[Nonviolenza] La biblioteca di Zorobabele. 26



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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo"
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 26 del 20 marzo 2021
 
In questo numero:
Achille Tartaro: Giacomo Leopardi (parte seconda e conclusiva)
 
MAESTRI. ACHILLE TARTARO: GIACOMO LEOPARDI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal Dizionario biografico degli italiani (2005), nel sito www.treccani.it]
 
Il disegno delle Operette, risalente al 1819-20 ("Dialoghi satirici alla maniera di Luciano": Tutte le opere, I, p. 368) era stato avviato in abbozzi di "prosette satiriche" di cui il L. accenno' a Giordani il 4 settembre 1820 (Novella: Senofonte e Niccolo' Machiavello, Dialogo... Filosofo greco, Murco senatore romano, popolo romano, congiurati, Dialogo di un cavallo e un bue, Dialogo Galantuomo e mondo). Intendeva trattare in chiave comica la corruzione morale dei moderni, anticipando rispetto al Bruto minore il tema della virtu' rinnegata e dando risalto a un'aspra critica contro l'antropocentrismo. Le Operette stemperarono l'aggressivita' in ironia sulla presunzione degli uomini, non rassegnati alla loro infima parte nell'universo; la brama di felicita' si commisuro' alla realta' disperante del "tedio"; la distinzione fra "esistere" e "vivere" culmino' nell'individuazione di rimedi solo negativi al supremo patimento della noia (distrazione, ebbrezza, ricerca del pericolo, "dimenticanza di se medesimi"). Il discorso - di volta in volta narrazione, apologo, dialogo, brano lirico-riflessivo - si apri' con l'allegoria solenne della Storia del genere umano, tramata di ricordi platonici; prosegui' sulla falsariga comico-realistica del modello lucianeo (Dialogo d'Ercole e di Atlante) e con spunti paradossali e satirici di derivazione piu' vicina (pariniana nel Dialogo della Moda e della Morte; da T. Boccalini nella Proposta di premi fatta dall'Accademia dei Sillografi e forse da Voltaire nel Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo). Accantonata l'irrisione, ma non la reinvenzione fantastica, affronto' il problema della felicita' e del piacere (Dialogo di Malambruno e di Farfarello, Dialogo della Natura e di un'Anima), tornando quindi alla maniera ironica di Luciano (Dialogo della Terra e della Luna, La scommessa di Prometeo) prima di ritrovare le ragioni di un fermo scetticismo verso gli illusori progressi della scienza (Dialogo di un Fisico e di un Metafisico), come gia' della tecnica. Personaggi storici, a partire dal Tasso, furono introdotti a esemplificare gli assunti del poeta: il confronto fra la realta' e l'immaginazione o il sogno, in rapporto alla noia (Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare); la scoraggiante difficolta' di conseguire la gloria specialmente nella letteratura filosofica (Il Parini, ovvero Della gloria); la piacevole naturalezza del trapasso dalla vita alla morte, paragonabile a quello dalla veglia al sonno (Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie). Interrotti dalla "singolare" filosofia socratica di un personaggio d'invenzione (Detti memorabili di Filippo Ottonieri), gli exempla riprendono a proposito dell'utilita' del rischio per vincere la noia dell'esistenza (Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez); mentre alla remota sapienza del neoplatonico Amelio l'Elogio degli uccelli attribuisce l'esaltazione, fra seria e paradossale, di una vita totalmente affrancata dai pesanti condizionamenti terreni. Alla luce della verita' antinaturalistica emersa nel frattempo nel Dialogo della Natura e di un Islandese, il L. suggello' l'opera in senso apocalittico accreditando fantasticamente una tradizione cabalistica conveniente allo "spaventoso" mistero dell'esistere (Cantico del gallo silvestre). Ma a chiudere il libro nell'edizione del 1827 provvede il Dialogo di Timandro e di Eleandro, per il carattere apologetico e insieme di consuntivo: non l'odio verso i suoi simili ha ispirato le Operette, ma l'insofferenza per ogni infingimento e la constatazione della "infelicita' necessaria di tutti i viventi", da cui discende la scelta di rispondere con il riso ai mali comuni.
L'edizione del '27 comprese anche il Dialogo di un lettore di umanita' e di Sallustio, escluso in quella napoletana del 1835. La seconda edizione fiorentina (1834) incluse due operette composte nel 1832 (Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere, Dialogo di Tristano e di un amico); invece dopo qualche incertezza il L. risolse di non pubblicarne due del 1827 (Il Copernico, dialogo e il Dialogo di Plotino e di Porfirio): nel 1835 una stampa napoletana, che le prevedeva assieme al Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco del 1825, anch'esso inedito, fu bloccata a causa della censura.
