[Nonviolenza] Telegrammi. 3682



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3682 del 18 marzo 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace: Emergenza Coronavirus: piu' investimenti per la salute, meno spese militari
2. Una lettera aperta alla Ministra dell'Interno in occasione della "Settimana d'azione contro il razzismo" promossa dall'Unar
3. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
4. Rocco Scotellaro
5. Rocco Scotellaro: Campagna
6. Rocco Scotellaro: La benedizione del padre
7. Rocco Scotellaro: Sempre nuova e' l'alba
8. Rocco Scotellaro: In autunno
9. Rocco Scotellaro: Il morto
10. Rocco Scotellaro: La felicita'
11. Rocco Scotellaro: I viaggi
12. Rocco Scotellaro: Primavera
13. Rocco Scotellaro: Le strade vanno all'infinito
14. Rocco Scotellaro: Autoritratto
15. Ambrogio Ballini: Mohandas Karamchand Gandhi (1932)
16. Luciano Petech: Mohandas Karamchand Gandhi (1948)
17. Piero Craveri: Aldo Capitini (1975)
18. Segnalazioni librarie
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. APPELLI. RETE ITALIANA PER IL DISARMO E RETE DELLA PACE: EMERGENZA CORONAVIRUS: PIU' INVESTIMENTI PER LA SALUTE, MENO SPESE MILITARI
[Da Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato dal titolo completo: "Emergenza Coronavirus: piu' investimenti per la salute, meno spese militari - necessario un nuovo modello di difesa e sicurezza"]

