[Nonviolenza] Telegrammi. 4053



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4053 del 24 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: Giornalismo contro opinionismo
2. Maria Elena Dalla Gassa: Anna Maria Mozzoni
3. Alcuni riferimenti utili
4. Omero Dellistorti: Il lavoro
5. Una raccolta di racconti di Omero Dellistorti: Il cugino di Mazzini
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'
 
1. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: GIORNALISMO CONTRO OPINIONISMO
[Dal sito www.azionenonviolenta.it
Mao Valpiana e' presidente del Movimento Nonviolento e direttore di "Azione nonviolenta"]
 
Dunque fare giornalismo (cioe', buon giornalismo) e' possibile anche in Italia.
Lo ha dimostrato la trasmissione "La dittatura delle armi" di PresaDiretta che ha portato in prima serata su Rai3 un'inchiesta sulle spese militari, l'industria bellica, il commercio di armi made in Italy. Una scelta coraggiosa, temi difficili ma importanti.
Il pubblico ha gradito: 1.122.000 spettatori (il 4.4% di quella fascia oraria), anche se c'e' da registrare la concorrenza di trasmissioni piu' popolari: su Rai1 la serie Makari ha intrattenuto 6.389.000 spettatori (26.5%), su Canale 5 L'Isola dei Famosi ha ottenuto 3.427.000 spettatori (19.8%). Ma per la trasmissione di Riccardo Iacona, impegnata e impegnativa, sono numeri confortanti.
Fare giornalismo significa raccogliere notizie, verificarle, interpretarle, e poi saperle raccontare, per offrire informazioni e contribuire cosi' alla ricerca di una verita'. Il giornalismo d'inchiesta scava dentro a una notizia, cerca le fonti, studia i documenti, interpella i protagonisti. E' quello che ha fatto Giulia Bosetti (una professionista seria e preparata), che ha dato voce alle vittime delle armi italiane, andando sui luoghi dei conflitti.
Non e' giornalismo, invece, ma opinionismo, quello che tutte le sere viene servito nei cosiddetti salotti televisivi: sedicenti giornalisti che non si sono mai alzati dalla loro comoda poltrona, che hanno un'opinione su tutto, che esprimono pareri su cose che non conoscono, che commentano i fatti del giorno, con una superficialita' imbarazzante, ma con l'immedesimazione di chi ha la verita' in tasca. Direttori di giornali (portatori d'acqua al partito di riferimento) che non sono mai usciti dal loro studio (Travaglio o Sallusti e' uguale) pronti a sbertucciare il nemico politico di turno; oppure professionisti dell’ospitata (Scanzi o Feltri e' uguale), picchiatori della parola che controbattono al nulla di qualche altra opinione, ma a cui interessa solo presentare il proprio ultimo libro. Campioni di incassi.
La puntata di PresaDiretta ha fatto conoscere ad un pubblico ampio il lavoro di Rete italiana Pace e Disarmo, che e' quello di coordinare le associazioni del mondo pacifista, disarmista, del volontariato e del servizio civile, per la nonviolenza, di fare ricerca, studio e documentazione (grazie ad analisti come Giorgio Beretta, Francesco Vignarca, Maurizio Simoncelli e altri), di promuovere campagne.
E' un lavoro che da' molti frutti, poiche' non e' improvvisato, viene da lontano; gia' 60 anni fa Aldo Capitini operava per questo risultato di creare "un largo fronte che sappia ripudiare la guerra e la violenza, a partire dal rifiuto delle armi, delle spese militari, degli eserciti, che le guerre preparano e rendono possibili". Per questo Rete Pace e Disarmo va sostenuta. Il Movimento Nonviolento ci ha sempre creduto e lavora per farla crescere.
Proprio in questi giorni stiamo celebrando il Centenario della War Resisters' International, che nel 1921 ha dato vita al lavoro di coordinamento internazionale a partire dall'obiezione di coscienza, cioe' il rifiuto individuale e collettivo delle armi, riconoscendo che la guerra e' "il piu' grande crimine contro l'umanita'". C'e' un lungo filo storico della nonviolenza che lega quella prima riunione internazionale di pacifisti alla campagna per la Difesa civile non armata e nonviolenta che promuove la Rete Pace e Disarmo. Al centenario della WRI abbiamo dedicato il primo numero del 2021 di "Azione nonviolenta", la nostra rivista che e' un ottimo esempio di buon giornalismo. Parola di direttore.
 
2. MAESTRE. MARIA ELENA DALLA GASSA: ANNA MARIA MOZZONI
[Dal sito www.enciclopediadelledonne.it
Maria Elena Dalla Gassa, laureata in Storia Contemporanea presso l'Universita' Ca' Foscari di Venezia con una tesi dal titolo Un paese al femminile. Storia di donne nel Veneto bianco, ha conseguito un master in Biblioteconomia e Archivistica all'Universita' degli Studi di Verona. E' membro della Societa' Italiana delle Storiche]
 
Anna Maria Mozzoni, Milano 1837 - Roma 1920.
*
"Che fa la penna in mano a una donna se non serve alla sua causa, come a quella di tutti gli oppressi?"
"Voi pero' della cui intelligenza non posso dubitare vedendovi qui, pensate che le idee sono possenti e fatali, espansive e contagiose – non temete le opposizioni; senza attrito non v'e' scintilla, ridete dell'umorismo, non ve ne impressionate; non ne vale la pena – e pensate ad aggiungervi lena, che se noi libiamo la vita in un calice sovente amaro, le nostre figlie e le nostre nipoti, che respireranno in pieno petto l'aura inebbriante della divina liberta', benediranno ai generosi conati di chi la preparo' per loro"
(Dei diritti delle donne)
*
Anna Maria Mozzoni e' forse la figura piu' importante della vita politica italiana e internazionale fra Otto e Novecento. Il suo impegno teorico, civile, politico disegna una biografia di grandissima vitalita' e instancabile lavoro, fatta di scritti, relazioni e incontri, confronti, studio.
