[Nonviolenza] Telegrammi. 4051



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4051 del 22 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Enciclopedia Italiana: Grazia Deledda (1931)
2. Arnaldo Bocelli: Grazia Deledda (1948)
3. Angelo Pellegrino: Grazia Deledda (1988)
4. Gabriella Fiori: Per ritrovare Grazia Deledda
5. Rocco Timandri: Un'opinione su Grazia Deledda
6. Alcune pubblicazioni di e su Grazia Deledda
7. Alcuni riferimenti utili
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
 
1. MAESTRE. ENCICLOPEDIA ITALIANA: GRAZIA DELEDDA (1931)
[Dall'Enciclopedia Italiana (1931), nel sito www.treccani.it]
 
Grazia Deledda. - Nata a Nuoro il 27 settembre 1875, si sposo' giovanissima col sig. Madesani, e lo segui' a Roma. La terra natia la commosse coi suoi aspetti solenni, con la sua vita severa, con la sua popolazione appassionata e tragica; e tutto la D. ha visto sotto specie di fatalita' fisica, etnica, traendo da questa visione la propria poesia. Scarse furono le sue esperienze letterarie.
Il primo romanzo della D. fu Fior di Sardegna (1892), rappresentazione di vita isolana, come i libri che immediatamente seguirono: Racconti sardi (1894), Anime oneste (1895), inframezzati di articoli o frammenti folkloristici (Laude di Santo Antonio, Tradizioni popolari di Nuoro, ecc.). Sotto la pressione della critica, essa cerco' di temperare subito l'esuberanza pittorica, scarnificando le proprie figure a vantaggio della chiarezza degli sfondi e del rilievo delle persone. Cosi' apparve piu' perfetta nel Tesoro (1897), nelle Tentazioni (1898), nella Giustizia (1899), nel Vecchio della montagna (1900), in Dopo il divorzio (1902; rist. 1920 col titolo Naufraghi in porto) e specie in Elias Portolu (1903), che le assicuro' il riconoscimento piu' completo e che fu tradotto in varie lingue.
Certo si e' che il senso della natura si e' andato nella D. facendo a mano a mano piu' profondo e ha trovato sempre piu' efficace espressione nello stile pieno d'immagini, nel linguaggio facile, immediato, fervido di quel lirismo di cui la D. e' ricca. Spesso, questo basta a dar vita a un racconto, a una novelletta, a un bozzetto; ma la D. sembra trovarsi piu' a suo agio nella forte drammaticita' dei romanzi. Ma e' solo effetto di confronto: anche racconti come I giuochi della vita (1905), Il fanciullo nascosto (1915), Il flauto nel bosco (1923), Il sigillo d'amore (1926) stanno benissimo insieme coi romanzi, dei quali i piu' famosi sono Cenere (1904), Nostalgie (1905), La via del male (1906), Colombi e sparvieri (1912), canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), L'incendio nell'oliveto (1918). Quivi gli elementi psicologici vanno a mano a mano prendendo il sopravvento sull'osservazione paesistica, e dal particolare si assurge all'universale. La D. partecipa alla sofferenza delle sue creature esagitate fra l'entusiamo per il bene e l'orrore per il male, fra la speranza e il terrore, fra la colpa e l'espiazione. Per lei non e' necessaria nessuna dissertazione, nessun chiarimento sui fatti e gli uomini: rappresenta, non disserta. L'edera (1908) e La Madre (1920) sono romanzi che si avvicinano al capolavoro. Non hanno intrecci vasti, personaggi straordinari: una madre che muore, temendo che il figlio, sacerdote, pecchi per amore e che il suo peccato generi scandalo; un'amante che arde e si consuma, in un ardore profondamente doloroso, ma avvolto di poesia tanto piu' intensa, quanto piu' ingenua. La madre e l'innamorata, vere donne sentite da una donna, sono scolpite con robustezza non priva di commozione sottile, con un'arte che esprime una perfetta visione. Ne' l'essenza dell'arte della D. muta negli ultimi romanzi, nei quali l'ambiente sardo e' deliberatamente abbandonato (Il segreto dell'uomo solitario, 1921; Il Dio dei vizienti, 1922; La fuga in Egitto, 1925; Annalena Bilsini, 1927; Il paese del vento, 1931).
Inutile attribuire alla D. una discendenza da questo o da quello scrittore: finora la sua forza e' stata nella sua impenetrabilita' a tutto cio' che e' di un altro mondo, di un'altra arte, e a questa virtu' essa deve, fra le scrittrici italiane, il suo meritato posto di preminenza. Il premio Nobel per la letteratura, conferitole per il 1926, e' stato un solenne riconoscimento del suo alto valore nella letteratura mondiale. La Deledda ha anche scritto per il teatro. Il suo romanzo Cenere fu ridotto nel 1913 a pellicola cinematografica, l'unica interpretata da Eleonora Duse.
Le opere della D. sono tutte edite a Milano, Treves.
Bibl.: G. A. Borgese, La vita e il libro, II s., II ed., Bologna 1928; P. Pancrazi, Venti uomini, un satiro e un burattino, Firenze 1923; L. Russo, I Narratori, Roma 1923; L. Falchi, L'opera di G. D., Cagliari 1929; M. Mundula, G.D., Roma 1929; G. Ravegnani, I contemporanei, Torino 1930.
 