La sofferenza umana e' intrinseca a un "perpetuo circuito di produzione e distruzione" (Tutte le opere, I, p. 117) ordinato alla conservazione dell'universo, che solo interessa alla natura. Il Dialogo della Natura e di un Islandese formula l'interrogativo ultimo: a chi giova che il mondo si conservi "con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono"? L'assenza di risposta rivela il punto di vista ormai seccamente antiprovvidenziale del L.; un pessimismo "cosmico", che B. Zumbini distinse da quello "storico" precedente, rimasto definitivo nel suo pensiero.
Il L. trasse i termini di una spiegazione scientifica e atea del male di esistere dalla cultura settecentesca, specie sensistica; suoi interlocutori piu' o meno diretti furono Rousseau, Montesquieu, Voltaire, Condillac, Verri, Beccaria, Helvetius, Holbach, La Mettrie. La denuncia del degrado etico-esistenziale dei moderni divenne odio per la natura; la commiserazione della condizione umana si uni' alla negazione del principio, sia illuministico sia cattolico-liberale, della perfettibilita' e del progresso; la vana tensione dell'uomo al piacere esalto' la contraddizione fra la consapevolezza che il bene autentico consiste nella morte e il tenace attaccamento alla vita, l'istinto attraverso il quale la natura perpetra un suo orrido inganno per assicurarsi il mantenimento della specie.
Il materialismo meccanicistico, ribadito nel Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco (1825), si accordava con l'interesse del L. per la morale ellenistica e segnatamente stoica, durato fin verso il 1827 e certificato dalle traduzioni di Isocrate e soprattutto del Manuale di Epitteto. Pur credendo impossibile l'atarassia, l'imperturbabilita' stoica gli sembro' l'atteggiamento migliore, per i moderni piu' che per gli antichi; se la realta' consente solo una rassegnata accettazione, la morale dell'astensione e' scelta obbligata per un "animo forte e grande" (la definizione e' nel Parini), cosciente che ogni pretesa di incidere sui fatti del vivere e' fallace. La polemica con il razionalismo e la indiscriminata avversione per gli effetti dell'incivilimento trapassarono in una valutazione piu' articolata. Anche se fa "strage delle illusioni", il sollevarsi dei popoli alla cognizione della vanita' delle cose e' un valore intrinseco, ancorche' nel caso italiano origini un cinico allentamento dei legami sociali: in un'ottica, comunque, non disposta a confondere l'ingenuita' degli antichi con la "barbarie" delle superstizioni e pregiudizi medievali, dai quali ci avrebbero liberato Rinascimento e Illuminismo (Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani, 1824 o forse 1826; Tutte le opere, I, pp. 969, 978). L'avvenuta riabilitazione della ragione illuministica, in senso chiaramente laico e antispiritualistico (sulla linea gia' dei Paralipomeni della Batracomiomachia e de La ginestra), si associo' alla piu' recente persuasione - testimoniata nell'Epistola al conte Carlo Pepoli (1826), unica eccezione (di gusto tra oraziano e pariniano) al silenzio poetico di quegli anni - circa i "diletti" del vero: quelli della filosofia, cui il L. pensava di dedicare "l'ingrato avanzo della ferrea vita" (vv. 139, 152).
Nel frattempo si era data la tanto desiderata opportunita' di lasciare Recanati. Invitato dall'editore A.F. Stella a dirigere un'edizione delle opere di Cicerone, il L. parti' per Milano nel luglio 1825, giungendovi il 30 dopo un breve soggiorno a Bologna. Per circa due mesi fu ospite dello Stella; dal tardo settembre al 3 novembre 1826 fu a Bologna dove, trascorsi alcuni mesi in famiglia, torno' il 26 aprile 1827; il 20 giugno prosegui' per Firenze, dove rimase fino all'ottobre, quando si trasferi' a Pisa, attratto dal clima, fino agli inizi di giugno del 1828. Rientrato nel capoluogo toscano, ne riparti' nel novembre per Recanati in compagnia di V. Gioberti, conosciuto un mese prima al Gabinetto Vieusseux.
