[Nonviolenza] Telegrammi. 4111



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4111 del 21 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Due maestri della cultura della pace
2. "Percorsi di riflessione nella cultura della crisi: Dino Buzzati, Franco Battiato, Ernesto de Martino". Un incontro di studio a Viterbo con Paolo Arena
3. Jean-Marie Muller: L'uomo nonviolento di fronte alla morte
4. Alcuni riferimenti utili
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. ANNIVERSARI. DUE MAESTRI DELLA CULTURA DELLA PACE

Ricorreva il 20 maggio l'anniversario della scomparsa di due illustri figure del pensiero e dell'azione per la pace, la solidarieta', la liberazione dell'umanita'da ogni violenza: Franco Fornari e Paul Ricoeur.
Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo li ricorda con gratitudine che non si estingue.
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Una minima notizia su Franco Fornari
Franco Fornari (Rivergaro (Pc) 1921 - Milano 1985), medico psichiatra e psicoanalista, allievo di Musatti, docente di psicologia, direttore dell'Istituto di Psicologia e professore ordinario di psicologia all'Universita' degli Studi di Milano, presidente dal 1973 al 1978 della Societa' italiana di psicoanalisi; "ha lasciato con la sua opera di pubblicista e di organizzatore culturale un segno profondo nella cultura italiana degli ultimi decenni, spaziando e promuovendo ricerche su svariati temi, quali l'eta' evolutiva, la musica, la letteratura, la medicina, la politica, la guerra. A partire dagli anni Sessanta elaboro' una sua teoria psicoanalitica del linguaggio, l'analisi coinemica, che si distacca dalla teoria freudiana pur mediandone molti concetti". Tra le opere di Franco Fornari: segnaliamo particolarmente Psicanalisi della guerra atomica, Comunita', 1964; (a cura di), Dissacrazione della guerra, Feltrinelli, Milano 1969; Psicanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1970; Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano 1970; Psicoanalisi e cultura di pace, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992. Segnaliamo inoltre almeno La vita affettiva originaria del bambino, Feltrinelli, Milano 1963; Nuovi orientamenti nella psicoanalisi, Feltrinelli, Milano 1963; Psicoanalisi e ricerche letterarie, Principato, Milano 1975; Simbolo e codice, Feltrinelli, Milano 1976, 1981; (a cura di), Fantasmi, gioco e societa', Il Saggiatore, Milano 1976; Il minotauro. psicoanalisi dell'ideologia, Rizzoli, Milano 1977; Coinema e icona, Il Saggiatore, Milano 1979; Genitalita' e cultura, Feltrinelli, Milano 1979; I fondamenti di una teoria psicoanalitica del linguaggio, Boringhieri, Torino 1979; Il codice vivente, Boringhieri, Torino 1981; La malattia d'Europa, Feltrinelli, Milano 1981; La lezione freudiana, Feltrinelli, Milano 1983; La riscoperta dell'anima, Laterza, Roma-Bari 1984; Per una psicoanalisi della musica, Longanesi, Milano 1984; Carmen adorata, Longanesi, Milano 1985; Psicoanalisi in ospedale, Cortina, Milano 1985; Seminari di Copernico, Borla, Roma 1987. Cfr. anche le "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 168.
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Una minima notizia su Paul Ricoeur
Paul Ricoeur, filosofo francese, nato nel 1913 e deceduto nel maggio 2005; amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario, uno dei pensatori piu' influenti del Novecento, persona buona. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo questa breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913. Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956 Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente [quando questa scheda fu redatta, Ricoeur e' poi scomparso nel 2005 - ndr] e' direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo i suoi libri Karl Jaspers et la philosophie de l'existence (con Mikel Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Le temps present; Filosofia della volonta' I. Il volontario e l'involontario, Marietti; Storia e verita', Marco; Finitudine e colpa I. L'uomo fallibile, Il Mulino; Finitudine e colpa II. La simbolica del male, Il Mulino; Della interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il Melangolo; Entretiens Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e racconto I, Jaca Book; Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Jaca Book; Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca Book; Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana; A l'ecole de la fenomenologie, Vrin; Se' come un altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du politique, Seuil; Lectures 2. La contree des philosophes, Seuil; Lectures 3. Aux frontieres de la philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite. Autobiographie intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui con Francois Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre: Kierkegaard. La filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o alternativa, Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni, Edizioni cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo particolarmente alcune recenti monografie: Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999; Domenico Jervolino, Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003; Francesca Brezzi, Introduzione a Ricoeur, Laterza, Roma-Bari 2006.
