[Nonviolenza] La nonviolenza contro il razzismo. 456



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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 456 del 18 maggio 2020

In questo numero:
1. Proposta di una lettera da inviare al governo
2. Saffo
3. Saffo tradotta da Salvatore Quasimodo
4. Saffo tradotta da Manara Valgimigli
5. Alcune poesie di Ingeborg Bachmann
6. Alcune poesie di Sylvia Plath
7. Alcune poesie di Wislawa Szymborska

1. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

2. MAESTRE. SAFFO
[Riproponiamo ancora una volta la seguente nota e i seguenti testi di Saffo nella traduzione di Salvatore Quasimodo e di Manara Valgimigli]

"Con Saffo nasce, nella poesia del mondo, l'interiorita'" (cosi' Enzo Mandruzzato, Lirici greci dell'eta' arcaica, Rizzoli, Milano 1994, 2001, p. 169). "Saffo e' tra i piu' grandi creatori di linguaggio" (cosi' Filippo Maria Pontani nella prefazione a Saffo, Alceo, Anacreonte, Liriche e frammenti, Einaudi, Torino 1965, 1997, p. 6).
Con Saffo per la prima volta nella coscienza e nella storia umana, cosi' come noi le conosciamo, affiora e prende forma l'idea e la prassi della nonviolenza.
*
Saffo e' fiorita nell'isola di Lesbo, ove visse quasi sempre a Mitilene, tra il VII e il VI secolo a. C.
Salvatore Quasimodo, tra i maggiori poeti del Novecento, nacque nel 1901 e scomparve nel 1968. Manara Valgimigli, grecista insigne, nacque nel 1876 e scomparve nel 1965.
Alcune altre traduzioni: quelle di Gennaro Perrotta ora si possono leggere in Lirici greci, a cura di Umberto Albini, traduzione di Gennaro Perrotta, Le Monnier, Firenze 1972, Garzanti, Milano 1976, 1980; quelle di Enzo Mandruzzato in Id. (a cura di), Lirici greci dell'eta' arcaica, Rizzoli, Milano 1994, 2001; quelle di Filippo Maria Pontani in Id. (a cura di), Saffo, Alceo, Anacreonte, Liriche e frammenti, Einaudi, Torino 1965, 1997.
Tra le edizioni economiche recenti segnaliamo particolarmente: Saffo, Poesie, traduzione e note di Fanco Ferrari, con ampia ed impegnata introduzione di Vincenzo Di Benedetto, Rizzoli, Milano 1987. E ancora: Saffo, Poesie, a cura di Ilaria Dagnini, Newton Compton, Roma 1982, 1991; e naturalmente: Lirici greci. Saffo, Alceo, Anacreonte, Ibico, a cura di Giulio Guidorizzi, Mondadori, Milano 1993. Tutte con testo a fronte.
L'edizione critica oggi di riferimento e' quella curata da Eva-Maria Voigt, Sappho et Alcaeus. Fragmenta, Amsterdam 1971.
Tra innumerevoli altri trascegliendo, tre libri ancora almeno mettera' forse conto segnalare: Gennaro Perrotta, Bruno Gentili, Polinnia. Poesia greca arcaica, D'Anna, Messina-Firenze 1948 e piu' volte ristampata (e' un'antologia ad uso dei licei, ma la raccomanderemmo ad ogni lettore e lettrice); Salvatore Nicosia, Tradizione testuale diretta e indiretta dei poeti di Lesbo, Edizioni dell'ateneo, Roma 1976 (utile per farsi un'idea di alcune questioni filologiche ed esegetiche); Bruno Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Laterza, Roma-Bari 1984.
Ovviamente chi volesse accostare la letteratura greca nel suo ampio respiro troverebbe un amico e un compagno di viaggio buono e fedele in Albin Lesky, Storia della letteratura greca, 3 voll., Il Saggiatore, Milano 1962, 1996.

3. MAESTRE. SAFFO TRADOTTA DA SALVATORE QUASIMODO
[Da Salvatore Quasimodo, Lirici greci, Edizioni di "Corrente", Milano 1940, poi piu' volte ristampato presso Mondadori; noi qui abbiamo utilizzato l'edizione Mondadori, Milano 1979]

Ad Afrodite

O mia Afrodite dal simulacro
colmo di fiori, tu che non hai morte,
figlia di Zeus, tu che intrecci inganni,
o dominatrice, ti supplico,
non forzare l'anima mia
con affanni ne' con dolore,

ma qui vieni. Altra volta la mia voce
udendo di lontano la preghiera
ascoltasti, e lasciata la casa del padre
sul carro d'oro venisti.

Leggiadri veloci uccelli
sulla nera terra ti portarono,
dense agitando le ali per l'aria celeste.

E subito giunsero. E tu, o beata,
sorridendo nell'immortale volto
chiedesti del mio nuovo patire,
e che cosa un'altra volta invocavo,

e che piu' desideravo
nell'inquieta anima mia.
"Chi vuoi che Peito spinga al tuo amore,
o Saffo? Chi ti offende?

Chi ora ti fugge, presto t'inseguira',
chi non accetta doni, ne offrira',
chi non ti ama, pure contro voglia,
presto ti amera'".

Vieni a me anche ora;
liberami dai tormenti,
avvenga cio' che l'anima mia vuole:
aiutami, Afrodite.

*

A me pare uguale agli dei

A me pare uguale agli dei
chi a te vicino cosi' dolce
suono ascolta mentre tu parli

e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce

si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.

E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.

*

Invito all'Erano

Venite al tempio sacro delle vergini
dove piu' grato e' il bosco e sulle are
fuma l'incenso.

Qui fresca l'acqua mormora tra i rami
dei meli: il luogo e' all'ombra di roseti,
dallo stormire delle foglie nasce
profonda quiete.