L'incontro con Milano fu negativo. A parte il vecchio Monti, che il L. visito' appena arrivato, la cultura milanese, manzoniana e romantica, gli rimase estranea, cosi' come quella della Biblioteca italiana, che non gli era stata ne' gli sarebbe stata mai amica, a partire dal direttore G. Acerbi (l'"infame diffamato mascalzone [...] che tutti predicano per spia pubblica": lettera di P. Giordani del 31 dicembre 1817). Isolato, e pentito di avere accettato l'incarico dello Stella, dopo aver redatto due Manifesti e la Notizia bibliografica per un'edizione di tutte le opere di Cicerone riparti' per Bologna. Qui intraprese per lo stesso Stella l'ingrato commento alle Rime di Petrarca (pubblicato nel 1826), cui seguirono presso il medesimo editore la Crestomazia italiana della prosa (1827) e la Crestomazia italiana poetica (1828); tradusse poi, fra novembre e dicembre del 1825, il Manuale di Epitteto. A Bologna vide la luce anche la raccolta dei Versi (Stamperia delle Muse, 1826), che affiancarono le dieci Canzoni edite nel 1824 nella stessa citta' (per i tipi del Nobili, a spese dell'autore e con la mediazione del Brighenti); e dove ripubblico' i sei Idilli apparsi nel 1825 sul milanese Nuovo Ricoglitore, le due Elegie, i Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino beccaio, la Guerra dei topi e delle rane (e cioe' la traduzione della Batracomiomachia gia' stampata nel 1816) e il volgarizzamento della Satira di Simonide sopra le donne. Vi stampo' infine l'Epistola all'amico Pepoli, letta dal L. nell'Accademia dei Felsinei il lunedi' di Pasqua del 1826.
A Bologna il poeta si invaghi' della quarantunenne contessa fiorentina Teresa Carniani Malvezzi, colta traduttrice di Cicerone e di A. Pope, amica di Monti; non ricambiato, ruppe presto ogni rapporto. Nello stesso periodo svani' la speranza nel posto di segretario della Accademia di belle arti, per il quale il Bunsen gli aveva procurato l'appoggio del cardinale G.M. Della Somaglia, segretario di Stato di Leone XII; stesso esito ebbe l'aspettativa per una cattedra di eloquenza latina e greca nella Sapienza romana o di qualche sistemazione nella Biblioteca Vaticana. Agli ostacoli burocratici una relazione del cardinale P.F. Galeffi a Leone XII uni' riserve sul L., amico di "persone gia' note per il loro non savio pensare" e che aveva rivelato "sentimenti assai favorevoli alle nuove opinioni morali e politiche in certe odi italiane da lui stampate" (le Canzoni del 1824); le sue qualita' avrebbero dato piu' frutto nella capitale, sotto gli "occhi del Governo" (A. Giuliano, G. L. e la Restaurazione, pp. 105-110).
Dopo il rientro a Recanati e il secondo soggiorno bolognese il L. entro' in diretto contatto con la fiorentina Antologia. Gia' nel 1824 Vieusseux lo aveva invitato a fornire alla rivista articoli sulle "novita' scientifiche e letterarie dello Stato pontificio"; ma il poeta, oltre ad alcune sensate osservazioni, aveva fatto presente la difficolta' per lui di un'adeguata informazione nel "deserto" in cui viveva (lettere di Vieusseux, 15 gennaio 1824, e del L., 2 febbraio). Nel 1826, inviandogli il numero dell'Antologia dove (su pressioni di Giordani) erano apparse tre delle Operette morali, Vieusseux gli aveva di nuovo prospettato una collaborazione fissa con scritti satirici di impegno sociale, ma il L. si era detto "nella filosofia sociale [...] un vero ignorante", condannato alla solitudine ("anche in mezzo alla conversazione, nella quale, per dirlo all'inglese, io sono piu' absent di [...] un cieco e sordo") e la cui filosofia non era del "genere che si apprezza ed e' gradito in questo secolo" (lettere di Vieusseux, primo marzo 1826, e del L., 4 marzo). A Firenze, oltre a Vieusseux, conobbe di persona i cattolico-liberali della sua cerchia, in particolare G. Capponi, G. Montani, G.B. Niccolini, P. Colletta e N. Tommaseo (che gli fu sempre ostile, forse per il giudizio giustamente severo da lui formulato, senza conoscerne l'autore, sui criteri dell'edizione ciceroniana elaborati per lo Stella). Incontro' anche Manzoni e avvicino' alcuni degli esuli napoletani allora a Firenze (C. Troya, G. e A. Poerio, P.E. e M. Imbriani); nel 1828, tramite A. Poerio, conobbe A. Ranieri, compagno nell'ultima parte della vita.
La permanenza a Pisa, pur turbata al termine dalla morte del fratello Luigi (4 maggio 1828), fu di eccezionale benessere fisico e psicologico. Il L., confortato dalla mitezza del clima, fu finalmente a suo agio in una citta' di dimensioni umane: "un misto di citta' grande e di citta' piccola, di cittadino e di villereccio, un misto cosi' romantico, che non ho mai veduto altrettanto" (lettera a Paolina Leopardi, 12 novembre 1827). Pisa fu anche un luogo di relativa spensieratezza mondana e di cordiali amicizie. Vi consolido' il legame con lo scienziato e linguista G. Cioni, conosciuto a Firenze nell'ambiente dell'Antologia, tramite il quale entro' in familiarita' con G. Carmignani, insigne giurista appassionato di letteratura. Ma soprattutto divenne amico di G. Rosini, docente di eloquenza italiana e scrittore eclettico, della cui Monaca di Monza (composta in quel periodo) rivide poi la forma.
