[Nonviolenza] Telegrammi. 4031



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4031 del 2 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
Sommario di questo numero:
1. Maria Luisa Boccia: Carla Lonzi
2. Andreina De Clementi: Annarita Buttafuoco
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'
 
1. MAESTRE. MARIA LUISA BOCCIA: CARLA LONZI
[Dal Dizionario biografico degli italiani (2015), nel sito www.treccani.it]
 
Carla Lonzi nacque a Firenze il 6 marzo 1931 da Agostino, artigiano, e Giulia Matteini, diplomata maestra, entrambi orfani. Era la prima figlia, accolta come "la creatura piu' attesa" (Lonzi, 1978, p. 18). Alla nascita di Lidia, seguita in pochi anni da Marta, Vittorio e Alfredo, Carla soffri' immensamente della perdita del privilegio di prima e unica figlia. Reagi' con una precoce ricerca di autonomia, scegliendo, a soli nove anni, il distacco dalla famiglia, andando a studiare al collegio di Badia di Rivoli, dove rimase fino al 1943. Fu un'esperienza formativa che rimase un riferimento significativo per tutta la vita. Nelle vite di sante, in particolare quelle di Therese Martin e Teresa d'Avila, avrebbe trovato rispecchiata quella esperienza. Nell'autunno del 1943 per decisione del padre lascio' il collegio, ma il ritorno a casa fu drammatico dal momento che non si accordava con l'autonomia a cui si era abituata.
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Gli studi, il matrimonio, la scrittura
Conclusi gli studi al liceo Michelangelo, nel 1950 si iscrisse alla facolta' di lettere. Nell'autunno 1952, a causa del riacuirsi del conflitto con la sorella Lidia, si trasferi' a Parigi, ma un'infiammazione polmonare la costrinse ad anticipare il ritorno a Firenze. Alle lezioni di Roberto Longhi conobbe Marisa Volpi, con la quale stabili' un rapporto intellettuale e umano, segnato dal fervore di fare e pensare insieme. Nel 1955 pubblicarono su Paragone un articolo su Ben Shan (n. 69, pp. 38-61). E' il primo scritto di Carla Lonzi sull'arte. Nel 1956 discusse la tesi I rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell'Ottocento. Un lavoro, molto apprezzato da Longhi, edito postumo da Olschki (Firenze 1996), avendo Lonzi rifiutato l'offerta di pubblicarlo e dare cosi' inizio alla professione accademica. Preferi' tornare a Roma, dove aveva soggiornato per la ricerca sulla tesi. Qui incontro' Mario Lena, chimico industriale, impegnato nel sindacato e nel Partito comunista (PCI). Dopo una breve convivenza nella capitale, si trasferirono in Toscana, e il 28 novembre 1958 si sposarono a Carrara. Carla era in attesa del figlio Battista che nacque a Viareggio l'8 giugno 1959.
Furono anni di grande isolamento, segnati da inquietudini e preoccupazioni economiche e professionali. Trovo' sostegno nella scrittura, come le era gia' accaduto da bambina. Dal 1958 al 1963 dedico' la maggior parte del suo tempo a scrivere poesie. Per Lonzi la scrittura fu sempre scavo nel vissuto e nell'animo, volto a cogliere "l'autenticita'" dell’io. "[...] all'interno di me una sconosciuta agonizzava. Tendevo l'orecchio per cercare di cogliere nella sua agonia la chiave di una verita' di cui mi accorgevo all'improvviso di essere priva. Mi fidavo solo di lei" (Lonzi, 1978, p. 1109).
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Lonzi critica d'arte: dagli esordi al rifiuto
Nell'autunno del 1959 si trasferi' a Milano, che divenne la sua citta' elettiva. Ma e' a Torino, presso la galleria Notizie che allesti' la prima mostra: La Gibigianna di Pinot Gallizio, nel giugno 1960. Da allora la professione di critica inizio' a rafforzarsi, mentre il matrimonio con Lena si deteriorava. A determinarne la conclusione fu l'incontro con Pietro Consagra nella primavera 1961. Il loro rapporto, destinato a durare, nonostante crisi e conflitti, fino alla morte di Lonzi, si consolido' nel 1964.
Tra il 1962 e il 1967 Lonzi curo' mostre dei piu' importanti artisti italiani e stranieri, principalmente alla galleria Notizie, ma anche a Milano, Firenze, Venezia. Tra le piu' significative la presentazione di Carla Accardi, alla XXXII Biennale di Venezia; le mostre di Jannis Kounellis e di Consagra, rispettivamente nel maggio e nel giugno 1967, alla galleria Ariete di Milano. Lonzi era una firma abituale di L'Approdo letterario, periodico della Rai, e di Marcatre', sulla quale pubblicava i Discorsi, dialoghi con artisti. Sempre in questi anni scrisse la monografia di Henri Rousseau (n. 148), e di George Seurat (n. 178), nella collana "Maestri del colore", dei Fratelli Fabbri Editori.
Nel dicembre 1967 ando' a vivere per sei mesi a Minneapolis con Consagra. Il soggiorno negli Stati Uniti fu dedicato al montaggio dei colloqui con 13 dei maggiori artisti attivi in Italia: Carla Accardi, Getulio Alviani, Enrico Castellani, Consagra, Luciano Fabro, Lucio Fontana, Jannis Kounellis, Mario Nigro, Giulio Paolini, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Salvatore Scarpitta, Giulio Turcato, Cy Twombly. Prima di rientrare in Italia Lonzi fu operata a Boston per un tumore alla tiroide.
Autoritratto fu pubblicato da Di Donato nell'autunno 1969. E' il testo piu' importante di Lonzi critica, uno dei piu' belli ed originali sull'arte degli anni Sessanta. L'uso del registratore, all'epoca una assoluta novita', le consenti' di restituire la voce autentica dell'artista, senza il filtro linguistico del critico. L'attenzione alla soggettivita' femminile connota con forza il dialogo tra Lonzi e Accardi nel libro.
Dell'arte le interessava non l'opera, il prodotto, ma il manifestarsi dell'autenticita' dell'artista. E' questo il filo comune al suo lavoro di critica, alla scrittura poetica, al femminismo. Con la presa di coscienza femminista, Lonzi maturo' la convinzione che tra autenticita' e creativita' vi fosse una distinzione. L'affermazione della creativita' di alcuni, tramite un sistema culturale, produce, secondo Lonzi, proiezione e passivizzazione in chi ne fruisce come spettatore, spettatrice. Per questo mettere in discussione il ruolo del critico e' il passaggio necessario per sottrarre l'arte al "mito culturale" nel quale e' imbrigliata, e per permettere alla creativita' di ognuno/a di entrare in rapporto con il nucleo di autenticita' che vi e' nell'esperienza artistica.
Anche se l'ultimo articolo, La critica e' potere, e' del dicembre 1970 (in NAC. Notiziario d'arte contemporanea, n. 3, pp. 5-6), con Autoritratto Lonzi di fatto concluse la sua attività di critica, con un giudizio radicale: "L'atto critico completo e verificabile e' quello che fa parte della creazione artistica" (Lonzi, 1969, p. 3); per questo e' necessario negare il ruolo del critico, in quanto potere ed ideologia sull'arte e sugli artisti.