Qui il prato ove meriggiano i cavalli
e' tutto fiori della primavera,
e gli aneti vi odorano soavi.

E qui con impeto, dominatrice,
versa Afrodite nelle tazze d'oro
chiaro vino celeste con la gioia.

*

Plenilunio

Gli astri d'intorno alla leggiadra luna
nascondono l'immagine lucente,
quando piena piu' risplende, bianca
sopra la terra.

*

A Gongila

O mia Gongila, ti prego:
metti la tunica bianchissima
e vieni a me davanti: intorno a te
vola desiderio d'amore.

Cosi' adorna, fai tremare chi guarda;
e io ne godo, perche' la tua bellezza
rimprovera Afrodite.

*

Tramontata e' la luna

Tramontata e' la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza gia' dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l'anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.

Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.

*

E di te nel tempo

Tu morta, finirai li'. Ne' mai di te
si avra' memoria; e di te nel tempo
mai ad alcuno nascera' amore,
poi che non curi le rose della Pieria.

E sconosciuta anche nella casa dell'Ade,
andrai qua e la' fra oscuri
morti, svolazzando.

*

Sulle belle chiome metti ghirlande

Tu, o Dice, sulle belle chiome metti ghirlande,
dalle tenere mani intrecciate con steli di aneto,
perche' le Cariti felici accolgono
chi si orna di fiori: fuggono chi e' senza ghirlande.

*

Ho parlato in sogno

Ho parlato in sogno con te, Afrodite.

*

Sulla tenera erba appena nata

Piena splendeva la luna
quando presso l'altare si fermarono:

e le Cretesi con armonia
sui piedi leggeri cominciarono spensierate a girare intorno all'ara
sulla tenera erba appena nata.

*

Vorrei veramente essere morta

Vorrei veramente essere morta.
Essa lasciandomi piangendo forte,

mi disse: "Quanto ci e' dato soffrire,
o Saffo: contro mia voglia
io devo abbandonarti".

"Allontanati felice" risposi
"ma ricorda che fui di te
sempre amorosa.

Ma se tu dimenticherai
(e tu dimentichi) io voglio ricordare
i nostri celesti patimenti:

le molte ghirlande di viole e rose
che a me vicina, sul grembo
intrecciasti col timo;

i vezzi di leggiadre corolle
che mi chiudesti intorno
al delicato collo;

e l'olio da re, forte di fiori,
che la tua mano lisciava
sulla lucida pelle;

e i molli letti
dove alle tenere fanciulle joniche
nasceva amore della tua bellezza.

Non un canto di coro,
ne' sacro, ne' inno nuziale
si levava senza le nostre voci;

E non il bosco dove a primavera
il suono..."

*

A Ermes

Ermes, io lungamente ti ho invocato.
In me e' solitudine: tu aiutami,
despota, che' morte da se' non viene;
nulla m'allieta tanto che consoli.

Io voglio morire:
voglio vedere la riva d'Acheronte
fiorita di loto fresca di rugiada.

*

Ad Attide ricordando l'amica lontana

Forse in Sardi
spesso con la memoria qui ritorna

nel tempo che fu nostro: quando
eri Afrodite per lei e al tuo canto
moltissimo godeva.

Ora fra le donne Lidie spicca
come, calato il sole,
la luna dai raggi rosa

vince tutti gli astri, e la sua luce
modula sull'acque del mare
e i campi presi d'erba:

e la rugiada illumina la rosa,
posa sul gracile timo e il trifoglio
simile a fiore.

Solitaria vagando, esita
a volte se pensa ad Attide:
di desiderio l'anima trasale,
il cuore e' aspro.
E d'improvviso: "Venite!" urla;

e questa voce non ignota
a noi per sillabe risuona
scorrendo sopra il mare.

*

Muore il tenero Adone

"Muore il tenero Adone, o Citerea:
e noi che faremo?"
"A lungo battetevi il petto, fanciulle,
e laceratevi le vesti".

*

Quale dolce mela

Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul piu'
alto, la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono di raggiungerla...

*

Come il giacinto

Come il giacinto che i pastori pestano
per i monti, e a terra il fiore purpureo
sanguina.

*

Quanto disperse la lucente Aurora

E'spero, tutto riporti
quanto disperse la lucente Aurora:
riporti la pecora,
riporti la capra,
ma non riporti la figlia alla madre.

*

Fanciullezza

"Fanciullezza, fanciullezza, mi lasci, dove vai?"
"Non tornero' piu' da te, mai piu' ritornero'".

*

Ho una bella fanciulla

Ho una bella fanciulla
simile nell'aspetto ai fiori d'oro,
la mia Cleide diletta.
Io non la darei ne' per tutta la Lidia
ne' per l'amata...

4. MAESTRE. SAFFO TRADOTTA DA MANARA VALGIMIGLI
[Da Manara Valgimigli, Saffo, Archiloco e altri lirici greci, Le Lettere, Firenze 1989; la prima edizione delle traduzioni da Saffo di Valgimigli era apparsa col titolo Saffo e altri lirici greci, Edizioni del Pellicano, Vicenza 1942; il testo che utilizziamo riproduce fedelmente l'edizione Mondadori, Milano 1968]

Lira divina

Orsu', lira divina,
tu parla,
sii tu la mia voce.

Per la gioia delle mie compagne
questi canti
con bella voce io voglio ora cantare.

*

Amore

Scuote amore il mio cuore
come vento nei monti
si abbatte su querce.

Dolce madre,
non posso piu' tessere la tela:
desiderio di un fanciullo mi ha vinta,
e la molle Afrodite.

Fermati, caro, rimani
davanti a me; distendi
la grazia che e' nel tuo sguardo.