L'Italia e il mondo intero stanno affrontando la gravissima emergenza sanitaria derivante dalla pandemia di coronavirus Covid-19, forse la piu' grande crisi di salute pubblica (e non solo) del dopoguerra per i paesi ricchi ed industrializzati. Rete della Pace e Rete italiana per il Disarmo si uniscono alle voci di vicinanza e compartecipazione ai problemi che l'intero Paese sta vivendo, con un particolare pensiero ai familiari delle vittime e un forte sostegno nei confronti degli operatori della sanita' e di chi mantiene operativi i servizi essenziali.
La drammatica situazione causata dal Covid-19 deve farci riflettere e ripensare alle nostre priorita', al concetto di difesa, al valore del lavoro e della salute pubblica, al ruolo dello Stato e dell'economia al servizio del bene comune, con una visione europea ed internazionale, costruendo giustizia sociale, equita', democrazia, pieno accesso ai diritti umani universali, quali condizioni imprescindibili per ottenere sicurezza, benessere e pace.
Non possiamo pero' dimenticare che l'impatto di questa epidemia e' reso ancora piu' devastante dal continuo e recente indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale a fronte di una ininterrotta crescita di fondi e impegno a favore delle spese militari e dell'industria degli armamenti. Non siamo cosi' sprovveduti da pensare che tutti i problemi sanitari dell'Italia si possano risolvere con una riduzione della spesa militare (anche per il diverso ordine di grandezza: 5 a 1), ma e' del tutto evidente che una parte della soluzione potrebbe risiedere proprio nel trasferimento di risorse dal campo degli eserciti e delle armi a quello del sistema sanitario e delle cure mediche, tenendo conto che le tendenze degli ultimi anni dimostrano una strada diametralmente opposta. Mentre infatti (come dimostrano le analisi della Fondazione Gimbe – Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) la spesa sanitaria ha subito una contrazione complessiva rispetto al Pil passando da oltre il 7% a circa il 6,5% previsto dal 2020 in poi, la spesa militare ha sperimentato un balzo avanti negli ultimi 15 anni con una dato complessivo passato dall'1,25% rispetto al Pil del 2006 fino a circa l'1,40% raggiunto ormai stabilmente negli ultimi anni (a partire in particolare dal 2008 e con una punta massima dell'1,46% nel 2013).
Le stime dell'Osservatorio Milex degli ultimi due anni ci parlano di una spesa militare di circa 25 miliardi di euro nel 2019, (cioe' 1,40% rispetto al Pil) e di oltre 26 miliardi di euro previsti per il 2020 (cioe' l'1,43% rispetto al Pil), quindi quasi ai massimi dell'ultimo decennio.
All'interno di questi costi sono ricompresi sia quelli delle 36 missioni militari all'estero (ormai stabilmente pari a 1,3 miliardi annui circa) sia quelli del cosiddetto "procurement militare", cioe' di acquisti diretti di armamenti. Una cifra che negli ultimi bilanci dello Stato si e' sempre collocata tra i 5 e i 6 miliardi di euro annuali. Sono questi i fondi che servono a finanziare lo sviluppo e l'acquisto da parte dell'Italia di sistemi d'arma come i caccia F-35 (almeno 15 miliardi di solo acquisto), le fregate Fremm e tutte le unita' previste dalla Legge Navale (6 miliardi di euro complessivi) tra cui la "portaerei" Trieste (che costera' oltre 1 miliardo), elicotteri, missili. Senza dimenticare i 7 miliardi di euro "sbloccati" dalla Difesa e dal Mise, in particolare per mezzi blindati e la prevista "Legge Terrestre" da 5 miliardi (con Leonardo principale beneficiario).
Contemporaneamente nel settore sanitario sono stati tagliati oltre 43.000 posti di lavoro e in dieci anni si e' avuto un definanziamento complessivo di 37 miliardi (dati sempre della Fondazione Gimbe) con numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali sceso al 3,2 nel 2017 (la media europea e' del 5). Le drammatiche notizie delle ultime settimane dimostrano come non siano le armi e gli strumenti militari a garantire davvero la nostra sicurezza, promossa e realizzata invece da tutte quelle iniziative che salvaguardano la salute, il lavoro, l'ambiente (per il quale l'Italia alloca solamente lo 0,7% del proprio bilancio spendendone poi effettivamente solo la meta').
Infine va ricordato come l'Amministrazione statunitense sotto Trump stia spingendo affinche' tutti gli alleati Nato raggiungano un livello di spesa militare pari al 2% rispetto al Pil. Una richiesta che, secondo recenti dichiarazioni e notizie di stampa, sarebbe stata accettata anche degli ultimi Governi italiani: cio' significherebbe un ulteriore esborso per spese militari di almeno 10 miliardi di euro per ogni anno. Riteniamo questa prospettiva inaccettabile, soprattutto quando e' evidente che dovrebbero essere potenziati i servizi fondamentali per la sicurezza ed il progresso del Paese, a partire dal Sistema Sanitario Nazionale, insieme all’educazione, alla messa in sicurezza idro-geologica del territorio, alla processi di disinquinamento, agli investimenti per l'occupazione.
Il Governo, proprio in queste ore, ha messo in campo misure economiche straordinarie per rispondere all'emergenza sanitaria del coronavirus: "Cura Italia" costa 25 miliardi di denaro fresco, la stessa cifra del Bilancio della Difesa annuale, e certamente non bastera'; quanto si potrebbe fare di piu' risparmiandoci le spese militari anche in tempi ordinari?
In definitiva e' essenziale ed urgente:
- rilanciare proposte e pratiche di vera difesa costituzionale dei valori fondanti la nostra Repubblica, come le iniziative a sostegno della Difesa Civile non armata e Nonviolenta. E' necessario un aumento delle spese per la sanita', come e' pure necessario investire, senza gravare sulla spesa pubblica, a favore della difesa civile nonviolenta e per questo chiediamo che vi siano trasferimenti di fondi dalla spesa militare verso la Protezione Civile, il Servizio Civile universale, i Corpi civili di Pace, un Istituto di ricerca su Pace e disarmo. Proponiamo inoltre che i contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi, possano fare la scelta se preferiscono finanziare la difesa armata o la difesa civile riunita in un apposito Dipartimento che ne coordini le funzioni. Un'opzione fiscale del 6 per 1000 a beneficio della difesa civile potrebbe consentire ai cittadini di contribuire direttamente a questa forma nonviolenta di difesa costituzionale, finora trascurata dai Governi che hanno sempre privilegiato la difesa militare armata;
- ridurre le spese militari ed utilizzare tali fondi per rafforzare la sanita', per l'educazione, per sostenere il rilancio della ricerca e degli investimenti per una economia sostenibile in grado di coniugare equita', salute, tutela del territorio ed occupazione;
- puntare alla riconversione produttiva (anche grazie alla diversa allocazione dei fondi pubblici) delle industrie a produzione bellica verso il settore civile che consentirebbe, inoltre, di utilizzare migliaia di tecnici altamente qualificati per migliorare la qualita' della vita (verso l'economia verde e la lotta al cambiamento climatico), non per creare armi sempre piu' sofisticate e mortali.
Gia' subito dopo la seconda guerra mondiale il nascente movimento pacifista chiedeva "Ospedali e scuole, non cannoni", come ricordava Aldo Capitini alla prima Marcia italiana per la pace e la fratellanza tra i popoli. Dopo 60 anni ci accorgiamo che quel semplice slogan non era un sogno utopistico generico, ma una realistica necessita' politica: oggi ci troviamo con ospedali insufficienti e scuole chiuse, mentre spendiamo troppo per le armi.
Una conversione della difesa dal militare al civile e' quello di cui abbiamo tutti bisogno.

