[Nonviolenza] Telegrammi. 3715



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3715 del 20 aprile 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Il Comitato "Nepi per la pace" ricorda don Dante Bernini
2. Prima che sia troppo tardi. Un appello
3. Una lettera da inviare al governo
4. Una lettera da inviare ai Comuni
5. Sosteniamo il Movimento Nonviolento
6. Francesco M. Biscione: Beppe Fenoglio (1996)
7. Omero Dellistorti: Ercole
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. MAESTRI E COMPAGNI. IL COMITATO "NEPI PER LA PACE" RICORDA DON DANTE BERNINI
[Dal Comitato "Nepi per la pace" riceviamo e diffondiamo]

Il 20 aprile  1922 a La Quercia (Viterbo) nasceva S.E. mons. Dante Bernini.
In questa  ricorrenza che lo avrebbe visto toccare il traguardo dei 98 anni, come un antico e saggio patriarca cristiano,esprimiamo ancora una volta la nostra infinita gratitudine per la sua vita spesa a servizio e nell'impegno per la pace, la giustizia, in difesa dei diritti di tutte le persone e particolarmente dei piu' poveri, dei migranti, del creato e in azioni e progetti di solidarieta' realizzati anche nei paesi africani.
Don Dante Bernini e' stato una delle figure piu' fulgide, di esempio e riferimento nell'impegno per la pace e la nonviolenza in Italia e in Europa.
Negli anni passati, fino a quando le forze fisiche glielo hanno permesso, e' stato anche presenza preziosa e insostituibile in tante nostre iniziative svoltesi a Nepi.
In tempi come questi gravati dalla sofferenza fisica, dalla solitudine e dall'incertezza sociale ed economica con il numero dei poveri che aumenta in tutto il mondo e lo spettro della miseria per milioni di persone e famiglie, a causa della pandemia da Covid-19, in un mondo sempre infetto per sanguinose guerre senza fine, violenze indicibili e minacce nucleari, indifferenza e mancanza di umanita' soprattutto nei confronti delle persone piu' fragili e tra questi i migranti, abbiamo sempre piu' bisogno della voce, del rigore morale, della lucidita' intellettuale, dell'onesta' e dell'esempio di persone come don Dante Bernini.
I suoi insegnamenti ci sono stati e ci sono indispensabili e ci permetteranno di superare anche questo ennesimo momento buio e doloroso della storia dell'umanita'.
A lui va per sempre tutto il nostro affetto, riconoscenza e gratitudine.
Di seguito una breve nota biografica con le motivazioni  del riconoscimento che la citta' di Viterbo gli ha tributato nel 2014 nella Giornata internazionale della nonviolenza.
Il Comitato "Nepi per la pace"
Nepi, 19 aprile 2020
*
"Don Dante Bernini,
vescovo emerito della diocesi di Albano, gia' presidente della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Italiana e gia' membro della "Comece'" (Commission des Episcopats de la Communaute' Europeenne), una delle figure piu' illustri dell'impegno di pace, solidarieta', nonviolenza, che nell'arco dell'intera sua vita come sacerdote e come docente e' stato costantemente impegnato per la pace e per la giustizia, nella solidarieta' con i sofferenti e gli oppressi, nell'impegno per la salvaguardia del creato, nella promozione della nonviolenza, unendo all'adempimento scrupoloso dei prestigiosi incarichi di grande responsabilita' un costante ascolto di tutti coloro che a lui venivano a rivolgersi per consiglio e per aiuto, a tutti sempre offrendo generosamente il suo conforto e sostegno, la sua parola buona e luminosa e l'abbraccio suo saldo e fraterno,
la citta' di Viterbo grata per il suo impegno di pace".

2. REPETITA IUVANT. PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. UN APPELLO

Prima che sia troppo tardi il governo faccia uscire dalle carceri sovraffollate le persone li' ristrette e le trasferisca o nelle rispettive abitazioni o in altri alloggi adeguati in cui per quanto possibile siano anch'esse al riparo dal rischio di contagio che in tutti i luoghi sovraffollati e' enorme.
Gia' troppe persone sono morte.
Di seguito una bozza di lettera che proponiamo di inviare al Ministero della Giustizia, ed alcuni indirizzi utilizzabili a tal fine.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
*
La bozza di lettera
"Signor ministro della Giustizia,
come sa, con la fine del fascismo in Italia e' stata abolita la pena di morte, e la Costituzione repubblicana stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'".
Per contrastare l'epidemia di coronavirus e cercar di salvare vite umane sono state adottate - sia pure con grave ritardo - misure di distanziamento tra le persone, unico modo efficace di contenere il contagio.
Ma queste misure non possono essere adottate efficacemente in luoghi sovraffollati come le carceri italiane.
Cosicche' chi si trova nelle carceri italiane, come ristretto o come custode, e' esposto al piu' grave pericolo.
E' esposto al pericolo di essere contagiato e di rischiare la vita. E vive in una condizione di torturante paura senza potervi sfuggire.
E' palese che la permanenza in carcere, sic stantibus rebus, e' incompatibile con le indispensabili misure di profilassi per contenere il contagio; e' incompatibile con le norme sul cosiddetto "distanziamento sociale" (pessima formulazione con cui in queste settimane viene indicato il tenersi di ogni persona ad adeguata distanza dalle altre, volgarizzato col motto "restate a casa"); e' incompatibile con il fondamentale diritto di ogni essere umano alla tutela della propria vita.
Ne consegue che finche' l'epidemia non sia debellata occorre vuotare le carceri e - per dirla in breve - mandare tutti i detenuti nelle proprie case con l'ovvio vincolo di non uscirne.
Naturalmente vi saranno casi in cui cio' non sia possibile (i colpevoli di violenza domestica, ad esempio), ma anche questi casi particolari potranno essere agevolmente risolti con la collocazione in alberghi o altre idonee strutture in cui il necessario "distanziamento sociale" sia garantito.