Anna Maria – Marianna all'anagrafe – nasce in una famiglia colta, di origini aristocratiche, ma di modesta ricchezza. Sua madre, Delfina Piantanida, appartiene all'alta borghesia milanese, mentre il padre Giuseppe e' un ingegnere architetto. Le spese sostenute per gli studi dei due figli maschi piu' grandi spingono il padre, di idee risorgimentali e liberali, a far entrare la figlia minore, all'eta' di cinque anni, in collegio – forse a Verona? le fonti non confermano che si tratti del collegio milanese della Guastalla – riservato alle giovani nobili e povere. Anna Maria mal sopporta l'educazione bigotta e conservatrice impartita dalle suore e nel 1851 preferisce ritornare a casa dove continuera' i suoi studi da autodidatta attingendo alla ricca biblioteca paterna. Tra le figure di riferimento vi sono Adelaide Cairoli, che Anna Maria frequenta, figura di spicco del risorgimento italiano. Tra le sue letture gli illuministi francesi e lombardi, i romanzieri contemporanei, Mazzini, Georges Sand e Fourier, noto in Lombardia anche per il pensiero e l'azione di Cristina di Belgioioso.
Nel 1855 Anna Maria pubblica il suo primo scritto, in francese, una commedia dal titolo La Masque de fer, comedie en trois actes. Vicina alle posizioni repubblicane e mazziniane si inserisce attivamente nei gruppi mazziniani dove inizia a lavorare sui temi dell'emancipazione femminile e l'uguaglianza dei diritti tra donne e uomini, rifiutando la pretesa "naturale" del ruolo tradizionale e domestico della donna. E' di questi anni la pubblicazione della sua prima opera dedicata a questi temi La donna e i suoi rapporti sociali, che Anna Maria dedica a sua madre, meritevole di averla allevata nel libero pensiero.
"Ognun vede e sa, che potente ed efficace si e' destato il bisogno d'istruzione nella donna in questo quinquennio di libera vita. Ognun vide l'entusiasmo che la donna italiana porto' nel patrio risorgimento, la devozione sua agli interessi nazionali, i sacrifici che lieta compi' sull'altare dei patrii bisogni.
Se cio' tutto non rivela massima intelligenza della pubblica cosa; se l'avere scossa l'inconscia pace dell'ignoranza; se il suo caldo parteggiare per cose, per individui o per principii, non prova ampiamente in lei sazieta' della vieta apatia, e bisogno supremo di nuova vita, di piu' libera atmosfera e di piu' ampio orizzonte; se cio' non e', dico, allora noi assistiamo ad un fenomeno che non ha ragione d'essere, eppero' non possibile soluzione.
Negare alla donna una completa riforma nella sua educazione, negarle piu' ampii confini alla istruzione, negarle un lavoro, negarle una esistenza nella citta', una vita nella nazione, una importanza nella opinione non e' ormai piu' cosa possibile; e gli interessi ostili al suo risorgimento potranno bensi' ritardarlo con una lotta ingenerosa, ma non mai impedirlo".
Il processo risorgimentale, segnato da un forte impegno femminile, e l'avvenuta unita' d'Italia ponevano in primo piano la questione dei diritti civili, anche delle donne, e l'esigenza di armonizzare il nuovo stato con i valori di liberta' ed eguaglianza che avevano desiderato e combattuto per la sua realizzazione.
A partire dagli anni Settanta la Mozzoni e' molto sensibile al pensiero di J. Stuart Mill, di cui aveva tradotto l'opera The Subjection of Women in italiano con il titolo La servitu' delle donne, e si dedica con impegno al movimento a favore dei diritti delle donne. Partecipa nel 1877 al Congresso di Ginevra, che ha come obbiettivo l'abolizione delle norme sulla prostituzione, ed e' tra i membri della commissione giuridica, assieme al mazziniano Joe Nathan; in tale occasione pronuncia un breve discorso all'Assemblea generale di legislazione sulla questione della ricerca della paternita'. Tiene una conferenza, Del voto politico alle donne, presso la Societa' Democratica di Milano, con lo scopo di far notare i limiti del governo di Depretis di fronte alla questione del suffragio universale, e nel 1877 presenta una mozione al Parlamento italiano per il voto politico alle donne.
Nel 1878 la Mozzoni rappresenta l'Italia al Congresso internazionale per i diritti delle donne di Parigi. L'anno seguente fonda a Milano la Lega promotrice degli interessi femminili. Nel 1879 entra a far parte della Lega della Democrazia con Jessie White Mario e Gualberta Alaide Beccari. Dal 1870 al 1890 collabora al giornale "La Donna", impegnato sul tema dell'emancipazione femminile e sensibile alla questione sociale: questa testata sara' per la Mozzoni e altre, come Malvina Frank, Luisa Tosco e Luisa Napolon Margarita, la tribuna delle principali battaglie per il diritto all'istruzione alle donne. Secondo la Mozzoni l'istruzione avrebbe garantito alle donne l'autonomia e l'indipendenza economica. La sua esperienza in merito ai problemi pedagogici connessi all'istruzione femminile la porta ad avere incarichi nell'ambito del ministero della Pubblica Istruzione presieduto da Francesco De Sanctis.
La vita della Mozzoni si avvia ad avere e a ricercare una vivace rilevanza pubblica in virtu' di un impegno senza frontiere. La sua vita privata rimarra' invece quasi sconosciuta, ravvivata dalla presenza della figlia, Bice del Monte, avuta in un anno imprecisato, non si sa se figlia naturale o forse di un'amica – dunque adottata dalla Mozzoni – alla quale Anna Maria dara' il suo cognome. Nel 1886 si sposa con un procuratore, il conte Malatesta Covo Simoni, di circa dieci anni piu' giovane, che rifiutera' di riconoscere la figlia, dal quale si separera' dopo sette anni con pesanti strascichi giudiziari.
Importante l'impegno presso la Scuola Superiore femminile "Maria Gaetana Agnesi", fortemente voluta dalla Mozzoni, quasi un contraltare della scuola Alessandro Manzoni, nata in quegli stessi anni, e dove insegnera' filosofia morale. Qui Anna Maria conosce Maria Antonietta Torriani, insegnante di letteratura e piu' tardi prima giornalista del "Corriere della Sera", celebre con lo pseudonimo di Marchesa Colombi. Con lei in seguito organizzera' un ciclo di conferenze, avviando una amicizia profonda e duratura, testimoniata soprattutto da scritti della Torriani.
Nel 1881 fonda un'associazione indipendente, collegata al movimento socialista, la Lega promotrice degli interessi femminili, e otto anni piu' tardi, con Filippo Turati, Costantino Lazzari e Anna Kuliscioff – con la quale instaura inizialmente un legame di amicizia destinato a incrinarsi – la Lega socialista Milanese. Collabora alla rivista "Critica Sociale" di Turati.
