[Nonviolenza] No. 26



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NO ALL'ANTIPARLAMENTARISMO, NO AL FASCISMO, NO ALLA BARBARIE
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum del 20-21 settembre votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 26 dell'8 settembre 2020

In questo numero:
1. No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
2. Il testo del quesito referendario
3. Siti utili per l'informazione e l'impegno
4. "Il mattino" intervista Massimo Villone
5. Luciano Bardi, Piero Ignazi e Oreste Massari: Il nostro NO
6. Nicole Vinci: Votare NO e' un dovere
7. "Il manifesto": Referendum costituzionale sul taglio del parlamento, dieci motivi per dire NO
8. L'appello del Comitato donne per il NO al referendum: "E invece NO"

1. APPELLI. NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE CHE MUTILA LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E MIRA AD IMPORRE UN REGIME TOTALITARIO NEL NOSTRO PAESE

Al referendum costituzionale sulla mutilazione del parlamento del 20-21 settembre 2020 voteremo no.
Siamo contrari a ridurre il Parlamento a una tavolata di yes-men al servizio di esecutivi tanto insipienti quanto tracotanti e dei grotteschi e totalitari burattinai razzisti e militaristi che li manovrano.
Siamo contrari al passaggio dalla democrazia rappresentativa, per quanto imperfetta essa possa essere, al fascismo.
La mutilazione del parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari ha questo significato e queste fine: favorire il passaggio da una democrazia costituzionale gia' profondamente ferita a un regime sempre piu' antidemocratico ed eslege, sempre piu' protervo e brutale.
Al referendum del 20-21 settembre 2020 votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie.
No all'antiparlamentarismo, che alla separazione e all'equilibrio dei poteri, alla rappresentanza proporzionale dell'intera popolazione e alla libera discussione e consapevole deliberazione vuole sostituire i bivacchi di manipoli, l'autoritarismo allucinato, plebiscitario e sacrificale, il potere manipolatorio dei padroni occulti e palesi delle nuove tecnologie della propaganda e della narcosi.
No al fascismo, crimine contro l'umanita'.
No alla barbarie, che annichilisce ogni valore morale e civile, che perseguita ed estingue ogni umana dignita' e virtu', che asservisce la societa' alla menzogna e alla violenza.

2. MATERIALI. IL TESTO DEL QUESITO REFERENDARIO

Il testo del quesito referendario e' il seguente: "Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari', approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 240 del 12 ottobre 2019?".

3. RIFERIMENTI. SITI UTILI PER L'INFORMAZIONE E L'IMPEGNO

- Comitato nazionale per il NO al taglio del parlamento: sito: www.noaltagliodelparlamento.it
- Coordinamento per la democrazia costituzionale, sito: www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it

4. DOCUMENTAZIONE. "IL MATTINO" INTERVISTA MASSIMO VILLONE
[Dal sito www.coordinamentodemocraziacostituzionalenapoli.it riprendiamo questa intervista apparsa originariamente sul quotidiano "Il Mattino" il 27 agosto 2020 con il titolo "No, perche' le minoranze perderebbero la loro voce"]

"Votero' no. E' una riforma che non trova valide motivazioni. Per favorire la consapevolezza del merito dei problemi sarebbe stato opportuno separare il voto referendario da quello regionale e locale".
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- "Il mattino": Massimo Villone, costituzionalista napoletano e senatore del centrosinistra per quattro legislature, e' contrario alla riforma sul taglio dei parlamentari. Non ci sara' alcun vantaggio?
- Massimo Villone: Nessuno. Sul presunto risparmio sono circolate cifre del tutto false. L'Osservatorio sulla spesa pubblica di Cottarelli lo ha quantificato in 57 milioni all'anno, meno di un caffe' all'anno per ogni cittadino. Ridicolo. Per questo, si batte ora di piu' sull'efficienza. Ma cosa vuol dire? Fare piu' leggi? Farle piu' in fretta? Quando il parlamento lavora poco e male non dipende dal numero, o dall'ostruzionismo. Dipende dalla litigiosita' della maggioranza. E' allora che le leggi rimangono nel cassetto, o le decisioni si rinviano all'infinito.
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- "Il mattino": Un danno tagliare i parlamentari quindi?
- Massimo Villone: Alla rappresentativita'. In Senato, con la riforma, solo due o tre forze politiche riuscirebbero ad avere propri eletti, lasciando senza voce percentuali molto significative del corpo elettorale. Tra l'altro diversificando la composizione tra Camera e Senato, perche' alcune forze politiche riuscirebbero ad avere deputati, ma non senatori. I correttivi proposti - peraltro ancora solo ipotesi - ridurrebbero il danno, ma non potrebbero annullarlo.
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- "Il mattino": Riforma anti-casta?
- Massimo Villone: Certamente si'. Purtroppo i 5Stelle hanno sin dall'avvio male impostato il problema, forse per l'idea che alla democrazia rappresentativa si possa sostituire la democrazia della rete. Ma proprio la loro esperienza dimostra che il parlamento non e' una obsoleta superfetazione istituzionale.
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- "Il mattino": Meno parlamentari, piu' poteri ai leader di partito?
- Massimo Villone: E' inevitabile che accada. E' dal 2006, con il Porcellum, che i cittadini italiani non scelgono i propri rappresentanti.
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- "Il mattino": Come voto' nel 2016?
- Massimo Villone: No. Era evidente l'ispirazione volta a marginalizzare il parlamento, di cui era espressione il Senato non elettivo.
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- "Il mattino": Eppure quasi tutti i partiti sono favorevoli. Convenienza?
- Massimo Villone: Si', soprattutto per quei partiti che avevano prima votato no, e poi hanno cambiato idea per spianare la strada alla formazione del governo. Un peccato mortale che non si puo' assolvere. Non si baratta la Costituzione con un governo, quale che sia, pensando in specie all'onda populista.
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- "Il mattino": E il ruolo delle Regioni?
- Massimo Villone: Gia' per la pandemia alla marginalizzazione del parlamento e' stata associata una concertazione tra esecutivi nella sede delle conferenza Stato-Regioni. Proprio questa esperienza dimostra che non si puo' sostituire alla sintesi politica nazionale un accordo tra localismi. Si parla di una legge elettorale, assai difficile da condurre in porto, e di almeno una modifica della Costituzione, con la cancellazione della base elettorale del Senato. Inoltre, il centrodestra gia' ha chiarito il suo progetto istituzionale, articolato su autonomie differenziate, presidenzialismo, giustizia. Alcuni puntano a uno stravolgimento dei connotati fondamentali della Costituzione. La vittoria dei si' potrebbe solo aiutarli.