2. MAESTRE. ARNALDO BOCELLLI: GRAZIA DELEDDA (1948)
[Dall'Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948), nel sito www.treccani.it]
 
Grazia Deledda (XII, p. 519). - Scrittrice, morta a Roma il 15 agosto 1936. Era nata a Nuoro il 27 settembre 1871.
Singolare fortuna ha avuto, negli ultimi anni, l'opera della D., non tanto per la pubblicazione postuma di un bel romanzo autobiografico, Cosima (Milano 1937), o per la riedizione dei migliori suoi Romanzi e novelle (I, ivi 1941; II, ivi 1945), quanto per un rinnovato interesse della critica al problema e ai modi della sua arte. I quali, anziche' esaurirsi nell'ambito della narrativa regionale, sembrano partecipare di quel piu' vasto atteggiamento della sensibilita' e del gusto inteso comunemente col nome di "decadentismo", trovando la loro ragion d'essere, e il loro valore espressivo, proprio in codesto oscillare o trapassare dal verismo al simbolismo.
Bibl.: A. Bocelli, in Nuova Antologia, 16 gennaio 1934, primo settembre 1936, primo agosto 1937; id., Fortuna della D., in Ulisse, n. 3, novembre 1947; F. Bruno, G. D., Salerno 1935; A. Momigliano, Storia della letteratura ital., Messina-Milano 1936, pp. 636-44; id., in Corriere della sera, 8 dicembre 1937, 4 gennaio 1938 (con lettere della D.), 15 giugno 1946; L. Falchi, L'opera di G. D. (con lettere inedite), Milano 1937; G. Dessi', in L'Orto, Roma, gennaio 1938; F. De Michelis, G. D. e il decadentismo (con ampia bibl.), Firenze 1938; N. Zoja, G. D., II ed., Milano 1939; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1940, pp. 317-26; E. Cecchi, prefaz. a Romanzi e novelle, ed. cit.; P. Pancrazi, Scrittori d'oggi, Bari 1946, I, pp. 68-76; III, pp. 49-55; N. Sapegno, in Rassegna di cultura e vita scolastica, I, n. 3, 31 marzo 1947; G. Titta Rosa, Secondo Ottocento, Milano 1947, pp. 179-84; F. Flora, in La Rassegna d'Italia, gennaio 1948. Cfr. anche R. Branca, Bibliografia deleddiana, Milano 1938.
 
3. MAESTRE. ANGELO PELLEGRINO: GRAZIA DELEDDA (1988)
[Dal Dizionario biografico degli italiani (1988), nel sito www.treccani.it]
 