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Anche nel ricordo di Franco Fornari e di Paul Ricoeur ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
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Ogni vittima ha il volto di Abele.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. INCONTRI. "PERCORSI DI RIFLESSIONE NELLA CULTURA DELLA CRISI: DINO BUZZATI, FRANCO BATTIATO, ERNESTO DE MARTINO". UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO CON PAOLO ARENA

La sera di giovedi' 20 maggio 2021 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" si e' tenuto un incontro di studio sul tema: "Percorsi di riflessione nella cultura della crisi: Dino Buzzati, Franco Battiato, Ernesto de Martino".
L'incontro si e' svolto nel piu' assoluto rispetto delle misure di sicurezza previste dalla normativa vigente per prevenire e contrastare la diffusione del coronavirus.
All'incontro ha preso parte Paolo Arena.
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Una minima notizia su Paolo Arena
Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica, di storia linguistica dell'Italia contemporanea. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta. Cura il sito www.letterestrane.it

3. MAESTRI. JEAN-MARIE MULLER: L'UOMO NONVIOLENTO DI FRONTE ALLA MORTE
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo quarto: "L'uomo nonviolento di fronte alla morte" (pp. 91-101). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' stato membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; Elogio della gratitudine, Cittadella, Assisi 2015; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di seguito riprodotta, che e' stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

Secondo Tommaso d'Aquino "la virtu' della forza ha la funzione di mantenere la volonta' umana nella linea del bene morale, nonostante il timore di un male corporale. [...] Ora, il piu' terribile dei mali corporali e' la morte, che ci toglie tutti i beni" (1). Cosi', secondo Tommaso, "la forza ha la funzione di rafforzare l'anima contro i pericoli della morte" (2). Egli afferma allora che l'atto principale della virtu' della forza non e' di attaccare ma di sopportare: "Sopportare e' piu' difficile che attaccare" (3). Poiche' colui che sopporta l'attacco dell'avversario senza rendere colpo su colpo affronta la paura della morte, mentre colui che attacca l'avversario non fa che allontanare quella paura. "Per colui che attacca – scrive Tommaso d'Aquino - il pericolo resta allontanato, mentre e' presente per colui che sopporta l'attacco. [...] Colui che sostiene l'urto non teme, benche' abbia un motivo attuale di temere, ma colui che attacca non ha alcun motivo di timore presente allo spirito" (4).
Commentando questi pensieri di Tommaso d'Aquino, Jacques Maritain scrive: "La forza che colpisce mira a distruggere il male con l'aiuto di un altro male [fisico] inflitto ai corpi. Da cio' viene che il male, per quanto possa essere diminuito, passera' ancora dall'uno all'altro, e cio' senza fine. [...] La forza che sopporta tende a annullare il male ricevendolo e esaurendolo nell'amore, assorbendolo nell'anima sotto forma di dolore accettato; la' il male si arresta, non andra' oltre" (5).
Al contrario di chi colpisce, l'uomo che sceglie la nonviolenza ha coscienza che, rifiutando di uccidere, si assume il rischio di essere ucciso. Non e' detto che questo rischio sia necessariamente piu' grande per il nonviolento che per il violento. E' possibile, e anche probabile, che questo rischio sia meno grande per il nonviolento. Ma, comunque sia, la vera differenza non sta in questo. Cio' che cambia veramente e' che il nonviolento affronta direttamente il rischio di morire senza poter ricorrere a sotterfugi. Anche lui sente la paura della morte – e come potrebbe essere diversamente? – ma, scegliendo la nonviolenza, egli ha scelto di farle fronte e di tentare di superarla senza barare. E' per questo che, in definitiva, solo colui che accetta di morire puo' assumere il rischio di essere ucciso senza minacciare di uccidere. "Se si sa con tutta l'anima - scrive Simone Weil -  che si e' mortali e se si accetta questo con tutta l'anima, non si uccide" (6). La vera saggezza, la vera liberta', e' nel poter affrontare la morte senza paura, nel poter dire come Socrate, proprio mentre e' condannato a morte: "Della morte non me ne importa proprio un bel niente, ma di non commettere ingiustizia o empieta', questo mi importa soprattutto" (7). Diventando libero riguardo alla morte, l'uomo diventa libero riguardo alla violenza; padroneggiando l'angoscia della morte, egli acquista la liberta' della nonviolenza. Ma accettare di morire piuttosto di uccidere, non e' accettare la morte. Tutto al contrario, per protestare realmente contro la morte bisogna prima di tutto rifiutare di uccidere.