Non si obietti che tale proposta e' iniqua: piu' iniquo, illecito e malvagio sarebbe continuare ad esporre insensatamente alla morte degli esseri umani.
E non si obietti che cosi' si rischia di non poter controllare l'effettiva costante permanenza in casa degli attuali detenuti: oggidi' non mancano affatto le risorse tecnologiche per garantire un efficace controllo a distanza che le persone attualmente ristrette destinatarie di tale provvedimento restino effettivamente nelle loro case (ovvero nelle abitazioni loro assegnate).
Ne' si obietti che cosi' si garantisce il diritto alla casa ai criminali mentre persone che non hanno commesso delitti ne sono prive: e' infatti primario dovere di chi governa il paese garantire un alloggio a tutte le persone che si trovano in Italia; nessuno deve essere abbandonato all'addiaccio o in una baracca, a tutte le persone deve essere garantita una casa: si cessi pertanto piuttosto di sperperare risorse pubbliche a vantaggio dei ricchi e si provveda a rispettare concretamente i diritti fondamentali di ogni persona, adempiendo ai doveri sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica italiana.
Signor ministro della Giustizia,
prima che sia troppo tardi si adottino i provvedimenti necessari per vuotare le carceri e mettere in sicurezza per quanto possibile la vita dei detenuti e del personale di custodia.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Voglia gradire distinti saluti,
Firma, luogo, data
Indirizzo del mittente"
*
Alcuni indirizzi utilizzabili
protocollo.gabinetto at giustizia.it,
fulvio.baldi at giustizia.it,
leonardo.pucci at giustizia.it,
gianluca.massaro at giustizia.it,
chiara.giacomantonio at giustizia.it,
roberto.natali at giustizia.it,
giuseppina.esposito at giustizia.it,
marcello.spirandelli at giustizia.it,
clelia.tanda at giustizia.it,
sabrina.noce at giustizia.it,
vittorio.ferraresi at giustizia.it,
andrea.giorgis at giustizia.it,
ufficio.stampa at giustizia.it,
andrea.cottone at giustizia.it,
gioele.brandi at giustizia.it,
mauro.vitiello at giustizia.it,
concetta.locurto at giustizia.it,
giampaolo.parodi at giustizia.it,
roberta.battisti at giustizia.it,
marina.altavilla at giustizia.it,
rita.andrenacci at giustizia.it,
dgmagistrati.dog at giustizia.it,
giuditta.rossi at giustizia.it,
antonia.bucci at giustizia.it,
paolo.attardo at giustizia.it,
tommaso.salvadori at giustizia.it,
daniele.longo at giustizia.it,
redazione at giustizia.it,
callcenter at giustizia.it,
*
Preghiamo chi ci legge di diffondere questa proposta anche ai mezzi d'informazione e ad altre persone di volonta' buona, associazioni ed istituzioni.

3. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AL GOVERNO

Gentilissima Ministra dell'Interno,
vorremmo sollecitare tramite lei il governo ad adottare con la massima tempestivita' le seguenti misure:
a) garantire immediati aiuti in primo luogo alle persone che piu' ne hanno urgente bisogno, e che invece vengono sovente scandalosamente dimenticate perche' emarginate ed abbandonate alla violenza, al dolore e alla morte, quando non addirittura perseguitate;
b) abrogare immediatamente le scellerate misure razziste contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo nel 2018-2019, scellerate misure razziste che violano i diritti umani e mettono in ancor piu' grave pericolo la vita di tanti esseri umani;
c) riconoscere a tutte le persone che vivono in Italia tutti i diritti che ad esse in quanto esseri umani sono inerenti, facendo cessare un effettuale regime di apartheid che confligge con il rispetto dei diritti umani, con la democrazia, con i principi fondamentali e i valori supremi della Costituzione della Repubblica italiana.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Firma, luogo e data, indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare la lettera sono i seguenti:
segreteriatecnica.ministro at interno.it
caposegreteria.ministro at interno.it
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

4. REPETITA IUVANT. PROPOSTA DI UNA LETTERA DA INVIARE AI COMUNI

Egregio sindaco,
le scriviamo per sollecitare l'amministrazione comunale ad immediatamente adoperarsi affinche' a tutte le persone che vivono nel territorio del comune sia garantito l'aiuto necessario a restare in vita.
Attraverso i suoi servizi sociali il Comune si impegni affinche' tutti i generi di prima necessita' siano messi gratuitamente a disposizione di tutte le persone che non disponendo di altre risorse ne facciano richiesta.
Crediamo sia un dovere - un impegnativo ma ineludibile dovere - che il Comune puo' e deve compiere con la massima tempestivita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Occorre soccorrere, accogliere e assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Confidando nell'impegno suo e dell'intera amministrazione comunale, voglia gradire distinti saluti
Firma, luogo e data
Indirizzo del mittente
*
Gli indirizzi di posta elettronica di tutti i Comuni d'Italia sono reperibili nei siti internet degli stessi.
Vi preghiamo altresi' di diffondere questo appello nei modi che riterrete opportuni.

5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Occorre certo sostenere finanziariamente con donazioni tutti i servizi pubblici che stanno concretamente fronteggiando l'epidemia. Dovrebbe farlo lo stato, ma e' tuttora governato da coloro che obbedienti agli ordini di Mammona (di cui "Celochiedonoimercati" e' uno degli pseudonimi) hanno smantellato anno dopo anno la sanita' e l'assistenza pubblica facendo strame del diritto alla salute.
Ed occorre aiutare anche economicamente innanzitutto le persone in condizioni di estrema poverta', estremo sfruttamento, estrema emarginazione, estrema solitudine, estrema fragilita'. Dovrebbe farlo lo stato, ma chi governa sembra piu' interessato a garantire innanzitutto i privilegi dei piu' privilegiati.