Grazia Deledda nacque il 27 settembre 1871 a Nuoro, tra le periferie culturali piu' remote d'Italia, da Giovanni Antonio e da Francesca Cambosu. Pur formatasi in seno a una famiglia discretamente abbiente, la vicenda della D. non puo' essere disgiunta dalla particolare situazione storica della condizione femminile, non soltanto in Sardegna, ma in quasi tutto il resto d'Italia all'indomani dell'Unita' nazionale. Non che nell'intera opera deleddiana siano frequenti e tanto meno politicamente consapevoli gli accenni alla questione femminile. Contrariamente a un'altra scrittrice sua contemporanea, quella Sibilla Aleramo che gia' nel 1906 pubblicava Una donna, libro di rivolta e di rinascita coscienziale, la D. non fu mai impegnata sul piano del femminismo, anzi e' lecito supporre una sua istintiva avversione agli stessi termini. Ma accostandosi alla sua opera ormai a distanza di piu' di un secolo dalla nascita dell'autrice, dopo l'inevitabile lezione sociologica, non si puo' non tener conto di certi dati storici. Uno di questi riguarda la formazione scolastica, che solitamente per le donne non andava al di la' di alcune classi elementari. La D. infatti frequento' sino alla quarta classe, cosi' come l'Aleramo. Giova ricordarlo perche' entrambe furono accomunate dalla medesima insufficienza scolastica, oltre che dall'ostilita' intellettuale, palese o sottaciuta, da cui era circondata una donna che si dedicava alla vita dell'arte. Se la D. non avesse avvertito, giusto al termine della sua esistenza, il bisogno di scrivere quella parziale autobiografia, peraltro celata sotto le spoglie del romanzo, nota col titolo di Cosima (1937, postumo), sarebbe pressoche' impossibile ricostruire almeno alcuni momenti salienti della sua vicenda umana: tanto la sua vita fu misera di esperienza diretta del mondo nella misura stessa in cui fu ricchissima, addirittura pletorica, la produzione romanzesca. Cosima, quasi Grazia fu il titolo con cui Antonio Baldini pubblico' quell'opera per la prima volta, poco dopo la morte dell'autrice, nei numeri di settembre e di ottobre 1936 della Nuova Antologia, e nelle note che vi appose rintraccio' puntualmente tutti i nessi che legano il racconto alla realta' biografica della Deledda.
Pur sotto forma romanzesca Cosima/Grazia narra gli anni che vanno dai suoi primi ricordi fino alla partenza da Nuoro, prendendo le mosse non dal luogo geografico e culturale della sua nascita (Nuoro, l'isola di Sardegna), ma dalla casa paterna: obbligato topos dell'anima per una donna come la Deledda, che rimase sempre ancorata a una concezione patriarcale dell'esistenza. Molte pagine di Cosima sono dedicate all'esplorazione con occhi d'infanzia della rustica semplicita' della sua casa nuorese, tema rielaborato piu' volte nelle trame romanzesche. L'arcaica quiete domestica e' dominata dalla figura del padre Antonio verso il quale la D. dovette avere un importante trasporto, superiore a quello verso la madre, ritratta con velata stizza nei panni della piu' abulica sottomissione, della piu' religiosa rassegnazione. In Cosima si apprende che gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza della D. furono segnati da una ininterrotta catena di sciagure. Un fratello, Santus, precipita nell'alcolismo sino al delirium tremens, l'altro fratello, Andrea, viene arrestato, anche se per piccoli furti, provocando la morte di crepacuore del padre, e la conseguente perdita dell'agiatezza. La sorella Giovanna muore di angina in tenera eta', e un'altra sorella, Enza, muore a ventun'anni in un tentativo di aborto, attanagliata dal senso di colpa per aver sposato un uomo di condizione inferiore fra l'esecrazione dei parenti. Una terza sorella, Beppa, verra' invece atrocemente beffata dopo la promessa di fidanzamento fattale da un pretendente "continentale". Si trova nel romanzo inoltre qualche fugace accenno ai difficili esordi sessuali di Cosima/Grazia, i quali danno la misura del clima di feroce arretratezza che incatenava l'esistenza della scrittrice. Si tratta in fondo dei casti baci ricevuti furtivamente da Fortunio "il figlio illegittimo della serva del cancelliere", zoppo in Cosima, nella realta', secondo quanto ci informa Baldini, guercio.
Queste difficolta' ambientali, unite al clima di soffocante pregiudizio verso la sua nascente vocazione letteraria, dovettero maturare nella D. quei fermi propositi di fuga dall'ambiente nuorese e sardo, che in seguito si realizzeranno soltanto grazie all'unica soluzione possibile per una donna del suo tempo (a meno di possedere un'idea di ribellione sociale, peraltro mai presa in considerazione dalla scrittrice sarda), vale a dire: il matrimonio. La meta della fuga, il luogo del sogno e' Roma. Proprio a una rivista romana la D. invio' la sua prima novella, cui seguirono generosi incoraggiamenti e l'invito a inviarne altre. Ma non saranno ancora questi primi, fuggevoli successi a consentirle il sognato abbandono dell'isola: bisognera' aspettare ancora. Sino a quando a Cagliari, in un'aura un po' inverosimile come in quelle fiabe tanto amate dalla scrittrice nell'infanzia, Cosima/Grazia incontra "l'uomo della salvezza": l'impiegato romano Palmiro Madesani, che la D. sposera' nel giro di pochi mesi, trasferendosi con lui finalmente a Roma.
Invano si cercherebbe in questa speciosa autobiografia qualche traccia di analisi critica della sua origine, delle difficolta' della sua formazione, dell'ambiente semibarbarico che l'aveva pesantemente condizionata. Cosima e' invece un libro di ricordi espressi in modo lirico con spiccata tendenza al meraviglioso e al miracolistico, come se la scrittrice rendesse grazie alle tragedie che l'hanno circondata perche' le pene della vita sono la gioia dell'arte. Nessuna vena di amarezza, nessun moto di condanna di quell'universo chiuso e reazionario che ormai certa cultura del Novecento insegnava a leggere in termini del tutto nuovi. Ma e' certo rivelatore l'estremo impulso che la D. ebbe verso una scrittura, almeno in parte, autobiografica. Significa che avverti', dopo tanto profluvio di costruzioni romanzesche, dopo aver cosi' a lungo rimescolato, da dotatissima narratrice qual'era, le carte della sua personale esistenza nel gioco felice delle trame, un bisogno di diretta autenticita'. Dovette insomma sentire che alla completezza, alla spiegazione della sua opera mancava la rappresentazione non mediata della scena originaria da cui era scaturita buona parte della sua drammaturgia narrativa. Solo che ancora una volta, nonostante il desiderio, i nodi irrisolti del suo pudore, la sua intima repressione di donna non liberata hanno prevalso, e Cosima, occasione mancata, risulta un insieme di sublimazioni e reticenze, pur letterariamente impeccabili, che tutto sommato poco aggiunge alla conoscenza del suo mondo. Solo se letta in controluce questa velata autobiografia diventa