Spesso le grandi persone spirituali hanno raggiunto il linguaggio della filosofia per esprimere che l'amore per gli altri uomini implica di superare la paura della morte. Cosi', Guy Riobe', che fu un autentico mistico cristiano, scrive: "L'amore vero degli uomini implica che ci si faccia il prossimo degli altri, riconosciuti come altri, come differenti da noi, come stranieri a noi, nel loro mistero inviolabile. L'incontro fraterno di due esseri racchiude sempre una sfida alla morte; c'e' sempre un muro di separazione da superare; e quell'incontro non raggiunge la sua vera perfezione che nella risposta vittoriosa a questa sfida. E' chiaro che la sfida raggiunge proporzioni estreme quando si tratta per l'uomo di incontrare fraternamente il suo nemico o, piu' generalmente, quando gli uomini hanno da superare i muri della separazione che sono stati elevati tra i loro popoli o tra gli universi culturali ai quali appartengono" (8).
Nella logica della violenza, accettare di morire per la buona causa e' anzitutto voler uccidere per quella causa. Nella logica della nonviolenza, si tratta ugualmente di accettare di morire per la buona causa, ma di morire per non uccidere, perche' la volonta' di non uccidere precede la volonta' di non morire, e perche' la paura di uccidere e' piu' forte della paura di morire. La paura della morte diventa allora la paura della morte dell'altro. La trascendenza dell'uomo e' questa possibilita' di preferire il morire per non uccidere che l'uccidere per non morire, perche' la dignita' della propria vita ha piu' valore ai propri occhi che non la propria vita stessa. Poiche' da' senso alla vita dell'uomo, per questo il rischio della nonviolenza vale realmente la pena: esso vale la pena di soffrire e, se si presenta il caso, di morire.
Quando sara' vittima di un complotto dei poteri stabiliti, coalizzati contro di lui, Gesu' di Nazareth affrontera' la morte in atteggiamento di totale nonviolenza. Poiche' sa che sara' arrestato e consegnato ai suoi giustizieri, sente "tristezza e angoscia" (9), ma sapra' superare l'una e l'altra. Quando uno dei suoi compagni vorra' ricorrere alla violenza per difenderlo, gli chiedera' di rimettere la sua spada nel fodero (10). In seguito, e' con la piu' grande determinazione che egli fara' fronte ai suoi accusatori che lo condanneranno a morte. Gesu' muore cosi' in perfetta conformita' con il consiglio che aveva dato ai suoi amici: "Non temete niente da coloro che uccidono il corpo e dopo di cio' non possono farvi niente di piu'" (11).
Se Gesu' di Nazareth ha un tale atteggiamento davanti alla morte, e' perche' per lui – come ha sottolineato Rene' Girard – "la decisione di nonviolenza non puo' essere un impegno revocabile, una specie di contratto di cui non si sarebbe tenuti a rispettare le clausole che nella misura in cui le altre parti contraenti le rispettassero ugualmente" (12). E' dunque per essere fedele alle esigenze di nonviolenza che Gesu' accetta di morire piuttosto che ricorrere alla violenza: "Si tratta di morire, perche' continuare a vivere significherebbe sottomettersi alla violenza" (13). Rene' Girard esprime cosi' cio' che costituisce il centro stesso della saggezza di Gesu': "Non bisogna esitare a dare la propria vita per non uccidere, per uscire, cosi' facendo, dal cerchio dell'omicidio e della morte" (14). Bisogna quindi prendere alla lettera il precetto secondo il quale "colui che vuole salvare la propria vita la perdera'" (15) perche' "gli sara' necessario, in effetti, uccidere il suo fratello e questo e' morire, nel disconoscimento fatale dell'altro e di se stesso" (16). Quanto a colui che accetta di perdere la sua vita, "egli e' il solo a non uccidere, il solo a conoscere la pienezza dell'amore" (17).