*

Preghiera ad Afrodite

Afrodite dal trono dipinto,
Afrodite immortale, figlia di Zeus,
tessitrice d'inganni, ti prego,
non domare con pene e con ansie d'amore,
o Regina, il mio cuore.

E qui vieni. Altra volta venisti;
pur di lontano udisti la mia voce,
e del padre lasciasti la reggia
su l'aureo cocchio aggiogato.

Te conducevano leggiadri passeri snelli
sopra la nera terra
fitte agitando giu' dal cielo le ali
per gli eterei spazi.

Rapidamente giunsero. E tu, o Beata,
sorridendo dal tuo volto immortale,
mi chiedevi che pena ancora pativo,
che cosa ancora invocavo,

e chi nel mio cuore in delirio
follemente desideravo - "Chi cerchi
che ancora Peito riporti al tuo amore?
chi ti fa male, o Saffo?

Oh, ma se ora ti fugge, presto t'inseguira',
se doni rifiuta, presto doni fara',
se gia' non ti ama, presto ti amera',
anche contro sua voglia".

Vieni a me anche ora: da cosi' triste
pena di amore mi sciogli; quanto
brama il mio cuore si compia, tu compi;
tu stessa mi assisti.

*

Gioia di amore

Beato e', come un dio,
chi davanti ti siede e ti ode,
e dolci parole tu dici e dolce-
mente sorridi.

Subito mi sobbalza, appena
ti guardo, dentro nel petto il cuore,
e voce piu' non mi viene,
e mi si spezza

la lingua, e una fiamma sottile
mi corre sotto la pelle,
con gli occhi piu' niente vedo,
romba mi fanno

gli orecchi, sudore mi bagna,
tremore tutta mi prende,
piu' verde dell'erba divento
e quasi mi sento,

o Agallide, vicina a morire.
...

*

La tua veste mi fa tremare...

Vieni, ti prego, Gongila, nel tuo
mantello di latte;
ancora a te dattorno volano
e Poto e Peito,
tanto sei bella.
Questa stessa tua veste
solo a guardarla
mi fa tremare; di gioia
rabbrividisco.

*

Gelosia

Ecco che Amore ancora
mi da' tormento:
Amore che scioglie le membra,
amore dolce e amaro,
fiera sottile e invincibile.

Attide, di volermi bene
ti venne fastidio
e corri da Andromeda.

Di me ti prese
dimenticanza
ed altri tu ami piu' di me.

*

Lontana

...
Lontana, in Sardi, ella e',
ma qui abita sempre il suo cuore.

Quando eravamo insieme
tu eri una dea per lei,
e il tuo cantare
la sua gioia piu' grande.

Ora, tra le donne di Lidia,
brilla di bellezza quale,
caduto il sole,
splende la luna dalle dita di rosa

tutte le stelle vincendo;
e la sua luce posa
sul salso mare
e sopra le campagne fiorite,

e la fresca rugiada discende,
e si aprono le rose
e i teneri timi
e il meliloto in fiore.

E sempre, lontana, la cara
Attide rammentando,
di desiderio si strugge
e tristezza le pesa sul cuore.

E alto grida che andiamo cola',
e il suo grido, attraverso il mare,
ce lo ridice
la notte dalle molte orecchie.

*

Distacco

...
"Morire vorrei, veramente".
In grande pianto ella mi lasciava.

E anche questo mi disse:
"Ahime' quale pena, Saffo, io patisco,
con quanto dolore ti lascio".

E a lei io rispondevo:
"Va', sii lieta e ricorda
quante cose dolci e belle godemmo insieme.

Molte corone di viole
e di rose e di intrecciati crochi
intorno al capo vicina a me tu cingevi,

e ghirlandette molte
al tenero collo annodavi
di fiori di primavera;

e di molto e lucido unguento
stillato da fiori e di regale
nardo la morbida chioma ti ungevi..."
...

*

Malinconia

Tramontata e' la luna;
tramontate sono le Pleiadi;
a mezzo e' la notte; l'ora
passa; io sono qui, sola.

*

La riviera di Acheronte

Gioia di vivere non ho piu':
voglia di morire mi prende
e di vedere i loti freschi di rugiada
su la riviera di Acheronte.

*

Cariti e muse

O pure Cariti dalle braccia di rosa,
a me venite, vergini figlie di Zeus...

Cariti delicate, Muse di belle chiome...

E me gloriosa fecero
col dono di loro canti le Muse.

*

Non e' lecito il pianto

Non e' lecito il pianto
nella casa di chi serve alle Muse:
piangere a noi non si addice.

*

A donna incolta

Mentre tu giacerai,
ne' piu' memoria sara' di te
ne' piu' rimpianto, che' non cogliesti
le rose della Pieria;
e ombra ignota anche nell'Ade
ti aggirerai
tra buie ombre di morti
via volando sperduta.

*

Collera

Quando la collera gonfia il tuo cuore
tieni in freno la lingua
che abbaia parole vane.

*

Donna rozza

E come puo' molcerti il cuore
cosi' rustica donna e goffa
che nemmeno sa alzarsi la gonna
sulle caviglie?

*

Quanta spocchia!

Sciocca,
quante arie ti dai per un anello!

*

Verginita'

Verginita', verginita',
perche' mi lasci, dove vai?
Non piu' verro' da te
non piu' verro'.

Come la dolce mela rosseggia
in alto sul ramo,
alta sul ramo piu' alto.
Se ne scordarono i coglitori;
no, non se ne scordarono,
ma non la poterono giungere.

Quale sui monti fiore di giacinto,
lo pestano coi piedi i pastori,
e a terra
il fiore purpureo giace.

*

Tu sei piu' bianca...

Tu sei piu' bianca del latte,
sei piu' sottile dell'acqua,
nella voce hai piu' canto della pectide,
se scuoti il capo
piu' baldanza hai di un polledro,
e piu' tenera sei di una rosa
e piu' morbida che una calda veste:
tu sei piu' oro dell'oro.