insostituibile almeno per intendere i procedimenti tecnici della narrativa deleddiana. In tal senso in Cosima e' la spiegazione di tutto. Si comprende allora che l'universo ambientale dei suoi romanzi e' estremamente limitato ("l'epopea del vicinato", lo defini' il Borgese), la percentuale di esperienza vissuta in modo diretto anch'essa minima. E tuttavia la straordinaria capacita' inventiva (all'origine della quale non e' estranea la sua soffocante condizione di donna), che la pone fra gli autori piu' dotati della nostra letteratura, seppe comporre aggregando e disgregando quasi sempre le stesse storie, riciclando gli stessi personaggi con un'infinita' di spostamenti e di sostituzioni, una lunghissima, anche se spesso ripetitiva, rapsodia letteraria. Cosima contiene in sintesi tutta l'ideologia poetica cara alla scrittrice sarda. Vi domina terribile il suo primordiale pensiero con compiaciuta insistenza: "La vita segue il suo corso fluviale, inesorabile: vi sono tempi di calma e tempi torbidi, a cui nulla puo' mettere riparo: e invano si tenta di arginarla, di mettersi anche di traverso nella corrente per impedire che altri ne venga travolto. Forze occulte, fatali, spingono l'uomo al bene o al male; la natura stessa, che sembra perfetta e' sconvolta dalle violenze di una sorte ineluttabile".
Vi predomina incontrastato il celebre trinomio colpa-castigo-espiazione (e redenzione), cosi' spesso invocato per spiegare la poetica deleddiana, catena causale generata dal peccato originale che sta all'inizio del terrore della vita: "...un terrore che non l'abbandono' mai piu', sebbene oscuramente sepolto da lei in fondo al cuore come il segreto di una colpa misteriosa e involontaria: l'antica colpa dei primi padri, quella che attiro' nel mondo il dolore e ricade indistintamente su tutti gli uomini". Questa colpa e' nella D. sostanzialmente il peccato dell'eros, peccato inevitabile, che fatalmente abbatte sugli uomini la pesante catena dei castighi. Ma la colpa e' causata dal costume che agisce repressivamente sull'eros. Siamo molto vicini al cuore della tragedia classica, ma senza il mito dell'eroe che si rivolta. La D. accetta cristianamente l'ineluttabilita' e del costume e della colpa. Non resta che la via di una continua espiazione, che in buona parte dell'opera costituisce il limite dell'arte deleddiana. Perche' lo stesso pathos in essa e' il male, e non l'etico orgoglio umano dell'eroe tragico che viola l'ethos divino nemico degli uomini, sino a concludere la sua parabola di rivolta in una laica catastrofe'. Il pathos genera la colpa, e la colpa - per la D. l'infrazione dei tabu' ancestrali - significa precipitare nella spirale del peccato. La tragedia classica, sfiorata varie volte dalla scrittrice sarda, s'immiserisce, cosi' come la sua arte, per l'ibrida mescolanza con la favola biblico-cattolica. Inconsapevoli elementi del mito tragico mediterraneo si confondono con la cultura ispano-cattolica del demonismo sessuale, insieme alla originaria formazione letteraria della D., che fu di tipo tardoromantico e melodrammatico: in ultima analisi, piccoloborghese. A nostro avviso, una causa psicologica del senso di colpa che aleggia un po' ovunque nei romanzi deleddiani puo' essere cercata nel "peccato di sradicamento". L'abbandono dell'isola-terra-madre puo' venir vissuto - soprattutto in una donna - come peccato originale del tradimento degli affetti nativi. S'innesca cosi' la necessita' dell'espiazione, magari attraverso la letteratura, di una supposta indegnita'.
E' sintomatico che la storia di Cosima/Grazia si arresti con l'arrivo a Cagliari, preludio al matrimonio, alla partenza definitiva dall'isola, al trasferimento a Roma. Da quell'anno 1900 in poi, sino alla morte, la D. sembra quasi non vivere piu'. Scrive soltanto e pubblica romanzi e racconti con una cadenza quasi annuale, chiusa in una esistenza ritiratissima, tutta dedita alla famiglia e al lavoro, come se la sua vita di donna non meritasse piu' di avere un'esistenza propria. Consegnatasi ad un uomo, ad un marito, costituito il nucleo familiare, la donna che era stata sino a quel momento cede il posto alla sposa, alla madre, alla scrittrice, la quale, non volendo piu' esperire ulteriormente il mondo, non ritenendo sufficientemente interessante la sua nuova condizione, si proietta con tutto il potere della fantasia nel passato abbandonato con la partenza dalla Sardegna e col matrimonio. Questa "seconda vita" della D. e' tutta letteraria. L'unico avvenimento di rilievo fu l'assegnazione del premio Nobel per il 1926, avvenuta il 10 settembre 1927.
La D. mori' a Roma il 16 agosto 1936.
Pubblico' la sua prima novella nel 1886, all'eta' di quindici anni, su un giornale nuorese. Due anni dopo comincio' a collaborare alla rivista romana Ultima moda con la novella Sangue sardo, interessante per comprendere il retroterra culturale della D. perche' essa segue interamente i modi del romanzo d'appendice. Si sentono alle spalle autori come Dumas, Ponson du Terrail, Balzac, la Invernizio, Eugene Sue, che la D. defini' "quel gran romanziere glorioso o infame, secondo i gusti, ma certo molto atto a commuovere l'anima di un'ardente fanciulla". Segui' il volume di novelle Nell'azzurro (1890) dove di gia' l'autrice annuncia il suo desiderio di scrivere della propria infanzia: "Se io avessi un giorno la penna di un grande scrittore, l'adopererei per scrivere le memorie della mia infanzia". All'inizio della sua carriera dunque troviamo un'intenzione autobiografica, propria d'altronde agli scrittori che incominciano a scrivere troppo presto, pero' altrettanto presto abbandonata. Gia' nel romanzo Fior di Sardegna (1892) mescolera' biografia e invenzione; in esso alcuni hanno voluto intravedere inizi veristici. La stessa D., scrivendo nel 1891, considerava il romanzo alquanto "verista": "se verismo puo' dirsi il ritrarre la vita e gli uomini come sono o meglio come li conosco io". Nel 1895 la pubblicazione del saggio Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna sta a indicare questo maturarsi dell'interesse folkloristico (assai piu' che veristico). Ma a consacrare la sua fama di scrittrice verista doveva venire la recensione di L. Capuana a La via del male (1896), e con essa l'indicazione per la D. ad abbandonare l'insulso tardoromanticismo degli esordi (che di fatto non abbandono' mai del tutto), rivolgendosi invece piu' addentro all'ambiente sardo, secondo il credo verista e regionalista di cui lo scrittore siciliano era allora l'araldo.
La via del male e' gia' un tipico romanzo deleddiano. In esso "... intorno al tema colpa-castigo troviamo nel giro di poche righe: maledizione, destino, castigo, coscienza, castigata, male, colpa, ladro, omicida, predatore, innocenza, colpevole, delitto, tradimento, castigo, giudice, etc." (Piromalli). Precedentemente anche Anime oneste (1895), romanzo dei buoni sentimenti, dove avvertibilissima e' l'influenza deamicisiana, aveva avuto una prefazione di R. Bonghi.
