[Nonviolenza] Telegrammi. 3924



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3924 del 15 novembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: Il caos
2. Franco Restaino: Il femminismo, avanguardia filosofica di fine secolo. Carla Lonzi (parte prima)
3. Segnalazioni librarie
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. L'ORA. GIOBBE SANTABARBARA: IL CAOS

Una vecchia vignetta: il prominente dal balcone arringa la folla che ondeggia e mugghia in basso. "O noi o il caos!", tuona il prominente; e la folla in risposta ruggisce: "Il caos, il caos!", e il prominente: "E' lo stesso, siamo sempre noi".
*
Lo so cosa pensano tante brave persone: che e' meglio un governo mezzo razzista che un governo del tutto fascista. Ma alla prova dei fatti un governo mezzo razzista e' gia' un governo fascista.
Lo so cosa pensano tante brave persone: che i razzisti del M5S - lungi dal consentire il ritorno alle urne che segnerebbe la loro scomparsa - non aspettano altro che di potersi di nuovo alleare con i loro genitori e gemelli della Lega, non aspettano altro che di poter fare un governo del tutto razzista e del tutto fascista con il piccolo duce padano, i nostalgici neomissini e i residui seguaci del Berlusconi che diede inizio al ritorno dei fascisti al governo del paese. Ma chi si lascia paralizzare da questo ricatto accetta e si fa complice dei flagranti crimini commessi dal governo attuale. Un crimine e' un crimine e' un crimine. Una strage e' una strage e' una strage.
Lo so anch'io che nel governo ci sono anche alcune persone decenti: ma pochi senatores boni viri non bastano a far si' che il senatus non sia mala bestia.
Un governo per meta' comitato d'affari della borghesia e per meta' scatenata furia razzista, non e' un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: e' un orrore. Certo meno orrido del governo delle camicie brune del 2018-2019, ma nondimeno orrido.
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La pandemia nel suo immenso orrore e dolore e' anche un kairos, un'ora di verita'.
Chi sa vedere con sguardo limpido e sa parlare con lingua diritta coglie ed enuncia questa verita': che siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente e che o ci salveremo insieme, tutte e tutti, o insieme tutte e tutti periremo.
Chi serba memoria delle prische virtu' ovvero dei doveri che sono la stoffa di cui consiste l'umanita' in quanto umanita' sa e dichiara che una e' l'umanita' ed ogni essere umano ne fa parte con eguale diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Chi rispetta se stesso e quindi ogni altra persona, chi ama la democrazia che e' il condiviso potere di tutte e tutti, l'inveramento ovvero l'intreccio reale e operante di liberta', uguaglianza di diritti, sororita'e  fraternita', riconosce che dinanzi ad un male comune occorre agire per il bene comune, recandosi reciprocamente aiuto, mettendo in comune i beni ed il bene.
E' questo un mondo ancora dominato dalla violenza. Ma e' compito di ogni essere umano lottare per contrastarla e far valere l'umanita' dell'umanita'.
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Un governo non dico antifascista, ma almeno non fascista, in questi mesi avrebbe fatto alcune cose evidentemente necessarie per opporsi al male e alla morte.
Non avrebbe condannato al contagio e alla morte le persone detenute, ma avrebbe svuotato le carceri.
Non avrebbe perseverato in misure che aiutano solo i nativi condannando alla schiavitu', all'estrema emarginazione, alla disperazione e alla morte milioni di persone non native che in Italia pur vivono, ma avrebbe garantito immediati e costanti aiuti essenziali a tutti gli esseri umani presenti nel nostro paese, ed avrebbe soccorso ed accolto senza esitazioni chi in fuga dall'orrore nel nostro paese cerca di giungere.
Non avrebbe mantenuto un ripugnante regime di apartheid, ma avrebbe abrogato tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese; avrebbe riconosciuto finalmente a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto": un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti gia' non e' piu' una democrazia.
Non avrebbe sperperato immense risorse a vantaggio della macchina bellica e dell'industria armiera, ma avrebbe tagliato drasticamente le spese per gli apparati e gli strumenti di morte ed utilizzato quelle risorse per potenziare la struttura assistenziale e sanitaria e salvare decine di migliaia di vite.
Non avrebbe elargito risorse ingentissime per arricchire ancor piu' i gia' ricchi lasciando affogare nel baratro della miseria milioni e milioni di impoveriti perche' sfruttati e rapinati dal sistema di potere che tutte e tutti ci opprime, ma avrebbe soccorso innanzitutto e maggiormente chi piu' ha bisogno di aiuto.
Non avrebbe lasciato morire decine di migliaia di persone come ha fatto per irresponsabilita', improntitudine, stoltezza, tracotanza e miserabili calcoli da sciacalli, ma avrebbe assunto con la necessaria tempestivita' e decisione tutti i provvedimenti necessari, che ancor oggi non vengono presi.
Si sarebbe adoperato a ricostruire la sanita' pubblica secondo il dettato della Costituzione repubblicana e della legge 883 del '78, invece di perseverare nella sua ultradecennale distruzione.
Avrebbe imposto un prelievo forzoso sui grandi patrimoni come contributo di solidarieta' al bene comune del paese.
Avrebbe affrontato la pandemia riconoscendo che e' una pandemia e che salvare le vite e' il primo dovere.
Avrebbe disposto la chiusura di tutte le attivita' palesemente non necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari delle persone.
Avrebbe dispiegato una forte azione contro la poverta' soccorrendo milioni di persone allo stremo.
Avrebbe proposto al Parlamento di recedere dalla follia commessa nel 2001 con l'insensata riforma del titolo V della Costituzione che lungi dall'aver incrementato la democrazia ha creato nuove satrapie ed oggi chiunque vede che ha ancor piu' depresso e fin affossato non solo la struttura sanitaria pubblica in tutto il paese, ma massacrato in molte regioni l'eguaglianza di diritti, il diritto alla vita, alla salute e alla dignita', le liberta' fondamentali.