*

Fanciulle

Come figlio alla madre
io volo a te con le ali distese.

Fanciulla io vidi
leggera sul prato
cogliere fiori.

Ti volli bene, Attide, un tempo:
piccola bimba tu eri,
non anche tocca da grazia di amore.

*

Voglio una cosa dirti

"Voglio una cosa dirti,
ma mi trattiene pudore".

"Se di cose nobili e belle
desiderio tu avessi,
se cose brutte a dire
la tua lingua non agitasse,
non velerebbe pudore i tuoi occhi
e cio' ch'e' onesto dire diresti".

*

Eleganze e mollezze

Stanca sei:
su morbidi cuscini
lascia ch'io ti distenda.

Veli per il capo
che avevano
soffi e bagliori di porpora
le mando' da Focea
Mnaside, doni preziosi.

E intorno di dense e soffici lane
bene stretta si avvolse.

Ai piedi,
lucenti di vario colore,
calzaretti bellissimi di Lidia.

Quando tu dormi sul cuore
di una tua dolce compagna.

*

Nel giardino di Afrodite

Un boschetto di giovani meli,
sopra gli altari
fumano incensi.
Mormora fresca l'acqua tra i rami
soavemente: tutto il luogo e' ombrato
di rose.

Stormiscono le fronde e ne discende
molle sopore.
E di fiori di spigo come a festa
fiorito e' il prato, esalano gli aneti
fragranza di miele.

Questa e' la tua dimora, Cipride,
qui tu recingi
le infule sacre e in auree coppe versi,
copiosamente,
nettare e gioia.

*

Fiori e colori

Tutta incoronata di fiori e' la terra,
di fiori di ogni colore.

Ceci di oro crescevano
lungo la spiaggia del mare.

*

Vespero

Di tutte le stelle tu sei la piu' bella,
stella del vespero.

Tutto riporti
quanto disperse la lucente aurora,
riporti l'agnello,
riporti la capra,
riporti il figlio alla madre...

*

Quale nei plenilunii sereni...

Le stelle intorno alla bella luna
velano il volto lucente
quando piena, al suo colmo,
argentea,
splende su tutta la terra.

*

Mnasidica

E tu di ghirlande recingi
le belle tue chiome, o Dica,
ramoscelli di aneto intrecciando
con delicate mani;
perche' solo a fanciulle incoronate
di fiori
volgono l'occhio le Cariti beate,
dalle altre torcono il volto.

*

Eros purpureo

Ecco, scende dal cielo Eros,
avvolto in una clamide di porpora.

*

Danze notturne

Piena sorgeva la luna
e intorno all'are le fanciulle stettero.
...
Intorno all'amabile ara
fanciulle cretesi, in cadenza,
con molli piedi danzavano,
leggermente sul tenero fiore
dell'erba movendo.

*

Peito

Ha il fulgore dell'oro Peito,
l'ancella di Afrodite.

*

Colombelle

Un gelo si apprese al loro cuore,
e lasciarono cadere le ali.

*

Il rosignolo

Messaggero di primavera,
verde usignolo dal canto soave.

*

Canti nuziali

Coro di vergini, allo sposo:

Sposo felice, le nozze
che tu bramavi
sono compiute; la vergine
che tu bramavi
ora e' con te.

Coro di giovani, alla sposa:

Di grazia il tuo aspetto,
di miele i tuoi occhi,
spande amore il tuo volto soave;
a te sopra tutte le altre
diede suoi doni Afrodite.

Coro di vergini, allo sposo:

A chi, dolce sposo,
ti posso paragonare?
A ramoscello snello
ti posso paragonare.

Giovani e vergini insieme:

Salve a te, sposa,
e a te,
sposo gentile,
piu' volte salve.

*

Hymenaon

In alto l'architrave,
Imeneo!
Su in alto levatelo, amici,
Imeneo!

E' qui lo sposo simile ad Ares,
Imeneo!
Di un uomo grande piu' grande,
Imeneo!

*

Veglia nuziale

E noi, fanciulle,
tutta la notte cantiamo il tuo amore
e della sposa dal seno di viola.

*

Il guardiano della porta nuziale

Piedi di sette spanne
ha il portiere;
cinque pelli ci vollero di bovi
per le sue scarpe,
dieci calzolai
ci lavorarono.

*

Nozze in Olimpo

Quivi di ambrosia gia' colmo
era il cratere.
Prese Ermes il ciato
e verso' bere agli dei.
E tutti gli dei tenevano in mano
le larghe coppe e libavano
augurando allo sposo
felicita'.

*

Le nozze di Ettore e Andromaca

Venne l'araldo correndo,
Idao messaggero veloce,
e disse:
"Ettore e i suoi compagni,
su navi e navi per il salso mare,
da Tebe sacra e dalle irrigue fonti
della Placia perenni,
la dolce Andromaca scortano
dagli occhi splendenti.
E molte recano armille d'oro,
e molte
trascoloranti vesti di porpora,
e molti
di vario lume gioielli
e tazze di argento e di avorio
innumerevoli".

Cosi' disse l'araldo. Prontamente
si levo' il padre. La novella corse
per le ampie vie della citta', giunse
agli amici.
Or ecco le donne di Ilio
a carri di agili ruote
aggiogano i muli. Vi salgono in folla
e madri e vergini di snelle caviglie.
Avanzano anche a lor volta,
su carri distinti,
le figlie del re.
E ai cocchi ricurvi di guerra
sospingono i loro cavalli
giovani in arme.