Si orienta verso il socialismo quando comprende che le donne assunte in fabbrica accettano salari bassi perche' non sono per niente tutelate e scrive diversi testi sulla necessita' di adesione al socialismo. Nel 1884 ne scrive uno dal titolo Alle fanciulle nel quale spiega perche' le giovani donne, qualunque sia la loro condizione sociale, debbano impegnarsi nella battaglia emancipazionista e nel movimento socialista. Non facile il suo rapporto con la Kuliscioff, che neghera' alla Mozzoni l'ingresso al Psi. Questo rifiuto viene determinato dalle polemiche relative alla lettera pubblicata sull'"Avanti" il 7 marzo 1898 con il titolo La legislazione a difesa delle donne lavoratrici. Dagli amici mi guardi Iddio! La Mozzoni si inserisce provocatoriamente nel dibattito sulle leggi di tutela del lavoro femminile, sostenute dalla Kuliscioff. La sua diffidenza verso la legislazione protettiva e' motivata dal timore che leggi speciali contribuiscano a considerare il lavoro femminile di grado inferiore rispetto a quello degli uomini e a legittimare differenze salariali.
Pur nella attualita' di questi temi socialmente rilevanti, il principale obbiettivo politico del femminismo di questi anni resta il diritto di voto alle donne. Anna Maria Mozzoni si battera' fino alla fine della sua vita per raggiungere questo traguardo. Un'altra petizione per il voto, firmata da venti donne di prestigio tra cui Teresa Labriola e una giovane Maria Montessori, viene presentata al Parlamento nel 1906 da Salvatore Morelli nell'ambito della vasta e lunga discussione sulla riforma elettorale.
Nel corso del primo conflitto mondiale la Mozzoni verra' un po' isolata dal suo ambiente, anche a causa delle sue opinioni interventiste.
E per poter votare le donne italiane, come si sa, dovranno passare per due guerre mondiali: il voto alle donne si realizzera' solo nel 1946.
Anna Maria Mozzoni morira' al Policlinico di Roma all'eta' di 83 anni il 14 giugno del 1920.
*
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Gisela Bock, Le donne nella storia d'Europa, Laterza, 2001.
Claudia Mancina, Anna Maria Mozzoni in Eugenia Roccella e Lucetta Scarrafia (a cura di) Italiane dall'Unita' d'Italia alla Prima guerra Mondiale, I (2003), pp. 195-139.
Franca Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminista in Italia 1848-1892, Einaudi, 1963.
Rachele Farina, Politica, amicizia e polemiche lungo la vita di Anna Maria Mozzoni, in Politica e amicizia. Relazioni, conflitti e differenze di genere (1860-1915) a cura di Emma Scaramuzza, Franco Angeli, 2010.
 
3. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
4. NUOVI RACCONTI CRUDELI DALL'AUTOBIOGRAFIA DELLA NAZIONE. OMERO DELLISTORTI: IL LAVORO
 
A quei tempi il lavoro si cercava cosi'.
In fondo al bar, dopo la sala coi biliardi, da un lato c'erano i cessi (uno uomini e uno donne, ma a quei tempi le donne nei bar non ci entravano che c'era ancora il comune senso del pudore e le case chiuse) e dall'altro lato una porta sola con sopra un foglio appiccicato con una gomma americana con scritto "ufficio di collocamento". Se tu cercavi lavoro andavi al bar, trovavi Ciampicone che leggeva il Corriere dello sport e gli chiedevi un appuntamento. Lui ti dava un appuntamento e te lo dava in quella stanza che la chiave ce l'aveva solo lui con tutto che il bar non era suo ma del sor Achille.
E allora, ti diceva, che c'e'? C'e' che cerco lavoro, dicevi tu. E lui: bravo, e che sai fa'? E tu: questo e quello. E lui ti trovava il lavoro. Che di solito erano lavori di notte.
Io m'ero stufato di fare il muratoretto e di tornare a zappare non mi andava, cosi' un giorno gli chiesi appuntamento.
Non c'ero mai entrato nell'ufficio, ma come era fatto lo sapevo perche' conoscevo almeno un miliardo di persone che c'erano entrate prima di me.
C'era un tavolinone con dietro una poltrona e li' ci si mettava Ciampicotto. E poi c'era una sedietta dall'altra parte e li' ti ci mettevi tu.
Sul muro dietro alla poltrona c'era un quadro di un'osteria dove giocavano a carte e uno passava una carta a un altro di nascosto e erano tutti vestiti come nei tempi antichi che si vestivano proprio ridicoli perche' si vede che ancora non si erano civilizzati e non ci avevano i camperos, i bluggins e le radio a transistor.
- Allora, come butta?
- Male, cerco lavoro.
- E che sapresti fa'?
- Un po' di tutto, mi conosci, lo sai.
- Per esempio le sai aggiustare le televisioni?
- No.
- E il violino di Stradivari lo sapresti suonare, eh?
Io manco lo sapevo che era il violino di Stradivari.
- Lo vedi che non sai fare niente? E che lavoro gli trovo a uno che non sa fare niente? Eh?
Io m'ero gia' avvilito, pero' me l'avevano detto che lo faceva apposta che prima di trovare lavoro a uno lo voleva mortificare, perche' era fatto cosi' Ciampicaccio, gli piaceva mortificare la gente per sottometterla.
- Vabbe', ti voglio aiutare lo stesso ti voglio, giusto perche' con tuo padre eravamo amici e di morire in quel modo non se lo meritava.
Il modo come era morto mio padre non lo sapeva nessuno perche' il cadavere non l'avevano mai ritrovato, pero' tutti dicevano che quando non si ritrovava il cadavere allora era stato Ciampicotto.
- Ce lo sapevi ch'eravamo amici io e tuo padre, si'?
- Si', si'.
- Allora fatti trovare a mezzanotte davanti al cimitero che passa Attila a prenderti. Lo conosci Attila, no?
Lo conoscevo si', Attila. Lo conoscevano tutti al paese, e tutti speravano di non incontrarlo.
- Va bene, e poi che devo fare?
- Poi lavori, no? M'hai chiesto di lavorare, no? E io ti faccio lavorare.
- Va bene. Mi devo portare qualche cosa?
- Il cervello ti devi portare, e basta. E un lucchetto per chiuderti la boccaccia che se continui a fare domande vuole dire che di lavorare non ci hai voglia.