Cosi' come occorre aiutare la resistenza alla barbarie: e quindi contrastare la guerra e tutte le uccisioni, il razzismo e tutte le persecuzioni, il maschilismo e tutte le oppressioni. Ovvero aiutare l'autocoscienza e l'autorganizzazione delle oppresse e degli oppressi in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera. Ovvero promuovere l'universale democrazia e la legalita' che salva le vite, solidarieta', la responsabilita' che ogni essere umano riconosce e raggiunge e conforta e sostiene, la condivisione del bene e dei beni.
In questa situazione occorre quindi anche e innanzitutto sostenere le pratiche nonviolente e le organizzazioni e le istituzioni che la nonviolenza promuovono ed inverano, poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
E tra le organizzazioni che la nonviolenza promuovono ed inverano in Italia il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e' per molte ragioni una esperienza fondamentale.
Chi puo', nella misura in cui puo', sostenga quindi il Movimento Nonviolento, anche con una donazione.
*
Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, sezione italiana della W.R.I. (War Resisters International - Internazionale dei resistenti alla guerra)
Sede nazionale e redazione di "Azione nonviolenta": via Spagna 8, 37123 Verona (Italy)
Tel. e fax (+ 39) 0458009803 (r.a.)
E-mail: azionenonviolenta at sis.it
Siti: www.nonviolenti.org, www.azionenonviolenta.it
Per destinare il 5x1000 al Movimento Nonviolento: codice fiscale 93100500235
Per sostegno e donazioni al Movimento Nonviolento: Iban IT35 U 07601 11700 0000 18745455

6. MAESTRI. FRANCESCO M. BISCIONE: BEPPE FENOGLIO (1996)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario biografico degli italiani]

Giuseppe (Beppe) Fenoglio nacque il primo marzo 1922 ad Alba (Cuneo), primogenito di Amilcare, trasferitosi nella citta' dalla campagna circostante, garzone di macellaio e presto macellaio in proprio, e di Margherita Faccenda; ebbe fratelli minori Walter e Marisa. Ad Alba frequento' le scuole con qualche sacrificio della famiglia, giustificato dai buoni risultati e incoraggiato dagli insegnanti, fino al ginnasio e al liceo, dove ebbe professori quali Leonardo Cocito e Pietro Chiodi, che avrebbe poi ritrovato nella Resistenza. Era un adolescente amante dello sport, fantasioso, riflessivo, affetto da una leggera balbuzie allorche', negli anni del ginnasio, fu preso da una passione "letteraria" che si sarebbe dimostrata formativa e indelebile.
Nata come adolescenziale passione per la fingua, la cultura e la letteratura inglesi e in particolare come innamoramento romantico per la rivoluzione di Oliver Cromwell e delle teste rotonde, non fu la trappola di un'evasione provinciale - era "sufficientemente scaltro e colto" per non cadervi -, ma fu la spia della "ricerca di un modello umano, di una "formazione" di uno stile diverso da quello che il fascismo gli offriva" (Chiodi).
Dopo la licenza liceale, nel 1940 il F. si iscrisse alla facolta' di lettere di Torino: frequenza saltuaria, pochi esami sostenuti e risultati non brillanti. Nel gennaio 1943 lo raggiunse la chiamata alle armi e fece il corso allievi ufficiali prima a Ceva poi a Pietralata (Roma), da dove dopo l'8 settembre rientro' fortunosamente ad Alba. Inizio' allora l'esperienza partigiana, che avrebbe segnato in modo decisivo la sua vita e la sua scrittura. Nel dicembre, insieme col fratello Walter, partecipo' all'assalto alla caserma dei carabinieri di Alba, riuscendo a liberare i padri dei renitenti di leva li' tenuti in ostaggio. Nel gennaio 1944 si uni' a una formazione garibaldina operante tra Murazzano e Mombarcaro e partecipo' allo sfortunato scontro di Carru' del 3 marzo, cui seguirono vasti rastrellamenti. Rientro' allora in famiglia e vi trovo' il fratello, che si era arruolato nell'esercito della Repubblica sociale a seguito dell'arresto del padre e aveva poi disertato. Tutta la famiglia venne arrestata per una delazione: le donne furono rilasciate poco dopo, i maschi furono scambiati poi, per la mediazione del vescovo, con fascisti catturati dai partigiani. Nel settembre il F. risali' in montagna con Walter, nelle Langhe meridionali, e milito' nelle Formazioni autonome militari, gli "azzurri" guidati da Enrico Martini Mauri e Piero Balbo, nella seconda divisione "Langhe", agli ordini di Pietro Ghiacci. In quella formazione partecipo' alla liberazione di Alba (10 ottobre), che fu tenuta sino al 2 novembre e quindi riconquistata dai nazifascisti. Dopo il proclama del generale H. R. Alexander il F. passo' da solo l'inverno, nascosto a Cascina della Langa, per riprendere la lotta il 24 febbraio 1945 combattendo a Valdivilla. Svolse poi funzioni di ufficiale di collegamento con le missioni alleate (Monferrato, Vercellese, Lomellina) e il 19 aprile combatte' a Montemagno.
Passato il tempo delle armi, fu difficile il reinserimento nella vita civile, anche per le tensioni familiari, soprattutto con la madre che gli rimproverava l'abbandono degli studi universitari, l'accanito vizio del fumo, la dipendenza economica dalla famiglia, l'appartarsi a scrivere per ore. Finche' nel maggio 1947 fu assunto, per la conoscenza di inglese e francese, in un'azienda vinicola albese, la "Figli di Antonio Marenco", per curarvi le esportazioni. Si trattava di un lavoro non molto impegnativo se non in alcuni periodi dell'anno, che gli lasciava tempo per scrivere, talora anche in orario d'ufficio. Non avrebbe mai lasciato quella ditta, della quale sarebbe divenuto procuratore, e vi lavoro' circondato dall'affetto e dalla stima che colleghi e amici gli tributavano per i suoi schietti tratti umani e lo scrupolo con cui svolgeva il suo compito.