2. REPETITA IUVANT. UNA LETTERA APERTA ALLA MINISTRA DELL'INTERNO IN OCCASIONE DELLA "SETTIMANA D'AZIONE CONTRO IL RAZZISMO" PROMOSSA DALL'UNAR

Alla Ministra dell'Interno
Oggetto: Richiesta di impegnarsi per l'immediata abrogazione delle misure palesemente razziste ed incostituzionali contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal governo precedente
Gentilissima Ministra dell'Interno,
inizia oggi, 16 marzo 2020, l'annuale "Settimana d'azione contro il razzismo" promossa dall'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar). Ed e' evidente che quest'anno, a causa delle misure necessarie per contrastare l'epidemia di coronavirus in corso, non saranno possibili le consuete iniziative pubbliche di informazione, sensibilizzazione e mobilitazione democratica da parte delle istituzioni e della societa' civile nelle scuole e nei luoghi della vita sociale e politica.
Il che non significa che non vi sia uno spazio pubblico in cui parole di verita' possano essere dette, ascoltate, condivise; uno spazio pubblico in cui gesti di umanita' possano essere compiuti, e provvedimenti giusti e necessari possano essere assunti: questo spazio pubblico permane e per cosi' dire si ricostituisce sia attraverso la comunicazione epistolare cosi' come oggi si da' attraverso le attuali tecnologie della comunicazione, sia soprattutto attraverso la prosecuzione del funzionamento dei servizi essenziali al bene comune e il compimento da parte di chiunque ne abbia la concreta possibilita' delle azioni e delle opere senza le quali la societa' decade e subentra la barbarie, il bellum omnium contra omnes.
E naturalmente non cessa l'attivita' del governo del paese; e del governo lei fa parte, con un incarico la cui rilevanza e' a tutti evidente.
Le scrivo questa lettera per chiederle di farsi promotrice nel Consiglio dei Ministri di una decisione che fin dall'insediamento del governo in carica ogni persona ragionevole, ogni persona di volonta' buona, ogni cittadino fedele alla Costituzione repubblicana, democratica ed antifascista attende: l'abrogazione delle misure razziste ed incostituzionali contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza" imposti dal precedente governo che nel 2018-2019 ha attuato una scellerata, disumana politica di persecuzioni razziste in flagrante violazione della Costituzione italiana e dello stesso stato di diritto, del diritto internazionale e dei diritti umani, dello stesso senso e sentimento di umanita'.
Abrogare quelle misure disumane e razziste e' un dovere morale e civile: il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Particolarmente in questo momento di assoluta emergenza e' ancor piu' necessario che nessuno subisca persecuzioni; che nessuno sia precipitato nell'abisso dell'emarginazione e della segregazione, dell'abuso e della schiavitu'; che nessuno sia costretto e abbandonato in condizioni disumane; che nessuno debba subire oltre alla comune angoscia e alla sofferenza comune anche un'ulteriore iniqua solitudine, ulteriori paura e dolore, una ingiustissima ed insensatissima maggiore esposizione alla morte.
Gli articoli 2 e 10 della Costituzione ci indicano quale sia il nostro comune dovere: riconoscere, rispettare e difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani; soccorrere, accogliere ed assistere ogni persona bisognosa di aiuto che qui giunga in fuga dalla violenza.
Le grandi tragedie hanno anche il potere di mettere a nudo il cuore degli esseri umani, e di far emergere il meglio o il peggio di essi. Che possa prevalere quanto di piu' buono vi e' in tutti noi.
*
Gentilissima Ministra dell'Interno,
la prego di adoperarsi per l'immediata abrogazione delle misure palesemente razziste ed incostituzionali contenute nei due cosiddetti "decreti sicurezza della razza".
Solo facendo il bene si contrasta il male.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Viterbo, 16 marzo 2020, primo giorno della "Settimana d'azione contro il razzismo"

3. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

4. REPETITA IUVANT. ROCCO SCOTELLARO
[Riproponiamo i seguenti testi]

"E' fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi / con i panni e le scarpe e le facce che avevamo".
Quante volte abbiamo ripetuto questi versi nei comizi della nostra gioventu', quando giravamo le piazze e le campagne e alla fine del comizio sempre c'era chi ci invitava a prendere un caffe' o un bicchiere di vino al bar o all'osteria, in cucina o  in cantina, e si continuava a ragionare del costo della vita, degli anziani che non c'erano piu', dell'America Latina e del piano regolatore, delle fogne e del disarmo, di quanto ladro il governo, e dell'internazionale futura umanita'.
La voce e il volto di Rocco Scotellaro sono per noi ben piu' che memoria e cultura, testimonianza acuminata e commovente, esempio di studio e di lavoro, di militanza e di contemplazione, un'eredita' feconda e tormentosa, e un appello alla lotta che continua per un'umanita' di liberi ed eguali.
E' fatto giorno, siamo entrati in gioco anche noi, con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
*
Rocco Scotellaro, nato a Tricarico (Matera) nel 1923, mori' a Portici (Napoli) stroncato da un infarto nel 1953. Appassionato militante della sinistra, sindaco di Tricarico, amico di Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria, impegnato nell'azione e nella riflessione meridionalista, scrittore e poeta.
Opere di Rocco Scotellaro: E' fatto giorno, Mondadori, Milano 1954, 1982; Contadini del Sud, Laterza, Bari 1954; L'uva puttanella, Laterza, Bari 1955; poi le due opere in unico volume L'uva puttanella. Contadini del Sud, Laterza, Bari 1964, 2000; Uno si distrae al bivio, Basilicata, Roma-Matera 1974; Margherite e rosolacci, Mondadori, Milano 1978; Giovani soli, Basilicata, Matera 1984; Tutte le poesie 1940-1953, Mondadori, Milano 2004.
Opere su Rocco Scotellaro: Franco Fortini, La poesia di Scotellaro, Basilicata, Roma-Matera 1974; AA. VV., Il sindaco poeta di Tricarico, Basilicata, Roma-Matera 1974; Franco Vitelli, Bibliografia critica su Scotellaro, Basilicata, Matera 1977; Laura Parola Sarti, Invito alla lettura di Rocco Scotellaro, Mursia, Milano 1992.

5. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: CAMPAGNA
[Da Rocco Scotellaro, Tutte le poesie 1940-1953, Mondadori, Milano 2004, p. 10]

Passeggiano i cieli sulla terra
e le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte e' vicina
il vento tuona giu' per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.

(1948)

6. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: LA BENEDIZIONE DEL PADRE
[Op. cit., p. 34]

Oggi fanno sei anni
che tu m'hai lasciato, padre mio.
Attento, dicesti, figlio mio
in questo mondo maledetto.
Mi hanno messo le manette gia' una volta,
sto bussando alle locande per un letto
ed arrivo cosi' lontano
che tu pare non sia mai esistito.

(1948)

7. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: SEMPRE NUOVA E' L'ALBA
[Op. cit., p. 67]

Non gridatemi piu' dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l'oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra...

Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perche' lungo il perire dei tempi
l'alba e' nuova, e' nuova.

(1948)

8. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: IN AUTUNNO
[Op. cit., p. 79]

Trasvolano le rondini
i mari e i deserti,
a una dimora certa
lontana tendono,
all'orizzonte forse,
dove sempre il sole
cade di sera.

(1940)

9. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: IL MORTO
[Op. cit., p. 114]

Non voglia mai far notte, mai far giorno,
e' venuto di piombo il pane al forno.
Cicala canta la canzone spasa,
il tizzone si e' spento nella casa.
S'alzano i gridi ringhiera ringhiera:
Giustizia nera, Giustizia nera.

(1951)

10. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: LA FELICITA'
[Op. cit., p. 119]

Fammi felice ormai degli occhi tuoi.
Nel cielo fondo il mio occhio si perde:
non sono piu' poveri i morti di noi
che ci siamo sdraiati nel verde.