Questo occorreva ed occorrerebbe fare.
Invece l'attuale governo mezzo razzista ed effettualmente stragista persevera nel suo delirio egotista, nello sperpero delle risorse pubbliche; persevera nella complicita' con gli sfruttatori ed i rapinatori; persevera nel non affrontare l'epidemia per quello che e': un nemico comune da affrontare con un impegno comune inteso a salvare tutte le vite.
Intendiamoci: alcune cose necessarie sono state fatte, ma con molto ritardo, in modo parziale e frammiste ad altre decisioni contraddittorie, e fin insensate e scandalose. Alcuni interventi utili sono stati approntati, ma insieme sono state imposte decisioni sciagurate e sperperi abominevoli a vantaggio dei prominenti e dei profittatori.
E quindi a uno sguardo d'insieme sull'operato del governo centrale mezzo razzista e dei governi regionali razzisti lungo questo intero anno occorre riconoscere che non solo non stanno contrastando efficacemente l'epidemia, ma ne sono invece i primi complici insieme ai satrapi razzisti, ai poteri vampiri, alle organizzazioni mafiose, agli squadristi fascisti e a quel "popolo delle scimmie" - di cui diceva Gramsci - ansioso solo di essere ipnotizzato e narcotizzato al seguito di un duce o un pifferaio purchessia.
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In questo momento il movimento delle oppresse e degli oppressi non ha nessun rappresentante eletto in parlamento che possa li' svolgere un'azione efficace. Occorre prenderne atto.
In questo momento le tradizionali forme di mobilitazione e di lotta del movimento delle oppresse e degli oppressi non sono agibili. Occorre prenderne atto.
Ma in questo momento e' piu' necessario che mai che il movimento delle oppresse e degli oppressi si organizzi, faccia sentire la sua voce e prema nonviolentemente sulle istituzioni democratiche per contrastare ad un tempo l'epidemia, il regime della corruzione, il sistema di potere della rapina e della devastazione, i poteri criminali, il fascismo che torna.
Diciamolo ancora una volta: occorre insorgere nonviolentemente contro la schiavitu', contro l'apartheid, contro il regime della corruzione e i poteri criminali.
Diciamolo ancora una volta: occorre insorgere nonviolentemente contro la strage degli innocenti.
Diciamolo ancora una volta: occorre insorgere nonviolentemente in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutti gli esseri umani.
Diciamolo ancora una volta: occorre insorgere nonviolentemente contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.
Ed insieme alla lotta nonviolenta per imporre alle istituzioni di tornare alla legalita' repubblicana, alla legalita' democratica, alla legalita' costituzionale, e quindi al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani, occorre contemporaneamente - personalmente come individui e collettivamente come societa' civile - attuare la condotta piu' adeguata a proteggere le vite proprie ed altrui. E' un impegno che deve cominciare da ogni singola persona e divenire costume condiviso. Ogni comportamento consumista e dissipatore va bandito per intima convinzione. Ogni cieco egoismo individuale o di gruppo va bandito per intima convinzione. Solo la scelta della solidarieta' persuasa ed attenta puo' contrastare efficacemente l'epidemia. Non e' il tempo delle feste e dei divertimenti, delle distrazioni e degli stordimenti, della narcosi e delle grullerie. E' il tempo della responsabilita' e della lotta nonviolenta per il bene comune.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta nonviolenta per la salvezza comune dell'umanita' intera e la salvaguardia dell'intero mondo vivente unica casa comune dell'umanita'.
Abolire la guerra e le armi.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

2. REPETITA IUVANT. FRANCO RESTAINO: IL FEMMINISMO, AVANGUARDIA FILOSOFICA DI FINE SECOLO. CARLA LONZI (PARTE PRIMA)
[Riproponiamo ancora una volta il seguente saggio di Franco Restaino, che riprendiamo dalla rivista telematica "Per amore del mondo", n. 2 (nel sito www.diotimafilosofe.it), precedentemente apparso nel volume Le avanguardie filosofiche in Italia nel XX secolo, a cura di P. Di Giovanni, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 269-286]

La scelta di questo tema puo' apparire bizzarra o provocatoria; necessita quindi di un chiarimento.
Il tema generale del convegno fa riferimento alle avanguardie della filosofia italiana del Novecento. A parere di chi scrive, se si intende il termine "avanguardia" nel suo significato corrente (un gruppo di persone che propone tesi originali che danno luogo a una scuola, corrente o movimento nel campo letterario, filosofico, artistico o altro), e' molto difficile denominare col termine "avanguardia" una qualche scuola o corrente filosofica del Novecento italiano (1). Pensiamo alle figure e scuole emergenti via via lungo il secolo e alle denominazioni con le quali si suole designarle: pragmatismo (nelle versioni Papini-Prezzolini e Vailati-Calderoni), neoidealismo (nelle versioni crociana e gentiliana), spiritualismo, marxismo, esistenzialismo, ermeneutica, storicismo, filosofia analitica, tutte con poche o molte articolazioni interne.
Si tratta veramente di avanguardie che propongono qualcosa di originale rispetto a quanto veniva teorizzato e praticato in altre scuole o correnti della stessa denominazione in altre aree della cultura filosofica? O non si tratta invece di una "importazione" o di una "reviviscenza" di posizioni teoriche gia' presenti (talvolta nella stessa cultura filosofica italiana), anche se in forme diverse, nella cultura filosofica internazionale? Personalmente sono del parere che si debba rispondere positivamente alla seconda delle due domande appena formulate.