Ora con grande corteggio muovono insieme
verso la sacra Ilio. Si odono cetre
e flauti di dolce suono e strepito
di crotali; con acute voci le vergini
cantano un puro canto: eco di giubilo
ineffabile sale fino al cielo.
E ovunque per le vie sono crateri
e fiale; e bruciano e si mescono profumi
di mirra di casia di olibano, e tutti,
uomini e donne, levano grida e inni.
E alto su tutti squilla il peana ad Apollo,
ad Apollo arciere, ad Apollo dalla bella lira:
e tutti cantano in coro Ettore e Andromaca,
Ettore e Andromaca simili agli dei.

*

Preghiera per il fratello Carasso

O dea di Cipro, e voi Nereidi, fate
che incolume ritorni
qui mio fratello,
e che quanto nel cuore e' a lui piu' caro
tutto si compia. Fate
che quanti nel passato
commise errori tutti li disperda,
e sia di gioia a chi l'ama, e a chi non l'ama
perturbamento;
ne' piu' ci siano nemici tra di noi.
E alla sorella voglia degli onori
suoi fare parte, le doglianze amare
dimenticando ed i rimbrotti
che lui stesso facevano soffrire
e me con lui.

*

La cosa piu' bella

Chi dice un esercito
di cavalieri, e chi di fanti,
e chi di navi schierate
presso la terra nera:
io dico chi uno ama.
...
...
E vedere vorrei di Anactoria
l'amabile passo
e il raggiante splendore del volto.

*

La figlia di Saffo

Una figlietta bella io ho:
pare nel volto un fiorellino d'oro
la mia Cleide.
Per lei
tutta darei la Lidia
e anche l'amata Lesbo.

*

Alla figlia Cleide

Mi diceva mia madre che al suo tempo
se taluna si fosse
con un nodo di porpora legati
giovinetta, i capelli,
gia' questo era per lei grande ornamento;

e cosi' di tal altra se al suo capo,
di un color biondo acceso come fiamma,
avesse sovrapposto una ghirlanda
di fiori appena colti.

Ma tu vuoi che da Sardi un diadema,
o Cleide, io ti procuri,
un lavorato diadema quali
ci venivano allora
delle citta' della Meonia.
...

5. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI INGEBORG BACHMANN
[I seguenti testi - gia' piu' volte ripubblicati nel nostro notiziario - sono estratti da Ingeborg Bachmann, Poesie, Guanda, Parma 1978, Tea, Milano 1996 (traduzioni di Maria Teresa Mandalari) e da Ingeborg Bachmann, Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999 (traduzioni di Luigi Reitani).
Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 - Roma 1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'. Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne. Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan. Saggi radiofonici: L'uomo senza qualita'; Il dicibile e l'indicibile. La filosofia di Ludwig Wittgenstein; La sventura e l'amore di Dio. Il cammino di Simone Weil; Il mondo di Marcel Proust. Sguardi in un pandemonio. Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo eventuale; Letteratura come utopia. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4 voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. In edizione italiana cfr. almeno: Poesie, Guanda, 1987, Tea, Milano 1996; Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999; Il dicibile e l'indicibile. Saggi radiofonici, Adelphi, Milano 1998; Il buon Dio di Manhattan, Adelphi, Milano 1991; Il trentesimo anno, Adelphi, Milano 1985, Feltrinelli, Milano 1999; Tre sentieri per il lago, Adelphi, Milano 1980, Bompiani, Milano 1989; Malina, Adelphi, Milano 1973; Il caso Franza, Adelphi, Milano 1988; La ricezione critica della filosofia di Martin Heidegger, Guida, Napoli 1992; In cerca di frasi vere, Laterza, Roma-Bari 1989; Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993. Su Ingeborg Bachmann un'ampia bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di Invocazione all'Orsa Maggiore, cit.]

Il tempo dilazionato

S'avanzano giorni piu' duri.
Il tempo dilazionato e revocabile
gia' appare all'orizzonte.
Presto dovrai allacciare le scarpe
e ricacciare i cani ai cascinali:
le viscere dei pesci nel vento
si sono fatte fredde.
Brucia a stento la luce dei lupini.
Lo sguardo tuo la nebbia esplora:
il tempo dilazionato e revocabile
gia' appare all'orizzonte.

Laggiu' l'amata ti sprofonda nella sabbia,
che le sale ai capelli tesi al vento,
le tronca la parola,
le comanda di tacere
la trova mortale
e proclive all'addio
dopo ogni amplesso.

Non ti guardare intorno.
Allacciati le scarpe.
Rimanda indietro i cani.
Getta in mare i pesci.
Spengi i lupini!

S'avanzano giorni piu' duri.

*

Tutti i giorni

La guerra non viene piu' dichiarata,
ma proseguita. L'inaudito
e' divenuto quotidiano. L'eroe
resta lontano dai combattimenti. Il debole
e' trasferito nelle zone del fuoco.
La divisa di oggi e' la pazienza,
medaglia la misera stella
della speranza, appuntata sul cuore.

Viene conferita
quando non accade piu' nulla,
quando il fuoco tambureggiante ammutolisce,
quando il nemico e' divenuto invisibile
e l'ombra d'eterno riarmo
ricopre il cielo.

Viene conferita
per la diserzione dalle bandiere,
per il valore di fronte all'amico,
per il tradimento di segreti obbrobriosi
e l'inosservanza
di tutti gli ordini.

*

Nella bufera di rose

Ovunque ci volgiamo nella bufera di rose,
la notte e' illuminata di spine, e il rombo
del fogliame, cosi' lieve poc'anzi tra i cespugli,
ora ci segue alle calcagna.

*

Discorso ed epilogo

Non varcare le nostre labbra,
parola che semini il drago.
E' vero, l'aria e' soffocante,
la luce schiuma di acidi e fermenti,
sulla palude nereggia un velo di zanzare.

Ama le bicchierate la cicuta.
E' in mostra una pelle di gatto:
la serpe s'avventa soffiando,
lo scorpione inizia la danza.