- Ci ho voglia, ci ho voglia.
- E allora a mezzanotte davanti al cimitero, e mo' smamma.
Smammai.
*
Attila lo conoscevo bene, i due denti davanti che mi mancano me li aveva fatti saltare lui da ragazzini che giocavamo a lotta con i bastoni e lui vinceva sempre perche' invece di mirare al bastone mirava direttamente alla testa. Poi eravamo cresciuti e lui faceva dentro e fuori da lo sapete dove. Lo sapete, lo sapete. Chissa' quante volte ce lo avrete incontrato. Non facciamo le mammolette, eh, che non e' proprio il caso.
Adesso, di lavorare insieme con Attila non e' che mi sembrasse un affarone, ma per cominciare bisogna dimostrare la buona volonta' e io la buona volonta'ce l'avevo, che magari se andavo bene poi Ciampicone mi spostava a un altro lavoro senza Attila. Non dico che avessi del rancore per Attila, non ce l'avevo, e neanche mi facevo i fatti suoi che se faceva entra e esci erano affari suoi, pero' il fatto che faceva entra e esci qualche cosa significava, e significava che era uno che si faceva beccare e nessuno ci ha gusto di lavorare con uno che si fa beccare. Dico bene, no? E questo per il punto entra. Poi c'e' il punto esci, cioe' che se esci troppe volte vuole dire che hai fatto il compromesso perche' se no non ti facevano uscire, no? E a nessuno gli piace di lavorare con uno che non lo sai se un giorno se gli gira o se e' costretto finisce che se la canta che cosi' poi la pula poi ti si beve quando meno te lo aspetti. Non ci ho ragione? Eccome se ci ho ragione.
Per non dire del fatto che tutti dicevano che Attilaccio era uno permaloso e che come niente scattava e quando scattava allora sicuro come una messa che qualcuno si faceva male. E quando non scattava era peggio, che siccome era vendicativo come un falco si faceva tutto il sangue amaro e poi finiva che t'aspettava una notte e allora non era solo che ti facevi male, era che non la raccontavi piu'. E' per via del carattere, se uno ci ha il carattere permaloso e' fatto cosi', non ci si puo' fare niente. Cioe', non proprio niente niente, che si sa che un colpo di scimitarra risolve tutte le cose. Un colpo di scimitarra dato bene, intendo dire.
Cosi' non mi piaceva per niente di averci a che fare con Attilone. Pero' siccome ero stato io che ero andato da Ciampicaccio e Ciampicaccio aveva detto con Attila allora con Attila doveva essere, il lavoro e' cosi', lo sanno tutti, e' per questo che tutti vogliono fare i soldi svelti cosi' poi smettono di lavorare e fanno lavorare gli altri al posto loro. Che poi pure comandare e' un lavoro pure quello, pero' e' un lavoro che tu lo dici tu quello che s'ha da fare e lo fai fare a un altro, e allora c'e' una bella differenza dico io.
*
Faceva un freddo cane.
Aspetta, aspetta, e niente.
Faceva un freddo boia.
Verso l'una mi dico che forse ho capito male. Magari m'ha fatto uno scherzo. Alla gente gli piace di fare gli scherzi, e ti dice bene se non ti storpiano o ti fanno la pelle. Pero' poteva essere pure che Ciampicazzo voleva vedere se ero tenace e quanto duravo ad aspettare li' con tutto quel freddo, che ne sai? Oppure voleva vedere quanto ero fesso e se passavo tutta la notte li' a battere i denti invece di andarmene a casa. Non si sa mai quello che la gente vuole, per questo io non mi fido di nessuno.
Verso l'una e mezza comincia a piovere. Per fortuna che c'era una tettoietta. Oltretutto ero senza ombrello e se andavo a casa mi fracicavo tutto che saranno stati almeno almeno cinque chilometri di strada tra il cimitero e il paese e altri due dal paese al casale mio che era dall'altra parte del paese. E io la macchina non ce l'ho, e nemmeno il motorino. Cosi' decisi che ormai ero costretto a restare li' con tutto quel freddo e quell'acqua e che ero proprio un fesso tre volte fesso, sia a stare li' invece di essermene andato via a mezzanotte e un minuto, sia a esserci andato al cimitero a mezzanotte che basta dirlo per capire che e' una fregatura, sia a essere andato da Ciampicone a chiedergli il lavoro. E piu' fesso di tutti a volere lavorare che meglio sarebbe morire invece che di campare cosi' a faticare sotto padrone, anzi, il meglio del meglio sarebbe non essere mai nato.
E mentre che ero li' che filosofeggiavo sotto la pioggia arriva Attila col furgone della ditta.
*
- Da quant'e' che aspetti?
- Da mezzanotte.
- E che sei stato a fare qui quando hai visto che non arrivavo? Potevi venire al bar, no?
- Al bar?
- Che non ce lo sai che la sera io sto a giocare a quartiglio al bar?
- Ma Ciampico m'ha detto di venire qui.
- Ahia. Ahia. Non lo devi nominare mai. Non ce lo sai che la prima regola del lavoro nostro e' che non si deve nominare mai?
- Chi?
- Lo sai chi.
- Non lo sapevo.
- Adesso lo sai. Se tu lo nomini e dopo lui lo sa lo sai che succede.
- Che succede?
- Come che succede?
- Eh, che succede?
- Succede quello che lo sai che succede.
- Quello?
- Eh, quello.
- Ah, quello.
- Allora tu non lo devi nominare mai, hai capito?
- E come devo dire?
- Non dire niente e basta.
- Mo' ho capito.
- Bravo, adesso salta su che si parte. Certo che sei proprio scemo a stare qui la notte co' 'sto freddo e co' 'st'acqua.
Salii, partimmo, non dissi una parola. Attila cantava Fatti mandare dalla mamma.
*
Dopo una mezz'ora eravamo arrivati.
- Ce l'hai lo strumento?
- Che?
- Il pezzo.
- No, m'era stato detto di non portare niente.
- E chi te lo ha detto?
- Lo sai chi me lo ha detto.
- Non lo devi nominare.
- E mica l'ho nominato.
- Pero' sei senza l'attrezzatura.
- Te l'ho detto, m'e' stato detto di non portare niente.
- Da chi t'e' stato detto?
- Da nessuno.
- Bravo, mo' hai capito. Pero' sei sempre senza attrezzatura.