L'Epistola a Pepoli annuncio' le Operette morali, apparse nel 1827 (ed. Stella); e corrispose, per l'esplicita rinuncia alla poesia, a una decisione che il L. pote' credere definitiva. Ancora nel 1827, d'altra parte, incremento' il numero delle prose filosofiche. Ne Il Copernico la satira dell'antropocentrismo lascio' spazio, fra l'altro, a giocose osservazioni sul ruolo della poesia e della filosofia, in rapporto rispettivamente alla giovinezza e all'eta' matura; mentre la ripresa del tema del suicidio, nel Dialogo di Plotino e di Porfirio, se fu occasione di ampliare (e rafforzare) la visuale del Bruto minore, accolse anche motivazioni sentimentali che, connesse con il "senso dell'animo" che ci sollecita a perseverare nella vita, militano contro l'"atto fiero e inumano", egoisticamente dimentico del dolore provocato in amici e parenti. Sulla poesia, pero', il L. continuava a riflettere, affermando nel 1826 il primato della lirica ("espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito": Zibaldone, 4234), in sintonia con ragioni teoriche che, riassunte nel titolo Canti, informano specialmente i componimenti pisano-recanatesi del 1828-30. A parte la constatazione semiseria di quanto poco conti il lavoro di lima per uno scrittore moderno (Scherzo, 1828), il ritorno alla poesia - confidato alla sorella Paolina in una lettera da Pisa del 2 maggio 1828 ("ho fatto dei versi quest'aprile; ma versi veramente all'antica [...]") - e' fatto coincidere con la rinascita del cuore, la rinnovata capacita' di sentire, su cui insiste Il Risorgimento (1828) nelle agili movenze di una canzonetta arcadica modellata su Il brindisi di Parini. La recuperata vitalita' e reattivita' affettiva non riaccende la speranza, perche' coesiste con l'"infausta verita'" sempre immanente. La fine della capacita' di sognare e sperare, all'"apparir del vero", si fisso' poi nella figura di una giovane morta precocemente, nel gioco fra ricordo autobiografico e trasposizione simbolica. In A Silvia (1828) riemergono gesti e pensieri della giovinezza, restituendo al poeta - nel metro di una canzone libera, affabilmente discorsiva - il calore della loro beata, virginale inesperienza, drammaticamente confrontata con la scoperta degli inganni della natura. Su un'altra delicata immagine femminile, Nerina, si condensa la tensione memoriale negli endecasillabi sciolti de Le ricordanze (1829): nella piacevolezza e anzi dolcezza del ricordare (indipendenti dai ricordi in se stessi), consistenti nell'illusione di rinverdire la fiducia nel futuro propria della fanciullezza, irrompono "il pensier del presente", la certezza dell'irrevocabilita' del passato, la straziata percezione del finito per sempre, che trasformano il "dolce rimembrar" in "rimembranza acerba". Alle esperienze personali il L. continuera' ad attingere nei canti seguenti, riproducendo scene di vita borghigiana, evidentemente recanatese, a cui si collegano - nella struttura della canzone libera, bipartita fra un momento descrittivo e uno ragionativo - inconfutabili verita': il carattere solo negativo del piacere, sensisticamente inteso come privazione del dolore (La quiete dopo la tempesta, 1829); e, ancora, l'illusorieta' della speranza, esemplificata nell'aspettativa del giorno festivo, posta a confronto con la "tristezza e noia" che questo puntualmente arreca (Il sabato del villaggio, 1829). Deposta la materia autobiografica e la connessa poetica della ricordanza, nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia (1829-30) il L. ritrova il proprio pessimismo radicale, che chiude una lunga elaborazione lirico-concettuale, tesa a imprimere nelle strofe libere (o lasse, propriamente) i segni di una sapienza remota, collocata fuori di un tempo determinato e di uno spazio circoscritto.
Dedicando la prima edizione dei Canti (ed. G. Piatti, Firenze 1831) agli "amici suoi di Toscana" il L. sciolse un debito di gratitudine per la generosa iniziativa che gli aveva consentito di vivere per un anno a Firenze a loro spese e si accomiato' "dalle lettere e dagli studi", compromessi dalle peggiorate condizioni fisiche, nella prospettiva di ripiombare peraltro nell'inferno recanatese (Tutte le opere, I, p. 53). Ma a Recanati non torno' piu'. Al seguito di Ranieri si apri' il travagliato periodo conclusivo di un'esistenza afflitta dalle difficolta' economiche oltre che dallo stato di salute, che lo vide diviso tra Firenze e Roma e poi a Napoli, dal 1833 alla morte.