(1950)

11. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: I VIAGGI
[Op. cit., p. 142]

Vedendo una volta campagna e citta'
diciamo che torneremo a passare
per meglio vederle poi.

Ma sappiamo che non ritorneremo
perche' quelle vengono a noi
come la prima volta nell'oscurita'.

(Portici, 18 dicembre 1952)

12. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: PRIMAVERA
[Op. cit., p. 157]

Stanotte il cielo e' un mandorlo fiorito
e nella valle il cuculo gia' freme.

(1941)

13. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: LE STRADE VANNO ALL'INFINITO
[Op. cit., p. 214]

Non finisce questo giuoco
di treni che incrociano
gli arrivi e le partenze nella sera.
Le strade vanno all'infinito.
Ma fanno lo stesso stridore
cantano un'identica canzone
ci tengono svegli.

(1947)

14. TESTI. ROCCO SCOTELLARO: AUTORITRATTO
[Op. cit., p. 303]

Io sono uno degli altri.

(1949)

15. MAESTRI. AMBROGIO BALLINI: MOHANDAS KARAMCHAND GANDHI (1932)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nell'Enciclopedia Italiana nel 1932]

Gandhi, Mohandas Karamchand. - Agitatore e capo attuale del nazionalismo indiano, nato a Porbandar, sul golfo di Oman, nella penisola del Kathiawar il 2 ottobre 1869. La rettitudine del padre e la religiosita' della madre, influirono sull'animo del giovane G., le caratteristiche fondamentali fattive della cui vita si determinarono nell'amore insuperato della verita' (satya), in un sentimento di universale benevolenza (ahimsa), e, dopo un periodo di dubbi, in un profondo spirito religioso.
Fatti i primi studi in India, G. parti' nel 1888 per Londra, ove consegui' la laurea in giurisprudenza. L'assidua lettura dei libri della sua fede e della Bibbia raffino' il suo spirito religioso. Gia' sin dalla sua fanciullezza gli era giunta notizia delle credenze piu' diverse, e verso tutte si era sentito animato da quello spirito che un giorno avrebbe condotto la sua fede al piu' largo sincretismo induitico sino a fargli considerare pure il jainismo (v.) e il buddhismo (v.) alcunche' di non estraneo all'induismo e di non separato da esso. Una repugnanza invincibile gli era invece rimasta soltanto per il cristianesimo (che un giorno avrebbe, al contrario, cosi' profondamente influito sulle sue concezioni sociali), particolarmente per l'uso che esso ammette del cibo di carne.
Compiuti gli studi giuridici e tornato in India nel 1891, comincio' ad esercitarvi la professione d'avvocato. Nel 1893 parti' per l'Africa del Sud, per patrocinare, a Pretoria, una causa commerciale. Le condizioni dei 150.000 Indiani (musulmani, Parsi, Indu') che si trovavano nel Natal, nel Transvaal, nell'Orange, e le durissime esperienze fatte da lui stesso colpirono profondamente l'animo di G., il quale, pur insistendo nel principio di non rispondere con male al male, fece da quel momento fine della sua vita la difesa sociale dei suoi connazionali. Non passo' cosi' gran tempo che egli si trovo' a capo degl'Indiani immigrati nell'Africa del Sud, ove rimase, con interruzione di un anno e mezzo circa, sino al 1914, fermo nell'intento di organizzare i suoi connazionali, cercando, anzitutto, di attenuare gli urti che le caste originavano spesso fra loro. Curo' poi che si diffondesse uno spirito favorevole all'igiene e all'educazione; creo' un'associazione di educazione indiana e fondo' il giornale Indian Opinion, che, specchio del suo pensiero, come sarebbe stato in seguito pure il Young India, divulgasse norme e notizie dirette a guidare i suoi connazionali. Fondo' nel 1904 a Phoenix, presso Durban, sull'esempio del Tolstoi, una colonia agricola, nella quale raccolse un certo numero di fedeli che avrebbero con lui dovuto vendere dei prodotti del proprio lavoro. Per contribuire, poi, con l'esempio a dirimere le differenze imposte da pregiudizi di casta, di razza, e di religione, G. rinuncio' alla professione di avvocato e si diede a far vita comune con i suoi connazionali anche piu' poveri. Ma il