Non raggiungere le nostre orecchie,
fama dell'altrui colpa:
parola, muori nella palude
da cui la pozzanghera sgorga.

Parola, stai al nostro fianco
tenera di pazienza
e d'impazienza. Bisogna
che questa semina abbia fine!

Non domera' la bestia colui che ne imita il verso.
Chi rivela segreti d'alcova, rinunzia per sempre all'amore.
La parola bastarda serve al frizzo per immolare uno stolto.

Chi ti richiede un giudizio su questo straniero?
Se non richiesto lo formuli, prosegui tu il suo cammino
da una nottata all'altra con le sue piaghe ai piedi: va'! e non ritornare.

Parola, sii nostra,
libera, chiara, bella.
Certo, dovra' avere fine
ogni cautela.

(Il gambero si ritrae,
la talpa dorme troppo,
l'acqua dolce dissolve
la calce, che pietre ha filato).

Vieni, benevolenza fatta di voci e d'aliti,
questa bocca fortifica
quando la sua fralezza
si inorridisce e inceppa.

Vieni e non ti negare,
poiche' in conflitto siamo con tanto male.
Prima che sangue di drago protegga l'avversario
questa mano cadra' dentro il fuoco.
O mia parola, salvami!

*

Prender paese

Nella terra del pascolo giunsi
quand'era gia' notte,
fiutando le cicatrici nei prati
e il vento, prima che si levasse.
L'amore piu' non pascolava,
le campane erano spente
e i cespugli affranti.

Un corno piantato nel terreno,
ostinato dalla guidaiola,
confitto nel buio.

Dalla terra lo presi,
al cielo lo levai
con piena forza.

Per colmare
questo paese con suoni
soffiai nel corno,
volendo nel vento incombente
e tra steli increspati
vivere di ogni origine!

*

Colle di cocci

Giardini in amplessi col gelo -
il pane bruciato nei forni -
fiabesco il serto di messi
e' miccia tra le tue mani.

Taci! Conserva i tuoi stracci,
le frasi, sgomente di lacrime,
ai piedi del colle di cocci
che i solchi sempre succinge.

Se tutte le brocche s'infrangono,
che resta nella brocca del pianto?
Giu' in basso crepe roventi
e lingue guizzanti di fuoco.

Si creano ancora vapori
tra clamori di acqua e di fuoco.
O scala di nubi, di frasi,
affidata al monte dei cocci!

*

Ombre rose ombre

Sotto un cielo straniero
ombre rose
ombre
su una terra straniera
tra rose e ombre
in un'acqua straniera
la mia ombra

*

Dai Canti lungo la fuga

XV.

L'amore ha un trionfo e la morte ne ha uno,
il tempo e il tempo che segue.
Noi non ne abbiamo.

Solo tramontare intorno a noi di stelle. Riflesso e silenzio.
Ma il canto sulla polvere dopo,
alto si levera' su di noi.

6. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI SYLVIA PLATH
[Riproponiamo ancora una volta alcune poesie di Sylia Plath estratte da Sylvia Plath, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2013, traduzione di Anna Ravano.
Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 - Londra, 11 febbraio 1963) e' tra le maggiori voci poetiche del Novecento. Tra le opere di Sylvia Plath: Diari, Adelphi, Milano 1998, 2004; Johnny Panic e la Bibbia dei sogni, Mondadori, Milano 1986, 2003; La campana di vetro, Mondadori, Milano 1968, 2002; Lady Lazarus e altre poesie, Mondadori, Milano 1976, 1999; Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2013. Tra le opere su Sylvia Plath: Sylvia Plath in immagini e parole, Edizioni Ripostes, Salerno-Roma 1996; Plath. Vita, poetica, opere scelte, Il sole 24 ore, Milano 2008]

Tulipani

I tulipani sono troppo eccitabili, qui e' inverno.
Guarda com'e' tutto bianco, quieto, coperto di neve.
Sto imparando la pace, distesa quietamente, sola,
come la luce posa su queste pareti bianche, questo letto, queste mani.
Non sono nessuno; non ho nulla a che fare con le esplosioni.
Ho consegnato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere,
la mia storia all'anestesista e il mio corpo ai chirurghi.

Mi hanno sistemato la testa fra il cuscino e il risvolto del lenzuolo
come un occhio fra due palpebre bianche che non vogliono chiudersi.
Stupida pupilla, deve assorbire tutto.
Le infermiere passano e ripassano, non danno disturbo,
passano come gabbiani diretti nell'interno, in cuffia bianca,
le mani affaccendate, ciascuna identica all'altra,
sicche' e' impossibile dire quante sono.

Il mio corpo e' un ciottolo per loro, lo accudiscono come l'acqua
accudisce i ciottoli su cui deve scorrere, lisciandoli piano.
Mi portano il torpore nei loro aghi lucenti, mi portano il sonno.
Ora che ho perso me stessa, sono stanca di bagagli -
la mia ventiquattrore di vernice come un portapillole nero,
mio marito e mia figlia che sorridono dalla foto di famiglia;
i loro sorrisi mi si agganciano alla pelle, ami sorridenti.

Ho lasciato scivolar via le cose, cargo di trent'anni
ostinatamente aggrappata al mio nome e al mio indirizzo.
Con l'ovatta mi hanno ripulito dei miei legami affettivi.
Impaurita e nuda sulla barella col cuscino di plastica verde
ho visto il mio servizio da te', i cassettoni della biancheria, i miei libri
affondare e sparire, e l'acqua mi ha sommerso.
Sono una suora, adesso, non sono mai stata cosi' pura.