Dalla fine del 1828 alla primavera del 1830 era tornato a sperimentare la costrizione di una vita alla quale pareva impossibile sottrarsi. Venuto meno il compenso pattuito con lo Stella ed escluso il ricorso all'aiuto paterno, per lasciare Recanati gli occorreva un lavoro compatibile con le precarie condizioni fisiche, l'ufficio pubblico che non aveva ottenuto ne' nello Stato pontificio, "dove ogni cosa e' per li preti e i frati", ne' fuori, dove "un forestiero" non aveva "speranza d'impieghi" (lettera a P. Colletta, 16 gennaio 1829). Andati a vuoto ripetuti tentativi di Bunsen, compresa l'eventualita' - frustrata nel 1826 dalle solite ragioni di salute - di una cattedra di letteratura italiana a Berlino o a Bonn, non rimase al L. che sperare nell'aiuto degli amici. Nel 1829 F. Maestri, genero del medico e scienziato G. Tommasini, conosciuto a Bologna, cerco' di sistemarlo nell'Universita' di Parma come insegnante di storia naturale; Colletta ipotizzo' un insegnamento a Livorno, nell'ateneo di cui riteneva prossima l'apertura; Giordani, sconsigliandogli per il clima l'offerta parmense, del resto presto sfumata, insiste' con Vieusseux su un trasferimento a Firenze. E proprio alla volta di Firenze, accettando - dopo che alle Operette morali non ando' il premio di 1000 scudi bandito dall'Accademia della Crusca (vinto dalla Storia d'Italia di C. Botta: il L. ebbe forse l'appoggio del solo Capponi) - un sussidio mensile per un anno offertogli da Colletta a nome di un gruppo di "amici", il L. parti' da Recanati il 29 aprile 1830; vi giunse il 10 maggio, dopo una breve sosta a Bologna. Nell'estate A. Poerio lo presento' a Fanny Targioni Tozzetti nata Ronchivecchi, donna in vista nella societa' fiorentina, assai probabile ispiratrice dei canti del cosiddetto "ciclo di Aspasia"; strinse inoltre amicizia con il filologo svizzero L. de Sinner e dette inizio al settennale sodalizio con Ranieri, che vorra' farsene memorialista in un infelice scritto pubblicato nel 1880.
Il 20 marzo 1831 il L. fu nominato rappresentante di Recanati nell'Assemblea convocata dal governo provvisorio delle Provincie unite a Bologna, ma il mandato fu vanificato dal ritorno degli Austriaci. Apparve intanto la prima edizione dei Canti, accolti con freddezza da Colletta per la loro "medesima eterna, ormai non sopportabile, melanconia" (Lettere di G. Capponi e di altri a lui, I, Firenze 1884, pp. 331 s.). Nell'ottobre lascio' Firenze per Roma con Ranieri, che voleva raggiungere un'attrice sua amante, l'ungherese Maria Maddalena Signorini di Pelzet. Tornato a Firenze nel marzo del 1832, in una lettera al Vieusseux pubblicata nell'Antologia smenti' la paternita' degli anonimi Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831 ("quei sozzi, fanatici dialogacci": lettera a G. Melchiorri, 15 maggio 1832). Infine il 2 settembre 1833 parti' con Ranieri per Napoli, dove giunse il 2 ottobre dopo una sosta a Roma. Anche Napoli fini' per deluderlo. I cattolico-liberali della rivista Il Progresso (fondata nel 1832 e diretta da G. Ricciardi sulla linea dell'Antologia, nel frattempo soppressa) gli furono subito ostili, respingendone l'ideologia pessimistica e materialistica.