proposito di difendere gl'interessi degl'Indiani non gl'impedi' di mostrare la sua lealta' verso l'Inghilterra in gravi e delicati frangenti (guerra anglo-boera, 1899: epidemia di peste nera, 1904; ribellione degli Zulu', 1906), in cui si prodigo' in opere di assistenza ospitaliera. Questo contegno fu suggerito certamente a G. dal desiderio che si dissipassero le accuse fatte agl'Indiani di non curarsi degl'interessi della colonia e della madre patria, dalla coscienza del dovere di aiutare l'Inghilterra e dalla speranza di poter ottenere migliori trattamenti verso gl'Indiani stessi. Di cio' egli rimase del tutto deluso, ed ebbe, anzi, piu' di una volta a subire prigionia e violenze; ma la sua fede non venne tuttavia meno. Pubblicatosi, difatti, un nuovo atto asiatico, per il quale il governo sudafricano s'era rifiutato di abolire la tassa di capitazione di tre sterline, imposta ad ogni uomo o donna o ragazzo, rimasto libero dal proprio contratto di lavoro, G. proclamo' nel 1906 il cosiddetto satyagraha.
Il satyagraha, interpretato di solito, ma inesattamente, resistenza passiva, significa letteralmente, come ci dice lo stesso G. (Young India, 27 febbraio 1930; cfr. Oriente moderno, aprile 1930), insistere per la verita'. "Tale insistenza arma chi vi si dedica di una potenza impareggiabile. Essa puo' esercitarsi sia contro i genitori, la moglie e i figli, sia contro i sovrani e i concittadini di tutto il mondo. La forza da applicarsi non e' mai fisica; in essa non vi e' posto per la violenza. L'unica forza di applicazione universale e' quella dell'ahimsa o "amore". L'amore brucia non gli altri, ma se stesso; percio' il satyagrahi (chi pratica la resistenza civile) dovra' soffrire con gioia anche fino alla morte". Le regole, di vita del satyagrahi si riassumono percio' in una sopportazione senz'ira, senza reazione, ma insieme senza obbedienza agli ordini dati con ira.
Una seconda occasione per la proclamazione del satyagraha si ebbe in una sentenza della Corte suprema del Capo, secondo la quale i matrimoni celebrati nell'Unione Sudafricana non erano riconosciuti dalla legge, salvo quelli celebrati secondo i riti cristiani e iscritti nel registro dei matrimoni. Nel 1914, nonostante torbidi e repressioni, l'opera di G. trionfava: l'imposta delle tre sterline era soppressa ed era concessa liberta' di residenza nel Natal a tutti gl'Indiani che vi fossero voluti rimanere come lavoratori liberi.
Ritornato in India nel 1915, G. trovo' gia' avviato quel movimento (del quale poi sarebbe dovuto divenire il capo) che, iniziatosi nel periodo vittoriano con la fondazione del Congresso nazionale indiano, aveva condotto alla concezione dello swaraj (autonomia). Allo scoppiare della guerra mondiale, mentre egli tornava in India, sentimenti di lealismo verso l'Inghilterra anche questa volta trionfarono in lui. Ma pur questa volta le promesse fatte all'India (fine aprile 1918) andarono deluse: a guerra finita, anziche' concessione di nuove liberta', si ebbe una restrizione dell'antica, con l'approvazione della legge Rowlatt che concedeva al governo piu' ampi poteri per le repressione del movimento rivoluzionario del Bengala.
Frattanto G., dopo aver passato i primi anni del suo ritorno in austerita' religiose, essere vissuto nell'ashram (ritiro) di Ahmedabad con gli antichi compagni di Phoenix, ed essersi fatto apostolo del "far da se'" e aver dato rinnovati esempi di fraternita' verso gl'intoccabili, rientro' risolutamente nell'arringo politico. Visito' dapprima nel 1918, il Champaran (Behar) e il Khaira (Guierat), ove patrocino' miglioramenti alle condizioni miserrime dei lavoratori della terra, ricorrendo, per ottenerli, al satyagraha. E ad esso ricorse nuovamente contro l'applicazione della legge Rowlatt. La proclamazione del satyagraha ebbe questa volta l'esito insperato di unire musulmani e indu'; ma, impotente poi a frenare la violenza del popolo, G. ne ordino' la sospensione. Si succedevano intanto