Questa posizione potra' apparire riduttiva e addirittura lesiva del "buon nome" della nostra cultura filosofica, ma solo a chi "misura" i contributi teorici di essa alla produzione filosofica mondiale con occhi o pregiudizi "nazionalistici". E' sufficiente dare uno sguardo alle storie della filosofia, ai dizionari, ai "panorami" e alle enciclopedie della stessa disciplina, apparsi negli ultimi anni e decenni nelle aree culturali che hanno segnato piu' incisivamente la produzione teorica originale degli ultimi due secoli (Germania, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti d'America), per riscontrarvi la scarsa o nulla presenza di autori italiani (2). Una sospetta convergenza antiitaliana? Crediamo di no. E' una realistica constatazione e presa d'atto del fatto che il ricco e variegatissimo dibattito filosofico del nostro Novecento (e di gran parte dell'Ottocento) non e' sfociato in grandi elaborazioni teoriche riconoscibili o riconosciute come tali nel mondo filosofico internazionale.
Non e' sfociato, si puo' aggiungere, neppure in opere divenute "classiche", alle quali cioe' si ritorni in maniera ricorrente al di la' della cerchia ristretta degli storici specialisti o dei laureandi impegnati nella ricostruzione dei "dettagli" delle vicende della cultura filosofica italiana contemporanea. Si pensi, per esempio, alla circolazione delle opere dei "capiscuola" della filosofia italiana dell'ultimo secolo e del precedente. Quali e quante di queste opere sono attualmente in circolazione, nei cataloghi dei "libri in commercio"? Credo che sarebbe difficile farne un elenco, anche breve. E' piu' facile, semmai, trovare in circolazione opere di autori che hanno operato al di fuori delle principali correnti filosofiche italiane del secolo e che vengono "lanciati" con una certa fortuna da qualche editore prestigioso (si pensi a un Michelstaedter, a un Rensi); autori che comunque non hanno lasciato tracce consistenti nel dibattito filosofico contemporaneo.
L'Italia del Novecento non ha dunque avuto nessuna avanguardia filosofica? Credo che si debba riconoscere, senza recriminazioni o irritazioni, che le cose sono andate proprio cosi', almeno per quel che riguarda la produzione dei filosofi maschi.
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Secondo chi scrive, infatti, l'unica eccezione riguarda il pensiero di orientamento femminista prodotto nel nostro paese, contemporaneamente al e non in dipendenza dal pensiero femminista di area statunitense, inglese e francese, dagli anni Settanta a oggi.
In questo caso si e' trattato, e si tratta, di una vera e propria avanguardia filosofica che in consonanza con altre avanguardie di orientamento affine in altre aree della cultura internazionale ha prodotto e continua a produrre significative e originali elaborazioni teoriche; le quali sono risultate riconoscibili e vengono riconosciute in quel ricco e variegato mondo del pensiero delle filosofe anche se non ancora (o almeno non nella misura dovuta) in quello del pensiero dei filosofi.
Che cosa e' stato e che cosa e' il pensiero femminista italiano, formatosi in maniera originale negli stessi anni nei quali si e' andato formando quello statunitense, inglese, francese? Esistono ormai testi riccamente documentati in questo settore di studi, e ad alcuni di essi rimandiamo in nota (3). Richiamiamo qui soltanto alcuni suoi caratteri qualificanti ed elementi di informazione con riferimento anche al pensiero femminista non italiano.
Il pensiero femminista italiano e' nato all'interno del movimento femminista, formatosi nella seconda meta' degli anni Sessanta, come nei piu' avanzati paesi del mondo occidentale, in seguito al distacco rapido e crescente di gruppi di giovani militanti (prevalentemente studentesse universitarie) dai partiti e movimenti di sinistra (parlamentare ed extraparlamentare) accusati di "maschilismo" sia nella teoria sia nella pratica.
Il distacco di tali gruppi di giovani militanti ha portato come conseguenza, in Italia e negli altri paesi sopra nominati (Usa, Gran Bretagna, Francia), la formazione di un numero consistente di esperienze militanti locali che rifiutano la centralizzazione (tipica dei partiti e movimenti "maschilisti") e praticano invece l'elaborazione di tecniche di discussione e di elaborazione teorica (gruppi di autocoscienza) e pratico-politica alternative, "femministe" appunto.
Il decentramento dell'attivita' teorica e politica non ha impedito affatto la ricerca e l'individuazione di obiettivi comuni di lotta e rivendicazione politica e legislativa: parita' di trattamento economico con i maschi, pari opportunita', divorzio, aborto, consultori, asili d'infanzia e altri ancora hanno contrassegnato per una quindicina d'anni la lotta femminista in tutto il mondo occidentale. Tali obiettivi integravano quelli tradizionali, risalenti al primo femminismo internazionale (dalla meta' dell'Ottocento al 1920 circa), relativi alla rivendicazione della uguaglianza giuridica rispetto ai cittadini maschi sulle questioni del diritto al voto, dell'accesso all'istruzione di livello superiore e universitario, dell'accesso alle libere professioni e altri ancora.
La crescita politica, organizzativa (sempre decentrata, col rifiuto del concetto di "capi" del movimento) e teorica negli anni intorno al 1970 ha portato al privilegiamento di tematiche radicalmente nuove rispetto a quelle del primo femminismo che puntava alla uguaglianza dei diritti e delle condizioni di trattamento economico delle donne rispetto a quelli riconosciuti ai maschi. Nasce allora quello che viene definito comunemente femminismo "radicale", il cui intento di fondo, nei diversi paesi in cui si forma contemporaneamente, anche se con accenti teorici differenziati, e' quello appunto di andare "alla radice" delle cause che hanno reso la donna, storicamente e non "naturalmente", inferiore all'uomo (4). Radice che non e' soltanto, come riteneva il primo femminismo, giuridica ed economica.