Io non volevo fiori, volevo solamente
giacere con le palme arrovesciate ed essere vuota, vuota.
Come si e' liberi, non ti immagini quanto -
E' una pace cosi' grande che ti stordisce,
e non chiede nulla, una targhetta col nome, poche cose.
E' a questo che si accostano i morti alla fine; li immagino
chiudervi sopra la bocca come un'ostia della Comunione.

Sono troppo rossi anzitutto, questi tulipani, mi fanno male.
Li sentivo respirare gia' attraverso la carta, un respiro
sommesso, attraverso le fasce bianche, come un neonato spaventoso.
II loro rosso parla alla mia ferita, vi corrisponde.
Sono subdoli: sembrano galleggiare, e invece sono un peso,
mi agitano con le loro lingue improvvise e il loro colore,
dodici rossi piombi intorno al collo.

Nessuno mi osservava prima, ora sono osservata.
I tulipani si volgono a me, e dietro a me alla finestra,
dove una volta al giorno la luce si allarga lenta e lenta si assottiglia,
e io mi vedo, piatta, ridicola, un'ombra di carta ritagliata
tra l'occhio del sole e gli occhi dei tulipani,
e non ho volto, ho voluto cancellarmi.
I vividi tulipani mangiano il mio ossigeno.

Prima del loro arrivo l'aria era calma,
andava e veniva, un respiro dopo l'altro, senza dar fastidio.
Poi i tulipani l'hanno riempita come un frastuono.
Ora s'impiglia e vortica intorno a loro cosi' come un fiume
s'impiglia e vortica intorno a un motore affondato rosso di ruggine.
Concentrano la mia attenzione, che era felice
di vagare e riposare senza farsi coinvolgere.

Anche le pareti sembrano riscaldarsi.
I tulipani dovrebbero essere in gabbia come animali pericolosi,
si aprono come la bocca di un grande felino africano,
e io mi accorgo del mio cuore, che apre e chiude
la sua coppa di fiori rossi per l'amore che mi porta.
L'acqua che sento sulla lingua e' calda e salata, come il mare,
e viene da un Paese lontano quanto la salute.

18 marzo 1961

*

Papa'

Non mi vai piu', no,
non mi vai piu', scarpa nera,
in cui per trent'anni ho vissuto
come un piede, povera e bianca,
senza osare respiro o starnuto.

Ho dovuto ucciderti, papa'.
Sei morto prima che avessi il tempo -
Pesante come marmo, otre pieno di Dio,
orrida statua con un alluce grigio,
grosso come una foca di Frisco

e la testa nell'Atlantico bizzarro
dove fiotta verde oliva sul blu
nelle acque della bella Nauset.
Pregavo per riaverti, un tempo.
Ach, du.

In lingua tedesca, nel paese polacco
spianato dal rullo compressore
di guerre, guerre, guerre.
Ma il nome del paese e' comune.
Il mio amico polacco dice

che ce n'e' dozzine.
E cosi' non ho mai saputo
dove piantasti il piede, la radice,
e di parlarti non mi e' mai riuscito.
La lingua mi si attaccava al palato,
presa in trappola dal filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
e sempre mi bloccavo li'.
Ogni tedesco mi sembrava te
e la lingua era oscena,

una locomotiva, un treno
che mi portava via ciuff ciuff come un ebreo.
Un ebreo ad Auschwitz, Belsen, Dachau.
Ho cominciato a parlare da ebrea.
Potrei anche esserlo, ebrea.

Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
non sono cosi' genuine e pure.
Con l'ava zingara e la mia strana sorte
e il mio mazzo di tarocchi, le mie carte,
un po' ebrea lo sono forse.

Mi hai sempre fatto paura, tu,
con la tua Luftwaffe, il tuo ostrogoto,
il tuo baffetto ben curato,
l'occhio ariano, cosi' blu.
Uomo-panzer, uomo-panzer, ah tu -

Non Dio, una svastica piuttosto,
cosi' nera che il cielo si arresta.
Tutte le donne amano il fascista,
lo stivale in faccia, il brutale
cuore brutale di un bruto par tuo.

Nella foto che ho di te, papa',
sei ritto davanti alla lavagna.
Invece del piede hai il mento fesso,
ma sei un diavolo lo stesso,
sei sempre l'uomo nero che

azzanno' e squarcio' in due Il mio cuore rosso.
Ti seppellirono che avevo dieci anni.
A venti cercai di morire
e tornare, tornare, tornare da te.
Anche le ossa potevano bastare.

Ma mi tirarono fuori dal sacco,
e mi rincollarono pezzo su pezzo.
E allora capii cosa fare.
Mi fabbricai un modello di te,
un uomo in nero con un'aria da Meinkampf,

un amante del bastone e del torchio.
E pronunciai il mio si', il mio si'.
Eccomi dunque alla fine, papa'.
Il telefono nero e' strappato,
sradicato, le voci non ci strisciano piu'.

Se ho ucciso un uomo, ho fatto il bis -
Il vampiro che si spaccio' per te
e mi succhio' il sangue per un anno,
per sette, se proprio vuoi saperlo, va'!
Torna pure nella fossa, papa'.

C'e' un palo nel tuo cuoraccio nero
e a quelli del paese non sei mai piaciuto.
Adesso ballano e ti pestano coi piedi.
Che eri tu l'hanno sempre saputo.
Papa', papa', bastardo, e' finita.

12 ottobre 1962

*

Circo a tre piste

Sotto la tenda da circo di un uragano
progettato da un dio ubriaco
il mio prodigo cuore esplode ancora
in una furia di pioggia color champagne
e i frammenti prillano come una banderuola
tra gli applausi delle angeliche schiere.

Ardita come la morte e disinvolta
invado la mia tana del leone;
una rosa di rischio mi fiammeggia nella chioma,
ma schiocco la frusta con mortale bravura
e difendo con una sedia le mie ferite perigliose
mentre hanno inizio i morsi d'amore.