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L'incontro con il femminismo e la nascita di Rivolta femminile
Nello stesso periodo Lonzi diede forma ad una nuova, intensa, esperienza.
Nella primavera del 1970 si incontro' a Roma, per piu' giorni, con Accardi ed Elvira Banotti, per condividere l'emozione suscitata dall'insorgere del femminismo nel mondo. Ne scaturi' il Manifesto di Rivolta femminile, pubblicato a luglio, che sanciva la nascita dei primi gruppi femministi italiani. Lo scrisse Lonzi, e nello stesso anno scrisse Sputiamo su Hegel, un invito a prendere congedo dalla cultura patriarcale, rivolto innanzitutto alle donne, femministe e militanti politiche, che davano piu' credito alle teorie e alle forme di lotta degli uomini che non all'esperienza e alla storia del proprio sesso.
Per Lonzi il congedo fu una scelta di vita radicale. Interruppe la professione e rifiuto' ogni altra forma di attivita' e di vita pubblica, per dedicarsi interamente ai gruppi di Rivolta femminile, nati in molte citta', alla scrittura e alla cura della collana "Scritti di Rivolta femminile". Il segno di questa scelta fu il rifiuto dell'emancipazione, tratto comune alla generazione femminista degli anni Settanta che in essa vedeva una promessa mancata, perche' non liberava dall'identita' di genere tradizionale e non dava risposte alla ricerca di un differente modo di essere donna, non uomo.
Cio' che distinse Rivolta femminile da altri gruppi che si formarono in quegli anni fu l'estraneita' ai movimenti politici della sinistra. Nessuna di loro apparteneva alla generazione del Sessantotto, che costituiva l'area principale del femminismo e sui rapporti tra movimenti giovanili e femminismo Lonzi si espresse esplicitamente dieci anni dopo, in una lettera a L'Espresso del 5 febbraio 1978: "Si continua a dare per scontato che esista un rapporto diretto tra '68 e femminismo, questo sulla linea di far apparire sempre il femminismo come il reparto-donne di ideologie, rivoluzioni e rivolte degli uomini. [...] Ma il femminismo non e' un movimento giovanile, in particolare Rivolta femminile [...] che e' nata come gruppo nel luglio del '70, all'inizio ha espresso donne dai trenta ai trentacinque anni in avanti che con il ’68 non avevano niente a che vedere. D’altra parte per entrare in uno spirito femminista le giovani hanno dovuto scardinare non poco le parole d'ordine, i modi e i miti sessantotteschi. E' stato malgrado il '68 e non grazie al '68 che hanno potuto farlo" (Lonzi, 1985, p. 50).
Rivolta femminile fu il primo gruppo a praticare il separatismo. "Comunichiamo solo con donne", con questo annuncio si chiude il Manifesto. L'invenzione della pratica dell'autocoscienza, centrata sui rapporti tra donne, sulla presa di parola a partire dal vissuto, sulla costruzione di autonomia, nel privato e nel pubblico e' il contributo essenziale di Lonzi e Rivolta femminile al femminismo contemporaneo. Diversamente da altri gruppi, Rivolta non abbandono' questa pratica in rapporto alle circostanze. Piuttosto l'affino' ed approfondi', ad esempio attraverso la scrittura e la circolazione di testi. Fu anche il primo gruppo a cimentarsi con la necessita' di fare impresa, per garantirsi autonomia economica, creando una casa editrice.
Nella prima meta' degli anni Settanta l'espansione del femminismo si intreccio' con importanti mutamenti: la vittoria del No al referendum sul divorzio, i processi e le manifestazioni sull'aborto, la riforma del diritto di famiglia. Contemporaneamente, la sua espansione produsse un mutamento significativo nel femminismo, rappresentato dal passaggio dalla prolificazione dei gruppi e delle pratiche originali al recupero di modalita' piu' tradizionali della politica: la manifestazione, la rivendicazione della legge, il rapporto con le istituzioni, sia pure conflittuale. Rivolta femminile non si riconobbe nel movimento femminista di massa, anzi prese esplicitamente distanza, nei contenuti come nelle forme politiche.
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Gli scritti sulla sessualita' e l'autocoscienza
Nel luglio 1971 Lonzi scrisse un secondo testo, firmato dal gruppo, Sessualita' femminile e aborto (in Lonzi, 1974, pp. 67-75). Dopo un esplicito rifiuto di richiedere agli uomini di potere, ai legislatori, la decadenza del reato, sanzionata di fatto dagli aborti clandestini, nel testo Lonzi metteva in questione il nesso procreazione-sessualita', costruito dalla cultura patriarcale. "Libera maternita' e libera sessualita' devono trovare i loro significati all'interno della nostra presa di coscienza". In assenza di questo lavoro politico, anche la "libera scelta" di abortire non ha un contenuto liberatorio. (Lonzi, 1974, p. 69).
In La donna clitoridea e la donna vaginale (in Lonzi, 1974, pp. 77-140), a cui stava lavorando quell'estate, Lonzi elaboro', a partire dal suo vissuto, una lettura originale della sessualita' femminile, quella del piacere clitorideo. Nella Premessa esplicita le domande di fondo. "Perche' la donna non ha la risoluzione nell'orgasmo assicurata come l'uomo? Qual e' il suo funzionamento fisico-sessuale? E quello pschico-sessuale? Qual e' infine il suo sesso? Esistono donne clitoridee e donne vaginali. Chi sono? Chi siamo?" (Ivi, p. 9).
Come il Manifesto, questo scritto suscito' discussioni e polemiche, anche nei gruppi di Rivolta femminile. E apri' al confronto sulle differenze tra donne nel femminismo. In Rivolta femminile porto', in particolare, ad un approfondimento sull'autocoscienza (Significato dell'autocoscienza nei gruppi femministi (1972) in Lonzi, 1974, pp. 141-147): l'esigenza di mettere in questione il sistema patriarcale aveva fatto emergere "il senso di se'", il desiderio e la possibilita' di essere soggetto, senza identificarsi nella "Donna", ma senza dover negare la differenza dall'uomo.
In questo passaggio cruciale cambiarono anche i rapporti di Carla Lonzi dentro Rivolta femminile. Dal gennaio al giugno 1973 lascio' il gruppo, nel quale si sentiva troppo investita di un ruolo. Con l'acquisto di Turicchi, un podere nel Chianti, Carla trovo' un luogo che senti' "casa propria", dove trovare anche la "dimora per sempre» (Lonzi, 1978, p. 439).