La sfera della sessualita' viene riconosciuta e individuata, intorno al 1970 in tutti i movimenti femministi occidentali, come quella nella quale sta la "radice" della inferiorita' imposta alla donna dal dominio dell'uomo, dominio chiamato pressoche' da tutte le femministe "patriarcalismo". Non l'appartenenza di classe, o quella di razza, che pure costituiscono nel passato e nel presente cause importanti della inferiorita' delle donne, ma essenzialmente la sfera della sessualita', con la proiezione della differenza di "sesso" (anatomica, fisica) nella differenza di "genere" (cioe' di ruolo sociale, familiare), costituisce per il nuovo femminismo degli anni Sessanta-Settanta la vera "radice" di quella inferiorita'.
Il nuovo femminismo (nuovo rispetto a quello entrato in crisi e "in sonno" dopo il 1920), o anche, come viene chiamato comunemente, il femminismo della "seconda ondata" (la prima ondata e' quella esauritasi nel 1920), concentra quindi nella sessualita' (tematica considera "tabu'" nel primo femminismo, con alcune isolate eccezioni nel primo Novecento nel campo anarchico e socialista, si pensi a Emma Goldmann) le sue riflessioni, analisi, elaborazioni teoriche, dalle quali emergeranno anche le rivendicazioni pratiche, politiche, legislative. In meno di dieci anni la produzione teorica del femminismo radicale sviscera in tutti i suoi aspetti e conseguenze la tematica della sessualita' non in maniera monolitica ma con ricche articolazioni interne e accenti differenziati, e talvolta conflittuali, su temi specifici quali la maternita', l'omosessualita', la famiglia, la razza.
L'articolazione e la differenziazione interne al femminismo radicale, caratterizzato inizialmente dall'appartenenza delle militanti alla classe media (prevalentemente studentesse universitarie, status che in alcuni paesi e' immediatamente segno di privilegio sociale), alla razza bianca e alla pratica eterosessuale, aumentano rapidamente - soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, paesi di forte presenza multietnica e di pronunciata divisione classista - con l'emergenza di gruppi di giovani femministe portatrici di condizioni diverse (di razza, di classe, di pratica sessuale) (5).
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Il femminismo italiano si e' formato e sviluppato, contestualmente a quello internazionale, affrontando negli stessi anni buona parte degli stessi problemi (per ragioni ovvie e' mancata una elaborazione relativa alle questioni della razza, in un paese nel quale la presenza multietnica si sarebbe realizzata soprattutto negli anni Ottanta e Novanta).
Si deve precisare pero' che nel femminismo italiano, negli anni della fase "radicale", hanno prevalso (con l'eccezione di Carla Lonzi, su cui ci soffermeremo) discussioni ed elaborazioni teoriche relative a tematiche e rivendicazioni di carattere politico generale (divorzio, aborto, consultori, parita' di trattamento economico) per le quali l'area italiana era un po' in ritardo rispetto ai paesi piu' avanzati quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. Soltanto negli anni Ottanta, con l'affermarsi di alcune riviste a circolazione nazionale ("DWF", "Sottosopra", "Memoria"), di alcuni centri di elaborazione divenuti punti di riferimento per un dibattito teorico nazionale (Libreria delle donne di Milano, gruppo Diotima di Verona) e soprattutto in seguito all'influenza decisiva (oltre che alla frequente presenza personale nel caso di Luce Irigaray) delle idee provenienti in particolare dalla Francia (la stessa Irigaray, J. Kristeva, H. Cixous) e in generale dall'area anglosassone, il femminismo italiano ha affrontato nella maniera piu' matura gli stessi temi che negli stessi anni e nei seguenti avrebbero caratterizzato gli sviluppi piu' originali della produzione teorica femminista, o "postfemminista". Possiamo citare qui le teoriche femministe italiane piu' internazionalmente conosciute negli ultimi quindici anni: da L. Muraro ad A. Cavarero, da T. De Lauretis a R. Braidotti (queste ultime operano da decenni quasi esclusivamente fuori d'Italia).
A fianco ad esse opera un numero consistente di pensatrici che da una parte tengono vivo il dibattito teorico interno al femminismo e dall'altra contribuiscono ad estendere le tematiche di ricerca e di riflessione, storico-filosofica oltre che teoretica, anche in ambito universitario. Per quanto infatti non esistano in Italia i dipartimenti dedicati agli Women's Studies e ai Cultural Studies, che in area soprattutto anglosassone ospitano numerose ricercatrici di orientamento femminista, sono sempre piu' numerose, giovani e meno giovani, le ricercatrici impegnate nel lavoro filosofico di orientamento femminista. Il volume citato in una nota, quello degli indici e degli abstracts dei venticinque anni di vita della rivista "DWF", pubblicato nel 2001, puo' costituire una base iniziale di informazione sulla varieta' e ricchezza di ricerche e riflessioni nell'ambito degli sviluppi piu' recenti del pensiero femminista italiano.
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Nel quadro di questo itinerario del femminismo italiano, qui sommariamente ricordato, spicca, nella fase iniziale del movimento, la figura di Carla Lonzi, la prima femminista "teorica" della fase "radicale" del femminismo italiano, la prima lucida e ostinata sostenitrice della tesi della "differenza sessuale" quale rivendicazione alternativa a quella della uguaglianza fra donne e uomini.
Carla Lonzi (1931-1982) e' stata, fin dall'inizio del 1970, la principale animatrice del gruppo femminista romano formatosi in quell'anno e autodenominatosi "Rivolta Femminile". Nel ricco panorama di gruppi femministi di quegli anni Rivolta Femminile si caratterizzava per un distacco aperto dalle rivendicazioni e dalle lotte politiche e per un altrettanto aperto privilegiamento del lavoro di elaborazione teorica. Carla Lonzi non era, allora, della generazione piu' giovane della militanza femminista, aveva dietro di se' un'attivita' di studiosa affermata nel campo della critica d'arte, e il suo impegno teorico nella militanza femminista costitui' una svolta importante nella sua vita, i cui problemi esistenziali lei stessa mise a nudo nella produzione diaristica e filtro' in quella poetica (6).