Assumere il rischio della nonviolenza e' voler assumere totalmente il rischio della vita. La bellezza della vita, la sua grandezza e la sua nobilta', stanno nell'assumere il rischio della morte e superarlo ad ogni istante. Se la morte e' presente al nostro fianco dall'inizio della nostra vita, non dovremmo prendere coscienza che noi non ci avviciniamo ad essa, ma anzi ce ne allontaniamo ad ogni istante? Ogni istante di vita e' una vittoria sulla morte. Il senso stesso della vita e' quello di vincere la morte ad ogni istante. La morte in realta' non e' presente ma sempre futura: ogni giorno e' rinviata. Abbiamo dunque ancora il tempo di vivere. E' scegliendo la nonviolenza, preferendo il rischio di morire al rischio di uccidere, che l'uomo afferma il senso trascendente della vita. La violenza appare allora come la negazione della trascendenza della vita.
La violenza e la nonviolenza sono guardate e giudicate attraverso il prisma deformante dell'ideologia della violenza: noi mettiamo sul conto del coraggio, dell'onore, dell'eroismo la morte di colui che e' ucciso in un combattimento violento, mentre mettiamo sul conto dello scacco e dell'inefficacia la morte di colui che muore in un combattimento nonviolento. Riteniamo, da una parte, che lo scacco della violenza non sia un argomento che prova la sua inefficacia, ma pensiamo che provi piuttosto che la vittoria esige piu' violenza; e dall'altra parte, riteniamo che lo scacco della nonviolenza sia un argomento che prova la sua inefficacia e pensiamo che provi che solo la violenza puo' permettere di ottenere la vittoria.
L'estremo tragico dell'opzione per la nonviolenza non e' di morire per non uccidere, bensi' di non uccidere quando la violenza potrebbe forse permettere al mio prossimo piu' prossimo di non morire. L'uomo raggiunge qui il limite ultimo dell'esigenza della nonviolenza. Tuttavia, conviene non dimenticare che colui che ha optato per la violenza puo' ugualmente conoscere una situazione altrettanto tragica, perche' la sua azione rischia di provocare una maggiore violenza che uccide il suo prossimo piu' prossimo. Ma, inoltre, se conosce tale rischio, l'uomo violento pensa che vi sfuggira', mentre l'uomo nonviolento deve farvi fronte in tutta consapevolezza.
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La nonviolenza e' un atteggiamento corporeo
Bisogna che non solamente la ragione, ma anche il corpo si decida alla nonviolenza. Il soggetto che ha paura della violenza, cioe' della morte, e' un essere incarnato, di carne, corporeo. La paura e' corporale e, per dominarla, il soggetto deve dominare il proprio corpo. Le tecniche che permettono all'individuo di conoscere e padroneggiare meglio il proprio corpo sono a questo punto molto utili per camminare sulla via della nonviolenza. Nell'azione nonviolenta e' il corpo che si avventura e rimane in prima linea, si espone ai colpi, sfida la violenza e affronta la morte. Se il corpo e' davvero troppo riluttante, paralizzato dalla paura e si impunta, sara' difficile alla ragione di ragionare. E' importante che il corpo si prepari e si alleni a padroneggiare se stesso, le sue emozioni e paure.
Cosi', la nonviolenza e' allo stesso tempo un atteggiamento corporale e razionale. Ogni pensiero e' inseparabile dalla sua espressione corporale. Il pensiero del soggetto incarnato si radica nel suo corpo, ed e' nell'azione nonviolenta che il soggetto fa l'esperienza corporale della nonviolenza. E' nell'azione nonviolenta che l'uomo di carne puo' pensare la nonviolenza e non gli e' possibile avere un pensiero chiaro e preciso della nonviolenza se essa non si radica in una esperienza corporea dell'azione nonviolenta.
La filosofia e' sempre una ri-flessione, cioe' un ritorno su di se', sulla propria esperienza e la propria azione. Se il filosofo non ha l'esperienza corporea della nonviolenza, come potra' elaborarne un pensiero razionale? Bisogna avere provato nel proprio corpo che l'azione nonviolenta e' possibile – il che non significa sempre vittoriosa – per arrivare a una concezione chiara della filosofia della nonviolenza. Non basta fare esperienza della violenza per comprendere la nonviolenza, bisogna inoltre fare esperienza della nonviolenza, cioe' dell'azione nonviolenta. La nonviolenza, in definitiva, non puo' essere pensata se non e' vissuta. Cosi', la filosofia della nonviolenza non e' intelligibile che attraverso l'esperienza dell'azione nonviolenta. Se la filosofia resta esterna all'azione nonviolenta – come chi, restando fuori da una casa, non puo' vederne che i muri – accadra' che ne constatera' solo i limiti, le debolezze, e sara' incapace di comprenderne la dinamica interna che le da' la sua forza.