Comincia cosi' per la D. una notorieta' nazionale che ininterrottamente l'accompagnera' per tutta la vita. I rimanenti romanzi del periodo sardo, Il tesoro (1897), La giustizia (1898), Il vecchio della montagna (1900), pur rivelando che la sua scrittura si va facendo piu' ricca e articolata, e le trame meno complicate e peregrine, offrono poco di rilevante per la conoscenza della sua vicenda letteraria. Di importanza centrale saranno invece le opere - le piu' tipicamente deleddiane - di quello che si puo' chiamare il primo periodo romano. Lontana da Nuoro, dal suo ambiente originario massicciamente condizionante, la D. pare tornare ai suoi prediletti intrecci sardi con una conquistata oggettivita', e anche con una maggiore serenita' narrativa che s'avverte dall'incontrastato e ridondante lirismo che pervade le opere cui e' maggiormente affidata la sua fama. Ricordiamo Elias Portolu (1903), tipica storia deleddiana dell'impossibilita' di opporsi al male, posta in rapporto dialettico con la possibilita' invece della redenzione attraverso la sofferenza; Cenere (1904), da cui fu tratto un film, l'unico che ebbe come interprete Eleonora Duse: dramma tenebroso dove tutto "la vita, la morte, l'uomo" e' cenere. E poi L'edera (1908), le novelle di Chiaroscuro (1912), Colombi e sparvieri (1912), il notissimo Canne al vento (1913), uno dei suoi piu' celebrati romanzi, Marianna Sirca (1915), L'incendio nell'oliveto (1918).
Con Il segreto dell'uomo solitario (1921) la D. inizia una sorta di seconda maniera, avvicinandosi ai modi del romanzo psicologico. La sua tipica problematica morale qui viene abbandonata, lo stesso paesaggio - tante volte protagonista nei suoi romanzi - non e' piu' quello tipicamente sardo dell'Orthobene con le desolate tancas e i primordiali pastori, ma simbolicamente una spiaggia solitaria dove Cristiano, il protagonista, ha scelto di vivere in compagnia del suo segreto: una lunga, traumatica degenza in manicomio. Anche in Annalena Bilsini (1927) il paesaggio non e' piu' quello sardo, ma addirittura quello padano, cosi' come era avvenuto due anni prima con La fuga in Egitto (1925), melodrammatico romanzo sovraccaricato di stucchevole lirismo, dove la scena e' posta sulle rive dell'Adriatico.
Passando gli anni, accrescendosi la distanza temporale e culturale che l'andava sempre piu' allontanando dalla Sardegna, in fondo principio e fine della sua ispirazione, la vena deleddiana mai piu' rinnovatasi con nuove, vitali esperienze, tento' di adattarsi alle nuove istanze estetiche postnaturalistiche. Ma gli ultimi romanzi, La danza della collana (1924), Il paese del vento (1931), L'argine (1934), fatta la sola eccezione di Cosima (1937) che, con tutti i limiti di cui s'e' detto, contiene alcune fra le migliori - e piu' sincere -pagine di tutta l'opera, confermano l'irrimediabile affievolirsi di una ispirazione che non fu mai sostenuta da una reale saldezza di cultura.
E' spesso tipico degli scrittori d'origine provinciale e per giunta di formazione autodidattica mantenersi alquanto periferici rispetto alla storia. Nel caso della D. tale perifericita' fu tra le ragioni di un successo che in vita mai le venne meno. I suoi scritti apparvero presto accessibili ai lettori della piccola Italia d'allora, periferici anch'essi rispetto al resto dell'Europa, incontrando un favore che rimase sconosciuto ai contemporanei Svevo, Tozzi, Pirandello. E non sorprende che la D., proprio in virtu' della sua antistorica formazione, abbia potuto con tanta facilita' mescolare l'apologo cristiano-romantico alla maniera di Chateaubriand (Les Martyrs fu una delle sue prime letture) con il feuilleton italiano e d'Oltralpe, la letteratura deamicisiana con la narrativa russa di moda dopo la grande guerra, e colare tutto questo amalgama in un ambiente sardo surrettiziamente verista, via via alonato di echi decadentistici, e nelle ultime opere persino del romanzo psicologico, quasi senza soluzione di continuita'. La critica deleddiana e' stata sempre assai divisa. I giudizi discordano in maniera sconcertante, come gia' ammetteva N. Sapegno in un suo saggio del 1947.
La scrittrice sarda non piacque a Renato Serra che la riteneva mediocre, e la metteva sullo stesso piano di un altro "mediocre": Luigi Pirandello! Ne' piacque al Pancrazi e al Croce, il quale non riusciva a raccapezzarsi fra i suoi numerosi romanzi: "che non sarebbe agevole differenziare tra loro nel loro merito artistico, essendo a un dipresso tutti del pari plausibili, e nessuno cosi' fatto da imprimersi profondamente nel cuore e nella fantasia dei lettori". Fu piu' gradita invece a critici come E. Cecchi che arrivo' ad accostarla al D'Annunzio della Figlia di Jorio e della Fiaccola sotto il moggio, cosi' come a studiosi del tipo di A. Bocelli ed E. De Michelis, che la collocarono nettamente nella direzione del gusto decadentista. Posizione a parte assunse il Momigliano che avvicino' la scrittrice sarda ai romanzieri russi dell'Ottocento, affrancandola sia dal verismo che dal decadentismo. In verita' la particolare formazione di autodidatta della D. impedisce di includerla in categorie critiche tanto vincolanti come naturalismo, verismo, decadentismo.
La D. appartiene innanzitutto a quella razza di puri narratori impegnati soltanto nel raccontare. E' vero comunque che una definizione completa e organica dell'arte deleddiana e' ancora lungi dall'apparire. Equilibrato e' il giudizio del Sapegno che tento' di illustrare di che sostanza fossero fatti i due corni del dilemma critico deleddiano, l'irrisolta compresenza di verismo e decadentismo: "Fin dai primi libri, la tecnica verista, il folklore regionale furono per lei soprattutto un pretesto a sfogare, attraverso il pittoresco decorativo e stilizzato del paesaggio e dei personaggi di un mondo primitivo e favoloso, la radice lirica e romantica della sua ispirazione... Un lirismo ingenuo, e non decadentistico: che tende a rapprendersi e a condensarsi in figure morali, in spunti di parabole, e si rispecchia nel fondo etnico di una concezione elementare della vita, nella moralita' opaca e superstiziosa, pregna di ragioni religiose e magiche, della Sardegna piu' arcaica e piu' chiusa".