I suoi scritti teorici di rivendicazione femminista sono relativamente pochi, risalgono agli anni 1970-1972 e sono contenuti nel volume dal titolo Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, pubblicato dalla casa editrice del gruppo, Rivolta Femminile, Milano 1974. Il titolo del libro fa riferimento ai due saggi piu' noti e piu' organici dell'autrice, rispettivamente del 1970 e del 1971. Esso contiene anche il Manifesto di Rivolta Femminile con il quale il gruppo si fece conoscere affiggendolo in molte parti di Roma nel luglio del 1970 e altri brevi scritti fra i quali uno sull'aborto e uno sul significato dell'autocoscienza nei gruppi femministi.
Il Manifesto di Rivolta Femminile contiene in nuce i motivi di fondo del pensiero di Carla Lonzi, che potrebbe riassumersi con la frase "per la differenza, contro l'uguaglianza", ovviamente da chiarire e precisare, come faremo in questo scritto, seguendo e analizzando i testi dell'autrice. Il suo pensiero si articola quindi, come vedremo subito: in una critica radicale del sistema di dominio patriarcale, di cui individua e critica fortemente i pilastri ideologici nel passato e nel presente; in una critica radicale del matrimonio e della eterosessualita', pratiche entrambe imposte da quel dominio; in una rivendicazione della differenza irriducibile della donna e di pratiche sessuali assolutamente libere, "polimorfe" come dira' con riferimento anche alla sessualita' infantile e adolescenziale; in una teorizzazione infine della esistenza di due categorie di donna: quella clitoridea (libera dalle imposizioni eterosessuali maschili e patriarcali, disponibile ad una libera sessualita' polimorfa) e quella vaginale (soggetta alle pratiche eterosessuali imposte dal dominio patriarcale e miranti al solo piacere maschile); in un invito infine alle donne a liberarsi dall'istituzione del matrimonio, dalla soggezione alle pratiche eterosessuali vaginali, e a intraprendere la via clitoridea della libera sessualita' polimorfa che cerca e trova il piacere femminile nella liberta' dal dominio patriarcale.
Il pensiero di Carla Lonzi, che solo molti anni dopo sarebbe stato valutato nella sua importanza teorica dal femminismo italiano, costituisce un momento di effettiva "avanguardia" rispetto alla cultura filosofica dominante e anche allo stesso femminismo italiano nella sua fase iniziale. Esso affronta in maniera nuova, e propone in maniera nuova, i problemi centrali del femminismo radicale, formulando teorizzazioni per molti aspetti simili a quelle che le piu' avanzate teoriche femministe andavano formulando in area anglosassone e francese. Su questo punto e' sufficiente controllare le date dei principali contributi teorici di quelle aree, per i quali rinvio alla raccolta recentissima curata da Barbara A. Crow, Radical Feminism, gia' citata in nota.
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Prima di esaminare e documentare il pensiero di Carla Lonzi nei suoi temi piu' significativi ritengo utile riportare alcune frasi incisive e "forti" dal Manifesto del luglio del 1970 che preannuncia, come si diceva, i motivi di fondo del suo pensiero, in uno stile non argomentativo ma con affermazioni brevi, lapidarie, spesso felicissime. Su differenza e uguaglianza: "La donna e' l'altro rispetto all'uomo. L'uomo e' l'altro rispetto alla donna. L'uguaglianza e' un tentativo ideologico per asservire la donna a piu' alti livelli. Identificare la donna all'uomo significa annullare l'ultima via di liberazione" (7). Su matrimonio e famiglia: "Verginita', castita', fedelta', non sono virtu'; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia. L'onore ne e' la conseguente codificazione repressiva"; e piu' avanti: "Riconosciamo nel matrimonio l'istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio" (pp. 12-13; per comodita', d'ora in avanti citeremo direttamente e non in nota le pagine del volume in cui si trovano i passi riportati o cui si fa riferimento). Sull'origine antica e sulla permanenza del dominio patriarcale: "Abbiamo guardato per 4000 anni: adesso abbiamo visto!" (p. 16, una delle frasi "fulminanti" piu' felici); e ancora: "Alle nostre spalle sta l'apoteosi della millenaria supremazia maschile. Le religioni istituzionalizzate ne sono state il piu' fermo piedistallo", con la precisazione poco piu' avanti: "La civilta' ci ha definite inferiori, la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica" (p. 16, anche questa una delle frasi piu' felici). Sulla responsabilita' dei filosofi nel teorizzare e perpetuare ideologicamente il dominio patriarcale: "Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione della umanita', legame con la divinita' o soglia del mondo animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica cio' che era ingiusto e atroce nella vita della donna"; e ad esemplificazione di tale tesi generale, i bersagli sono Hegel e Marx: "Sputiamo su Hegel. La dialettica servo-padrone e' una regolazione di conti fra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civilta' patriarcale. La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato" (p. 17) (8).
I brani riportati non hanno bisogno di commento. Non sono i documenti di uno "sfogo" personale ma costituiscono i "titoli" dei temi di fondo della riflessione dell'autrice, che ora seguiremo in maniera piu' dettagliata.