Nel maggio del 1974 usci', nella collana "libretti verdi", la ristampa dei suoi scritti, inclusi i testi firmati da Rivolta femminile (Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti). L'anno dopo il libro fu tradotto in Argentina (Escupamos sobre Hegel) e in Germania (Die lust Frau zu sein). Nel giugno 1976 Michele Causse dell'Editions des femmes chiese un'intervista a Carla Lonzi sull'esperienza di Rivolta femminile, mostrando come essa fosse considerata un punto di riferimento, non solo in Italia, soprattutto in ragione degli scritti di Lonzi. Nel 1981 usci' l'edizione spagnola di Escupamos sobre Hegel presso Anagrama (Barcellona 1981). Questo riconoscimento all'estero contrasta con quanto avveniva in Italia. Il femminismo faceva notizia, ma l'interesse si fermava agli slogan e l'immagine che ne veniva restituita era quella dei cortei in gonne a fiori e zoccoli. Nei casi migliori era rappresentato come ideologia, volta all'affermazione di un sesso contro l'altro, riconducendolo nello schema della lotta politica centrata sul potere. Come denuncio' Lonzi, questo "conferma, e non mette in crisi cio' che noi vogliamo sovvertire" (in Chianese et al., 1977, p. 104).
Rivolta femminile presto' grande attenzione al discorso pubblico sul femminismo e in piu' occasioni provo' ad interloquire, senza riuscirvi. Nel gennaio 1975 Pier Paolo Pasolini su Il corriere della sera critico' il movimento per non aver affrontato il nodo della sessualita' e la correlazione coito-aborto. Lonzi invio' al giornale lo scritto Sessualita' femminile e aborto, con una lettera a Pasolini. Il giornale non pubblico' e Pasolini non rispose.
L'esigenza di far conoscere il pensiero e l'esperienza femminista porto' ad intensificare l'attivita' della casa editrice. Tra il 1977 e 1979 pubblico' oltre a testi individuali, due volumi di scritti collettivi, E' gia' politica e La presenza dell'uomo nel femminismo; nel 1980 inauguro' la nuova collana "Prototipi" con Vai pure, dialogo tra Lonzi e Consagra sul loro rapporto. Lonzi ne fu non solo autrice, ma anche curatrice editoriale.
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Il personale e' politico: da Diario di una femminista a Vai pure
Taci anzi parla. Diario di una femminista  (Milano 1978) raccoglie in 1300 pagine le annotazioni di fatti, letture, pensieri, emozioni, dal 1972 al 1977, l'arco temporale in cui si svilupparono l'autocoscienza e l'esperienza di Rivolta femminile. La decisione di pubblicarlo fu difficile, per la consapevolezza che "pubblicare un diario e' svelare se stessi al di fuori delle convenzioni e trascinare altri in questa operazione. [...] Da qualche parte bisogna pur cominciare a demolire le false identita' che stanno appiccicate alle donne come un sudario" (in Lonzi, 1985, p. 51). Per Lonzi scrivere e' arricchire l'esistenza di possibilita', e la scrittura di un diario le fu particolarmente congeniale: "e' un libro che ho scritto senza pause come ho vissuto senza pause e che si e' concluso solo quando il periplo attorno alla mia identita' mi e' parso esaurito" (Ivi, p. 53).
Quando usci' il diario il rapporto con Consagra attraversava una crisi profonda, che si acui' quando Consagra le propose di accettare la presenza di un'altra donna nella sua vita, disposta a prendersi cura di lui e del suo studio. Carla non oppose un rifiuto immediato, per affrontare la nuova situazione si affido', come sempre, alla scrittura. Del diario che tenne in quel periodo si conosce solo il titolo, Gelosia. Nella sua situazione vide riproporsi una costante del rapporto uomo donna: l'impossibilita' di andare a fondo, perché l'uomo trova appoggio in un'altra donna.
Per comprenderla inizio' una ricerca storico-letteraria, trovando un antecedente nelle commedie di Moliere. A colpirla in Les femmes savantes fu la messa in ridicolo delle donne intellettuali – les precieuses ridicules – che non si affidano all'uomo per pensare. Questa rappresentazione le risulto' vera ed attuale: "Il mondo delle Precieuses mi interessa e mi riguarda [...] aver espresso pubblicamente il desiderio di rifiutare o ritardare l'amore fisico, quindi una sospensione del gradimento del pene, e dall'aver preteso di giudicare le opere degli autori, quindi una intromissione nel mondo del fallo. Queste sono state due mosse autentiche e strategiche [...]. In fondo i miei scritti teorici toccano gli stessi due punti, con Sputiamo su Hegel e La donna clitoridea e la donna vaginale" (Lonzi, 1992, p. 14).
Nel maggio del 1980 Carla e Pietro si incontrarono per chiarire la loro situazione di coppia. Carla registro' i colloqui, come faceva sempre per le persone a cui teneva. L'intesa si rivelo' impossibile e Carla chiuse l'incontro con l'invito a Pietro: Vai pure. Ai primi di giugno parti' per Parigi, per continuare la sua ricerca sulle preziose. Poi trascorse l'estate a Turicchi. "Per me era proprio una rottura desiderata [...]. Ero veramente felice" (Lonzi, 1981, pp. 18-19). A fine estate su proposta di Consagra il loro rapporto riprese. Per Lonzi tuttavia la separazione non era stata una parentesi, non solo aveva messo a nudo le ragioni, insolute, di un contrasto, ma l'aveva caricata di nuove energie, mettendo fine all'antagonismo con l'uomo. Per questo decise di pubblicare il dialogo, con il consenso di Consagra.
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Epilogo
Poco dopo la pubblicazione del libro cominciarono forti dolori al viso. Non vi presto' molta attenzione, perche' era immersa nel lavoro. Alla ricerca sulle preziose si era infatti aggiunta la richiesta di scrivere un testo per il catalogo della mostra Identite' italienne, prevista al Centre Georges Pompidou di Parigi, a giugno. Lonzi esito' ad accettare, a tornare su un argomento che considerava per lei concluso. Decise di farlo, per il riconoscimento della qualita' del suo lavoro di critica e per riprendere, al presente, la questione di fondo: il processo autentico tra se' e l'opera che connota la creativita'. Nelle righe finali defini' la sua presenza in quel mondo: "una futura coscienza e non una complice negli anni '60 faceva il suo ingresso come critica d'arte nel campo della creativita'" (Lonzi, 1981, p. 31). Ne era uscita, avendo trovato nel femminismo l'espressione della sua creativita'; poteva riprendere parola sull'arte, forte di questo.
Per tutta l'estate la malattia non miglioro', ed in autunno accetto' di sottoporsi ai controlli. Fu operata di cancro al Canton hospital di Zurigo il 15 dicembre 1981. Torno' a Milano nel febbraio, ma non si riprese. A giugno le sue condizioni peggiorarono e venne ricoverata alla clinica Capitanio di Milano.
Mori' il 2 agosto 1982. Il suo corpo e' sepolto nel cimitero di Turicchi.