Abbastanza inconsueto fu il suo percorso politico: il precoce e autentico antifascismo non lo aveva spinto a sinistra, neanche quel tanto da consentirgli di essere repubblicano, e il 2 giugno 1946 aveva votato per la monarchia. Durante la guerra partigiana aveva visto nei comunisti nient'altro che "un incomprensibile sottoprodotto della guerriglia". Solo in seguito, prendendo atto delle condizioni sociali del dopoguerra e costatando di persona come, ad esempio, "in una impresa vinicola di Alba... un centinaio di donne, con mani paonazze, lavava bottiglie da mattina a sera per un salario inferiore al necessario per vivere, Fenoglio comincio' a vedere i "rossi" in una nuova prospettiva", incamminandosi "per gli amari sentieri della sinistra non comunista" (Chiodi).
L'altro aspetto dell'anonima e quieta vita di provincia fu una ricerca letteraria tesa e tormentata, segnata sin dall'inizio dal contrasto tra una robusta vocazione e il dubbio (che non si sarebbe mai del tutto dissolto) di non essere in grado di dare espressione adeguata al mondo che intendeva narrare, e da un intenso lavorio di stesure e rifacimenti, progetti abbandonati e poi ripresi, scorporamenti e riaggregazioni di brani ("la piu' facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo with a deep distrust and a deeper faith": in Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960, p. 181).
Esordiente col racconto Il trucco (su Pesci rossi, bollettino editoriale della Bompiani, novembre 1949, sotto lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti), per affermarsi dovette passare attraverso il severo vaglio della casa editrice Einaudi. Nel 1949 invio' alla redazione i Racconti della guerra civile e nel 1950 presento' il romanzo La paga del sabato, che ebbe i giudizi positivi di Italo Calvino e Natalia Ginzburg e le riserve di Elio Vittorini, che non ne sostenne la pubblicazione. Finalmente nel 1952 usci' nella collana dei "Gettoni", diretta da Vittorini, I ventitre giorni della citta' di Alba, che oltre al racconto del titolo conteneva, dopo molte revisioni, i Racconti della guerra civile e uno (Ettore va al lavoro) ripreso dalla Paga del sabato.
Sempre nei "Gettoni" fu edito nel 1954 il romanzo, ambientato nelle Langhe, La malora, sulla durezza dei rapporti di lavoro e delle relazioni umane in quel mondo contadino e in quella terra povera e aspra tra Otto e Novecento. Il libro era accompagnato da un singolare risvolto polemico di Vittorini, che metteva in guardia "questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile" da una narrazione a "spaccati" e "fette" della vita, "senza saperne fare il simbolo di storia universale". Il F. ne fu contrariato e, pur restando una solida amicizia con Calvino (testimoniata anche da un significativo carteggio), i rapporti con la casa editrice torinese si fecero da allora piu' incerti.
La malora e i racconti ambientati nelle Langhe (ve ne erano nei Ventitre giorni e molti altri ne sarebbero venuti) costituiscono un rivo importante nella narrativa fenogliana perche' situano poeticamente e "antropologicamente" il filone resistenziale, piu' intensamente percorso nelle opere maggiori, dandogli quel senso di verita', ineluttabilita', non letterarieta' che ne costituisce il fascino. E si tratta anche qui di una ricerca che parte da dati reali, vissuti alla radice con grande intensita' e sciolti poi in una scrittura tutta "oggettivata": "I vecchi Fenoglio, che stettero attorno alla culla di mio padre (scriveva nel Diario alla data del 18 ag. 1954), tutti vestiti di lucido nero, col bicchiere in mano e sorridendo a bocca chiusa. Che sposarono le piu' speciali donne delle Langhe, avendone ognuno molti figli, almeno uno dei quali segnato. Cosi' senza mestiere e senza religione, cosi' imprudenti, cosi' innamorati di se'. Io li sento tremendamente i vecchi Fenoglio, pendo per loro (chissa' se un futuro Fenoglio mi sentira' come io sento loro). A formare questa mia predilezione ha contribuito anche il giudizio negativo che su di loro ho sempre sentito esprimere da mia madre. Lei e' d'oltretanaro, d'una razza credente e mercantile, giudiziosissima e sempre insoddisfatta. Questi due sangui mi fanno dentro le vene una battaglia che non dico" (Opere, III, pp. 208 s.).
Nel 1958 il F. prese contatti con le edizioni di Livio Garzanti, il quale gli fu amico e consigliere (il carteggio tra i due e' conservato presso la casa editrice) e nel 1959 gli pubblico' a Milano il romanzo, anch'esso dalla stesura tormentata, Primavera di bellezza, primo frammento dell'epopea partigiana alla quale stava alacremente lavorando. Il libro, che racconta in chiave trasparentemente autobiografica (il protagonista e' Johnny, alter ego del F.) la dissoluzione dell'esercito all'8 settembre e il drammatico rientro, fu variamente recensito e ricevette il premio Prato 1960.
Sposo' nel 1960 Luciana Bombardi, dalla quale nel 1962 ebbe una figlia, Margherita. Nel 1962, per il racconto Il mio amore e' Paco (edito su Paragone, n. 150), ricevette il premio Alpi Apuane. Ammalatosi di cancro ai bronchi, dal 1962 passo' gli ultimi mesi di vita tra periodi di riposo in collina e una clinica di Bra. Ricoverato infine all'ospedale delle Molinette di Torino, gli fu praticata la tracheotomia e, nel taccuino con cui comunicava con i suoi cari, ordino' un "funerale civile, di ultimo grado, domenica mattina, senza soste, fiori e discorsi".