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La cornice generale nella quale trovano spazio e sviluppo i temi piu' significativi della riflessione di Carla Lonzi e' costituita, come si e' visto, dalla coppia uguaglianza-differenza e dal rifiuto, in questa coppia concettuale, del primo termine di essa. L'uguaglianza, abbiamo accennato, era stato l'obiettivo di fondo del primo femminismo (quello, per intendersi, delle "suffragette"): il movimento delle donne aveva fatto propri, aveva preso sul serio, i principi che le teorie liberali, democratiche, socialiste e comuniste, tutte proposte da pensatori maschi, avevano avanzato nell'eta' moderna e contemporanea, e aveva chiesto al potere politico, sociale, economico e culturale dei maschi di essere "coerente" con quei principi e di metter fine alla discriminazione nei confronti delle donne in tutti i settori e gli aspetti della vita dello stato. Nelle societa' capitalistiche piu' avanzate, e in quelle richiamantisi al socialismo e al comunismo, nel secolo appena concluso, la legislazione statale aveva risposto positivamente a tali richieste, anche se spesso fra la legislazione formale e le pratiche di fatto la distanza era grande e la discriminazione nei confronti delle donne persisteva e persiste.
Con la ripresa del movimento delle donne negli anni Sessanta, in una parte di esso continua forte la richiesta di uguaglianza giuridica, politica, economica, non soddisfatta completamente dalla legislazione fino ad allora "conquistata"; nella parte piu' giovane e piu' politicamente avanzata di quel movimento l'obiettivo dell'uguaglianza viene invece messo ai margini o respinto e si cerca semmai una risposta al perche' del sussistere della differenza e della discriminazione nei confronti delle donne nonostante molta parte della legislazione le neghi. E' il femminismo radicale: quello che diventera' in tempi brevissimi maggioritario e tentera' di andare appunto "alle radici" del problema relativo al sussistere delle discriminazioni che rendono la condizione della donna inferiore a quella dell'uomo. Le radici vengono subito individuate non nelle cause politiche, legislative, economiche, culturali (cause non negate ma considerate secondarie) ma in quelle legate alla sfera della sessualita': al dominio sessuale dell'uomo sulla donna nelle forme molteplici assunte nel corso della lunga storia di esso.
Carla Lonzi e' la prima femminista, in Italia, a collocarsi in maniera originale sul piano teorico in questa nuova fase radicale del femminismo. Nel suo pensiero la critica molto forte delle ideologie (religiose, filosofiche, politiche, psicanalitiche) non e' mai separata dalla tesi di fondo secondo la quale "dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi" (p. 14). Alla luce di questa tesi di fondo nell'importante saggio Sputiamo su Hegel l'obiettivo dell'uguaglianza, non a caso proposto inizialmente dai pensatori maschi nelle loro varie ideologie sotto il tema dell'universalismo dei diritti, appare alla Lonzi o secondario o addirittura fuorviante rispetto all'obiettivo primario che deve muovere dalla differenza. Secondario, perche' l'oppressione della donna "non si risolve nell'uguaglianza, ma prosegue nell'uguaglianza. Non si risolve nella rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzione" (p. 20). Fuorviante perche' "per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella societa' mediante il riconoscimento che essa possiede capacita' uguali a quelle dell'uomo. Ma il chiarimento che l'esperienza femminile piu' genuina di questi anni ha portato sta in un processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacita', ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere" (ivi).
Carla Lonzi propone quindi, in maniera ricorrente, di andare al di la' del fuorviante obiettivo dell'uguaglianza e di muovere dal concetto e dal fatto della differenza non per piangerci su' e rammaricarsene (come una parte del femminismo radicale avrebbe fatto agli inizi) ma per ricavarne obiettivi di rivendicazione e di lotta non solo piu' avanzati ma genuinamente "femministi". L'uguaglianza, sottolinea infatti, "e' un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza e' un principio esistenziale che riguarda i modi dell'essere umano, la peculiarita' delle sue esperienze, delle sue finalita', delle sue aperture, del suo senso dell'esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo e' la differenza di base dell'umanita'" (pp. 20-21). E ancora, con accenti piu' forti: "La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. (...) Non possiamo cedere ad altri la funzione di sommuovere l'ordinamento della struttura patriarcale. L'uguaglianza e' quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E quanto si impone sul piano della cultura. E' il principio in base al quale l'egemone continua a condizionare il non-egemone. (...) L'uguaglianza tra i sessi e' la veste in cui si maschera oggi l'inferiorita' della donna" (p. 21).
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Il saggio Sputiamo su Hegel che stiamo esaminando (anch'esso, come il Manifesto di Rivolta Femminile, dell'estate 1970) e' dedicato in buona parte ad un'analisi critica delle tesi di Hegel, Marx, Freud sulla condizione della donna e sul suo ruolo nella societa', presente e futura, oltre che ad una rapida ricostruzione del dibattito tra Lenin e le comuniste femministe russe (in particolare Clara Zetkin) criticate da Lenin perche' proponevano obiettivi sbagliati e fuorvianti rispetto a quelli indicati da lui e dal gruppo dirigente del partito comunista. Si tratta di pagine importanti sul piano della discussione teorica e della precisazione delle tesi della Lonzi, ma l'analisi di esse non e' possibile in questa sede. Ci limitiamo pertanto a riferirne alcuni passi o conclusioni, teoricamente significativi.
La Lonzi individua una continuita' fra le riflessioni hegeliane sulla dialettica servo-padrone e quelle marxiane sulla lotta di classe: in entrambe il concetto e il ruolo della donna appaiono emarginati rispetto ad una teoria complessiva che non nasconde affatto i suoi caratteri essenzialmente maschilisti.