5. DOCUMENTAZIONE. LUCIANO BARDI, PIERO IGNAZI E ORESTE MASSARI: IL NOSTRO NO
[Dal quotidiano "La Republica" del 3 settembre 2020 col titolo "Taglio dei parlamentari: Il nostro No al referendum senza legge elettorale e regolamenti" e il sommario "I politologi Ignazi, Bardi e Massari spiegano le ragioni del loro voto"]

Il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari sembra una piccola riforma su un punto marginale: in fondo perche' non passare da 630 deputati a 400, o a qualche altro numero intermedio, o persino inferiore. Nulla vieta di modificare, in alto o in basso, la consistenza delle Camere. Al mondo la varieta' e' molto ampia. Si va da situazioni di pochi rappresentanti per tanti elettori, come nel caso limite dell'India, al suo contrario, tanti rappresentanti per pochi abitanti, come nel caso delle democrazie scandinave.
Con il taglio proposto dai promotori della riforma, la Camera dei deputati scenderebbe al quinto posto per numeri assoluti tra i paesi europei dietro a Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia, e acquisterebbe il rapporto deputati/cittadini di gran lunga piu' elevato (un deputato ogni 151.000 abitanti).
In realta', un sistema istituzionale pensato per un certo numero di rappresentanti rischia di andare in crisi se si "taglia" un pezzo senza aggiungerne o aggiustarne un altro. Cosi', se si riduce il numero dei parlamentari e si lasciano inalterati legge elettorale (quella attualmente in vigore e' una delle peggiori mai concepite tra tutte le democrazie avanzate) e regolamenti parlamentari, il sistema va in cortocircuito.
In primo luogo perche' la rappresentanza - a legge elettorale invariata - e' terribilmente distorta tra i territori, soprattutto per quanto riguarda il Senato. In secondo luogo perche' manca qualsiasi meccanismo che leghi, in qualche modo, il parlamentare eletto con il suo territorio.
Ma soprattutto e' l'operativita' delle Camere che ne risente. Non solo perche' le commissioni, come e' stato piu' volte sottolineato, non sarebbero in grado di funzionare al meglio e i piccoli gruppi sarebbero esclusi da molte di queste.
L'inciampo piu' grave riguarda proprio il Senato che continuerebbe a fare da doppione della Camera dei deputati senza avere piu' le "risorse numeriche" per poter tener il passo della Camera.
Infatti il Senato italiano svolge compiti del tutto analoghi a quelli di gran parte delle camere basse dei paesi dell'Unione Europea con il rapporto deputati/cittadini piu' basso in assoluto (1 su 192.000 a fronte di 1 su 134.000 delle Cortes spagnole e 1 su 120.000 del Bundestag tedesco).
Con il taglio a 200, un numero identico a quello della camera bassa finlandese a fronte di una popolazione 11 volte piu' grande, il senato avrebbe un rapporto deputati/cittadini di 1 su 302.000: in questo modo il nuovo Senato sarebbe di gran lunga quello con il peggior rapporto tra rappresentanti e abitanti, in tutta Europa.
Quindi, il numero dei parlamentari puo' essere tranquillamente ridotto se, e solo se, il contesto sistemico lo consiglia o almeno lo permette. Lo dimostra il fatto che Camera e Senato, con rispettivamente 630 e 315 rappresentanti fanno piu' o meno le stesse cose. E comunque, la riduzione del numero dei parlamentari dovrebbe essere il punto d'arrivo di un processo riformatore inevitabilmente complesso, e non il punto iniziale, e l'unico, di una riforma che non c'e'.
Semmai, la conseguenza logica, e inevitabile, del taglio dei parlamentari non poteva essere altro che l'eliminazione del Senato, vera anomalia nel contesto delle democrazie avanzate visto che fa le stesse cose della camera bassa.
Infine, al di la' di queste considerazioni su rappresentanza e operativita', vi e' il senso politico-ideologico di questo referendum. Il contenuto del referendum ha un imprinting originario che rimanda alla polemica anti-casta e anti-parlamentare. Il richiamo al risparmio finanziario di una manciata di milioni, difatti, non solo appare risibile e irrisorio, ma si rivela profondamente anti-democratico, ed e' tipico di quella cultura che considera le istituzioni rappresentative un orpello e un ricettacolo di scansafatiche, di inetti e di corrotti.
In conclusione, l'intervento "semplificatore" del taglio dei parlamentari senza tener conto dell'unicita' del parlamento italiano composto da due "camere basse" che svolgono le medesime funzioni mette il Senato in condizione di non funzionare e quindi azzoppa la democrazia italiana. E soprattutto, l'ispirazione di fondo che pervade l'iniziativa, questo impasto di antipolitica e di populismo anti-istituzionale, rende irricevibile la proposta di riduzione dei parlamentari.
Traspare chiaramente qui il disprezzo per l'istituzione parlamentare e il concetto stesso di rappresentanza, come fossero una attivita' disdicevole e persino losca. Di fronte a questo atteggiamento il valore del parlamentarismo e della democrazia delegata va difeso contro chi lo considera un costo, e domani magari un orpello da eliminare.