Gia' prima del suo arrivo C. Dalbono lo aveva escluso da una rassegna della poesia lirica contemporanea; altrettanto fece Matteo Baldacchini, malgrado la simpatia personale di cui dara' prova in alcuni versi a lui dedicati; R. Liberatore usci' invece allo scoperto, mettendo a confronto l'Inno ai patriarchi con quello omonimo di T. Mamiani ed esprimendo la sua preferenza per l'autore degli Inni sacri (destinato, certo non casualmente, a esemplificare ne La ginestra l'insulso ottimismo degli spiritualisti). Gli umori antileopardiani, testimoniati nel 1836 da una lettera di A. Poerio - di recente rientrato a Napoli - a Tommaseo, rifluiscono in scritti di S. Baldacchini, come la novella in versi Claudio Vanini e soprattutto il saggio Del fine immediato d'ogni poesia (1836). S. Baldacchini (fratello di Matteo), amico di C. Troya e anticipatore di ideali neoguelfi, nel proprio modello culturale commisto di platonismo cristiano e vichismo, segnato da gusto antiromantico e segnatamente antibyroniano, tracciava una linea maestra della nostra letteratura moderna che da Parini, Alfieri e Monti giungeva al culmine con Manzoni, lasciando fuori Foscolo e il Leopardi. La solitudine intellettuale del poeta non fu risarcita dalle rare manifestazioni di simpatia, come quelle di A. von Platen, autore nel suo diario di un indimenticabile ritratto leopardiano, o di T. Gargallo, umanamente solidale dinanzi alle reazioni negative a Napoli alla II edizione dei Canti (ed. S. Starita, 1835). Una calorosa pubblica dichiarazione di stima di F. Fuoco non fu raccolta, e assolutamente episodica resto' la buona accoglienza ricevuta nella visita alla scuola di B. Puoti, rievocata da De Sanctis ne La giovinezza. La delusione del L. fu accentuata dalla forzata rinuncia a stampare le proprie opere con il libraio Starita. Alla nuova edizione delle poesie (estesa al cosiddetto ciclo di Aspasia, al dittico delle "sepolcrali" e alla Palinodia al marchese Gino Capponi, oltre a Il passero solitario) sarebbe dovuta seguire una terza edizione in due volumi delle Operette morali (con l'inclusione del Copernico, del Dialogo di Plotino e di Porfirio e del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco). Ma il progetto, che prevedeva altri tre e forse quattro volumi di scritti pubblicati sparsamente o ancora inediti, come i Pensieri, fu interrotto dall'intervento della censura ("La mia filosofia e' dispiaciuta ai preti, i quali e qui ed in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto": lettera a L. de Sinner, 22 dicembre 1836).
A smentire presto il congedo dalla letteratura nella dedica agli "amici suoi di Toscana" avrebbero provveduto i canti del ciclo di Aspasia, legati all'amore per la Targioni Tozzetti: espressione di una poetica che, lasciata alle spalle l'esperienza pisano-recanatese, fece leva sulla recente lettura della lirica predantesca - Cavalcanti oltre a Dante e a Petrarca (D. De Robertis) - alla luce di una rinnovata sperimentazione stilistica e di un atteggiamento energicamente contestativo che segna l'intero ultimo tempo della poesia leopardiana.
Il ciclo di Aspasia ricostrui' - in strofe libere di endecasillabi sciolti - le fasi della passione per Fanny: dallo "stupendo incanto" dell'animo che si inebria del sentimento amoroso, pur conoscendone la natura illusoria, fino a dimenticare "tutto quanto il ver" (Il pensiero dominante, forse 1831); al desiderio di morire, imparentato al "fier desio" dell'amore in quanto promessa di pace nella consapevolezza della vanita' delle cose (Amore e Morte, forse 1832); all'oggettivazione della propria avventura sentimentale, nelle linee di una patetica proiezione narrativa (Consalvo, forse 1832); al disinganno conclusivo, esteso dalla vicenda personale alla certezza della negativita' del vivere (A se stesso, forse 1833); all'acre sfogo misogino che, tornando sul tema svolto in Alla sua donna, contrappone alla passione esaurita l'intatta verita' dell'idealizzata immagine femminile (Aspasia, forse 1834).