Su Hegel, per esempio, scrive: "Nel principio femminile [il riferimento e' qui alla nota trattazione hegeliana del ruolo della donna, nella Fenomenologia dello Spirito] Hegel ripone l'apriori di una passivita' nella quale si annullano le prove del dominio maschile. L'autorita' patriarcale ha tenuto soggetta la donna e l'unico valore che le viene riconosciuto e' quello di esservisi adeguata come a una propria natura" (p. 25). E ancora, dopo analisi acute e profonde su alcuni momenti della Fenomenologia dello Spirito e sul suo significato piu' generale (e qui appare evidente l'accettazione dell'interpretazione di tale testo fornita da A. Kojeve), Carla Lonzi afferma: "Nella concezione hegeliana il Lavoro e la Lotta sono le azioni da cui parte il mondo umano come storia maschile. Lo studio dei popoli primitivi offre invece la constatazione che il lavoro e' una attribuzione femminile mentre la guerra e' il mestiere specifico del maschio. (...) La specie dell'uomo si e' espressa uccidendo, la specie della donna si e' espressa lavorando e proteggendo la vita" (pp. 50-51). In quest'ultima affermazione, precisata e arricchita da altre, appare una forte anticipazione teorica rispetto al valore "positivo" della differenza rappresentata dal ruolo storico della donna rispetto a quello negativo (guerre, stermini) rappresentato dall'uomo: temi che una parte consistente del femminismo a livello internazionale avrebbe approfondito alcuni anni dopo, anche se un primo preannuncio c'era stato, senza pero' essere stato ripreso e sviluppato, nello scritto di Virginia Woolf del 1938, Le tre ghinee.
Su Marx, che secondo la Lonzi prosegue le riflessioni hegeliane trasferendo la tematica della dialettica servo-padrone in quella della lotta di classe, le critiche non sono meno incisive e forti. Ridurre l'oppressione della donna a quella piu' generale delle classi oppresse (ultima, il proletariato) e' sbagliato sul piano storico, teorico e politico: "La donna e' oppressa in quanto donna, a tutti i livelli sociali: non al livello di classe, ma di sesso. Questa lacuna del marxismo non e' casuale, ne' sarebbe colmabile ampliando il concetto di classe in modo da far posto alla massa femminile, alla nuova classe. Perche' non si e' visto il rapporto della donna con la produzione mediante la sua attivita' di ricostituzione delle forze-lavoro nella famiglia? Perche' non si e' visto nel suo sfruttamento all'interno della famiglia una funzione essenziale al sistema dell'accumulo di capitale? Affidando il futuro rivoluzionario alla classe operaia il marxismo ha ignorato la donna e come oppressa e come portatrice di futuro; ha espresso una teoria rivoluzionaria dalla matrice di una cultura patriarcale" (p. 24). Carla Lonzi procede ad una ricostruzione fortemente critica dell'analisi della donna nei testi piu' significativi di Marx e di Engels in cui viene affrontata tale tematica, per continuarla in relazione a Lenin e al socialismo sovietico (in particolare nelle pp. 30 e segg.), sostenendo che "la ripresa della liberazione della donna non avviene oggi nei paesi socialisti, dove la struttura sociale ha assunto rigori da alto medioevo mediante l'imposizione dei miti patriarcali riabilitati dalla rivoluzione, ma all'interno degli stati borghesi nei quali il crollo dei valori puo' compiersi soltanto attraverso l'intervento femminista. Esso infatti si compie come crollo della concezione e della realta' patriarcali, nel quale esito viene a manifestarsi la corrosione non solo della borghesia, ma di un tipo di civilta' maschile" (pp. 33-34).
Il filone di pensiero hegelo-marxista, e le teorizzazioni e pratiche dei regimi socialisti (oltre che il pensiero di Freud, al quale la Lonzi muove critiche molto forti) hanno infatti lasciato intatto il pilastro principale del dominio patriarcale, la famiglia. Cio' appare particolarmente grave nella pratica dei sistemi sedicenti socialisti che hanno negato le prospettive avanzate nel 1884 da Engels nel suo noto libro L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello stato, particolarmente apprezzato in ambito femminista in quanto prospettava la dissoluzione dei ruoli nell'ambito della famiglia con l'avvento della rivoluzione socialista e con la presa del potere da parte del proletariato. Contrariamente alle promesse e alle aspettative sul piano teorico, "la dittatura del proletariato ha dimostrato a sufficienza di non essere portatrice della dissoluzione dei ruoli sociali: essa ha mantenuto e consolidato la famiglia quale centro in cui si ripete la struttura umana incompatibile con qualsiasi mutamento sostanziale dei valori. La rivoluzione comunista e' avvenuta su basi politico-culturali maschili, sulla repressione e la strumentalizzazione del femminismo, e deve adesso far fronte a quella rivolta contro i valori maschili che la donna vuole portare fino in fondo, oltre la dialettica delle classi interne al sistema patriarcale" (p. 34).
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Il tema della famiglia e' ricorrente nei testi di Carla Lonzi ed e' legato a quello del dominio sessuale maschile, a quello del lavoro domestico svolto gratuitamente oltre il lavoro fuori casa, a quello della maternita', a quello della critica molto forte alle teorie e analisi di Freud.