- Pensavo che la portavi tu.
- Io ci ho la mia, tu dovevi pensare alla tua. O pensavi che si faceva tutto senza niente?
- Io veramente non so neppure che dobbiamo fare.
- Bravo, bravo, cosi' si dice.
- No, no, e' che veramente non lo so che lavoro c'e' da fare.
- E che lavoro c'e' da fare secondo te qui a quest'ora di notte? Non lo vedi dove siamo?
- E che ne so dove siamo? Guidavi tu guidavi.
- Ah ma sei proprio restato tontolone come quando eravamo figliarelli, eh? Ti ricordi quante te ne ho date perche' eri cosi' tontolone?
- Io mi ricordo solo che m'hai fatto saltare due denti.
- E se non ti svegli altro che due denti qui ti saltano. Mica siamo qui per giocare, eh.
- Ma intanto dov'e' che siamo?
- Ma non lo vedi il monumento? E la fontana che schizza? E laggiu' il Gran Caffe'? E dove siamo allora?
- Mo' ho capito.
- E qui vicino c'e' il postarello dove andiamo noi.
- Ho capito, ho capito. Svelti e silenziosi, eh?
- Che?
- Come che?
- Ma quali silenziosi, rumorosi, rumorosi, a lasciare il segno.
- E con che lo facciamo il rumore?
- Io ce l'ho lo strumento, tu vedi un po' che puoi fare.
- E che posso fare?
- Vabbe', piglia quella chiave inglese.
- Quella chiave inglese?
- Si', la chiave inglese, meglio di niente.
- E che ci fo?
- Vedi che quando sei li' lo sai. E adesso forza col passamontagna. Almeno il passamontagna ce l'hai, si'?
- Veramente no.
- Un fazzoletto, ce l'hai un fazzolettaccio?
- Pulito?
- Pulito, zozzo, come ti pare, ce l'hai o no?
- Ce l'ho, ce l'ho.
- E allora mettitelo sulla faccia.
- Come nel far west?
- Come?
- Come nel far west, ci hai presente i fuorilegge del vecchio west?
- E allora?
- Allora quel fazzoletto che tutti i cow-boys ci avevano sul collo i fuorilegge quando entravano in azione se lo mettevano sulla faccia; devo fare cosi', no?
- Come nel far west, va bene, andiamo.
- Lo lego dietro?
- Se dici un'altra parola giuro che ti sparo.
- Va bene, va bene, lo lego dietro, non c'e' bisogno di offendere.
- Andiamo.
Entrammo.
*
Io mi chiedo che li tengono aperti a fare i supermercati di notte. Solo per farsi fare le rapine. Che magari sono pure d'accordo. Di sicuro che sono d'accordo, per fregare le assicurazioni. Pero' se sono d'accordo allora non dovrebbe scapparci il morto. E invece ci scappa sempre. E allora perche'? Forse perche' tanto il padrone quello lo doveva licenziare. Che magari s'era accorto che rubava ma era troppo furbo per farcisi pizzicare e allora il padrone due piccioni con una fava. Chi lo sa come vanno veramente 'ste cose. Io fo il lavoro mio e basta, che gia' bisogna stare parecchio attenti che basta un niente per fare l'errore fatale. Per esempio che dici una cosa sbagliata e poi ti ci riconoscono. Per questo quando si lavora si deve stare zitti. Peor' zitti zitti non ci si puo' stare perche' almeno di darti i soldi al commesso glielo devi dire, no? Cioe', lo dovrebbe capire da se' quando ti vede ma magari lui prova a fare lo gnorri e allora qualche cosa gli devi dire, non e' che puoi spaccare la capoccia a un cristiano senza nemmeno avergli detto che volevi. Io la vedo cosi'.
Entrammo.
C'era tanto di quel bendidio che pensai che dovevo tornarci di giorno a comprare qualche cosa che mi serviva. Pero' pensai pure che non era prudente perche' lo sanno tutti che il criminale torna sempre sul luogo del delitto e allora era meglio che io sul luogo del delitto non ci tornavo. Sul lavoro bisogna essere prudenti, si chiama prevenzione infortuni. Chi ha fatto il muratore come me lo sa, che troppa gente ha visto cascare giu' dalle impalcature e il padrone dargli il colpo di grazia, caricarla sul furgono e buttarla in una fratta qualche chilometro piu' in la' del cantiere. Si sa come va il mondo.
Attila si avvicino' al bancone col ferro spianato e disse: L'incasso.
Prego?, disse il cassiere.
- L'incasso. Questa fa i buchi.
- L'incasso? Ma quale incasso, qui e' tutto vuoto, sono le tre di notte.
- L'incasso della giornata.
- E che il padrone lo lascia qui? Per farselo rapinare nell'ora delle streghe?
- Non e' l'ora delle streghe. L'ora delle streghe e' a mezzanotte e adesso saranno le tre.
- L'ho detto gia' io che sono le tre.
- E allora non c'e' neppure bisogno che conto fino a tre: l'incasso.
- Non c'e'. Se l'e' portato via il padrone. Ma lo capisci quello che dico o sei piu' scemo di quello che sembri co' 'sta maschera da Zorro d'inverno?
- Non e' una maschera da Zorro d'inverno, e' un passamontagna.
- Guarda che se vuoi vedere un passamontagna vero ce li abbiamo in offerta li' nel settore abbigliamento e sport. Quelli sono passamontagna.
C'e' un limite alle offese che uno riesce a sopportare, lo dicono pure in quel film. Cosi' Attilaccio sparo'. Non lo so con che era caricata la rivoltella ma gli spappolo' tutta la faccia a quello che invece di fare il commesso voleva fare il sofista mentre ce lo sanno tutti che devi stare al posto tuo che non si puo' fare il servitore di due padroni, mica sei Arlecchino.
Poi Attilone salto' dall'altro lato del banco e apri' la cassa che chissa' come faceva a saperlo come si apriva una cassa, doveva averci lavorato pure lui in un supermercasto che a me non mi sarebbe proprio venuto in mente, e insomma quando apri' la cassa dentro c'era solo qualche spicciolo. Cosi' aveva sfondato la testa di quel chiacchierone per niente.
Io gli dissi: E allora?
- Allora che?
- Quanto c'e' nella cassa?
- Niente.
- E allora?
- Allora che, che?
- Allora che si fa.
- E che si fa, che si fa, niente, si va via si va. Morammazzato 'sto imbecille qua.
