'universalita' e, allo stesso tempo, nel suo rapporto con la realta' nella sua concretezza. Si deve dunque distinguerlo da tutti i concetti che servono alla pratica riunione di particolari gruppi di espressioni o di rappresentazioni, senza pero' comprenderli nella loro universalita' e concretezza, i quali quindi sono attribuiti al campo della prassi. Essi si definiscono solo impropriamente come concetti, e devono invece essere definiti pseudo-concetti. Aggiungendo alla caratterizzazione del concetto puro la spiritualita', il C. riprende la definizione di tutta la sua filosofia come "filosofia dello spirito", connotandone il suo significato concreto.
Rispetto al concetto puro il C. affronta il problema di unita' e distinzione, la cui soluzione aveva solo abbozzato nella Estetica con la distinzione e con i gradi delle diverse attivita'. Egli parte dalla necessita' del legame fra unita' e distinzione, e definisce il bello, il vero, l'utile e il buono come concetti distinti, che come tali nella loro interdipendenza sono sempre da vedere in una relazione di unita'. In relazione con l'unita' dello spirito, essi possono essere denominati e contati singolarmente solo considerando le necessita' dell'esposizione, mentre in fondo essi sono inseriti in un'ideale connessione indissolubile, sono uniti in ogni loro distinzione e la loro unita' si realizza proprio nella loro distinzione, e attraverso di essa. Pertanto il C. non rappresenta la relazione dei concetti distinti nell'immagine di un crescente sviluppo lineare dall'uno all'altro, ma nella immagine di un circolo, in cui tutti i momenti sono l'uno in rapporto all'altro, e dove ognuna delle distinzioni puo' rappresentare l'inizio, e da ognuno di questi momenti e' possibile cogliere l'unita'.
Per il C. diventa importante la delimitazione dei concetti distinti rispetto ai concetti opposti, come, per esempio, nel caso del brutto, in quanto realizzazione necessariamente incompiuta della espressione, quindi nel permanere di momenti di passivita' nell'attivita' dell'espressione. Questi concetti opposti non hanno una propria autonomia, ma sono una necessaria componente negativa delle attivita', sono l'irreale nel reale, non pero' "forma o grado di realta'". Come negazione non si possono separare dall'affermazione, senza cancellare questa stessa.
Elemento positivo ed elemento negativo sono la base del carattere dialettico dell'attivita', rappresentano il suo movimento nella tensione fra affermazione e negazione, costituiscono il suo divenire, che in ogni momento significa adempimento e insieme spinta ad una nuova attivita'. I concetti distinti sono al contrario momenti eterni nell'unita', fra i quali non avviene nessun processo dialettico, e sono piuttosto continuamente distinti e insieme uniti. I concetti opposti sono per questo i momenti dialettici del concetto, e anche di ciascuna delle sue concretizzazioni nei concetti distinti.
La critica del C. allo Hegel, elaborata contemporaneamente alla sua "filosofia dello spirito", parte proprio dal rapporto fra concetti distinti e concetti opposti: egli mostra come Hegel abbia trasferito erroneamente la relazione dialettica fra i concetti opposti ai concetti distinti, trattando questi concetti distinti, come anche gli pseudoconcetti, come momenti nella conoscenza dialetticamente crescente della verita' e cosi' pero' non riconoscendo il vero carattere ne' dei concetti ne' degli pseudoconcetti, gli uni diversita' eterne e indissolubili dello spirito, gli altri attivita' pratiche, e con cio' mescolando gravi errori nel suo lavoro pur cosi' fondamentale per lo sviluppo della conoscenza (Saggio sullo Hegel, 1906).
Dato che, per il C., il concetto puro come universale concreto porta alla conoscenza logica della realta', egli riporta i giudizi filosofici nel loro insieme ai giudizi individuali, nei quali il concetto puro si concretizza come conoscenza della realta' e diventa in questo modo realta'. Anche i giudizi definitori si dimostrano per lui giudizi individuali poiche' essi, anche se individuabili solo attraverso un'analisi rigorosa, contengono, come gli altri, un elemento individuale e universale in cui consiste il loro carattere conoscitivo. Il giudizio individuale porta alla "percezione del mondo" ed e' quindi al tempo stesso anche giudizio storico. Il C. designa i giudizi definitori e individuali, nella loro identificazione, come sintesi a priori, e poiche' essi riguardano il campo del pensiero, come sintesi a priori logica, cioe' come l'attivita' logica dell'universale concreto, filosofica, nella sua realizzazione. Il C. pone in uno con le forme del conoscere le forme del sapere e cosi' all'equiparazione fra giudizio definitorio e giudizio individuale nella sintesi a priori corrisponde l'identificazione fra filosofia e storia, mentre gli pseudoconcetti, quali vengono sviluppati dall'attivita' pratica, sono visti come la base delle scienze naturali e della matematica.
Sia alla religione sia al mito non viene data un'autonomia come attivita' dello spirito. In un'esposizione sistematica di errori, la religione appare o come filosofia errata da correggere, e quindi da conservare soltanto nel grembo della verita' filosofica, oppure identica alla filosofia, in quanto la filosofia vale come la vera religione. Partendo da questa posizione il C. riconosce nella religione elementi della verita' da considerare positivi e passi verso la verita' filosofica, o errori che la filosofia deve criticare e correggere. Il C. rifiuta il modernismo come critica insufficiente della religione. Filosofia e storia prendono parte in egual modo, nella loro concreta realizzazione, al continuo divenire storico e all'immortalita', che spettano loro come creazioni del pensiero. Come la storia, anche la filosofia si fonda su "fatti storici". La storia non e' piu' integrata, come nell'Estetica, nel campo dell'espressione, dell'intuizione dell'arte in senso ampio, ma nel campo del pensiero, in quanto giudizio individuale.
(Segue)

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Numero 120 del 22 giugno 2021
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