Abbiamo gia' citato, all'inizio dell'esame del pensiero della Lonzi, alcune frasi radicalmente negative sulla famiglia e sull'istituzione matrimonio "che ha subordinato la donna al destino maschile" (p. 12). Carla Lonzi afferma piu' volte il rifiuto del matrimonio come istituzione, e della famiglia come luogo della schiavitu' della donna: "La donna e' sottoposta tutta la vita alla dipendenza economica prima della famiglia del padre, poi di quella del marito. Ma la sua liberazione non consiste nel raggiungere l'indipendenza economica, ma nel demolire quella istituzione che l'ha resa piu' schiava e schiava piu' a lungo degli schiavi" (p. 45). La Lonzi vede anche nel pensiero di Freud una persistenza dell'ideologia patriarcale che confina la donna nell'ambito della famiglia con le motivazione le piu' varie ma tutte convergenti nella volonta' di mantenerla soggetta non solo ai poteri ma anche ai desideri e al piacere dell'uomo (da qui la tematica, come vedremo piu' avanti, della donna vaginale - matrimonio, eterosessualita', dominio e piacere maschili - e della donna clitoridea - liberta' sessuale e piacere della donna). Anche la tesi del complesso di Edipo viene considerata e criticata in questo ambito di affermazioni e valutazioni: "La famiglia e' l'istituzione in cui si sono espressi i tabu' di cui l'uomo adulto ha sempre circondato i rapporti liberi tra la donna adulta e il giovane. La psicanalisi ha riproposto questa situazione nei termini di tragedia [complesso di Edipo] che le aveva decretato l'antichita'. La tragedia e' una proiezione maschile perche' nel momento in cui l'uomo e' spinto dai suoi cicli di vita verso nuovi oggetti sessuali, non sopporta che la donna manifesti una sua conformazione dei desideri e che qualche ripercussione si verifichi nell'ambito dei suoi possessi. (...) Dietro il complesso di Edipo non c'e' il tabu' dell'incesto, ma lo sfruttamento di questo tabu' da parte del padre a sua salvaguardia" (pp. 41-42). Sono brani molto profondi, seguiti da altri, che per ragioni di spazio non possiamo riportare e analizzare, nei quali la tematica della famiglia, del dominio sessuale maschile, della imposizione di un solo partner sessuale (il marito) alla donna, privata del piacere dalla imposizione di una sola pratica sessuale (la penetrazione vaginale), della maternita' (una frase a p. 40 e' molto significativa in proposito: "non e' il figlio che ci ha fatto schiave, ma il padre"), viene sviluppata in maniera originale e con forti motivazioni teoriche oltre che di esperienza reale.
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Note
1. Per una recente ricostruzione storico-teoretica del concetto di avanguardia si veda, del vol. di L. Ferry, Homo Aestheticus, Grasset, Paris 1990, il cap. "Le declin des avant-gardes: la postmodernite'", pp. 269-342.
2. Qualche anno fa ho segnalato e documentato ampiamente, in una rassegna di testi di questo genere di area inglese e statunitense, tale fatto. Si veda F. Restaino, La filosofia italiana vista dagli anglostatunitensi, in "Rivista di storia della filosofia", LIII, 1996, 4, pp. 921-942. Ai testi cui fa riferimento la rassegna si deve aggiungere, a conferma, la recente The Columbia History of Western Philosophy diretta da R. H. Popkin e scritta da una sessantina di autorevoli storici della filosofia, Columbia University Press, New York 1999.
3. Il testo piu' ricco e piu' documentato, che ricostruisce la formazione del pensiero femminista italiano dalla fine degli anni Sessanta e' quello a cura di P. Bono e S. Kemp, Italian Feminist Thought, Blackwell, Oxford 1991. Per indicazioni bibliografiche piu' aggiornate si veda F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999. Una fonte preziosa di informazione e' la principale rivista femminista italiana, "DWF", per la quale si veda l'utilissimo volume, supplemento al n. 4/2000, curato da F. Perrone e V. Chiurlotto, DWF. 1975-2000. Indici & Abstracts, Utopia, Roma 2001.
4. Oltre alle opere indicate nelle bibliografie dei testi citati nella nota precedente si veda ora il vol. a cura di B. A. Crow, Radical Feminism. A Documentary Reader, New York University Press, New York 2000. E' la piu' ricca e articolata raccolta di testi, ragionatamente presentati, che documentano i principali temi di elaborazione teorica di questa fase del femminismo contemporaneo, collocabile negli anni 1967-1975.
5. Su questi aspetti nuovi che porteranno alla crisi del femminismo radicale intorno al 1975 e all'emergere di nuove elaborazioni teoriche sempre piu' raffinate e "accademiche" (per le quali e' diffusa la denominazione di "post-femminismo") contestualmente alla crisi del femminismo come movimento pratico-politico organizzato (anche se in maniera molto decentrata) si veda l'ottimo vol. di I.Whelehan, Modern Feminist Thought. From the Second Wave to "Post-Feminism", Edinburgh University Press, Edinburgh 1996. Ulteriori informazioni e indicazioni bibliografiche nel gia' citato vol. di F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe.
6. La biografia e l'attenta ricostruzione del pensiero teorico di C. Lonzi e' l'oggetto di un libro esaustivo di M. L. Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990. L'autrice ricostruisce con rigore e impegno, servendosi largamente della produzione diaristica, le vicende biografiche di C. Lonzi, morta relativamente giovane a causa di una lunga malattia incurabile.
7. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, Rivolta Femminile, Milano 1974, p. 11.
8. Una storia delle teorizzazioni dei filosofi sulla donna non e' stata ancora scritta, anche se molti contributi di studiose femministe nelle diverse aree della cultura internazionale e nazionale hanno contribuito a preparare i materiali per una tale storia. Recentemente tre studiose francesi, F. Collin, E. Pisier, E. Varikas, hanno curato il grosso volume (830 pagine) Les femmes de Platon a' Derida. Anthologie critique, Plon, Paris 2000. Il volume si raccomanda alla lettura sia per le accurate presentazioni di ogni autore, sia per l'intelligente scelta dei brani, sia per la ricchissima e aggiornatissima bibliografia di ampiezza internazionale. Dovrebbe essere una lettura obbligata, per le donne e per gli uomini che abbiano interesse alla filosofia.
(parte prima - segue)

3. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Alba de Cespedes, Quaderno proibito, Mondadori, Milano 1952, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006, pp. 240.
- Papa Francesco, Fratelli tutti, Libreria editrice vaticana - Rivista San Francesco, Roma-Assisi 2020, pp. XIV + 242.
- Nicla Vassallo, Teoria della conoscenza, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. IV + 168.
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Maestre
- Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976, 1977, pp. VIII + 336.
- Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 272.

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3924 del 15 novembre 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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