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Opere
Oltre a quelle citate si segnalano La solitudine del critico, in L'Avanti!, 13 dicembre 1963; C. Lonzi - T. Trini - M. Volpi, Tecniche e materiali, in Marcatre', 1968, n. 37-40, pp. 165-185; Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta femminile, Milano 1974; M.G. Chianesi et al, E' gia' politica, Scritti di Rivolta femminile, Milano 1977 (in partic. Intervista di Michelle Causse a Carla Lonzi, pp. 101-109; Itinerario di riflessioni, pp. 13-51); Mito della proposta culturale, in M. Lonzi - A. Jaquinta - C. Lonzi, La presenza dell'uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta femminile, Milano 1978, pp. 137-154; Altro che riflusso! Il tifone femminista soffia da secoli, in Quotidiano donna, 30 settembre 1979; Con il problema dell'uomo alle spalle, in Ivi, 15 maggio 1981; Identite' italienne. L'art en Italie depuis 1959, a cura di Germano Celant, Centre Pompidou, Paris 1981, p. 31; Scacco ragionato. Poesie dal '58 al '63, Scritti di Rivolta femminile (postumo 1985); Armande sono io!, Scritti di Rivolta femminile (postumo 1992); I rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell'Ottocento, (postumo 1996).
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Fonti e bibliografia
I movimenti femministi in Italia, a cura di R. Spagnoletti, Roma 1971; Femminismo e lotta di classe in Italia (1970-1973), a cura di B. Frabotta, Roma 1975; J. Kristeva, Donne cinesi, Milano 1975; L. Melandri, L'infamia originaria, Milano 1977; La politica del femminismo, a cura di B. Frabotta, Roma 1978; A. Calabro' - L. Grasso, Dal movimento femminista al femminismo diffuso, Milano 1985; M. Lonzi - A. Jaquinta, Biografia, in C. Lonzi, 1985, pp. 9-73; M.L. Boccia, Per una teoria dell'autenticità, in Memoria, 1987, n.19-20, pp. 85-108; Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, Milano 1987; Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti, Torino 1987, pp. 29-35; M. L. Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di C. L., Milano 1990; Ead., Carla e Pietro, in Tuttestorie, 1996, n. 5, pp. 31-33; M. Bucci, C. L.: un ribaltamento di scena, in C. Lonzi, 1996, pp. V-XX; A. Piccirillo, La presenza di coscienza, in Femminismi a Torino, a cura di P. Zumaglino, Milano 1996; F. Lussana, Le donne e la modernizzazione: il neofemminismo degli anni Settanta, in Storia dell'Italia repubblicana, III, 2, Torino 1997, pp. 471-565; F. Restaino - A. Cavarero, Le filosofie femministe, Torino 1999, pp. 101-110; D. Spadaccini, Scrittura politica e scrittura mistica, in Dwf, 1999, n. 2-3, pp. 56-75; Centro studi e documentazione pensiero femminile, 100 titoli. Guida ragionata al femminismo degli anni Settanta, Ferrara 1998 (in partic. M.L. Boccia, Manifesto, pp. 58-64; E. Baeri, Sputiamo su Hegel, pp. 64-70); Lessico politico delle donne. Teorie del femminismo, a cura di M. Fraire, Milano 2002; A. Bravo - G. Fiume, Genesis, III (2004), n. 1: monografico: Anni Settanta, 2004; Il femminismo degli anni Settanta, a cura di T. Bertilotti - A. Scattigno, Roma 2005; A. Buttarelli, Me stessa non io. C. L. scrive il suo Diario, in Mancarsi. Assenza e rappresentazione del se' nella letteratura del Novecento, a cura di L. Graziano, Verona 2005, pp. 152-162; L. Jamurri, Un "mestiere fasullo": note su Autoritratto di C. L., in Donne d'arte. Storie e generazioni, a cura di M.A. Trasforini, Roma 2006, pp. 113-132; G. Providenti, Passaggi di esperienza. Autenticita' e liberazione in Carla Lonzi, 2006, http://host.uniroma3.it/dipartimenti/filosofia/culturali/simposio.htm (20 giugno 2015); M. Baldini, Le arti figurative all'"Approdo". C. L. un'allieva dissidente di Roberto Longhi, in Italianistica, XXXVIII (2009), 3, pp. 115-130; G. Zanchetti, Premessa e profezia. Crisi della creativita', crisi della critica e relazione secondo C. L., in Anni '70: l'arte dell'impegno, a cura di C. Casero - E. Di Raddo, Milano 2009, pp. 33-48; L. Conti - V. Fiorini - V. Martini, C. L. la duplice radicalita'. Dalla critica militante al femminismo di Rivolta, Pisa 2011; Ti darei un bacio. C. L., il pensiero dell'esperienza, a cura di M. Farneti, Ferrara 2011; Collettivo femminista Benazir, Frammenti di autocoscienza. Il percorso politico sulla sessualita' di un gruppo di giovani femministe, Roma 2012; A. Buttarelli, Sovrane. L'autorita' femminile al governo, Milano 2013, pp. 168-174; M. L. Boccia, Con C. L.. La mia opera e' la mia vita, Roma 2014.
 
2. MAESTRE. ANDREINA DE CLEMENTI: ANNARITA BUTTAFUOCO
[Dal Dizionario biografico degli italiani (2016), nel sito www.treccani.it]
 
Annarita Buttafuoco nacque a Cagliari il 15 marzo 1951. La madre Raffaella Buttafuoco, in rotta con la famiglia, lascio' con lei la Sardegna per l'isola d'Elba, dove sarebbe nato il secondo figlio Marco. Malgrado le ristrettezze economiche, segui' un regolare corso di studi e frequento' il liceo classico Raffaele Foresi di Portoferraio, terminato il quale progetto' di iscriversi alla facolta' di Lettere di Firenze, alternando studio e lavoro presso un pensionato di suore. "Questo discorso che lei faceva pacatamente mi produceva via via un senso di tristezza. Dai colori luminosi dell'Elba pensarla chiusa tra le mura di un convento mi pareva un affronto a una ragazza cosi' intelligente e cosi' caldamente apprezzata nell'ambiente dove viveva". Cosi' racconta oggi Tilde Capomazza, allora quarantenne, regista televisiva, che offri' quindi ad Annarita di proseguire gli studi ospite della sua casa romana. Ebbe cosi' inizio un lungo, proficuo sodalizio, affettivo e intellettuale, durato dieci anni, che ne istrado' e accompagno' la formazione (Capomazza, 2015).
La stanca routine dell'universita' di Roma venne interrotta dall'incontro con l'antropologa Ida Magli e col suo lavoro su Gli uomini della penitenza (Bologna 1967), dove la storia del Medioevo era vista in chiave antropologica. Buttafuoco mutuo' questo approccio nella sua tesi sui Lineamenti antropologici del sanfedismo – discussa con Vittorio Giuntella e con la stessa Magli – con cui si laureo' nel 1974 col massimo dei voti.
Tanto l'ascendente di quest'ultima che l'argomento della ricerca sarebbero stati determinanti nell'indicare il cammino che stava per intraprendere.
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DWF Donna Woman Femme
Poco dopo, il nuovo libro di Ida Magli La donna, un problema aperto (Firenze 1974) forni' a Capomazza e a lei, nel 1975, lo spunto per la nascita di DWF, la prima rivista italiana dedicata, con qualche ritardo rispetto alle esperienze estere, agli women's studies. Attorno a loro si raccolse un drappello di intellettuali e docenti universitarie di varie discipline "unite da un forte interesse per le istanze politiche del movimento femminista, benche' nessuna di loro potesse dirsi vera e propria militante" (De Longis, 2004, p. 222). Magli entro' anche lei nella redazione, di sole donne, ma non chiusa a collaborazioni maschili.