- Magari visto che ci siamo potremmo fare un po' di spesa.
- Guarda che ti sparo pure a te.
- Perche'? Che ho detto.
- Ti sparo pure a te.
- ma che male c'e' se facciamo un po' di spesa?
Pero' gia' mi puntava il ferro in faccia, cosi' lascia perdere. In fin dei conti il capospedizione era lui. Pero' sarebbe stato meglio se ero io. Glielo dovevo dire a Ciampicotto.
Ma lui: Sia chiaro, con Ciampicone ci parlo io.
- E chi ha detto niente?
- Ci parlo io e basta.
- Va bene, va bene.
- Tu fa' la parte tua e basta, e la prossima volta portati l'attrezzatura.
- D'accordo, d'accordo.
- E piantala di dire le stesse cose due volte, che mi fai venire i nervi.
- Occhei.
- E non dire occhei.
- Perche'?
- Perche' te l'ho detto io di non dirlo.
- Ho capito.
- Anzi, non dire niente del tutto.
Cosi' non dissi niente, pero' mi pareva la stupidata delle stupidate che eravamo li' con tutta quella roba, non c'era nessuno, e non prendevamo niente. Almeno qualche bottiglia di liquore, una cassa di birre, che ne so. Eravamo li'.
Questa fu la prima spedizione.
Al ritorno non fu detta una parola. Attila non ci aveva neppure piu' voglia di cantare. Io pensai che era meglio se mi stavo zitto.
Fu la prima spedizione.
*
Il giorno dopo al bar Ciampicaccio non mi disse niente. Mi vide, ma non mi disse niente. Pensai che dovevo aspettare. Io comunque lavorare avevo lavorato, chi aveva mandato tutto a monte era quel fesso di Attilaccio. Ma chissa' che gli aveva raccontato Attilaccio a Ciampicotto.
Il giorno dopo ancora, mi mando'a chiamare. Da un maschietto. Si presento' ' sto maschietto davanti a casa mia all'ora di pranzo, fischio', e quando io misi fuori il muso disse: Sei tu quello che m'hanno mandato a chiamarti?
- E che ne so.
- Se sei tu ha detto tra mezz'ora in ufficio.
- E chi lo ha detto?
- Quello che m'ha mandato a chiamarti.
- Ma almeno si puo' sapere chi e'?
- Nessuno.
- Allora ho capito.
- Bravo.
- E mo' perche' non te ne vai?
- M'ha detto che mi devi dare la mancia.
Ecco, queste sono le cose che proprio mi scocciano. Pero' se uno vuole lavorare qualche sacrificio lo sa che deve farlo, cosi' tirai fuori un paio di spiccioli dalla saccoccia e glieli tirai.
- Ma questi sono settanta centesimi, la tariffa e' di almeno due euro.
- E chi lo dice?
- Nessuno.
- Cavai fuori i due euro.
*
Bussai alla porta dell'ufficio e entrai.
- Non te l'hanno insegnato che si aspetta che ti dicono avanti?
- Non lo sapevo.
- Ci sono troppe cose che non sai.
- Lo so.
- Lo sai che?
- So di non sapere.
- Mo' m'hai fatto proprio ridere. Vabbe', per questa volta va bene cosi'. Giusto perche' eravamo amici con tuo padre. Ce lo sai che eravamo amici con tuo padre, si'?
- Si', si'.
- Bravo. E mo' dimmi che avete combinato l'altra notte.
- Quello che c'era sul giornale.
- E quella e' la versione ufficiale, io voglio sapere quella vera.
- Niente, Attilaccio...
- Niente nomi, non te l'ha detto?
- Ah, ecco, si'. Insomma, quell'altro, il caposquadra per cosi' dire, ha fatto quello che ha fatto a quello alla cassa e poi via.
- E poi via senza che vi siete fatti neanche un regaletto?
- Cioe'?
- Come cioe'? Il frutto della laboriosita' non ve lo dovete spartire voi, lo dovete portare a me se volete continuare a respirare.
- Il frutto della laboriosita'?
- Esatto, il conquibus.
- Il conquibus?
- Il conquibus, il malloppo, lo sterco del demonio, quel che c'era nella cassa.
- Ma nella cassa non c'era niente.
- Si', trullallero.
- Non c'era niente.
- E anche ammesso e non concesso che nella casa non c'era niente, vorresti dire che siete usciti senza prendere un po' di merce?
- Io volevo, ma il caposquadra no.
- Cosi' siete usciti senza che vi si e' incollato niente alle manine, eh?
- Io l'ho detto, ma lui non ha voluto, e io mi sono attenuto alle disposizioni.
- Quali disposizioni?
- Quello che ha detto lui.
- Ma qui le disposizioni le do io, io e io solo.
- Ma io che ne sapevo?
- Cosi' adesso ci hai un bel debito con me, te ne rendi conto?
- No, che debito?
- La parte mia di quello che avete preso, e la parte mia e' tutto quello che avete preso, hai capito adesso come funziona?
- Ma se non abbiamo preso niente.
- Trullallero.
- Non abbiamo preso niente, se lo chiami te lo dice pure lui.
- Lui chi?
- Lui, lo sai chi.
- Io non so niente, so solo che voglio la roba mia.
- Chiamalo e vedi se non ti dice quello che t'ho detto io.
- Non lo posso chiamare.
- E perche'?
- Perche' non c'e' piu'.
- Come sarebbe che non c'e' piu'.
- Sarebbe che non c'e' piu'. Uno scemo di meno.
- Cioe'?
- Non c'e' nessun cioe'. Non c'e' piu'. Uno scemo di meno.
- E adesso?
- Adesso festeggi perche' sei ancora vivo, no? E' solo perche' ero amico con tuo padre. Lo sapevi che eravamo amici con tuo padre, no?
- Si'.
- Pero' il debito me lo devi pagare e con gli interessi.
- Ma non ci ho niente.
- Il modo si trova. Tu non ti preoccupare. Pero' vediamo di non sbagliare la seconda volta, eh?
- No.
- Bene. Fatti trovare al campo sportivo a mezzanotte.
- A mezzanotte mezzanotte?
- A mezzanotte.
- Ho capito.
- Vediamo di non sbagliare piu' se vuoi continaure a lavorare, e a respirare.
- Mi devo portare qualche cosa?
- No, niente, e che ti vuoi portare?