Oggi lo stanco dilemma verismo/decadentismo appare del tutto scaduto, cosi' come forzate e sterili appaiono anche le teorie critiche avanzate di recente secondo le quali la D. sarebbe stata verghianamente sensibile alla crisi socioeconomica che dette inizio alla dissoluzione della societa' sarda sul finire del secolo scorso sotto i colpi (ma sarebbe il caso di dire i lontani echi) dell'avanzante industrialismo. I temi drammatici della scrittrice sarda non sono generati dalle conseguenze dei mutamenti sociali, ma da una concezione della vita moralistica e provinciale, alla quale non e' estraneo un certo attardato cattolicismo. Se la D. insistette poi tanto a lungo su modi che solo in apparenza sono veristici fu per una ragione di successo, il quale spesso arride al folklorismo, specie in una societa' culturalmente arretrata come l'italiana. Man mano che il Novecento avanzava, avverti' anche lei le mutate esigenze del gusto, e cerco' di adattarvisi, ma inadeguatamente. Infatti, la D. sembra quasi non avvertire nulla dei drammatici avvenimenti di quegli anni; la crisi e il dissolvimento del regime politico liberale, la guerra mondiale, l'avvento del fascismo. Chiusa nella protettiva placenta di una vita familiare avulsa dalla societa' circostante, con lo sguardo rivolto soltanto a un mondo remoto, andava avanti come se la storia intorno a lei fosse una pura casualita', sviluppando temi privi di consapevolezza culturale, generati da una passione piccoloborghese di narrare a tutti i costi storie da moralistico feuilleton (soprattutto nelle ultime opere). Anche per questa ragione nessun romanzo, come gia' e' stato detto dal Croce, spicca fra gli altri per una ragione sua propria: ogni storia e' la rimanipolazione della precedente, e l'opera necessaria, quella che riassume tutto il bisogno, tutta la ricerca esistenziale di un poeta non appare mai. La D., mantenendo costante, senza sussulti, senza inquietudini, la sua perifericita', ha mancato la vita del secolo, e oggi fatalmente vien meno nell'interesse dei lettori.
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Opere
Narrativa: Nell'azzurro (novelle), Milano-Roma 1890; Amore regale (novelle), Roma 1891 in appendice Amore lontano); Stelle d'Oriente, Cagliari 1891; Amori fatali, La leggenda nera, Il ritratto (novelle), Roma 1892; Fior di Sardegna, ibid. 1892; La regina delle tenebre (racconto), Torino 1892; Sulle montagne sarde (storie di banditi), Roma 1892; Racconti sardi, Sassari 1894; Anime oneste, Milano 1896; La via del male, Torino 1896; Il tesoro, ibid. 1897; L'ospite (novelle), Rocca San Casciano 1898; Giaffah (racconti per ragazzi), Milano-Palermo 1899; La giustizia, Torino 1899; Le tentazioni (novelle), Milano 1899; I tre talismani (fiaba), Milano-Palermo 1899; Il vecchio della montagna, Torino 1900; Dopo il divorzio, ibid. 1902 (ripubblicato nel 1920, Milano, col titolo Naufraghi in porto); La regina delle tenebre (novelle), Milano 1902; Elias Portolu, Torino 1903; Cenere, Roma 1904; I giuochi della vita (novelle), Milano 1905; Nostalgie, Roma 1905; L'edera, ibid. 1906; Amori moderni (racconti), ibid. 1907; L'ombra del passato, in La Nuova Antologia, primo gennaio-16 marzo 1907; Il nonno (novelle), Roma 1909; Il nostro padrone, Milano 1910; Sino a confine, ibid. 1910; Nel deserto, ibid. 1911; Chiaroscuro (novelle), ibid. 1912; Colombi e sparvieri, ibid. 1912; Canne al vento, ibid. 1913; Le colpe altrui, ibid. 1914; Marianna Sirca, ibid. 1915; Il fanciullo nascosto (novelle), ibid. 1916; L'incendio dell'oliveto, ibid. 1918; Il ritorno del figlio, La bambina rubata (racconti), ibid. 1919; La madre, ibid. 1920; Cattive compagnie (novelle), ibid. 1921; Il segreto dell'uomo solitario, ibid. 1921; Il Dio dei viventi, ibid. 1922; Il flauto nel bosco (novelle), ibid. 1923; La danza della collana, ibid. 1924; La fuga in Egitto, ibid. 1925; Il sigillo d'amore (novelle), ibid. 1926; Annalena Bilsini, ibid. 1927; Il vecchio e i fanciulli, ibid. 1928; La casa del poeta (novelle), ibid. 1930; Il dono di Natale (novelle), ibid. 1930; Il paese del vento, ibid. 1931; La vigna sul mare (novelle), ibid. 1932; Sole d'estate (novelle), ibid. 1933; L'argine, ibid. 1934; La chiesa della solitudine, ibid. 1936; Cosima, ibid. 1937; Il cedro del Libano (novelle), ibid. 1939. Poesie: Paesaggi sardi, Torino 1896; Versi e prose giovanili, a cura di Antonio Scano, Milano 1938. Teatro: Odio vince (bozzetto drammatico), in Il vecchio della montagna, Milano 1912; L'edera, ibid. 1912; Cenere (riduzione cinematografica per Eleonora Duse), Roma 1916; La grazia (dramma pastorale), Milano 1921; A sinistra (bozzetto drammatico), in La danza della collana, ibid. 1924. Saggistica: Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, Roma 1894; Le piu' belle pagine di Silvio Pellico, Milano 1923; Letture, in Il libro della terza elementare, Roma 1930. Traduzioni: H. De Balzac, Eugenia Grandet, Milano 1930. Le lettere piu' importanti della Deledda sono raccolte in: Versi e prose giovanili, cit., pp. 231-70; Onoranze a G. D., a cura di M. Ciusa Romagna, Nuoro 1959, pp. 49-115; G. Deledda, Opere scelte, Milano 1964, I, pp. 923-1120, G. Deledda, Premio Nobel 1926, Milano 1966, pp. 239-595.
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Fonti e bibliografia
L. Capuana, Gli "ismi" contemporanei, Catania 1898, pp. 153-61; G. A. Borgese, G. D., in La vita e il libro, Torino 1911 (rist. s. 2, Bologna 1928, pp. 78-85); A. Baldini, Grazia Bravamano, in Salti di gomitolo, Firenze 1920, pp. 109-13; L. Russo, I narratori, Roma 1923, pp. 153-56; P. Pancrazi, G. D., in Venti uomini, un satiro e un burattino, Firenze 1923, pp. 89-101; D. H. Lawrence, introd. a G. Deledda, The Mother, Londra 1928 (trad. it. in Ichnusa, III, [1951], pp. 52-55); M. Mundula, G. D., Roma 1929; G. Chroust, G. D. e la Sardegna, Roma-Milano 1932; B. Tecchi, I romanzi sardi della Deledda [1926], in Maestri e amici, Pescara 1934, pp. 31-43; A. Bocelli, In morte di G. D., in Nuova Antologia, primo sett. 1936, pp. 88 s.; E. De Michelis, G. D. e il decadentismo, Firenze 1938; G. Dessi', Il verismo di G. D., in L'Orto, VIII (1938), pp. 34-45; P. Pancrazi, I due tempi della D., in Ragguagli di Parnaso, Bari 1941, pp. 41-50; B. Croce, G . D. [1934], in La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1945, pp. 312-21; P. Pancrazi, G. D., in Scrittori d'oggi, III, Bari 1946, pp. 49-55; N. Zoja, G. D., Milano 1949; L. Roncarati, L'arte della D., Firenze-Messina 1949; F. Flora, G. D., in Saggi di poetica moderna, Messina-Firenze 1949, pp. 177-84; A. Momigliano, Storia della letter. italiana, Milano-Messina 1953, pp. 589-96; Id., Intorno a G. D. [1946] e Lettere e note autobiogr. inedite di G. D. [1937], in Ultimi studi, Milano 1954, pp. 79-82 e 83-94; R. Serra, Scritti, Firenze 1958, pp. 327 s.; N. Sapegno, Ricordo di G. D. [1947], in Pagine di storia letter., Palermo 1960, pp. 383-94; G. Petronio, G. D., in Letteratura ital., I contemporanei, I, Milano 1963, pp. 137-58; E. Cecchi, G. D., in Storia della letter. ital., IX, Il Novecento, Milano 1969, pp. 539-49; M. Massaiu, La Sardegna di G. D., Milano 1972; V. Spinazzola, G. D. e il pubblico, in Problemi, gennaio-marzo 1973, pp. 269-77; M. Giacobbe, G. D. Introduzione alla Sardegna, Milano 1974; A. Piromalli, in Novecento, III, Milano 1979, pp. 2613-70; O. Lombardi, Invito alla lettura di G. D., Milano 1979; A. Dolfi, G. D., Milano 1979.
 