Il sottotitolo, Rivista di studi antropologici, storici, sociali sulle donne era di per se' rivelatore del progetto culturale condiviso, un'opzione per l'interdisciplinarieta' e, in fatto di storiografia, per la storia sociale su modello Annales, che gia' da qualche tempo aveva soppiantato in Italia la storiografia politica di matrice crocio-gramsciana. Forte l'attenzione alla produzione d'Oltralpe, che occupo' per intero il quarto fascicolo della rivista, dedicato alla storia del lavoro delle donne; in un certo senso, "una scelta obbligata, in assenza di una crescita visibile della storia delle donne in Italia" (ibid., p. 234). In un contesto ancora cosi' sguarnito, il piglio pionieristico di DWF era destinato a suscitare reazioni contrastanti. Se pure dunque avesse tutte le carte in regola per richiamare su di se' una indiscriminata area di consenso, si vide invece ristretta in una sorta di segregazione bifronte: la cultura maschile, accademica e no, la ignoro' e irrise a lungo alla storia delle donne, mentre il movimento femminista, in prevalenza colonizzato dal differenzialismo, la accuso' di "essere al servizio di una cultura tradizionale e maschilista". Ad onta di queste ostilita', il pubblico delle lettrici cresceva a vista d'occhio e, dopo qualche anno, la tiratura avrebbe raggiunto le 3500-4000 copie e i circa 800 abbonati (ibid., p. 235).
Buttafuoco utilizzo' subito il primo numero per rendere pubblica la sua meditata vocazione di storica, con un intervento dal titolo rivelatore: Il tempo ritrovato. Riflessioni sul mestiere di storica, dove Proust andava a braccetto con Marc Bloch; in calce la qualifica di borsista della facolta' di magistero dell'Universita' di Siena, primo gradino di una probabile carriera universitaria.
Con tutte le ingenuita' del caso, quel testo ripercorreva a grandi linee – quasi un tracciato genealogico –, il lascito della storiografia francese, e anticipava alcuni dei temi caratterizzanti del suo profilo di studiosa: il difficile rapporto delle donne col tempo e la urgente necessita' di restituirle alla storia: "Lungi da me, ebbe a precisare più tardi, l'idea di "fondare la storia delle donne"", aveva soltanto cercato di mettere nero su bianco "un problema che in Italia non era mai stato posto per iscritto". E di accennare al tempo stesso al traguardo piu' ambizioso di "una prospettiva piu' ampia possibile, perche' finalmente la storia sia un'altra storia, conoscenza reale di tutto il passato umano" (Buttafuoco, 1990, p. 15).
Giovane com'era – aveva allora appena ventisei anni – era di fatto l'unica storica ma anche l'anima della rivista, alla quale sarebbe rimasta fedele fino all'ultimo e che avrebbe rappresentato un elemento di continuita' del suo percorso di vita. A DWF avrebbe affidato gran parte dei suoi lavori piu' significativi, mentre le molte recensioni, traduzioni, ecc., e la cura della biblioteca del centro studi nato con la rivista sarebbero stati la costante riprova di questa dedizione.
Fin dagli esordi, pero', il gruppo redazionale venne attraversato da tensioni presto sfociate in una rapida resa dei conti; e il quarto numero fu, al momento, anche l'ultimo. Causa scatenante, il dissenso sulla battaglia femminista per l'aborto manifestato da Ida Magli, che abbandono' la partita. Ma le promotrici non si rassegnarono alla chiusura e le pubblicazioni ripresero nell'ottobre 1976 come Nuova DWF, un sottotitolo appena piu' sobrio Quaderno di studi internazionali sulla donna, una nuova capofila, Bianca Maria Scarcia Amoretti, altre redattrici, carattere monografico di ciascun numero (Donne e trasmissione della cultura, Donne e ricerca storica, ecc.), mentre l'editore Bulzoni lascio' il campo dapprima a Coines, poi alla cooperativa autogestita Utopia.
Nel volgere di qualche anno, nel 1979, sarebbe stata Buttafuoco a prendere in mano le redini della rivista, continuando a dirigerla fino al 1986.
Nello stesso periodo, collaboro' a varie trasmissioni televisive, tra cui Si dice donna, progettata da Tilde Capomazza.
A prescindere da quella, certo spiacevole, rottura, Buttafuoco – a suo dire, fino ad allora "gender-blinded", – avrebbe riconosciuto a Ida Magli un merito affatto involontario: "E' attraverso di lei, che poi sono arrivata al femminismo [...] che lei ha sempre rifiutato" (ibid., p. 14) e che si fece organizzatrice e docente "entusiasta e appassionata" di quel "luogo di ricerca collettiva" che era il centro romano intitolato a Virginia Woolf (Bocchetti, 2001, p. 93).
Anche il Centro studi donnawomanfemme, una sorta di retrobottega della rivista, dove si tenevano seminari e interventi in vista dei numeri futuri, venne ben presto incluso in una rete omogenea poi confluita in un convegno nazionale svoltosi a Siena nel 1986 (Bono, 2001, p. 100).
I rapporti con le nuove formazioni femministe non escludevano quelli con la sinistra tradizionale, ormai riveduta e corretta. Nel 1978, venne eletta nel Consiglio nazionale dell'Unione donne italiane (UDI). Che in quel X congresso cambio' pelle, si libero' di antiche incrostazioni e rimodello' i suoi interessi attorno al ruolo della soggettivita' (Ombra, 2001, p. 109). Ma la permanenza in quel consesso duro' pochi mesi, una borsa di studio la chiamo' a Parigi, maturò il distacco da Roma e inizio' al contempo un assiduo pendolarismo milanese. E proprio a Milano, su incarico dell'Unione femminile nazionale (UFN), porto' a termine la sua opera piu' impegnativa.
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Eleonora Fonseca Pimentel
In DWF – nel numero monografico del 1977 Donna e ricerca storica (n. 3, pp. 51-92) – aveva frattanto pubblicato il suo primo saggio di ampio respiro: Eleonora Fonseca Pimentel: una donna nella rivoluzione. Una scelta fuori dal coro rispetto al paradigma allora dominante nella storiografia di punta, che preferiva privilegiare "le masse finora dimenticate" (Buttafuoco, 1990, p. 16), a scapito, e in spregio, delle figure eccezionali. In Eleonora – che gia' vantava un biografo d'eccezione in Benedetto Croce – Buttafuoco si era imbattuta studiando il sanfedismo ed era rimasta colpita dalla sua "particolare sensibilita' rispetto al problema del consenso popolare" (ibid.).