- No, niente.
- Appunto, niente. Tu fatti trovare al campo sportivo a mezzanotte, che passa Arrocchione.
- Arrocchione?
- Arrocchione, si'. Ci hai problemi?
- No, no.
- E allora vattene, non lo vedi che mi sta facendo perdere tempo? Io ci ho da lavorare.
Uscii. E sulle mie gambe.
*
Mi ero portato il passamontagna e il borsone con dentro la carabina con le canne segate e le cartucce per fare la guerra del Vietnam. E un pastrano di quelli che si vedono al cinema. Era di mio padre, era un bel pastrano. E pure l'ombrello, che non si sa mai. Comunque non pioveva.
Verso l'una arriva Arrocchione col camion.
Arrocchione lo sanno tutti che non e' uno da lavori di fino. Con quel nome. Pero' e' uno affidabile. Sa tenere la bocca chiusa ed e' l'uomo piu' prudente della baleneria. Che mi sono sempre chiesto che vuole dire che e' l'uomo piu' prudente della baleneria: mica c'e' il mare qui da noi, e le balene uno le ha viste solo in televisione, se le ha viste. Una volta venne un circo. Con un carrozzone lungo una quaresima e dicevano che dentro c'era una balena bianca, pero' non la facevano vedere perche' era troppo pericolosa. Cosi' la gente andava nel tendone a vedere lo spettacolo del circo che era uno schifo, pero' il biglietto si pagava volentieri perche' sapevi che anche se non la vedevi perche' era troppo pericoloso nel carrozzone li' vicino c'era la balena bianca, e alla gente gli piace di dare prova di coraggio cosi' dimostrava di non avere paura ad entrare nel tendone a vedere quello schifo di spettacolo del circo sapendo che bastava che la balena bianca si svegliava di soprassalto un attimo e dava un colpo di coda e distruggeva il carrozzone, il tendone con tutta la gente che ci stava dentro e mezzo paese con tutte le case e la gente e le bestie (per quanto il circo stava in un prato piuttosto lontano dal paese, ma non si sa mai con le balene).
Si va?, dice Arrocchione, che era gia' bello alticcio, che era sempre bello alticcio.
Si va, dico io.
E dove si va?, dice lui.
Pensavo che lo sapessi tu, dico io.
- Certo che lo so io, scherzavo.
- Ah, per fortuna.
- Vamos, muchachos.
E via.
- Vedo che ti sei portato l'attrezzatura, eh?
- E si'.
- Bravo.
- Magari l'ombrello non serviva.
- Non si sa mai.
- Bravo, sei uno previdente.
- E'sempre meglio.
- E' sempre meglio si'. Mica come certi infami che poi fanno una brutta fine.
- Per esempio?
- La fine delle ghiande.
- La fine delle ghiande?
- La fine delle ghiande. Non lo leggi il compagno Gramsci?
- Il compagno Gramsci?
- I Quaderni.
- I quaderni?
- I Quaderni del carcere del compagno Gramsci. Sei proprio un barbaro, eh?
- Non lo sapevo.
- Non sapevi del compagno Gramsci.
- No, no, del compagno Gramsci lo sapevo, non sapevo che scriveva i quaderni, pensavo che uno come lui scriveva i libri.
- Eh, la galera e' la galera.
- E' la galera si'.
- E io dico che e' meglio non finirci. Dico bene?
- Al duecento per cento.
- Sei simpatico, m'avevano detto ch'eri uno musone.
- No, e' che sono timido, sono poco abituato.
- Poco abituato a che?
- A parlare con le persone.
- Ah, e con chi parli?
- Con nessuno, di solito non parlo.
- Eh, ma un po' bisogna parlare, io la radio qui sul camion non ce l'ho.
- Va bene, va bene. Parliamo.
- E parliamo.
- Magari del lavoro che c'e' da fare.
- E che bisogno c'e'? C'e' da fare quel che si deve fare e via.
- E' naturale, liscio come l'olio, solo che non m'e' stato detto che lavoro si deve fare.
- Perche' non serve, lo so gia' io, no? Quando siamo li' vedrai che lo sai quello che devi fare, se non lo sapevi perche' ti saresti portato l'attrezzatura?
- Cosi', mi sono regolato a occhio.
- A occhio va bene. A pianificare ci pensa il capo, noi dobbiamo sapere improvvisare.
- Ah, ecco. Improvvisare.
- Improvvisare. Ed ecco le luci della citta'.
- Ah, andiamo li'.
- E dove senno'?
- E che ne so.
- Andiamo li', infatti ecco le luci della citta'.
E andavamo.
Dopo un po' arrocchione disse: Adoro le periferie delle citta', per me tutte le periferie sono come la periferia di Buenos Aires, ci ho ragione?
- Perche', sei stato a Buenos Aires?
- No, che bisogno c'e'?
- E allora che ne sai?
- Come che ne so. Ho letto Borges, no?
- E chi e' 'sto Borghez?
- Ma allora e' proprio vero che sei un barbaro, eh? Non la senti la poesia delle strade di Buens Aires nel cuore della notte? Non lo senti che sono le viscere dell'anima tua?
- Le viscere di che?
- Niente, niente, magari te lo spiego al ritorno, che adesso siamo arrivati e si entra in azione.
Eravamo arrivati nella zona industriale, chilometri e chilometri di capannoni e rifiuti.
E' quello, disse Arrocchio. Calmi adesso, eh?
Calmi si', dissi io.
- Fari spenti, che tanto Stazio e' li' che ci aspetta.
- Tazio?
- No, Stazio. Con la esse prima della ti.
- Ah, Stazio. E chi sarebbe?
- Il guardiano notturno, no?
- Ah.
- Eccolo li' al cancello, la vedi quell'ombra?
- Si'.
Abbasso' il finestrino e fece un cenno d'intesa. L'ombra apri' il cancello e ci precedette al capannone. Apri' il capannone. Entrammo. Richiuse.
- Al lavoro.
*
Era un magazzino pieno di cartoni e se capivo bene le scritture americane in ogni cartone c'era una televisione.
- Al lavoro, ripete' Arrocchiaccio.
E mentre Stazio teneva la torcia elettrica noi caricavamo il camion. Ce ne entravano parecchi di cartoni. Non erano troppo pesanti, ma erano tanti. Cosi' dopo una mezz'ora c'era ancora un sacco di posto nel camion ma noi eravamo gia' stanchi morti.