Il F. mori' a Torino nella notte tra il 17 e il 18 febbraio 1963.
Non il successo ma solamente una certa notorieta' arrise al F. da vivo. Solo successivamente, a mano a mano che emergeva la parte inedita e sommersa degli scritti, si intese il complesso universo poetico che ne sottendeva la ricerca letteraria, e l'opera del F. divenne oggetto di crescente attenzione critico-filologica. Dopo i racconti di Un giorno di fuoco (Milano 1963, parzialmente gia' preparato dall'autore per la pubblicazione, che includeva il decisivo racconto lungo Una questione privata, su un episodio di guerra partigiana), usci' un importante, complesso e "conclusivo", seppure non terminato, romanzo, Il partigiano Johnny (a cura di L. Mondo, Torino 1968), rinvenuto dattiloscritto, seguito dall'ancora inedito La paga del sabato (a cura di M. Corti, Torino 1969). Altri inediti furono raccolti in Un Fenoglio alla prima guerra mondiale (a cura di G. Rizzo, Torino 1973). Infine, nel 1994, fu pubblicato con il titolo Appunti partigiani 1944-1945, a cura di L. Mondo e ancora per i tipi di Einaudi, un manoscritto di recente rinvenimento risalente circa al 1946, che contiene la prima trama della narrativa resistenziale.
Gia' Un giorno di fuoco, e in particolare il racconto Una questione privata, aveva aperto uno squarcio illuminante sulla poetica fenogliana. Nell'introduzione del 1964 alla riedizione del Sentiero dei nidi di ragno Calvino vi vedeva un punto d'approdo della letteratura resistenziale: "Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c'e', e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione e' compiuta, solo ora siamo certi che e' veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata"; in questo "c'e' la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto piu' forti quanto piu' impliciti, e la commozione e la furia".
Ma il vero punto d'approdo dell'epopea fenogliana, sarebbe emerso ancora successivamente, con la scoperta e la disamina di quel laboratorio letterario costituito dal Partigiano Johnny (che narra l'intero arco della lotta partigiana, nel piu' proprio linguaggio del F., della guerra civile, dalla fine del 1943 ai primi del 1945), romanzo rinvenuto in due stesure ma poi abbandonato dall'autore in favore del diverso progetto narrativo, gia' evidenziato in Primavera di bellezza, dove Johnny viene fatto morire nel settembre 1943, e poi sfociato in Una questione privata, il cui protagonista e' il meno romantico e piu' disincantato Milton.
Traduttore per diletto e per le serate culturali del Circolo sociale di Alba (T.S. Eliot, G.M. Hopkins, J. Donne, E. Pound), nel 1955 pubblico' su Itinerari la versione di The rime of the Ancient mariner di S. T. Coleridge. Altre sue traduzioni sarebbero uscite postume. Il rapporto del F. con la lingua inglese va tuttavia ben oltre l'attivita' di traduttore. Non solo costitui' permanente verifica dell'efficacia e asciuttezza della propria prosa, ma divenne prima lingua di scrittura, nel senso che egli usava scrivere, totalmente o in parte, in inglese e poi tradurre in italiano.
Ha scritto D. Isella a proposito del Partigiano Johnny (ma il discorso puo' estendersi all'intera opera del F.): "Chi si e' occupato competentemente dell'inglese di Fenoglio [G. L. Beccaria] ne ha messo in evidenza il forte tasso di arbitrarieta' o inventivita', che lo contrassegna come un privato idioletto... L'italiano modellato su di esso e' altrettanto inventivo e arbitrario... La forza liberatoria della prosa del Partigiano si sviluppa... da un'idea di lingua plastica, malleabile a proprio talento; e opera sfruttando, al limite estremo, le possibilita' implicite nell'italiano, come in diverso grado in ciascun sistema linguistico, i cui meccanismi creativi, anchilosati per lo scarso uso, vengono vitalmente riattivati. Non, dunque, una lingua raggelata, fossile, con cui scontrarsi; ma una lingua magmatica, con cui collaborare creativamente. Il risultato e' una prosa incessantemente produttiva di neoformazioni lessicali, morfologiche e sintattiche" (Romanzi e racconti, pp. XVIs.).
*
Fonti e bibliografia: Carte e documenti sono raccolti ad Alba presso il Fondo Feneglio. Raro esempio nella letteratura italiana dei Novecento, l'opera del F. ha dato luogo a importanti studi critici (particolarmente rilevanti quelli sulla lingua e quelli relativi al problema della datazione degli scritti pubblicati postumi, in specie del Partigiano Johnny) e a due raccolte di robusta lena filologica: Opere, a cura di M. Corti, I-III, Torino 1978; Romanzi e racconti, a cura di D. Isella, Torino 1992 (con cronologia alle pp. XLV-LXIV e con bibl. essenziale alle pp. 1668-1675). Per una bibliografia vedi F. De Nicola, Introduzione a F., Roma-Bari 1989. Tra i lavori utili o significativi, senza pretesa di completezza: P. Chiodi, F. scrittore civile, in La Cultura, III (1965), pp. 1-7; G. Lagorio, B. F., Firenze 1969 (e poi 1982); G. Falaschi, La Resistenza armata nella narrativa italiana, Torino 1976; La critica e F., a cura di G. Grassano, Bologna 1978; M. Corti, B. F. Storia di un "continuum" narrativo, Padova 1980; R. Bigazzi, F.: personaggi e narratori, Roma 1983; G. L. Beccaria, La guerra e gli asfodeli. Romanzo e vocazione epica in B. F., Milano 1984; E. Saccone, F. I testi, l'opera, Torino 1988; M. Pietralunga, B. F. and English literature: a study of the writer as translator, Berkeley-Los Angeles-London 1988; F. Vaccaneo, B. F. Le opere, i giorni, i luoghi: una biografia per immagini, Cavallermaggiore 1994; M. Fenoglio, Casa Fenoglio, Palermo 1995, passim.