Come Mefistofele beffardo,
celato nelle vesti di un illusionista,
il mio demone fatale volteggia su un trapezio,
tra un turbinio di coniglietti alati,
per poi sparire con diabolica scioltezza
in un fumo che mi brucia la vista.

7. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA
[Riproponiamo ancora una volta alcune poesie di Wislawa Szymborska estratte da Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009, a cura di Pietro Marchesani.
Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata a Bnin, in Polonia, il 2 luglio 1923 ed e' deceduta a Cracovia il primo febbraio 2012; ha studiato lettere e sociologia a Cracovia; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria", nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e "Kultura"; oltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991 il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book of the Month Club Translation Prize". Tra le opere di Wislawa Szymborska in edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano 1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998; Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore, Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004; La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009]

Vietnam

Donna, come ti chiami? - Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
Perche' ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
Perche' mi hai morso la mano? - Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
Da che parte stai? - Non lo so.
Ora c'e' la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? - Si'.

*

Discorso all'Ufficio oggetti smarriti

Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord,
e anche molti dei per via dall'Est all'Ovest.
Mi si e' spenta per sempre qualche stella, svanita.
Mi e' sprofondata nel mare un'isola, e un'altra.
Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli,
chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio.
Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva
e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza.
Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe,
me ne uscivo di senno piu' e piu' volte.
Da tempo ho chiuso su tutto cio' il mio terzo occhio,
ci ho messo una pinna sopra, ho scrollato le fronde.

Perduto, smarrito, ai quattro venti se n'e' volato.
Mi stupisco io stessa del poco di me che e' restato:
una persona singola per ora di genere umano,
che ha perso solo ieri l'ombrello sul treno.

*

Sulla morte senza esagerare

Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessiture, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.

Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.

Non sa fare neppure cio'
che attiene al suo mestiere:
ne' scavare una fossa,
ne' mettere insieme una bara,
ne' rassettare il disordine che lascia.

Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo ne' abilita'.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.

Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!

A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Piu' d'un bruco
la batte in velocita'.

Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo ingrato lavoro.

La cattiva volonta' non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
e', almeno finora, insufficiente.

I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.

Chi ne afferma l'onnipotenza,
e' lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non e'.

Non c'e' vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.

La morte
e' sempre in ritardo di quell'attimo.

Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno puo' sottrarre
il tempo raggiunto.

*

La fine e l'inizio

Dopo ogni guerra
c'e' chi deve ripulire.
In fondo un po' d'ordine
da solo non si fa.

C'e' chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C'e' chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C'e' chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non e' fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia' partite
per un'altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C'e' chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com'era.
C'e' chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto li' si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po' noioso.

C'e' chi talvolta
dissotterrera' da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull'erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c'e' chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

*

L'odio

Guardate com'e' sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l'odio.
Con quanta facilita' supera gli ostacoli.
Come gli e' facile avventarsi, agguantare.

Non e' come gli altri sentimenti.
Insieme piu' vecchio e piu' giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non e' mai un sonno eterno.
L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.

Religione o non religione -
purche' ci si inginocchi per il via.
Patria o no -
purche' si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre tutto solo.
L'odio. L'odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.

Oh, quegli altri sentimenti -
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
puo' contare sulle folle?
La compassione e' mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.

Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?

Diciamoci la verita':
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile e' il pathos delle rovine
e l'umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.

E' un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.

In ogni istante e' pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspettera'.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
- lui solo.

*

La veglia

La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido ne' fracasso
puo' strapparci da essa.

Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che puo' spiegarsi
in molti modi.
La veglia significa la veglia
ed e' un enigma maggiore.

Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giu' farfalle
e anime di vecchi ferri da stiro,
berretti senza teste
e cocci di nuvole.
Ne viene fuori un rebus
irrisolvibile.

Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
e' ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.

Non i sogni sono folli,
folle e' la veglia,
non fosse che per l'ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.

Nei sogni vive ancora
chi ci e' morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra d'un passo.

La fugacita' dei sogni fa si'
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l'oblio.
E' un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.

Non le si puo' sfuggire,
perche' ci accompagna in ogni fuga.
E non c'e' stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.

*

Le tre parole piu' strane

Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba gia' va nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.

*

Contributo alla statistica

Su cento persone:

che ne sanno sempre piu' degli altri
- cinquantadue;

insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;

pronti ad aiutare,
purche' la cosa non duri molto
- ben quarantanove;

buoni sempre,
perche' non sanno fare altrimenti
- quattro, be', forse cinque;

propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;

viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;

dotati per la felicita'
- al massimo poco piu' di venti;

innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro piu' della meta';

crudeli,
se costretti dalle circostanze
- e' meglio non saperlo
neppure approssimativamente;

quelli col senno di poi
- non molti di piu'
di quelli col senno di prima;

che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;

ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatre'
prima o poi;

degni di compassione
- novantanove;

mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.

*

Fotografia dell'11 settembre

Sono saltati giu' dai piani in fiamme -
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.

La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.

Ognuno e' ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.

C'e' abbastanza tempo
perche' si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.

Restano ancora nella sfera dell'aria,
nell'ambito di luoghi
che si sono appena aperti.

Solo due cose posso fare per loro -
descrivere quel volo
e non aggiungere l'ultima frase.

*

Tutto

Tutto -
una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece e' soltanto
un brandello di bufera.

*

Esempio

Una bufera
di notte ha strappato tutte le foglie dell'albero
tranne una fogliolina,
lasciata
a dondolarsi in un a solo sul ramo nudo.

Con questo esempio
la Violenza dimostra
che certo -
a volte le piace scherzare un po'.

*

Vermeer

Finche' quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.

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LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXI)
Numero 456 del 18 maggio 2020
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