Dunque, potra' il filosofo riflettere sulla nonviolenza se non e' lui stesso un "militante"? Ma l'uomo ragionatore diffida del militante. Costui non ha forse la cattiva reputazione di essere un attivista? Poiche' prende partito, non gli si rimprovera di cadere nell'intolleranza? Non e' egli sospetto di avere idee troppo fisse per essere ancora capace di riflettere? Certo, nessuno dubita che il militante sia un uomo di convinzioni, ma – paradossalmente – e' proprio per questo che si dubita che possa essere uomo di riflessione. Come se l'agire con convinzione non gli permettesse di avere la distanza necessaria alla riflessione, come se fosse meglio non agire per meglio riflettere!... Non conviene invece mettere in questione l'immagine del filosofo che riflette tenendosi fuori dalle beghe della citta'? Come se il fatto di non impegnarsi, di non prendere partito permettesse di riflettere meglio!... Non bisogna piuttosto affermare che, se la filosofia e' una ri-flessione sull'azione, il filosofo non puo' non agire e, in questo senso, non puo' non essere un militante? Noi pensiamo in effetti che si debba procedere a una riabilitazione filosofica della militanza. Non e' senza significato che il termine militante abbia la stessa radice etimologica della parola militare (dal latino miles, soldato): come il militare  pratica l'arte del combattimento armato, il militante nonviolento pratica l'arte della lotta nonviolenta.
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Le quattro virtu' cardinali
Il vero coraggio dell'uomo forte - e il coraggio, come suggerisce il suo senso etimologico, e' proprio dell'uomo: il termine latino virtus, di cui e' la traduzione, ha la radice vir, che significa "uomo" – e' l'essere pronto ad assumere il rischio della nonviolenza piuttosto che quello della violenza. Il coraggio e' una delle quattro virtu' cardinali, sulle quali deve poggiare come su dei cardini - cardinale viene dal latino cardo che designa il cardine, o ganghero, di una porta - la vita dell'uomo morale, che intende conformare i suoi pensieri e i suoi atti alle esigenze del bene. E infatti, come si dice, l'uomo che si abbandona alla violenza "esce dai gangheri". Piu' ancora che la collera, la violenza e' una follia. Le altre tre virtu' cardinali sono la prudenza, la temperanza e la giustizia, e anch'esse sono dei fondamenti dell'atteggiamento nonviolento dell'uomo morale. Secondo Aristotele, "la prudenza e' una disposizione, accompagnata dalla giusta ragione, rivolta verso l'azione e riguardante cio' che e' bene e male per l'uomo" (18). "Le persone prudenti – egli precisa - si caratterizzano per la loro capacita' di determinarsi saggiamente, la saggia deliberazione e' la rettitudine del giudizio conforme all'utilita' e riferentesi a qualche scopo di cui la prudenza ha permesso il giusto apprezzamento" (19). La violenza, in effetti, e' sempre una in-prudenza ed esiste un legame organico tra la virtu' della prudenza e l'esigenza di nonviolenza. Sulla temperanza, Aristotele dice che "costituisce un giusto mezzo relativamente ai piaceri" (20). "La nostra facolta' di desiderare – egli scrive - deve conformarsi alle prescrizioni della ragione. Cosi', per l'uomo temperante e' necessario che ci sia accordo fra questa facolta' e la ragione. Tutte e due si propongono infatti lo stesso scopo, che e' il bene" (21). Quanto alla giustizia, Aristotele la definisce come "la disposizione che ci rende capaci di compiere atti giusti, ce li fa compiere effettivamente, e ci fa desiderare di compierli" (22).
Ma, per un malinteso tragico fra storia e geografia, le virtu' cardinali sono nate in esilio, in terra di violenza. Lungo i secoli, la gente d'armi le ha costrette a parlare la loro lingua, a condividere le loro credenze, a sottomettersi alle loro ideologie, ad adottare i loro usi e costumi, a sostenere le loro cause. Ma oggi esse rivendicano che si riconosca la loro vera identita' e richiedono che le si lasci vivere in terra di nonviolenza. E' urgente organizzare il loro rimpatrio.