7. NUOVI RACCONTI CRUDELI DELLA CITTA' DOLENTE. OMERO DELLISTORTI: ERCOLE

Eccome se l'ho conosciuto, e chi non lo conosceva?
Oramai era vecchio, stava sempre al bar del Ciampicotto e tutta la pensione finiva in vermuth.
A vederlo allora non ci si sarebbe creduto che aveva fatto le dodici imprese d'Egitto, invece era proprio lui, Ercole in persona.
Che uno magari s'immaginava che era diventato ricco e campava come un pascia' in uno di quei villoni degli attori d'Ollivu' invece no, stava tutto il giorno al bar. Leggeva il giornale e giocava a dama o a scacchi, ma non a soldi, giocava solo per giocare. E se uno gli era simpatico e glielo chiedeva gli raccontava qualcuna delle sue avventure. Che tutta la gente del bar allora si azzittava e anche se facevano finta di fare qualche altra cosa erano tutti con le orecchie appizzate per sentir raccontare le avventure di Ercole, che ormai ce le sapevano a memoria ma gli piaceva troppo di risentirsele raccontare, e poi da Ercole in persona.
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L'ho letto pur'io sul giornale. Ma io a quello che c'e' scritto sui giornali non ci ho mai creduto. A parte "L'Unita'", e' naturale.
I giornali le sparano sempre grosse. Ci avevo un cugino, che adesso e' ospite dello stato, che scriveva sul giornale. Cioe', gli telefonava le notizie dal paese. Pero' poi uscivano sul giornale e certe volte, quando erano lunghe, c'era pure la firma sua. Siamo cugini e io gli voglio bene. Aiuto pure la famiglia adesso che lui non c'e'. Pero' lo so come lavorava. E' che il giornale lo fanno tutti i giorni e pure se un giorno non e' successo niente bisogna che sia successo qualche cosa per scriverlo sul giornale. Funziona cosi'. Allora Francaccio che faceva? Certe volte le inventava, pero' c'era l'inconveniente che il paese e' piccolo e le cose si risanno, e siccome c'e' sempre qualcuno invidioso che ti vuole fare le scarpe il giorno dopo telefonava al giornale che quello che aveva scritto Francaccio erano tutte frescacce, che non era vero che Cecio aveva magnato cinquanta ova in una volta sola, che non era vero che una famiglia era morta di peste bubbonica (che chissa' dove l'aveva trovato quel nome, peste bubbonica), eccetera eccetera, e allora dal giornale lo chiamavano a Francaccio e gli facevano il cazziatone. Apposta gli venne in mente quello che poi fece. Che prima era uno buono come il pane. Pero' doveva pure lavorare e siccome gli piaceva di fare il giornalista invece di spaccarsi la schiena a zappare che la terra da noi e' bassa, allora comincio' a fare quello che ha fatto. Via che ce lo sapete pure voi quello che ha fatto. No? Allora ve lo dico io: comincio' a farle lui le notizie. Di nascosto dava fuoco alla stalla di Aristide e poi ci faceva l'articolo, e ci aveva da scrivere per cinque giorni di fila perche' il primo giorno dava la notizia dell'incendio doloso, il secondo intervistava il povero Aristide che nell'incendio gli era morta la moglie e un garzone che chissa' che ci stavano a fare di notte insieme nella stalla, il terzo giorno intervistava il maresciallo dei carabinieri che gli diceva che le indagini erano coperte da strettissimo riserbo, il quarto giorno raccoglieva voci anonime (che naturalmente se le inventava lui) che protestavano perche' le autorita' tenevano il paese all'oscuro sulle indagini e ancora non avevano assicurato alla giustizia gli autori dell'efferato delitto (scriveva proprio cosi': l'efferato delitto), il quinto giorno descriveva la paura che serpeggiava per il paese (cosi' scriveva: serpeggiava, che ancora mi chiedo come gli venivano). Poi bisognava trovare un'altra notizia. E siccome al paese non succedeva mai niente, gli tocco' darsi da fare a lui un'altra volta. E fu la volta della sora Cesira uccisa per strada (un una stradina che non c'e' mai nessuno, che costeggia il muro di dietro del consorzio agrario, verso la discarica, che la sora Cesira abitava da sola in un casaletto dopo la discarica) con uno sganassone per una catenina d'oro e poche lire nel borsellino. E via con l'efferato delitto, le interviste, e pure le fotografie che le scattava lui e le mandava al giornale tramite Francaccio di Stuzzicone (e' un altro Francaccio, al paese ce ne saranno mezzo milione di Francacci) che lavorava in citta' e ci andava col treno e il giornale era proprio attaccato alla stazione che quello scendeva dal treno, allungava la mano e la busta colle fotografie era nella buca delle lettere che sarebbe stato buono pure un figlio, pure una creatura, e invece poi ci litigarono perche' Francaccio di Stuzzicone voleva pure essere pagato, e fecero una baccagliata al bar e qualche giorno dopo Francaccio di Stuzzicone fu rapito e ritrovato mezzo bruciato nell'orto che ci aveva a mezza costa a tre chilometri da casa che ci andava tutti i giorni dopo ch'era tornato col treno al paese, seviziato ed estinto, un altro efferato delitto. Duro' meno di una settimana pure quella della sora Cesira di notizia. E poi pure quella di Francaccio di Stuzzicone. E cosi' via. E pensare che era un pezzo di pane, mio cugino.
Poi smise di fare il giornalista e si mise a fare le rapine e basta. Finche' lo beccarono.