Pausa, disse Arrocchione. E poi: Ci sarebbe qualche roba buona da mandar giu'? Ci ho qualche cosa qui nella baracca, disse Stazio. Qualche cosa di solido o di liquido? Tutt'e due. Ottimo. Vamos, muchachos.
Eravamo li' che ci strafogavamo, quando si sente un motore di fuori, poi una frenata secca e un galoppare di passi di corsa sul brecciolino, poi la porta della baracca si spalanca e irrompono due tizi vestiti di nero col passamontagna e il pezzo in mano.
E mo' che e'? dice Stazio.
E voi chi siete, dice l'uomo mascherato numero uno.
No, chi siete voi, dice Arrocchio.
- Rapinatori.
- E l'autorizzazione?
- Eh?
- L'autorizzazione, ce l'avete l'autorizzazione?
- Ma quale autorizzazione, e' una rapina.
- Ma quale rapina, questa e' zona protetta.
- Ma quale protezione?
- Come quale protezione? Ma da dove venite, dal Paese dei Campanelli?
- Ma quali campanelli?
- Ma vedete d'andarvene.
- E mo' basta, eh? Alzate le mani che questa e' una rapina. Svelti, che senno' qui qualcuno si fa male.
Allora Arrocchione mi disse: Adesso tocca a te.
Devo?, dissi io.
E lui: Certo, non sono autorizzati.
Fu un attimo: tirai fuori dal borsone il cannemozze.
Aho', fermi, fermi. Disse l'uomo mascherato numero due.
Ci dovevate pensare prima, disse Arrocchiotto.
- Un momento, magari ci si mette d'accordo.
- Ma quale accordo, questa e' zona protetta, adesso ci tocca ammazzarvi. Niente di personale, eh, e' per dare l'esempio.
- Ma pure noi siamo armati, no? E siamo in due.
- Ma l'amico mio qui ci ha il cannemozze e non deve neppure prendere la mira e voi finite a pezzetti in un raggio di, quanto? vogliamo dire trecento metri?
- Calma, calma, forse c'e' stato un equivoco.
- E c'e' stato si'.
- Che ne sapevamo che era zona protetta.
- E dovevate informarvi. La legge non ammette ignoranza.
- La legge?
- E' per modo di dire.
- Pero' almeno recuperare il tempo perso.
- Ma allora proprio non volete capire: siete gia' morti.
- Ma perche'? E che bisogno c'e'?
- Per dare l'esempio, ve l'ho detto.
- Ma se noi adesso ce ne andiamo...
- Cosi' tornate domani.
- No, no, non torniamo piu'.
- Dicono tutti cosi'.
A questo punto s'intromise l'uomo mascherato numero uno: Ma basta con tutte 'ste manfrine, tanto quello non spara.
Diceva a me. Che non sparavo.
Allora Arrocchione: Dai.
Diedi.
Subito dopo fu tutto un abbaiare di cani fino all'orizzonte, un abbaiare che riempiva il cielo. Pure la luna - che era notte di luna piena e senza nuvole - aveva fatto una faccia stralunata.
Ci hanno fatto un favore, Virgilie', disse Stazio.
Proprio, disse Arrocchio.
- Adesso pero' finite di caricare e via. Che poi qui ci penso io.
- Adelante Pedro, con juicio.
Tornammo nel capannone e finimmo di caricare. I cani dopo un po' la smisero.
Uscimmo dal capannone, facemmo manovra sul piazzale, il cancello i due neocadaveri abbondatemente parcellizzati l'avevano lasciato aperto, uscimmo.
- Serve una mano, Stazie'?
- No, penso a tutto io, Virgi'.
- E allora buon lavoro e buonanotte.
E via ruggendo sull'asfalto.
Ma il lavoro non era finito. Facemmo si' e no mezzo chilometro che ci fermammo davanti a un altro cancello. Arrocchione scese ed apri'. Entrammo nel piazzale. Arrocchione scese ed apri' un capannone, che sulla lamiera c'era scritto "La settima balza". Entrammo, scendemmo e scaricammo. Fu una bella sfacchinata. Per fortuna che c'era da bere. Ci riposammo un po', ci fumammo una sigaretta, e poi Arrocchiaccio disse: Vamos, muchachos.
*
E gia' l'aurora dalle dita rosate chiamava gli animali che sono in terra alle fatiche loro. E gia' noi eravamo sulla via del ritorno.
- Bel lavoretto, pulito e tranquillo, no?
- E quei due poveracci?
- Chi, quelli che hai diasporizzato?
- Quelli.
- E chi li conosceva? Che, ti dispiace?
- No, ma adesso il guardiano, li', Stazio...
- Ha gia' risolto tutto, tranquillo. Lavoro pulito e senza intoppi. Mi piace quando tutto va liscio liscio. E te la sei cavata bene. Me l'avevano detto che eri uno bravo.
- Grazie. E mo'?
- Mo' a casa a nanna, no?
Ando' cosi'.
*
Il giorno dopo restai a casa tutti il giorno che ci sono sempre un mucchio di lavoretti da fare.
Il giorno dopo ancora, si presento' il maschietto all'ora di pranzo. Fischio', aprii, disse: Due euro.
Ecco, cominciai cosi'.
 
5. NUGAE. UNA RACCOLTA DI RACCONTI DI OMERO DELLISTORTI: IL CUGINO DI MAZZINI
 
Per farne dono alle persone amiche eventualmente interessate abbiamo messo insieme (in formato solo digitale, non cartaceo) una raccolta di racconti di Omero Dellistorti dal titolo "Il cugino di Mazzini ed altre storie".
Sono alcuni dei "racconti crudeli" gia' apparsi a sua firma negli scorsi anni su questo foglio.
Chi volesse riceverla puo' farne richiesta all'indirizzo di posta elettronica centropacevt at gmail.com indicando l'e-mail a cui inviarla.
 
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- AA. VV., Il Pci che ho vissuto, volume monografico di "MicroMega", n. 1, 2021, Micromega Edizioni, Roma 2021, pp. 208, euro 15.
*
Riedizioni
- Andre' Vauchez, La spiritualita' dell'Occidente medioevale, Vita e pensiero, Milano 2006, Rcs, Milano 2021, pp. 204, euro 8,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
*
Classici
- Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, Mondadori, Milano 2017, 2020, pp. XCVIII + 426.
 
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
8. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4053 del 24 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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