6. DOCUMENTAZIONE. NICOLE VINCI: VOTARE NO E' Un DOVERE
[Dal quotidiano "Il riformista" del 30 agosto 2020 col titolo "Votare NO al referendum per gli avvocati e' un dovere"]

Il prossimo 20 e 21 settembre, oltre alle elezioni comunali e regionali, gli elettori saranno chiamati a decidere sulla riduzione dei seggi alla Camera dei deputati da 630 a 400 e al Senato da 315 a 200.
Un vero e proprio election day a danno del referendum che necessita, invece, di votanti informati, conoscitori della materia e molto motivati, al fine di non confermare una riforma figlia di tatticismi propagandistici di Partito/Movimento.
Il lato ovvio di queste votazioni e' che l'elettore medio, frastornato dall'ondata populista, intende partecipare al coro da stadio del proprio partito, non gli interessano le disquisizioni sulla democrazia, sulla manomissione della Costituzione e dell'organo rappresentativo che esercita il potere legislativo in Italia e su quali saranno le imprecisate e dubbie conseguenze di una legge che manca del contesto strutturale di una riforma degna di questo nome.
Si taglia il numero assoluto dei parlamentari perche' lo si crede come quello piu' alto in Europa, senza badare alla proporzione fra eletti ed elettori. Se vince il si' l'Italia diventera' uno dei Paesi con il piu' basso livello di rappresentanza politica in rapporto alla popolazione dell'intera Unione europea.
Ma il vero dramma di questa sforbiciata senza senso e' che, a meno di un mese dal referendum, manca la riforma alla legge elettorale.
Senza il passaggio dal sistema maggioritario al sistema proporzionale, il peso territoriale delle regioni del Sud e, quindi, della Campania, risulterebbe inevitabilmente ridotto dal taglio dei parlamentati.
La riforma limitera' sensibilmente la voce in Parlamento delle Regioni meridionali a vantaggio dei territori del Nord, piu' popolosi, ma anche economicamente e politicamente piu' forti.
In Campania gli elettori perderanno piu' di un terzo tra deputati e senatori e, avranno, quindi, meno rappresentanza, ma anche meno qualita', in quanto i gruppi parlamentari diventeranno piu' piccoli e facilmente controllabili da leader e segretari.
Il regionalismo differenziato e' stato sempre giustificato dall'esigenza di un intervento dello Stato nei confronti delle Regioni del Sud piu' deboli e mal si concilia, quindi, con la riforma del taglio dei parlamentari, a causa della quale la Campania sara' penalizzata da una rappresentanza debole e poco diffusa a livello nazionale.
Manca, inoltre, una riforma dei delegati regionali, troppi rispetto al taglio dei parlamentari, con conseguente squilibrio di potere all'elezione del Presidente della Repubblica.
Manca anche una riforma dei regolamenti parlamentari, con le commissioni nella totale disorganizzazione.
Si parla di un punto di partenza, ma la Costituzione non puo' essere manipolata senza conoscere prima il punto di arrivo.
A tal proposito, non devo ricordare ai colleghi penalisti com'e' andata a finire la vicenda della riforma sulla prescrizione che ha sepolto il concetto di ragionevole durata dei processi.
Ma tra il Movimento 5 Stelle e la Lega vi era un patto politico che prevedeva l'entrata in vigore della riforma sulla prescrizione con la promessa di una riforma del processo penale per ridurre i tempi della giustizia. La seconda promessa riforma e' rimasta lettera morta. Non vi sembra un deja'-vu?
Inoltre, sento ancora l'eco dei reclami di costituzionalisti e avvocati che, durante il lockdown, criticavano aspramente il Governo per aver messo in disparte il Parlamento durante tutta la legislazione emergenziale. Un solco antiparlamentare in cui la riforma sottoposta a refeendum ben si inserisce.
Al di la' di colori e ideologie politiche e' fondamentale votare non per cambiare governo o formula di governo, per indebolire o rafforzare questo o quel partito, ma pensando all'impasse catastrofico generato da una riforma che ha come contropartita il risparmio del costo di un caffe' all'anno.
Gli avvocati, i giuristi e i cultori del diritto non hanno necessita' di ascoltare il politico che urla di piu' per comprendere che di riforme fatte male ne abbiamo abbastanza.
Noi lavoriamo con l'impianto normativo di questo Paese e conosciamo bene gli effetti devastanti del pressapochismo e dell'incompetenza.
Le promesse di successive riforme sappiamo che non vengono rispettate.
Reclamano a gran voce qualita' ed efficienza? Diamoglieli votando NO.