Il disprezzo dell'eta' presente e dei suoi miti utilitaristici, congiunto al coraggio di guardare in faccia la realta' nella serena attesa della morte, e' il tratto saliente dell'immagine di se stesso che L. ora propose. Un'immagine alleggerita nella controfigura affabilmente ironica del Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere (1832), ma ricondotta, sempre nel 1832, al ben altrimenti grave Dialogo di Tristano e di un amico, sunto estremo del suo pessimismo. Qui la finale implorazione della morte scioglie la finzione palinodica cui e' consegnata la polemica contro la cultura imperante, che emarginando il poeta lo isola negli interrogativi la cui sola risposta, nelle canzoni "sepolcrali", e' la rinnovata denuncia della crudele illogicita' della natura (Sopra un basso rilievo sepolcrale, dove una giovane morta e' rappresentata in atto di partire, accommiatandosi dai suoi; Sopra il ritratto di una bella donna scolpita nel monumento sepolcrale della medesima: 1834-35). Ancora a una finta ritrattazione affido' dal 1830 la ferma polemica con l'ottimismo spiritualistico dei cattolico-liberali toscani e napoletani. Negli endecasillabi sciolti della Palinodia al marchese Gino Capponi (1835) il L. dette fondo alle ragioni del suo materialismo e laicismo, rovesciando il mito di una virgiliana eta' dell'oro e ribadendo, in un probabile cenno a Tommaseo, l'intento di sfidare l'impopolarita' con un atteggiamento radicalmente negativo, impermeabile a mode, alle suggestioni del progresso tecnico-scientifico e a ogni soluzione religiosa. Il suo sentimento verso il destino, aveva confidato a L. de Sinner, sarebbe rimasto quello del Bruto minore: alieno dal cercare conforto in una pretesa felicita' futura e ancorato ai risultati di una "philosophie desesperante" (la stessa invocata nel Tristano), che chiedeva ai lettori di discutere nei suoi fondamenti razionali, astenendosi da spiegazioni riduttive, biografiche e psicologiche (lettera del 24 maggio 1832). Nell'emblema de Il passero solitario, scritto verosimilmente dopo il 1831 - forse a Firenze o forse a Napoli, in prossimita' dell'edizione Starita - ma risalente a uno spunto piu' antico, addirittura del 1819, ritrasse la condizione innaturale di una giovinezza schiacciata dalla consapevolezza del futuro. La retrodatazione del testo alla stagione idillica dissimulava l'anacronismo tecnico (il metro della canzone libera, di la' da venire), accreditando uno stato d'animo anticipatamente senile, sordo ai richiami della natura e delle illusioni. Al dramma dell'incomprensione e dell'alterita' dal resto degli uomini, che l'afflisse in particolare negli anni napoletani, il poeta tento' di reagire con l'arma della caricatura nel capitolo bernesco I nuovi credenti (1835-36), escluso dai Canti, e con quella della satira nei Paralipomeni della Batracomiomachia, il "libro terribile" (Gioberti) composto in otto canti fra il 1831 e il 1836, sul modello degli Animali parlanti di G. Casti: documento di un ostinato razionalismo che dagli obiettivi immediati dell'allegoria politica (la vacuita' dei topi liberali, a fronte delle rane legittimiste e all'ottuso dispotismo degli Austriaci, raffigurati dai granchi) giunge a una larga e aspra diagnosi comica delle deformazioni mentali - soprattutto le mistificazioni dell'ottimismo progressista e dello spiritualismo - che si frappongono alla conoscenza del vero. Sul registro dell'aforisma e della prosa morale il L. redasse infine fra 1832 e 1836 i centoundici Pensieri "sur les caracteres des hommes et sur leur conduite dans la Societe'" (lettera a Sinner, 2 marzo 1837). Il materiale, ricavato in buona parte dallo Zibaldone, restituiva una riflessione oscillante fra la pensosa severita' della critica di costume e la piu' distaccata ironia di chi osserva, sulla scena del mondo, i meccanismi che presiedono ai comportamenti degli individui. Il L. ne smascherava l'orgoglio e la vanita', la tendenza alla sopraffazione inseparabile dalla proterva ricerca dell'utile personale, e quindi la congenita asocialita' riconoscibile, ancorche' dissimulata, negli esseri umani. La spinta di una collaudata vocazione alla scrittura satirica (dalle "prosette" del 1820 ai Paralipomeni, attraverso la scattante incisivita' di "detti memorabili" al modo dell'Ottonieri), esaltava i contrasti fra il dire e il fare, le situazioni oggettivamente paradossali prodotte dall'impostura o dall'autoinganno.
Nell'aprile del 1836, per sfuggire al colera imperversante a Napoli, il poeta si rifugio' con Ranieri nella villa di un cognato di questo, G. Ferrigni, alle pendici del Vesuvio, fra Torre del Greco e Torre Annunziata.
Vi scrisse gli ultimi canti, La ginestra o Il fiore del deserto e Il tramonto della luna, che volle includere nel libro maggiore - riedito postumo nel 1845 - ma in ordine inverso. Nella poderosa tessitura logico-fantastica e simbolica de La ginestra, accanto al tema centrale dell'ostilita' della natura, ritrovo' i motivi della polemica contro l'antropocentrismo e il sarcasmo verso le "superbe fole" (v. 154) consolatorie di un risarcimento ultraterreno. All'ottimismo dei cattolico-liberali continuo' a contrapporre il vero laico del materialismo e dell'Illuminismo, pur esente dall'illusione del progresso e sulla scorta della cognizione che la feroce legge naturale permette ai viventi solo di fronteggiare solidalmente; era cosi' recuperata l'urgenza del patto sociale. Questo il messaggio della Ginestra, provvisto del rigore logico di un teorema, di qua da istanze o presagi etico-politici (il socialismo di cui avrebbe parlato G. Carducci; lo Stato scientifico o la Societa' delle nazioni invocati da L. Salvatorelli). Il L. lo inscriveva in una utopia filosofico-morale di conversione dell'umanita' al vero: la coscienza del negativo, innervata di memoria storica e dall'esperienza concreta dell'effimero, segnava il discrimine fra la rassegnazione e l'atteggiamento, simboleggiato dalla ginestra, di virile opposizione al male di vivere. La ginestra, come vide l'autore, era il naturale punto di arrivo dei Canti, anche se l'itinerario era suscettibile - come dimostro' Il tramonto della luna - di ulteriori riprese e scavi.