4. MAESTRE. GABRIELLA FIORI: PER RITROVARE GRAZIA DELEDDA
[Dal sito www.iacobellieditore.it riprendiamo questa recensione (originariamente apparsa nella rivista "Cultura commestibile", n. 330 del 16 marzo 2019) del libro di Monica Farnetti (a cura di), Chi ha paura di Grazia Deledda?, Iacobelli, Roma 2009]
 
Grazia Deledda (Nuoro 1871 - Roma 1936).Viso antico dai tratti forti, fermo nello sguardo severo, emana un'intensita' senza tempo che ti costringe a rispondere al suo interrogarti.
Dalle quattro classi elementari alle lezioni di lingua di un precettore privato, il tutto seguito svogliatamente per "un senso di ostilita' istintiva che la piccola scrittrice provava per ogni genere di studi libreschi, a meno che non fossero romanzi e poesie" (da Cosima, autobiografia in terza persona, postuma) e infatti legge avidamente Balzac, Hugo, Sue; a 17 anni pubblica il primo racconto Sangue sardo su una rivista romana e si descrive sempre in Cosima come costretta "da una forza sotterranea" a scrivere versi e novelle.
Apprezzata da noti letterati come Ruggero Bonghi continua a collaborare su riviste sarde e continentali; esce a Milano 1895 il romanzo "familiare" Anime oneste.
Per matrimonio con l'impiegato Palmiro Madesani nel 1900 si trasferisce a Roma, pubblica dapprima in rivista Elias Portolu 1903, il primo di una serie di romanzi dove precisa la sua vocazione e i confini sentimentali e geografici del suo mondo poetico.
Con tenace disciplina quotidiana (quattro ore in cui si chiude a chiave nello studio) non trascurando mai casa e famiglia, mondanamente appartata ma apprezzata da critici famosi come Emilio Cecchi, pubblica con successo i romanzi della sua maturita' anno per anno; ricordero' solo Canne al vento (1913) impressionante di forza etica ed emotiva, degno di stare accanto ai grandi romanzi russi e La madre (1919) perche' usci' in inglese con prefazione di D.H.Lawrence (1928).
Fino al Premio Nobel del 1926, il secondo dato nel tempo a un italiano (c'era stato Carducci anni prima) e donna. Penso che la giuria capi' bene in questo caso la profondita' di scavo della Deledda nella sua terra natia e insieme lo sfociare della sua scrittura da tale profondita' in una universalita' umana di sensibile comprensione per ognuno.
Per me, oggi, l'aiuto a ritrovarla con piu' fonda motivazione mi viene da un libro articolato e ricco, direi decisivo: AA.VV., Chi ha paura di Grazia Deledda? Iacobelli 2010, a cura di Monica Farnetti.
Tutte le autrici e un autore da citare per l'originalita' pensata e documenta dei contributi sul rapporto fra G.D. e "il romanzo del '900", per la sua "fortuna europea" (Germania, Spagna, Inghilterra...), per il suo mondo "intimo e globale", per il suo pensiero e "sapere sulla vita" versato in romanzi e novelle da "maestra di scrittura". Non essendo questo possibile, mi limitero' a tre voci che invitano a riflettere sulle sue pagine se gia' la conoscete o ad attrarvi verso di lei sconosciuta.
Grazia Deledda "scrive 'davvero', senza assumere una forma - precostituita altrui, e per soprammercato maschile – di scrittura, scrive dandosi e dando una forma al suo pensiero che si forma e che ha dell'impensato" (Farnetti).
Grazia Deledda "si e' impegnata a svelare il 'segreto' della realta' che conosceva andando a scovare le presenze del bene, dell'incanto nelle minute trame della vita e dei paesaggi quotidiani, vissuti umilmente ma con l'autorevolezza delle madri..." (Annarosa Buttarelli).
Grazia Deledda "impone la figura della scrittrice alla letteratura italiana". Come? Guidata da quella 'forza sotterranea' che la costringeva a scrivere fin dall'adolescenza divenne 'una specie di ribelle a tutte le abitudini, le tradizioni, gli usi della famiglia e anzi della razza' (e tutti a guardarla con 'stupita diffidenza'), "obbedi' a quello che lei sentiva come un imperativo categorico per se stessa, al di la' e oltre la sua stessa famiglia e la sua terra" (Laura Fortini).
 