7. REPETITA IUVANT. "IL MANIFESTO": REFERENDUM COSTITUZIONALE SUL TAGLIO DEL PARLAMENTO, DIECI MOTIVI PER DIRE NO
[Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo questo articolo del 20 agosto 2020 dal titolo "Referendum costituzionale sul taglio del parlamento: perche' No" e il sommario "Tra un mese il voto. L'etichetta della legge e' semplice: 230 deputati e 115 senatori in meno. Ma il contenuto e' pericoloso. Dieci motivi per dire di No"]

1. A conti fatti si risparmia la meta'
Cominciamo da qui, dai soldi, perche' e' l'argomento "forte" del Movimento 5 Stelle, sebbene non originale. Quattro anni fa, infatti, era stato il Pd (Renzi) a scrivere sui suoi manifesti che "Basta un si' per cancellare poltrone e stipendi" – e' noto che quel referendum costituzionale lo vinsero i no. Sul manifesto dei grillini c'e' scritto adesso "1 miliardo per i cittadini", a tanto ammonterebbe il risparmio ottenuto con 345 "stipendi" parlamentari in meno.
La cifra e' fortemente esagerata: per raggiungerla ci vorrebbero dieci anni (due legislature) e 100 milioni di risparmi l'anno. I 5 Stelle giurano che saranno tanti ma e' facile smentirli. Gli ultimi bilanci di camera e senato indicano infatti tra indennita' e rimborsi una spesa di 144,885 milioni di euro per i deputati e 79,386 milioni per i senatori. Il che vuol dire che 230 deputati in meno garantirebbero un risparmio di 52,9 milioni e la rinuncia a 115 senatori significherebbe risparmiare 28,530 milioni.
Anche cosi' la promessa grillina non e' rispettata, il totale fa 81,430 milioni in meno l'anno, non 100. Ma e' un calcolo fatto al lordo delle tasse, perche' lo stato recupera una parte dell'indennita' sotto forma di Irpef e di addizionali regionali e comunali. Sono circa dieci milioni di gettito per i deputati e sei per i senatori. Il risparmio netto quindi e' piu' basso: 42,7 milioni per i deputati e 22,7 milioni per i senatori, totale 65,4 milioni l'anno.
C'e' di piu': una quota dei rimborsi che spettano ogni anno ai deputati e ai senatori e' destinata a pagare i collaboratori. Chi vuole tagliare le "poltrone" non ha ancora mai detto di volere parimenti licenziare gli assistenti (e per certi versi, anzi, il loro numero potrebbe addirittura salire, vedremo piu' avanti). Il vero risparmio netto dunque puo' essere calcolato in 36 milioni per i deputati e 17 milioni per i senatori, per un totale che e' quasi la meta' di quello annunciato dai sostenitori del si'.
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2. Non si toccano altre voci
Ma e' giusto mettere tanta attenzione ai risparmi, quando si parla di un'istituzione come il parlamento? Se la vostra risposta e' comunque si', e anche 50 milioni l'anno non vi sembrano affatto trascurabili, e' bene considerare che questo risparmio ottenuto tagliando la rappresentanza permetterebbe di fare economia sulle spese annuali di camera e senato soltanto per il 2,5%. Per avere un metro di paragone, si puo' considerare che le spese totali di camera e senato per il personale (stipendi e previdenza, parliamo quindi di tutti tranne che degli eletti) sono di circa 350 milioni l'anno. Vale a dire sette volte quello che si risparmierebbe rinunciando a 230 deputati e 115 senatori. Queste spese non saranno toccate.
Cinquanta milioni all'anno vuol dire che per arrivare al miliardo di minori spese reclamizzato da Di Maio (che ha anche gia' pubblicato uno schema di cosa intende fare, subito, con quei soldi) bisognera' arrivare alla fine di quattro legislature intere con il parlamento ridimensionato. A partire dalla prossima (se vincono i si'). Quindi appuntamento al 2043.
Intanto gli economisti dell'Osservatorio sui conti pubblici italiani guidato da Carlo Cottarelli hanno calcolato per il taglio di 445 parlamentari un risparmio molto vicino a quello che abbiamo stimato noi, per loro sono 57 milioni l'anno. E hanno aggiunto che si tratta appena dello 0,007% della spesa pubblica italiana (camera e senato hanno bilanci autonomi, ma evidentemente i risparmi comporterebbero minori trasferimenti pubblici). Dividendo infine il risparmio annuo per tutta la popolazione italiana, l'Osservatorio sui conti pubblici ha concluso che si tratta dell'equivalente di un caffe' (0,95 centesimi) all'anno per ognuno di noi 60 milioni. In cambio di un bel taglio alla rappresentanza.
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3. Giu' il rapporto tra eletti e popolo
La rappresentanza, eccoci al punto. Gli aspetti da valutare sono due. Il primo e' il rapporto tra il numero degli abitanti e il numero dei parlamentari (deputati e senatori). Piu' e' alto questo rapporto, meno i cittadini sono rappresentati, nel senso che un parlamentare deve rappresentare una fetta maggiore di "popolo". Allora facile capire perche' negli ultimi cento anni i deputati siano sempre cresciuti, prendiamo come riferimento la legislatura del 1919 perche' fu la prima in cui entro' in funzione l'attuale aula di Montecitorio (e fu l'ultima legislatura senza Benito Mussolini tra i banchi), allora gli italiani non arrivavano a 40 milioni.