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Il perdono
Bisogna ammetterlo: il perdono non ha una buona reputazione. E' troppo spesso rivestito di una connotazione religiosa che imbroglia il suo significato associandolo all'oscura nozione di peccato. Le religioni storiche – e in modo del tutto particolare il cristianesimo – hanno cosi' sviluppato tutta una retorica sul perdono dei peccati che in definitiva non concerneva molto la storia degli uomini. E' dunque un'impresa difficile, ma allo stesso tempo necessaria, legittima e feconda, riportare l'atteggiamento del perdono nel suo ordine proprio, quello della filosofia.
L'importanza decisiva dell'esigenza etica del perdono nelle relazioni umane e' messa in evidenza da cio' che la sua negazione implica fatalmente: la catena spietata delle vendette e delle rivincite. La vendetta e' stretta reciprocita', e' pura imitazione della violenza dell'avversario. Anzitutto il perdono viene a spezzare questa reciprocita' e questa imitazione. Mentre il risentimento, il rancore e l'odio imprigionano l'individuo nelle catene del passato, il perdono viene a liberarlo e a permettergli di entrare nell'avvenire. "Il perdono - scrive Vladimir Jankelevitch - scioglie cosi' l'ultimo laccio che ci legava al passato, che ci teneva indietro e ci tratteneva in basso: lasciando irrompere l'avvenire e accelerandone l'avvento, il perdono conferma bene la direzione generale e il senso di un divenire che mette l'accento tonico sul suo futuro" (23). La vendetta prolunga e ripercuote nell'avvenire le conseguenze distruttrici di un atto malefico commesso in circostanze che ora non esistono piu'. La vendetta e' inopportuna, intempestiva, anacronistica; essa viene sempre fuori tempo.
Colui che perdona non ignora affatto il desiderio di vendetta, ma decide di superarlo e sorpassarlo. La decisione di non vendicarsi puo' essere presa proprio per il fatto che, precisamente, il desiderio di vendetta c'e', ben presente in noi, e vuole trascinare la nostra decisione. E' per questo che il perdono richiede un grande coraggio. E' perch' la vendetta e' desiderabile che il perdono e' un dovere difficile. Il perdono non e' frutto dell'inclinazione, non si radica in un sentimento, ma in una decisione della volonta'; e' un atto, e' un'azione, e' – dice Jankelevitch – "un evento" (24) che avviene nella storia per cambiarne il corso. "Il perdono - scrive Hannah Arendt - e' la sola reazione che non si limita a re-agire, ma agisce in modo inatteso, non condizionato dall'atto che l'ha provocato, e che libera dalle conseguenze dell'atto sia colui che perdona sia colui che e' perdonato" (25).
Il perdono, certo, non perde la memoria del passato – l'oblio non e' una virtu' ma solo una distrazione – ma si rivolge risolutamente verso l'avvenire. Esiste un "dovere della memoria" del passato, che e' un dovere di vigilanza per l'avvenire, ma bisogna ugualmente vegliare a che la memoria del male  non ingombri il futuro. "L'oblio - scrive Emmanuel Levinas - annulla le relazioni con il passato, mentre il perdono conserva il passato perdonato nel presente purificato. L'essere perdonato non e' l'essere innocente" (26). Cosi' il perdono non distrugge il ricordo, ma e' una scommessa sull'avvenire. Questa scommessa puo' essere perduta, ma non perde per questo il suo senso. Il perdono e' senza condizioni, e' dunque senza garanzie. Il perdono e' un dono, dunque non si merita e non si riprende. Per divenire effettiva nel divenire storico, la decisione di perdonare deve stabilirsi nella durata. Quando uno dei suoi compagni gli chiede se dovra' perdonare fino a sette volte le offese che gli fara' subire suo fratello, Gesu' risponde: "Io non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette volte" (27). Mentre la vendetta e' una forma di disperazione, il perdono e' interamente animato dalla speranza di ricominciare. Rifiutare la vendetta e offrire il perdono al proprio avversario non e' affatto rinunciare alla giustizia. Questo presuppone che vendicarsi non e' affatto farsi giustizia, cio' che noi effettivamente siamo portati ad ammettere. Tutto al contrario, perdonare è aprire il cammino della giustizia.
Il dovere del perdono si situa nel cuore stesso dell'esigenza di nonviolenza. Perdonare, in definitiva, e' sempre perdonare una violenza. Perdonare, e' decidere unilateralmente di rompere la catena senza fine delle violenze che si giustificano le une con le altre, e' rifiutare di continuare indefinitamente la guerra, e' voler fare la pace con gli altri come con se stesso. Infatti, colui che e' preoccupato di vendicarsi, non si trova in pace. Perdonare, e' pacificare il nostro avvenire, rifiutando di restare noi stessi prigionieri di un ciclo perpetuo di violenze. La vendetta rende veramente la vita impossibile e la morte molto probabile.