Di ritorno a Napoli, il L. vi mori' dopo qualche mese, il 14 giugno 1837, amorevolmente assistito da Ranieri e da una sorella di questo, Paolina. Il corpo, sottratto dall'amico alla fossa comune cui erano destinate le vittime dell'epidemia, fu tumulato nella chiesa di S. Vitale sulla via di Pozzuoli. Sulla tomba una lapide, dettata da Giordani, ne celebro' la grandezza di filologo, di "scrittore di filosofia" e di poeta "da paragonare solamente coi greci". Nel 1939 i resti furono trasferiti presso la cosiddetta tomba di Virgilio, nel parco di Piedigrotta.
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L'edizione di Tutte le opere di W. Binni, con la collaborazione di E. Ghidetti, I-II, Firenze 1969, ha sostituito quella di F. Flora (I-V, Milano 1937-49). Inoltre: Tutte le poesie e tutte le prose e Zibaldone, a cura di L. Felici - E. Trevi, I-II, Roma 1997; Poesie e prose, a cura di R. Damiani - M.A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberti, I-II, Milano 1987-88. I primi scritti sono stati pubblicati da M. Corti, "Entro dipinta gabbia". Tutti gli scritti inediti, rari e editi. 1809-1810, Milano 1972, ristampati a cura di A. Longoni, Milano 1994, e di T. Crivelli, Dissertazioni filosofiche (1811-1812), Padova 1995. Per le opere erudite e filologiche: Scritti filologici (1817-1832), a cura di G. Pacella - S. Timpanaro, Firenze 1969; Fragmenta Patrum Graecorum. Auctorum historiae ecclesiasticae fragmenta (1814-1815), a cura di C. Moreschini, Firenze 1976; Porphyrii de vita Plotini et ordine librorum eius, a cura di C. Moreschini, Firenze 1982; Giulio Africano, a cura di C. Moreschini, Bologna 1997. I Canti sono stati editi da F. Moroncini (I-II, Bologna 1927), E. Peruzzi (Milano 1981), D. De Robertis (I-II, Milano 1984); inoltre: A. Bufano, Concordanze dei "Canti" del L., Firenze 1969; G. Savoca, Concordanze dei "Canti" di G. Leopardi. Concordanza, liste di frequenza, indici, Firenze 1994. Per le Operette morali, le edizioni critiche di F. Moroncini (I-II, Bologna 1928) e O. Besomi (Milano 1979). Vedi anche: Concordanze diacroniche delle "Operette morali" di G. L., a cura di O. Besomi et al., Hildesheim 1988. Per lo Zibaldone di pensieri le edizioni di E. Peruzzi, I-X, Pisa 1989-94; di G. Pacella, I-III, Milano 1991; di R. Damiani, I-III, Milano 1997. Per la corrispondenza: Epistolario di G. Leopardi. Nuova edizione ampliata con lettere dei corrispondenti e con note illustrative, a cura di F. Moroncini, I-VII, Firenze 1934-41 (l'ultimo volume a cura di G. Ferretti, con indice di A. Duro); Epistolario, a cura di F. Brioschi - P. Landi, I-II, Torino 1998. Altre opere: Crestomazia italiana, I-II, Torino 1968 (La prosa, a cura di G. Bollati; La poesia, a cura di G. Savoca); Appressamento della morte, ed. critica di L. Posfortunato, Firenze 1983; Discorso di un italiano sulla poesia romantica, ed. critica di O. Besomi et al., Bellinzona 1988; Scritti e frammenti autobiografici, a cura di F. D'Intino, Roma 1995; G. Savoca, Concordanza dei "Paralipomeni" di G. L.: testo con commento, concordanza, liste di frequenza, Firenze 1998; Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani, intr. di M.A. Rigoni, testo critico di M. Dondero, commento di R. Melchiori, Milano 1998; Pensieri, ed. critica di M. Durante, Firenze 1998; Poeti greci e latini, a cura di F. D'Intino, Roma 1999; Teatro, ed. critica e commento di I. Innamorati, Roma 1999; Appunti e ricordi, a cura di E. Pasquini - P. Rota, Roma 2000.
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LA BIBLIOTECA DI ZOROBABELE
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Segnalazioni librarie e letture nonviolente
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo"
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 26 del 20 marzo 2021
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