Dal 1919 a oggi i deputati sono aumentati di 112 unita' (erano allora 518), sempre crescendo con l'eccezione delle due legislature elette con il sistema plebiscitario durante il regime fascista. Curiosita': in quel periodo i seggi per i deputati furono ridotti proprio a 400 come si intende fare adesso. Nel 1948 la Costituzione non previde un numero fisso di deputati e senatori. I primi avrebbero dovuto essere uno ogni 80mila abitanti o frazione superiore ai 40mila, mentre i senatori sarebbero stati uno ogni 200mila abitanti o frazione superiore a 100mila. Di conseguenza nella prima legislatura i deputati furono 572 e i senatori 237.
Il rapporto con la popolazione fu congelato nel 1963, quando una riforma costituzionale stabili' un numero fisso di parlamentari: 630 deputati e 315 senatori (piu' i senatori a vita e gli ex presidenti della Repubblica). Malgrado siano trascorsi quasi sessant'anni da quelle riforma costituzionale, il rapporto tra elettori ed eletti e' rimasto su per giu' lo stesso: e' un po' aumentato alla camera, dove oggi c'e' un deputato ogni 96mila abitanti ed e' un po' diminuito al senato, dove c'e' oggi un senatore ogni 192mila abitanti. Con il taglio queste proporzioni sarebbero stravolte.
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4. Diventeremo gli ultimi tra i paesi Ue
"L'Italia e' il paese con il numero piu' alto di parlamentari". Quante volte lo avete sentito dire dalla propaganda per il si'? Talvolta lo slogan viene appena un po' corretto aggiungendo "elettivi" a "parlamentari", tanto e' evidentemente falso: basta dire che nel Regno Unito i parlamentari sono piu' di 1.400. Ma a Londra ci sono i lords che hanno una funzione e soprattutto una carica, non elettiva, imparagonabile a quella dei nostri rappresentanti del popolo.
Problema simile c'e' con molte altre camere "alte" degli altri paesi, che spesso sono non elettive o rappresentano le autonomie locali o gli stati federati. Piu' facile il raffronto con le camere "basse", ovunque elette direttamente dal popolo. Oggi l'Italia con i suoi 96mila abitanti per deputato e' uno degli stati con maggiore rappresentativita': piu' del Regno Unito (un deputato ogni 102mila abitanti), piu' dell'Olanda (uno ogni 114mila), della Germania e della Francia (entrambe hanno un deputato ogni 116mila abitanti) e piu' della Spagna (uno ogni 133mila).
Un rapporto maggiore tra elettori ed eletti rispetto al nostro c'e' in Danimarca, Finlandia, Svezia, Belgio, Polonia, Grecia e Portogallo, tra gli altri. Non e' corretto pero' dire, come dicono i 5 Stelle, che con la riforma l'Italia si "allineera'" ai maggiori paesi europei. Il taglio di 230 deputati infatti portera' il nostro rapporto fino a un deputato ogni 151mila elettori. Diventeremmo cioe' di colpo il paese con la peggiore rappresentativita' tra tutti i 28 appartenenti all'Unione europea. E di gran lunga, visto che dopo di noi ci sarebbe la Spagna, ferma a un deputato ogni 133mila abitanti.
Peraltro a Madrid la camera "alta" e' a composizione mista – in parte e' eletta a suffragio universale, in parte e' designata dalle comunita' autonome – comunque piu' grande del nuovo senato italiano (266 senatori contro i nostri 200) per una popolazione assai inferiore (46 milioni contro i nostri 60 milioni).
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5. Territori penalizzati (chi piu', chi meno)
Ma il problema della rappresentanza e' anche un altro e riguarda i territori. Perche' diminuendo notevolmente il numero degli eletti a livello nazionale, meno 230 deputati e meno 115 senatori come detto, diminuisce ovviamente quello dei rappresentanti dei singoli territori. Fino a diventare un numero esiguo, questo e' vero soprattutto al senato.
Con 196 senatori (quattro sono destinati a essere eletti all'estero) da distribuire nelle venti regioni – confermate le "quote minime" di un senatore in Valle d'Aosta e due in Molise – il taglio sara' pesante dappertutto. Ma non ugualmente pesante. Per esempio la Toscana perdera' sei senatori (da 18 a 12), con un taglio del 33,3%. Sotto la media nazionale, che e' del 36,5%. Piu' penalizzato il Friuli Venezia Giulia, che subira' un taglio del 42,9%, stessa percentuale dell'Abruzzo (entrambe le regioni passeranno da 7 a 4 senatori). Male anche la Calabria, con meno 40% (da 10 a 6 senatori).
Ma soprattutto a essere penalizzate saranno l'Umbria e la Basilicata, che passeranno da 7 a 3 senatori, per entrambe meno 57,1%. Un abisso paragonato al Trentino Alto Adige, che – per via delle due province autonome alle quali e' stato garantito un numero uguale di senatori – perdera' in totale appena un seggio, scontando una diminuzione della rappresentanza parecchio sotto la media nazionale: meno 14,3%.