Ma il rifiuto della vendetta non e' tutta l'opera del perdono. Questo deve ancora ricostruire una nuova relazione tra l'offeso e l'offensore. Qui conviene distinguere il perdono personale, quando l'offesa stessa si inscrive direttamente in un rapporto da persona a persona, e il perdono impersonale, quando l'offesa si colloca nel rapporto da una collettivita' ad un'altra, cioe' in un rapporto sociale o politico. In una relazione personale si tratta di perdonare al proprio prossimo; in un rapporto politico si tratta di perdonare a qualcuno lontano da noi. In un caso come nell'altro, il perdono rende possibile, se non la riconciliazione, almeno la conciliazione, cioe' permette di ristabilire, o di stabilire, delle relazioni di giustizia. Ma, affinche' queste relazioni diventino effettive, importa che colui che ha fatto il male riconosca le proprie responsabilita', entri lui stesso nella storia del perdono e partecipi alla sua dinamica.
In realta', i grandi massacri della storia non sono stati generati da rancori personali, ma da odi collettivi. Sono dunque soprattutto questi che bisogna spegnere e solo l'opera del perdono puo' arrivarvi. Il perdono appare allora come un momento decisivo dell'azione politica che si da' per finalita' la liberazione della storia dal meccanismo cieco della violenza.
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Note
1. Tommaso d'Aquino, Somma teologica, 2-2, questione 123, articolo 4.
2. Idem ibidem, articolo 5.
3. Idem ibidem, articolo 6.
4. Idem, ibidem.
5. Jacques Maritain, Du regime temporel et de la liberte', Paris, Desclee de Brouwer, 1933, p. 207; tr. it. Strutture politiche e liberta', a cura di A. Pavan, Brescia 1968.
6. Simone Weil, Cahiers II, op. cit. p. 147; tr. it. cit.
7. Platone, Apologia di Socrate, XX, 32-d (trad. it. di Manara Valgimigli).
8. Citato da Jean-François Six, Le Pere Riobe', un homme libre, Paris, Desclee de Brouwer, 1988, p. 69.
9. Vangelo di Matteo, 26, 37.
10. Idem, ibidem, 26, 51-52.
11. Vangelo di Luca, 12, 4.
12. Rene' Girard, Des choses cachees depuis la fondation du monde, op. cit., p. 230; tr. it. cit.
13. Idem, ibidem, p. 237.
14. Idem, ibidem, p. 238.
15. Vangelo di Matteo, 16, 25.
16. Rene' Girard, Des choses cachees depuis la fondation du monde, op. cit., p. 238; tr. it. cit.
17. Idem, ibidem.
18. Aristotele, Etica Nicomachea, libro VI, capitolo V.
19. Idem, ibidem, libro VI, capitolo X.
20. Idem, ibidem, libro III, capitolo V.
21. Idem, ibidem, libro III, capitolo XII.
22. Idem, ibidem, libro V, capitolo I.
23. Vladimir Jankelevitch, Le pardon, Paris, Aubier, 1967, p. 24. In italiano vedi: Il perdono, IPL, Milano 1969; Perdonare?, Giuntina, Firenze, 1987.
24. Idem, ibidem, p. 12.
25. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, Paris, Calmann-Levy, Presses Pocket, 1988, p. 307; tr. it. dell'originale The Human Condition, The University of Chicago, Usa, 1958, Vita activa. La condizione umana, RCS Libri, Milano 1997; Saggi Tascabili Bompiani, Milano 1998.
26. Emmanuel Levinas, Totalite' et Infini, op. cit., p. 316; tr. it. cit.
27. Vangelo di Matteo, 18, 21-22.

4. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Stefano Massini, Manuale di sopravvivenza, Il Mulino - Gedi, Bologna-Roma 2021, pp. 252, euro 12 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").
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Riletture
- Martin Luther King: Il fronte della coscienza, Pgreco, Milano 2018, pp. 122.
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Riedizioni
- Murakami Haruki, L'assassinio del Commendatore, Einaudi, Torino 2018, 2020, Milano 2020, Rcs, Milano 2021, pp. 860, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4111 del 21 maggio 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
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