E allora non mi venite a dire a me quello che c'e' scritto sul giornale che io ce lo so che sono tutte balle.
Pure quelle che hanno scritto su Ercole. Che i giornali non ci hanno rispetto di niente e di nessuno. Io non li compro i giornali, al bar leggo solo le pagine degli annunci che cominciano con una sfilza di AAA. Sono vedovo, ci avro' bisogno pure io di qualche sfogo, no?
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Certo che c'ero al funerale. C'era tutto il paese al funerale. Non e' che un Ercole muore ogni giorno. A parte il fatto che c'e' sempre tutto il paese al funerale, pure se si sotterra un saltapicchio. Non e' che ci siano tanti divertimenti qui al paese. Una volta c'era il cinema all'aperto, ma poi lo hanno chiuso. E allora o uno prende il motorino o l'apetto e va al paese vicino che comunque sono bei chilometri e la strada e' una stradaccia e se non l'incateni bene a un palo il motorino o l'apetto te lo rubano pure e pure se l'hai incatenato te ce la fanno addosso per sfregio, oppure stai al bar a sentire la radio e giocare a carte e ogni tanto magari una scazzottata o un par di coltellate, che altro c'e' da fare? Cosi' quando c'e' un funerale c'e' tutto il paese. Prima in chiesa che pare che scoppia e poi a piedi fino al camposanto che ormai e' piu' grosso del paese.
Fu un bel funerale, io penso che sarebbe stato contento.
Certo che c'era la bandiera della sezione, era iscritto al partito. Era un lavoratore pure lui, no? E se uno e' un lavoratore che deve fare? Deve unirsi con gli altri lavoratori nella lotta per l'emancipazione dell'umanita'. E chi l'organizza la lotta per l'emancipazione dell'umanita'? Chi? Il partito. Certo che era iscritto al partito, stava pure nel direttivo della sezione, e quando si faceva la festa dell'"Unita'" suonava la fisarmonica. Non ve lo aspettavate, eh? Uno si crede che se uno e' importante come Ercole sta sempre li' col muso lungo a fare il presuntuoso con la puzza sotto il naso, eh? invece no, era uno alla mano, era un compagno. E alla festa dell'"Unita" suonava la fisarmonica. Potete chiederlo a tutti, pure al prete.
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L'ho letto, l'ho letto pure io il famoso "documento inedito" sul giornale. Che intanto visto che era pubblicato sul giornale non era piu' inedito, no? E poi chi lo dice che lo ha scritto proprio lui? Ma ragionate un po': se uno scrive un foglio per dire di non essere quello che la gente si crede ma di essere un altro lo dice da se' che non e' quello ma un altro, no? E' chiaro come il sole che e' una falsita'. Non dico che qualcuno non l'abbia scritto il famoso "testamento segreto", ma non l'ha scritto lui. Che poi io non gli ho mai visto scrivere una riga, stava sempre al bar a leggere il giornale o a giocare a scacchi, o a dama.
L'ho letto, l'ho letto. Magari e' pure una bella storia, ma e' una storia inventata. E' come i libri di Salamone. Salamone, Salamone, quello della bibbia, ce l'avete presente? Vi pare che se uno e' Salamone, famoso in tutto il mondo, poi si mette a scrivere quelle sporcaccionate del Cantico dei cantici? o quelle castronerie della Sapienza, o il manuale del perfetto suicida? E andiamo, facciamo i seri. Cosi' il cosiddetto "testamento segreto" di Ercole, che se mio cugino non stava in galera io dicevo che l'aveva scritto lui. Che magari poi lo ha scritto lui lo stesso, chi lo sa? In galera uno ci ha un sacco di tempo, la pappa e' assicurata. Sapete quante volte ci ho pensato pure io: un delittello da quattro soldi, senza sforzo, e poi mi faccio mantenere vent'anni dal governo ladro. Io la chiamo l'uscita di sicurezza. Il giorno che mi stufo di stare qui al paese a fare la muffa... No che non lavoro, ci ho una pensioncina d'invalidita' perche' non ci vedo per niente e sono quasi sordo. Vedo tutta nebbia, che qui al paese c'e' sempre la nebbia ma io la vedo pure quando non c'e', cosi' sto sempre qui al bar e le sento tutte le storie. Da giovane no, da giovane ero gagliardo pure io, troppa n'ho fatta piagne de gente da giovane, ma poi s'invecchia, i malanni, uno non ci ha piu' gusto alle risse, al contrabbando, all'abigeato. Non ve l'aspettavate che sapevo pure le parole difficili come abigeato, eh? Ne so parecchie pure io, e' che non le dico perche' noi gente di paese siamo diffidenti, e' il carattere nostro, con tutte le fregature che ci avete dato, alla fine l'abbiamo capito per forza che uno piu' si sta zitto e meglio e'.
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Dire che eravamo amici, no. C'era la differenza di eta', qui da noi gli anziani li rispettiamo ancora, non come la gente di citta' che li butta nel cesso e tira la catena. Qui al paese chi arriva a diventare vecchio merita rispetto. Gia' perche' e' riuscito a non farsi pizzicare dalle vipere o dalle schioppettate vuole dire che uno merita rispetto. E poi non siamo cannibali. Siamo gente civile. E poi c'e' il partito. Pure il prete, non dico di no, ma soprattutto il partito. E se uno vuole essere comunista deve vivere da comunista, non da capitalista porco e ladro. E allora ci ha rispetto dei vecchi, perche' un comunista deve sempre dare l'esempio. Se non ci fosse il comunismo che saremmo? Un branco di scimmie saremmo, come i padroni, come i borghesi, un branco di zozzoni ladri. Invece c'e' il partito e la missione storica dell'emancipazione dell'umanita'. Dovreste ringraziarci, dovreste. No che venite qui a buttare concime su uno che e' morto. Lo sapete che e' il concime, si'? No, non e' che mi sono offeso, ci mancherebbe, e' che io mi ci commuovo quando penso al comunismo e al giorno che l'umanita' sara' libera e felice e fara' la giustizia, l'uguaglianza e la liberta', come dice "Bandiera rossa". La conoscete "Bandiera rossa"? Io dico che e' pure meglio di "Volare" e di "Marina" messi insieme.