Il risultato di questa distribuzione e' la fotografia di un'Italia diseguale, dove in Trentino Alto Adige in media ci sara' un seggio elettivo per il senato ogni 171mila abitanti. E in Sardegna un seggio elettivo ogni 328mila abitanti, vale a dire quasi il doppio. Naturalmente questo ha effetti anche sulla rappresentanza politica, penalizzando le liste meno forti, oltre che sulla rappresentanza territoriale.
Come cercheremo di spiegare nella prossima scheda.
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6. La soglia di sbarramento "naturale"
Della legge elettorale parleremo altrove, ma intanto e' bene ricordare che i partiti – maggioranza e opposizione – si stanno attualmente dividendo attorno alla questione della soglia di sbarramento. Nella proposta all'esame della camera questa soglia e' fissata al 5% e c'e' chi la considera, con buone ragioni, eccessiva. Ma e' solo la soglia "esplicita", quella che e' scritta nella legge. Assai piu' alta e' la soglia "implicita", quella che concretamente le liste dovranno raggiungere per sperare di avere un eletto, questo proprio perche' gli eletti nel collegio sono molto pochi.
Ancora una volta dunque il problema si pone soprattutto al senato. Per esempio, in Liguria dove si eleggeranno, se il taglio sara' approvato, solo cinque senatori, superare il 5% non servira' a niente, visto che la soglia "implicita" sara' di oltre il doppio (circa il 12,5%). La Basilicata con i suoi tre senatori soltanto vedra' all'opera una soglia effettiva di quasi il 20%: raggiungibile secondo gli attuali sondaggi soltanto da due partiti. Il problema, attenuato, si pone anche alla camera.
Al senato e' piu' pesante perche' si aggiunge la previsione costituzionale in base alla quale la camera "alta" deve essere eletta su base regionale. Questo vuol dire che un partito per conquistare rappresentanti sul territorio deve superare entrambi gli sbarramenti a livello regionale, quello legale e quello "naturale" (il secondo e' di regola piu' alto del primo).
A questo secondo problema si sta cercando di porre rimedio con una riforma costituzionale appena all'inizio dell'iter parlamentare: cancellerebbe la base regionale per l'elezione del senato, introducendo come per la camera la base circoscrizionale. Resta il problema che partiti piccoli, quando sul territorio si eleggono pochissimi rappresentanti, sono condannati a restare fuori.
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7. Lavori piu' difficili, meno efficienza
Poco male, si dira', se tutto questo servira' a rendere il parlamento piu' efficiente. Perche' e' questo l'altro argomento ricorrente nei discorsi dei sostenitori del si'. Meno parlamentari significa lavori piu' spediti, posto l'indimostrato teorema che un parlamento e' tanto piu' efficiente quanti atti legislativi produce. Spesso e' vero il contrario.
In ogni caso, e' proprio cosi'? In realta' oggi – anche prima dello stato di emergenza, che ha esasperato i problemi – l'attivita' parlamentare e' impostata secondo i ritmi del governo. Decreti legge da esaminare entro la scadenza e questioni di fiducia sono la regola. Il problema della sottomissione del potere legislativo alle esigenze di quello esecutivo, di vecchia data, non sara' per niente scalfito dalla diminuzione del numero dei parlamentari.
Soprattutto perche' questa viene fatta con un chiaro intento antiparlamentare, visto che si tratta di rinunciare a un costo considerato improduttivo. Nella realta' la camera e il senato, condannati da un bicameralismo paritario – che non e' nemmeno scalfito da questa riforma – possono comunque lavorare in sincrono, portando avanti contemporaneamente progetti di legge diversi.
I lavori delle commissioni poi non saranno per nulla facilitati, visto che i regolamenti prevedono che possano andare avanti con un terzo dei commissari presenti: il che significa nove deputati o cinque senatori. Un numero troppo basso per un serio lavoro redigente.
A meno di non poter contare su uno staff molto largo e molto competente, come per esempio avviene nel senato degli Stati Uniti, dove i pochi senatori hanno a disposizione risorse enormi per gli uffici e i collaboratori. In conclusione, quindi, per avere garantita nel nuovo parlamento a ranghi ridotti almeno l'efficienza attuale, bisognera' spendere di piu'.
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8. Regolamenti superati, ma non cambiati
C'e' il famoso accordo di maggioranza, che aveva previsto alcune condizioni perche' il Pd e gli altri alleati dei 5 Stelle dessero il via libera al taglio dei parlamentari. Il si' c'e' stato ma le condizioni, chiamate "riequilibri", non si sono realizzate. Non si e' realizzata anzi non e' stata neanche approvata in commissione quella legge elettorale a base proporzionale che dovrebbe recuperare – ma solo un po' – la perdita di rappresentativita' che certamente derivera' dal taglio lineare dei parlamentari.