Ma non avrebbe forse ripreso i suoi studi settecenteschi se, inseguendo piste suggerite da altri studiosi, non si fosse imbattuta negli atti del processo di separazione di Eleonora dal marito, il capitano Pasquale Tria de Solis, conservati presso l'Archivio di Stato di Napoli. Dai documenti era emersa la storia di un matrimonio infelice – un vero "inferno domestico" – con un dissipatore delle limitate sostanze della moglie, ostile alle sue amicizie e alla sua attivita' intellettuale, solito a scenate pubbliche e a maltrattamenti che le erano costati l'aborto del secondo figlio. Il processo era andato per le lunghe ed era terminato solo perche' don Pasquale, forse persuaso da un esborso di denaro versato dal suocero, aveva deciso di ritirarsi. Sarebbe morto dieci anni dopo, nel 1795, quando Napoli era attraversata dai fermenti della imminente rivoluzione ed Eleonora si era da tempo incamminata nella nuova vita che l'avrebbe portata a dirigere l'organo principe della rivolta giacobina: Il Monitore Napoletano.
Una documentazione di questo genere rappresentava un'occasione imperdibile per scandagliare quella reciprocita' tra pubblico e privato, che tanto la appassionava.
Di Eleonora, le carte giudiziarie restituivano infatti un ritratto inedito, spogliato dall'aura eroica e libertaria e presago di un agire politico piu' complesso di quello fino allora conosciuto, pervaso di rispetto per le culture antagoniste: dal sanfedismo, cui riconosceva "forza e dignita'", alla religiosita' popolare, che le consigliavano "una politica quanto mai prudente" (Buttafuoco, 1977, p. 87). Un modo, insomma, di declinare la democrazia che apriva a Buttafuoco nuovi orizzonti di riflessione.
Sul triennio giacobino sarebbe tornata più volte, sia per esplorarne il versante "causa delle donne", a cui Fonseca era rimasta estranea (La causa delle donne. Cittadinanza e genere nel triennio "giacobino" italiano, in Modi di essere. Studi, riflessioni, interventi sulla cultura e la politica delle donne in onore di Elvira Badaracco, a cura di Annarita Buttafuoco, Bologna 1991, pp. 99–106), sia per immetterlo nelle genealogie storiche della democrazia e dell'emancipazione femminile.
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Le Mariuccine
Nel 1982, si tenne a Modena il primo convegno nazionale di storia delle donne Percorsi del femminismo e storia delle donne, presenti Sandra Cavallo, Vanessa Maher, Angela Groppi, la stessa Buttafuoco – che figurava tra le organizzatrici –, e tante altre, vale a dire la nuova generazione delle storiche cresciute col movimento degli anni Settanta. Il suo intervento su Il sentimento della politica denunciava senza mezzi termini "l'assenza quasi totale di una produzione di storia politica strettamente intesa connessa [...] al movimento" (Percorsi del femminismo e storia delle donne. Atti del Convegno di Modena, 2-4 aprile 1982, in Nuova DWF, 1983, suppl. al n. 22, monografico, p. 49) e, prendendo le distanze dal ricorso alle metodologie tradizionali, insisteva sul "tentativo di coniugare [...] la storia politica con la storia sociale" (ibid.). Tutt'altro che una dichiarazione di principio, perche' in quella stessa circostanza comunico' di aver avviato la ricerca sull'Asilo Mariuccia, pubblicata tre anni dopo presso Franco Angeli col titolo Le Mariuccine. Storia di un'istituzione laica: l'Asilo Mariuccia (Milano 1985).
L'Asilo, sorto a Milano nel 1902,e intestato a una delle figlie, morta a tredici anni, della fondatrice Ersilia Majno, si prefiggeva il recupero delle giovani prostitute ed era ispirato da due principi basilari: il rigetto della predestinazione genetica al crimine e alla prostituzione, teorizzata da Cesare Lombroso, e una rigorosa laicita', destinata a diluirsi in periodo fascista (Buttafuoco, 1985, p. 414).
Buttafuoco conferiva grande risalto al valore politico-sociale dell'istituzione, alla sua capacita' innovativa della cultura dell'epoca, al suo programmatico porsi a mo' di crocevia tra il socialismo riformista di ambiente milanese, ben rappresentato dai coniugi Ersilia Bronzini e Luigi Majno, e la politica giolittiana del primo quindicennio del Novecento. Alla ricostruzione degli esordi, degli sviluppi e del declino dell'Asilo faceva inoltre da sfondo "un grande affresco sociale dell'Italia, e in particolare di Milano" (Gagliani, 2001, p. 67).
Tuttavia non venivano taciuti i limiti di questa impresa. Perche', in effetti, il progetto pedagogico, l'obiettivo di restituire alla societa' una "donna nuova", a cui le giovani ospiti venivano ammaestrate, prevedeva "di riportare alla loro eta' anagrafica di bambine persone che l'avevano superata da tempo o che non l'avevano mai avuta [...] di voler fare tabula rasa del loro passato" (Buttafuoco, 1985, p. 301). E, di conseguenza, la stessa enfasi sul lavoro – una sorta di logo dell’Asilo –, era spesso e volentieri messa a rischio.
Con buona pace dunque della generosita' e delle consapevolezze delle donne impegnate a vario titolo nell'Asilo, la distanza tra le loro esperienze di vita e quelle delle giovani ospiti risultava davvero incolmabile, anche e soprattutto in fatto di sessualita', che trovava quelle signore borghesi educate alla morale vittoriana affatto disarmate e percio' incapaci di offrire strumenti idonei ad affrontare il mondo esterno.
Vale a dire che nulla l'autrice concedeva alle mitologie. La messa a nudo delle fragilita' e delle inadeguatezze delle consigliere dell'Asilo e della stessa Ersilia Majno "ribalta[va] quel ritratto di gruppo eroico ed idealizzato che finora aveva contrassegnato il discorso storico femminista sull'emancipazionismo" (D'Amelia, 1986, p. 125).
Ad onta di cio', e in definitiva, i difetti e le sconfitte dell'Asilo non avevano, a suo avviso, inficiato il nucleo politico del progetto: dimostrare che "il problema della prostituzione poteva essere affrontato, che non era affatto un dato naturale, ineliminabile". E offrire, altresi', allo Stato un modello di laicizzazione dell'assistenza, sottratta ai filantropi e alla Chiesa e trasformata in "diritto del cittadino" (Buttafuoco, 1990, pp. 19-20).
Occorre aggiungere infine che un'indagine cosi' ampia e articolata sarebbe stata impensabile senza l'accesso all'archivio privato dei Majno, eccezionale per ricchezza e tipologia documentale, prime fra tutte le innumerevoli schede individuali delle ragazze, che recavano in dettaglio – e in una sorta di repertorio antifoucaultiano (Gibson, 1987) – le loro storie di vita, ma anche il dipanarsi del percorso esistenziale di Ersilia Majno, presidente dell'Unione femminile nazionale e gia' a capo del Comitato contro la tratta delle bianche, il cui agire politico appariva a Buttafuoco, che la fa giganteggiare nelle pagine del libro, cosi' intriso di affettivita' e dedizione da suggerirle la definizione di "leader morale".
La vicenda de Le Mariuccine, tratteggiata con mano sicura e indubbio talento storiografico, si guadagno' un riconoscimento immediato e durevole: il libro ha avuto al suo attivo tre edizioni, molte recensioni e reiterate riletture postume.