Di amici ormai ce ne aveva pochi perche' dell'eta' sua non c'era piu' nessuno, che ci avra' avuto a dir poco centovent'anni, centocinquanta. La gente diceva che aveva conosciuto Garibaldi in America, e poi era venuto in Italia con lui per fare l'Italia che a quel tempo non c'era, cioe' c'era come carta geografica ma gli italiani non c'erano, furono Garibaldi e quell'altro che si chiamava Peppe pure lui - Mazzini, bravo - che ce li portarono dopo che cacciarono gli austriaci, i francesi, gli spagnoli, i barbari e tutta quell'altra gente che adesso non lo so perche' stavano qui invece che a casa loro. Io ho fatto le scuole basse, al tempo della sora Amaglia. Non lo sapete chi e' la sora Amaglia? Chiedete a chi vi pare che ve lo dicono tutti, che qui tutti sono andati a scuola dalla sora Amaglia. Mo' e' morta da parecchi anni. No, i giovani che ne sanno? I giovani non vedono l'ora di zompare sul motorino, sulla corriera, sul treno e andarsene via.
La gente ne raccontava a bizzeffe di storie su di lui e di sicuro qualche volta le esagerava pure o magari le inventava di sana pianta. Lui invece non si vantava mai, raccontava sempre solo le avventure che gli parevano piu' importanti, che magari invece non erano quelle piu' importanti ma gli sembravano piu' importanti a lui o forse gli erano restate impresse meglio nella memoria, che poi a una certa eta' neppure lui se le ricordava bene e la gente che lo sentiva tra se' e se' diceva - ma solo nel pensiero, eh, che nessuno fiatava quando Ercole raccontava le dodici imprese d'Egitto - "questa se la ricorda male, questa era cosi' e cosi'", che lo avevano sentito tante di quelle volte che ormai le sapevano a memoria tutte le avventure di Ercole, quelle che raccontava, che invece ne aveva fatte una caterva che non le raccontava perche' non gli dava peso e invece magari a un'analisi materialistico-storica erano pure parecchio piu' importanti, che per esempio aveva conosciuto il compagno Gramsci in carcere (che il fascismo aveva messo in carcere pure a lui, Ercole. Che pero' c'era stato poco perche' una volta aveva spezzato le sbarre e era scappato, e se Gramsci non stava troppo male di salute se lo incollava e via svelti come la polvere a organizzare la rivoluzione dove i padroni e i fascisti meno se lo aspettavano) e aveva fatto la Resistenza, il Risorgimento e la Resistenza, lo dicevano tutti. E' che era modesto, pure quando raccontava dell'idra, per esempio, non e' che diceva che era quello che era, diceva che era una specie di serpentone con tutte 'ste capocce ma che non capiva un cempele e che alla fine bastava essere svelti col marraccio a tagliare e buttare nel focarone che avevi acceso prima, e magari se non c'era riuscito lui ci sarebbe riuscito qualcun altro a farla secca come uno straccio: la raccontava cosi' l'impresa d'Egitto dell'uccisione dell'idra, dico: l'uccisione dell'idra, che e' una delle imprese piu' famose della storia del mondo, piu' di Cassius Clay, piu' di Giulio Cesare, e lui la raccontava come se niente fosse. Che un altro avrebbe preteso il premio Nobel, il premio Oscar, per aver ammazzato l'idra, lui invece la raccontava cosi', come una cosa semplice che siccome si doveva fare e allora l'aveva fatta. Perche' se c'e' un popolo oppresso il comunista non si gira dall'altra parte, ma combatte per la fine dell'ingiustizia. Come dice il partito: il proletariato, consapevole della sua missione storica di liberare l'umanita' intera, affronta i problemi che oggettivamente si presentano nel momento e nel luogo in cui si presentano, analisi concreta della situazione concreta, lotta senza quartiere contro gli affamatori del popolo e poi realizza l'elettrificazione piu' i soviet. Una volta volevamo fare un soviet pure qui al paese, ma era una cosa difficile che nessuno sapeva il russo e allora non si capiva bene come funzionava e abbiamo rinviato a quando il partito avra' vinto le elezioni al parlamento e allora si attua la Costituzione della Repubblica italiana con tutte le virgole e si fa il comunismo mica solo qui al paese, ma in tutta Italia in una volta sola, ve lo dico io.
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L'ho letto, l'ho letto come la racconta il giornale. Che non era per niente Ercole quello vero, che si chiamava Oreste Strapparognoni, che in galera s'era studiato le favole antiche e una volta uscito faceva il cantastorie e l'accattone e il rubagalline, e che a forza di girare i paesi qui intorno la gente si era creduta che le storie che raccontava erano fatti che erano successi a lui e che invecchiando certe volte finiva per crederci pure lui un giorno si' e uno no.
Volete sapere che ne penso io? Che i giornali scrivono solo frescacce. A parte "L'Unita'", e' chiaro.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- AA. VV., Il mondo virato, volume monografico di "Limes. Rivista italiana di geopolitica", n. 3, marzo 2020, Gedi, Roma 2020, pp. 312 (+ 20 pp. di tavole), euro 15.
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Riedizioni
- Gertrude Stein, Autobiografia di Alice Toklas, Einaudi, Torino 1938, 2010, Rcs, Milano 2019, pp. IV + 284, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3715 del 20 aprile 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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