E non si sono realizzate le altre riforme costituzionali che, giusto o sbagliato che sia, Pd e Leu avevano considerato sufficienti a "riequilibrare" le istituzioni: l'equiparazione dell'elettorato attivo e passivo di camera e senato, la riduzione dei delegati regionali per l'elezione del presidente della Repubblica e la gia' citata introduzione della base circoscrizionale anche per l'elezione del senato.
Ma dove si avverte tutta l'incompletezza della riforma costituzionale voluta dei 5 Stelle e' nel mancato aggiornamento dei regolamenti parlamentari. Che sono stati scritti per i numeri attuali dei senatori e deputati e prevedono una serie di soglie a garanzia soprattutto delle minoranze. Trenta deputati, per esempio, oggi possono chiedere l'inversione dell'ordine del giorno, chiedere la votazione a scrutinio segreto, presentare subemendamenti agli emendamenti del governo: ovviamente 30 su 630 e' molto diverso rispetto a 30 su 400.
Le liste piu' piccole avranno difficolta' a formare un gruppo (20 deputati e 10 senatori), persino a entrare in tutte le attuali 14 commissioni e nelle giunte. In definitiva la vita delle minoranze sara' piu' difficile. I regolamenti, si dice, possono essere cambiati. E' vero, ma a parte che non sara' facile – serve la maggioranza assoluta e c'e' il voto segreto – non ci si doveva pensare prima?
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9. Il pasticcio del voto all'estero
Probabilmente non e' il principale, ma un bel problema il taglio dei parlamentari lo pone anche per la rappresentanza degli italiani all'estero. Rappresentanza prevista da una riforma pensata male (Tremaglia) e realizzata peggio, ma che in ogni caso oggi stabilisce (legge 459 del 2001) che i deputati e senatori eletti all'estero siano scelti con il sistema proporzionale e l'indicazione della preferenza.
Oggi la circoscrizione estera piu' grande e' quella europea (oltre due milioni e mezzo di residenti iscritti all'Aire) a seguire quella dell'America meridionale (un milione e mezzo), assai piu' piccole le circoscrizioni dell'America centrosettentrionale e di Africa, Asia e Oceania.
Non avendo avuto il coraggio di rinunciare ai seggi assegnati all'estero, con il taglio dei parlamentari nazionali e' stata tagliata anche la delegazione estera, percentualmente un po' meno: si passa infatti da 12 a 6 deputati e da 8 a 4 senatori. Il risultato e' che il deputato eletto nella circoscrizione piu' piccola (Africa, Asia, Oceania) sara' tre volte piu' rappresentativo di quello eletto nella circoscrizione piu' grande (Europa).
Il pasticcio principale e' stato fatto con i senatori, che essendo solo quattro giocoforza saranno uno per circoscrizione, che sia una circoscrizione grandissima o piccolissima. Avremo cosi' un senatore in rappresentanza dell'Europa intera, con tutto quello che significa in termini di campagna elettorale (impossibile e/o dispendiosissima) e rappresentanza. Ma anche con il tradimento del principio proporzionale stabilito dalla legge: tutti i collegi senatoriali delle circoscrizioni estero saranno nei fatti dei collegi uninominali. Il seggio andra' infatti a chi prende un voto in piu' e a lui soltanto.
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10. Un sacrificio lineare slegato da tutto
I difetti e le mancanze di questa riforma costituzionale sono tali che anche i sostenitori del si' a volte ricorrono all'argomento definitivo: in fondo sono quasi quarant'anni (dalla prima commissione bicamerale per le riforme) che si propone la riduzione dei parlamentari. E' vero, ma mai era stata proposta come un taglio lineare senza altri interventi sull'impianto istituzionale.
E' vero anche che per la riduzione si e' schierata in passato la sinistra, soprattutto dopo che le assemblee (legislative) regionali hanno ampliato e spostato verso il basso la rappresentanza. Ma la proposta (Ferrara, Rodota', 1985) anche in quel caso era di sistema e soprattutto prevedeva il monocameralismo. Una sola camera di 600 deputati eletta con una legge proporzionale non avrebbe tutti i problemi in termini di penalizzazione della rappresentanza territoriale e politica che ha invece la riforma dei 5 Stelle.
Riforma, quest'ultima, comparsa per la prima volta in un documento ufficiale nella nota di aggiornamento al Def del settembre 2018 (governo gialloverde Conte-Salvini) legata pero' a doppio filo con l'introduzione della "democrazia diretta". Velocissimo l'iter di approvazione: dalla prima lettura della prima deliberazione (febbraio 2019 al senato) alla seconda lettura della seconda deliberazione (ottobre 2019 alla camera) sono passati appena otto mesi.
Difficile trovare precedenti cosi' rapidi di riforme costituzionali negli ultimi venti anni. Persino l'abolizione della pena di morte nel 2007 e l'introduzione della parita' di genere nell'accesso alle cariche elettive nel 2003 sono state piu' meditate. L'unica modifica costituzionale che e' stata approvata a questa velocita' (anche a maggioranza qualificata) e' stata l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012.
Quasi tutti se ne sono pentiti.