Che questo lavoro sia stato poi un autentico laboratorio metodologico lo dicono le proiezioni interpretative a cui Buttafuoco approdo' in momenti successivi, la sua constatazione di quanto gli effetti del reintegro delle donne nella storia politica potessero andare ben oltre la cosiddetta storia "aggiuntiva", a cominciare dalla genesi dello Stato sociale, da riconsegnare in toto alla cultura e alla pratica emancipazioniste (Buttafuoco, 1990, p. 29). Il suo revisionismo radicale le consenti' quindi di riscrivere da cima a fondo una pagina della storia nazionale, di sperimentare, insomma, l'altra storia preconizzata fin dai primordi del suo itinerario intellettuale.
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Dalle parole ai fatti
Il controverso rapporto delle donne col loro passato, la "rimozione di quest'ultimo dalla memoria collettiva", il loro rifiuto di "fondare una tradizione", di riconoscere le continuita' genealogiche e l'ereditarieta' del patrimonio comune vennero da lei costantemente stigmatizzati. Questa sorta di "diritto all'amnesia" le appariva un elemento di debolezza e una peculiarita' tutta nostra; le italiane, specifico' piu' volte "non danno testimonianza di se', vivono. E' la loro vita che e' documento". Tra le molte cause possibili – una soverchiante nell'ultima ondata del femminismo – spiccava l'esaltazione del movimento in atto e della sua assoluta unicita' (Buttafuoco, 1991).
E sulla falsariga dei progetti di documentazione sistematica e di trasmissione realizzati in Germania o negli Stati Uniti aveva incluso nel suo magazzino di storica lo scavo documentale, infaticabile organizzatrice com'era di archivi e biblioteche.
Il panorama storiografico non era proprio esaltante, e tuttavia la quotidianita' dei rapporti accademici le riservava frequenti incontri con una autorevole esponente della generazione precedente come Franca Pieroni Bortolotti. Ma al di la' di una naturale forma di rispetto, e malgrado il convergere delle tematiche care a entrambe – i movimenti femministi, l'Ottocento italiano –, le separava un'irriducibile discontinuita', anagrafica e culturale. L'ambiente storico-politico della loro formazione, le rispettive opzioni metodologiche e una diversa concezione della politica misuravano una distanza, che piu' tardi, e solo dopo la morte di Pieroni Bortolotti, sarebbe riuscita, per sua stessa ammissione, a ridurre (Buttafuoco, 1993).
Della storica fiorentina curo' e firmo' un'ampia introduzione alla raccolta postuma Sul movimento politico delle donne. Scritti inediti (Roma 1987), che non dissimulava significative divergenze interpretative, ma giovo' a farla entrare in maggior sintonia con l'altra.
Qualche anno dopo, vinto un concorso per professore associato, insegno' per un biennio Storia del Risorgimento presso l'Universita' di Perugia, finche', nel 1994, non pote' rientrare all'Universita' di Siena, dove insegno', nella sede di Arezzo, Storia dell'Europa contemporanea.
Nel frattempo la cultura femminista italiana cominciava a dare i suoi frutti e gia' nel 1981 vide la luce il primo numero di Memoria. Rivista di storia delle donne, un'esperienza che sarebbe giunta a termine nel 1993 lasciando un segno in questo ambito di studi.
Sull'onda poi del successo di due affollati convegni – Ragnatela di rapporti (Bologna 1986) e La ricerca delle donne (Modena 1987) – che funsero da manifesto programmatico (Cabibbo, 2001, pp. 40 e 52), venne fondata a Roma, nel 1989, la Societa' italiana delle storiche, con sede a Bologna presso il Centro di documentazione delle donne. Benche' dapprima dubbiosa (Buttafuoco, 1993), Buttafuoco figuro' tra le socie fondatrici, assieme, tra le altre, a Maura Palazzi, la prima presidente, Marina D'Amelia, Angela Groppi, Anna Rossi-Doria, Dianella Gagliani, Lucia Ferrante, Nadia Filippini. Ne ebbe a sua volta la presidenza tra il 1991 e il 1995, quando riusci' a realizzare una delle imprese di cui andava piu' orgogliosa, la Scuola estiva di storia delle donne, ospitata nella splendida dimora senese della certosa di Pontignano. Il rettore Luigi Berlinguer delego' lei a rappresentare l'universita', in accordo con la Societa' delle storiche, responsabile scientifica della Scuola.
La Scuola aveva un carattere stanziale e seminariale, e reclutava anche dall'estero docenti che condividevano una settimana di vita comune con una sessantina e piu' di donne di varie eta' e condizione; una formula inusitata e innovativa, che decostruiva i codici, i soggetti e i ruoli del processo di apprendimento, e un'occasione pressoche' unica di conoscenza e di socializzazione. La Scuola, che con questa formula ebbe una lunga vita, fu subito accolta con grande entusiasmo e venne imitata da altre istituzioni.
In quegli anni Novanta, Buttafuoco visse una fase di grandi cambiamenti, sia affettivi – contrasse un duraturo legame con lo storico Camillo Brezzi –, che professionali: fu eletta presidente dell'Unione femminile nazionale per il 1993-96 e, nel 1994, istitui' gli Archivi riuniti delle donne, dove confluirono i carteggi della famiglia Majno, di donne eminenti come Ada Sacchi e Tullia Carettoni Romagnoli e, da ultimo, delle sorelle antifasciste Adele e Bianca Ceva.
Sempre nel 1994, designata erede testamentaria e garante del suo patrimonio economico, scientifico e politico dalla giornalista socialista Elvira Badaracco, promosse la Fondazione a lei intitolata, dalla quale attinse i materiali per la mostra Riguardarsi sul manifesto politico del femminismo degli anni Settanta, realizzata l'anno dopo a Milano in tandem con Emma Baeri.
Nel 1997 la scrittrice Alba de Cespedes, che aveva conosciuto la sua grande stagione nel dopoguerra, si rivolse all'archivio della Fondazione per depositarvi la sterminata documentazione in suo possesso e, a breve distanza dalla sua morte, Buttafuoco si reco' a Parigi assieme all'italianista Marina Zancan per avviare le procedure di sistemazione di questo lascito, in un secondo tempo ceduto in dono alla Fondazione Mondadori. Sulla figura di de Cespedes vennero quindi allestiti da entrambi gli istituti una mostra documentaria e un convegno internazionale.
L'amicizia con Zancan contava gia' circa un decennio; alla fine degli anni Ottanta avevano curato insieme il volume collettaneo Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale (Milano 1988), al quale Buttafuoco aveva collaborato con il saggio Vite esemplari. Donne nuove di primo Novecento (pp. 139-162), dove alla celebre scrittrice veniva abbinata l'amata Ersilia Majno, figure esemplari entrambe, scrisse, di "sante laiche".