5. MAESTRE. ROCCO TIMANDRI: UN'OPINIONE SU GRAZIA DELEDDA
 
Lungamente sull'opera di Grazia Deledda (e finanche sulla sua persona) si e' abbattuta la piova greve e sozza del veleno dei pregiudizi degli uomini letterati, con episodi fin tristissimi.
E' donna, non fa parte della cerchia degli intellettuali, racconta un mondo che ai borghesi sembra senza storia, senza nome e senza voce; osa scrivere cose di cui le persone di qualita', di elevate frequentazioni e di buone rendite detestano si parli se non in modo frivolo ed ellittico per buffoneggiare in societa'.
Tutti i gentiluomini che hanno una cattedra o uno scranno - o anche soltanto un elegante guardaroba, o una persona di servizio, o un cavallo, dei guanti e un frustino - detestano che le donne pensino e scrivano invece di sorridere amabilmente e - a tempo debito e nelle dovute forme - non solo compiacere ma adorare i brillanti e galanti signori e padroni. Maschilismo e fascismo sono una stessa cosa.
Cosi' fin da quando per la prima volta lessi Canne al vento ho saputo che chi disprezza l'opera della Deledda e' un fascista.
E' una grande scrittrice. E chiunque si decide a leggerne i libri lo scopre da se'.
 
6. SEGNALAZIONI. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI E SU GRAZIA DELEDDA
 
- Grazia Deledda, Dieci romanzi, Newton Compton, Roma 1994, pp. 1024. Comprende: La via del male, Il tesoro, Naufraghi in porto, Nostalgie, Sino al confine, L'incendio nell'oliveto, Il segreto dell'uomo solitario, La danza della collana, Il paese del vento, La chiesa della solitudine.
- Grazia Deledda, I grandi romanzi, Newton Compton, Roma 1993, pp. 1024. Comprende: Il vecchio della montagna, Elias Portolu, Cenere, L'edera, Colombi e sparvieri, Canne al vento, Marianna Sirca, La madre, Annalena Bilsini, Cosima.
- Grazia Deledda, Romanzi e novelle, Mondadori, Milano 1971, 2006, pp. XXVII + 940. Comprende i romanzi: Elias Portolu, Canne al vento, La madre, Annalena Bilsini, Cosima, e i racconti: Il cinghialetto, Padrona e servi, La volpe, La cerbiatta, La festa del Cristo, Il fanciullo nascosto, La martora, Un uomo e una donna.
- Grazia Deledda, Leggende sarde, Newton Compton, Roma 1995, 1997, pp. 66.
- Olga Lombardi, Invito alla lettura di Grazia Deledda, Mursia, Milano 1979, 1989, pp. 128.
- Dino Manca (a cura di), Grazia Deledda, Rcs, Milano 2018, pp. 168.
- Mario Miccinesi, Grazia Deledda, La Nuova Italia, Firenze 1975, pp. 126.
 
7. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI
 
Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com
 
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Riedizioni
- Luca Corti (a cura di), Hegel. Pagine scelte e commentate, Rcs, Milano 2020, pp. 208 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Fantascienza
- Lester Del Rey, L'undicesimo comandamento, Mondadori, Milano 2021, pp. 208, euro 6,90.
 
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
10. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4051 del 22 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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