8. REPETITA IUVANT. L'APPELLO DEL COMITATO DONNE PER IL NO AL REFERENDUM: "E INVECE NO"

Il referendum sul taglio dei parlamentari prevede una riduzione dei seggi in entrambe le Camere, andando a modificare gli artt. 56, 57 e 59 della Costituzione.
Si passerebbe cosi' da 630 a 400 seggi alla Camera e da 315 a 200 seggi al Senato, con un taglio complessivo di 345 parlamentari, pari al 36,5%. Tra questi, verrebbero ridotti i parlamentari eletti all'estero (18 a 12).
Con il taglio dei seggi, aumenta il numero di abitanti per parlamentare. Per ciascun deputat* si passa da 96.006 a 151.210 abitanti* e per ciascun senator* da 188.424 a 302.420 abitanti*. Di conseguenza, nel caso di approvazione, sara' necessario ridefinire i collegi elettorali tramite una nuova legge che richiedera' ulteriore tempo per l'approvazione.
Dunque la riforma costituzionale, in assenza di una contestuale riforma elettorale e dei partiti, e' un salto nel buio che compromette la rappresentanza parlamentare e il ruolo stesso del Parlamento.
I vari comitati del No e il documento dei 183 costituzionalisti e costituzionaliste hanno evidenziato in via generale i rischi della riforma che qui sintetizziamo:
- La riforma svilisce il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentativita', senza offrire vantaggi apprezzabili ne' sul piano dell'efficienza delle istituzioni democratiche ne' su quello del risparmio della spesa pubblica sia perche' si tratta di risparmi irrisori sia perche' la democrazia ha un valore che non puo' essere sacrificato per esigenze di risparmio.
- La riforma riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza dei territori con il rischio che alcune Regioni finirebbero con l'essere sottorappresentate rispetto ad altre. Un Senato composto da 200 membri non puo' rappresentare tutte le identita' politiche, sociali, culturali ed economiche se ogni eletto dovra' rappresentare circa 300mila abitanti.
- La riforma non eliminerebbe ma, al contrario, aggraverebbe i problemi del bicameralismo perfetto perche' non introduce alcuna differenziazione tra le due Camere ma si limita semplicemente a ridurne i componenti, il cui numero costituisce una caratteristica del Parlamento e non del bicameralismo perfetto.
- La riforma confonde la qualita' dei rappresentanti con il ruolo stesso dell'istituzione rappresentativa. Non c'e' nessuna evidenza che diminuendo il numero dei parlamentari se ne innalzi il livello qualitativo. L'unico effetto che sicuramente produce e' una penalizzazione delle minoranze e un abbassamento del pluralismo politico.
- La riforma non prevede che sia garantito un corretto ed essenziale lavoro delle Commissioni al Senato anche per dare l'opportunita' alle minoranze di rappresentare le proprie ragioni. L'eventualita' di accorpare fra loro le Commissioni esistenti non garantisce che le minoranze possano influire proficuamente sui processi decisionali del Parlamento.
- Con il taglio dei parlamentari la selezione delle candidature da parte delle dirigenze dei partiti o degli stessi leader (gia' oggi fortemente guidata non sempre da criteri di competenza ma piuttosto da quelli di fedelta') sarebbe ancor piu' determinata da considerazioni non valoriali.
- Infine se non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale, si verrebbe a creare uno squilibrio circa la  rappresentativita' delle Camere tale da non permettere un'agevole formazione di una maggioranza stabile di governo.
A questi argomenti si aggiungono le perplessita' sugli effetti negativi che si avrebbero sulla rappresentanza politica delle donne.
- Mancanza di riforma elettorale e di una legge sulla democrazia interna dei partiti: in assenza di questi interventi – necessariamente correlati – si accentua il potere dei capipartito e l'importanza dei finanziamenti delle lobbies. Le donne sono ancora marginalizzate nei luoghi decisionali politici ed economici, quindi avranno minori chances di essere elette.
- Muta il rapporto con l'elettorato, e dunque con i territori: l'eliminazione di 230 deputati e 115 senatori muta il rapporto di rappresentanza e affievolisce il legame con i territori, penalizzando ad esempio le esperienze delle donne come amministratrici locali. I dati sulle competizioni elettorali mostrano minore visibilita' delle donne nei media e nelle tribune politiche. Risultera' ancora piu' esigua la possibilita' di accesso ai media (che e' decisa dai capipartito) e quindi di essere elette.
- Leadership maschile nei partiti e nei movimenti: l'entrata in Parlamento e' nominalmente aperta a tutti, ma di fatto risulta rigidamente controllata dai partiti. Questo dato mostra di avere un effetto relativamente negativo sulle chances di carriera politica delle donne. La misura prevista nella legge elettorale volta all'incremento della rappresentanza femminile non ha consentito il raggiungimento del 40% di donne elette.
- Ruoli centrali negli organi parlamentari: i dati tendono a confinare la rappresentanza femminile in aree settoriali e a ricostruire situazioni di marginalita' all'interno del Parlamento: e' significativo il fatto che le donne siano assenti in dicasteri importanti quali quelli economici e che siano prevalentemente presenti nelle commissioni parlamentari che trattano questioni tradizionalmente considerate come di pertinenza delle donne.
- Distorsioni sulla rappresentanza territoriale: minore rappresentanza delle regioni piu' piccole e dei partiti minori – se non vi e' un mutamento profondo nei partiti - concentrera' la scelta sui soli candidati uomini, come dimostrano i principali report nazionali e internazionali.
- Mancanza di una campagna informativa e uso di un linguaggio demagogico dell'antipolitica che offende la democrazia parlamentare. E' molto grave che la riforma costituzionale sia priva di un adeguato dibattito pubblico, anche all'interno dei partiti, e comunque si fondi su un linguaggio proprio dell'antipolitica. L'assunto di fondo della riforma si basa sul discredito del ruolo dei parlamentari e dell'Istituzione, ma non si preoccupa affatto di migliorare il processo di formazione delle leggi. La gran parte dei movimenti femministi che hanno promosso norme di garanzia sono mosse dalla convinzione che la democrazia parlamentare e la democrazia paritaria siano strettamente connesse.
Per queste ragioni di fatto la riforma penalizzera' l'elezione delle donne perche' meno rappresentanti significa competizione piu' dura e piu' cooptazione e piu' difficolta' per le donne di essere elette.
Anche per questo come donne e come cittadine voteremo NO al referendum del 20 e 21 settembre!
Prime firmatarie
Antonella Anselmo, Fulvia Astolfi, Paola Manfroni, Laura Onofri, Mia Caielli, Marina Calamo Specchia, Paola Bocci, Michela Marzano, Daniela Colombo, Marcella Corsi, Giovanna Badalassi, Francesca Romana Guarnieri, Carla Marina Lendaro, Stefania Cavagnoli, Giorgia Serughetti, Giovanna Martelli, Lella Palladino, Maura Cossutta, Norma De Piccoli, Anna Maria Buzzetti, Anna Lisa Maccari, Paola d'Orsi , Paola Mereu, Marina Gennari, Orsa Pellion di Persano, Francesca Ricardi, Annalisa Ricardi, Marina Cosi, Michela Quagliano, Cinzia Ballesio, Manuela Ghinaglia, Nadia Mazzardis, Concetta Contini, Simonetta Luciani, Paola Alessandri, Ilaria Boiano, Silvana Appiano, Mirella Ferlazzo, Anna Ruocco, Fernanda Penasso, Beatrice Pizzini, Giusi Fasano, Paola Guazzo, Daniela Aragno, Stefania Graziani, Eleonora Data, Rosanna Paradiso, Maria Luisa Dall'Armi, Micaela Cappellini, Manuela Manera, Marina Ponzetto, Roberta Giangrande, Anna Santarello, Maria Luisa Dodero, Claudia Apostolo, Donatella Caione, Paola Berzano, Sonia Martino, Enrica Guglielmotti, Sofia Massia, Stefanella Campana, Enrica Baricco, Maria Elvira Renzetti, Mariangela Marengo, Vilma Nicolini, Luisella Zanin, Carmen Belloni, Giuliana Brega, Patrizia de Michelis, Maria Letizia Spasari, Patrizia Soldini, Gabriella Anselmi, Susanna Panzieri, Anna Sburlati, Sandra Basaglia, Paola Ferrero...
Per aderire scrivere a: einveceNO.alreferendum at gmail.com

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NO ALL'ANTIPARLAMENTARISMO, NO AL FASCISMO, NO ALLA BARBARIE
No alla riforma costituzionale che mutila la democrazia rappresentativa e mira ad imporre un regime totalitario nel nostro paese
Al referendum del 20-21 settembre votiamo no all'antiparlamentarismo, no al fascismo, no alla barbarie
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 26 dell'8 settembre 2020
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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