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Gli ultimi scritti
Questa febbrile operosita' non la distoglieva dal lavoro di ricerca, per il quale riprese e approfondi' i suoi temi ricorrenti: il triennio giacobino, le colpe dell'emancipazionismo nei confronti della storia, fino alla scarsa "consapevolezza del proprio ruolo in relazione alla vita politica" (Buttafuoco, 1991, p. 64) e, in primis, il problema della cittadinanza, affrontato da ottiche diverse: la mostra Cittadine. Il voto alle donne in due secoli di discussioni, immagini, racconti, biografie (Arezzo primo luglio - 28 sett. 1996), in occasione del quinto anniversario del voto alle donne e la pubblicazione di Tra cittadinanza politica e cittadinanza sociale. Progetti ed esperienze del movimento politico delle donne nell'Italia liberale (in Il dilemma della cittadinanza. Diritti e doveri delle donne, a cura di G. Bonacchi - A. Groppi, Bari 1993, pp. 104-127) e Questioni di cittadinanza. Donne e diritti sociali nell'Italia liberale (Siena 1995). Fino all'ultimo scritto, Cittadine italiane al voto, apparso nel 1997 nella rivista Passato e presente (n. 40, pp. 5-11), nel quale l'emancipazionismo, la rimozione della storia e la cittadinanza, o meglio quella malcerta cittadinanza goduta dalle donne, erano figli di una capacita' politica depotenziata, poiche', mediante il voto, le donne "entra[va]no in un sistema pensato e strutturato senza di loro". Fin dal tempo del movimento suffragista, infatti, sapevano bene che votare era solo un primo passo; e che l'acquisto della cittadinanza piena implicava "una [ri]definizione della stessa accezione di politica", volta a conferire valore politico alle "competenze femminili" tradizionali, abbattere quella barriera tra pubblico e privato, che viceversa – con la formula della "essenziale funzione familiare" – era rispuntata surrettiziamente nella nostra Costituzione, pur cosi' ricettiva dei diritti e della dignita' delle donne. Ma la precondizione necessaria a conseguirla coincideva col ripristino della "memoria negata".
In queste poche ma dense pagine, Buttafuoco si cimento' insomma con un vero e proprio affondo – piu' tardi ricordato come "il testamento" di Annarita (Gagliani, 2001, p. 71) –, sui dilemmi su cui si era arrovellata nel corso della sua esistenza, breve ma intensa, bruciante di "passione laica".
Mori' ad Arezzo il 26 maggio 1999, a soli quarantotto anni.
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Opere
Per l'elenco completo delle opere di A. B. in aggiunta a quelle citate nel testo e di seguito si rimanda al sito www.storiadelledonne.it
Il tempo ritrovato. Riflessioni sul mestiere di storica, in DWF, 1975, n. 1, pp. 37-47; Introduzione a F. Pieroni Bortolotti, Sul movimento politico delle donne. Scritti inediti, Roma 1987, pp. IX-LXIII; La filantropia come politica. Esperienze dell'emancipazionismo italiano nel Novecento, in Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazioni nella storia delle donne, a cura di L. Ferrante - M. Palazzi - G. Pomata, Torino 1988, pp.166-187; Virtu' civiche e virtu' domestiche. Letture del ruolo femminile nel triennio rivoluzionario, in L'Italia nella rivoluzione, 1789-1799, a cura di G. Benassati - L. Rossi, Casalecchio di Reno 1990, pp. 81-88; Vuoti di memoria. Sulla storiografia politica in Italia, in Memoria, 1991, n. 31, pp. 65, 67; Vie per la cittadinanza. Associazionismo politico femminile in Lombardia tra Ottocento e Novecento, in Donna lombarda, 1860-1945, a cura di A. Gigli Marchetti - F. Torcellan, Milano 1992, pp. 21-45; Passaggi. La SIS (1991-1995 e oltre), Relazione della presidente uscente del 24 settembre 1995, in Agenda, 1996, n. 17, pp. 57-77; Riguardarsi. Manifesti del movimento politico delle donne in Italia (catal. Milano 1996), a cura di A. Buttafuoco - E. Baeri, Siena 1997.
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Fonti e bibliografia
R. Macrelli, Le Mariuccine, in DWF, 1986, n. 1, pp. 133-137; M. D'Amelia, Le Mariuccine, in Passato e presente, genn.-apr. 1986, pp. 229-231; L'emancipazionismo italiano tra ideologia e pratica, in Memoria, 1986, n. 16, pp. 115-129; M. Gibson, Le Mariuccine, in Journal of Social History, 1987, n. 4, pp. 837-839; Giornale di Bordo. Intervista di L. Fortini a A.B., Roma 17 maggio 1993, CD di proprieta' di R. De Longis; V. Maher, Le Mariuccine, in Social History, 1987, n. 2, p. 280; A. De Clementi, Il lungo filo di Mnemosine, in Il Manifesto, 27 maggio 1999; E. Baeri, Occhi ridenti sul passato e sul presente, in ibid.; M. De Giorgio, Le donne riscoperte da A. B., in L'Unita', 27 maggio 1999; L. Berlinguer, La mia amica Annarita e la sua passione laica, in L'Unita', 28 maggio 1999; S. Bartoloni - A.M. Crispino, In memoria di un'amica: A. B., in Leggendaria, 2000, n. 15-16, pp. 32-33; DWF, 2000, n. 48, monografico: Una donna del suo genere: A. B. (in partic. Inedita e interrotta, intervista ad A. B. a cura di T. Capomazza raccolta nel 1994, pp. 6-42; E. Baeri, Legami e nodi, pp. 43-56); P. Gabrielli, Programmi, passioni, ritratti singoli e di gruppo. Il movimento politico delle donne negli studi di A. B., in Italia contemporanea, 2000, n. 220-221, pp. 431-462; A. B. Ritratto di una storica, a cura di A. Rossi-Doria, Roma 2001 (in partic. M. De Giorgio, Una storica della nostra eta', pp. 13-31; S. Cabibbo, Il "mestiere di storica" e la Societa' italiana delle Storiche, pp.31-54; D. Gagliani, Itinerari della ricerca storica. Questioni di cittadinanza e di politica, pp. 55-76; E. Vezzosi, Itinerari della ricerca storica. Le politiche sociali nella dimensione internazionale, pp. 77-91; A. Bocchetti, Il buio, i rischi e l'oro. Il centro Culturale Virginia Woolf, pp. 93-97; P. Bono, Non di piccola misura (la rivista e il centro studi DWF), pp. 99-108; M. Ombra, Un reciproco innamoramento. L'UDI., pp.109-114); M. Gibson, Annarita Buttafuoco and Women's History in Italy. Introduction,in Journal of Modern Italian Studies, VII (2002), 1, pp.1-16; P. Gabrielli, Protagonists and Politics in Italian Women's Movement: a Reflection on the Work of A. B., ibid., pp. 74-84; R. De Longis, Tra femminismo e storiografia: i primi anni di "DWF", in Storiche di ieri e di oggi. Dalle autrici dell'Ottocento alle riviste di storia delle donne, a cura di M. Palazzi - I. Porciani, Roma 2004, pp. 223-240; T. Capomazza, informazioni rilasciate all'a. nel dicembre 2015.
 
3. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Letture
- Roberta Salvadori, Sicurezza alimentare, Rcs, Milano 2021, pp. 160, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riletture
- W. R. Burnett, L'uomo di ferro, Longanesi, Milano 1960, pp. 304.
 
4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
5. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4031 del 2 marzo 2021
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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