le conferenze dei musulmani per ottenere dal governo il ripristino della sovranita' del Califfo; ma dopo il 14 maggio 1920, in cui venne data notizia della pace disastrosa per la Turchia, i musulmani dell'India dichiararono (28 maggio 1920) su proposta di Gandhi, la non cooperazione. Fondamento di essa era assicurare all'India l'indipendenza economica (swadeshi), col rinunziare anzitutto alle bevande alcooliche, col ripudiare le macchine e tornare all'industria domestica della conocchia e del telaio, prescrivendosi l'uso di sole stoffe filate e tessute in India; e col rinunciare finalmente a tutto quanto costituiva partecipazione ad uffici ed onori governativi. Ma a queste prescrizioni seguirono gli eccessi, alcuni dei quali patrocinati da G. stesso (incendio delle stoffe europee), e violenze e repressioni gravi e il ripetersi delle deplorazioni e degli atti di pentimento di G. Nel novembre 1920 s'inaugurava, per sua iniziativa, ad Ahmedabad, l'universita' nazionale del Guierat, in cui tutto cio' che si riferisce all'ideale di un'India unita trovava la sua attuazione. Ma questo movimento, pur avendo un'alta concezione ideale, trasmodava per l'impreparazione degl'Indiani e per la tendenza, sia pure incosciente, di G. a creare una barriera tra Occidente e Oriente. Solidale con i musulmani, il 17 novembre 1921 G. giungeva all'attuazione di quella disobbedienza civile proclamata dal comitato del congresso panindiano di Delhi, del quale egli era stato eletto poco prima presidente. Tale ultimo atto doveva consistere nel non pagamento delle tasse, nel rifiuto a sottostare alle leggi, ecc. Ma nuovi e piu' gravi disordini si avverarono proprio in quel giorno, sino a che G., il "Mahatma" (com'egli era ed e' ormai chiamato dal popolo a pubblica affermazione della sua "magnanimita'") venne arrestato il 10 marzo 1922 e condannato a sei anni di carcere. Graziato il 4 febbraio 1924, invio', appena libero, un messaggio al presidente del congresso panindiano (7 febbraio 1924), riaffermando il suo pensiero e il suo programma. Si ritiro' poi nel suo ashram ad Ahmedabad, ove si occupo' per vario tempo dell'educazione morale e civile dei giovani, ponendo a fondamento dei loro doveri i voti di verita', di non violenza, di celibato, di poverta', di non paura, ecc. Pur lungi dalla grande popolarita' dei primi anni, mantenne autorita' nel popolo, mentre non poche diffidenze manifestarono contro di lui le caste superiori, particolarmente per la lotta da lui impegnata per l'abolizione del matrimonio dei fanciulli e per la redenzione degl'intoccabili. Ma nel dicembre 1929 G. riprendeva la sua parte nella vita politica: al congresso nazionale di Lahore, fece approvare un ordine del giorno, che conchiudeva che swaraj doveva d'ora innanzi intendersi come indipendenza completa. Il 12 marzo 1930 G. decise d'iniziare la disobbedienza civile da estendersi a qualsiasi ambito di attivita' in rapporto col Governo, ma sempre fondata sulla non violenza. E scelse per prima manifestazione l'infrazione della legge sul monopolio del sale: dalle vicinanze di Ahmedabad, intraprese, seguito da 72 fedeli volontari, una marcia verso il mare, a nord di Bombay; e il 5 aprile, presso Dandi, inizio' la vietata estrazione del sale. Arrestato il 5 maggio 1930 e liberato il 25 gennaio 1931 con gli altri capi del congresso, inizio' subito insieme con essi trattative col governo britannico. Ma all'accordo non fu possibile giungere. Convocata, finalmente, nel settembre 1931 una seconda conferenza della "Tavola rotonda" a Londra, ove si sarebbe dovuto elaborare lo statuto della Federazione indiana (una prima si era avuta fra il 10 novembre 1930 e il 19 gennaio 1931, senza alcun successo), G. v'intervenne. Ma la conferenza falli' completamente. Poco dopo il suo ritorno in India (gennaio del 1932) G. che aveva proclamata ancora una volta la campagna della disobbedienza civile, veniva arrestato con tutti i capi del movimento nazionalista. Tuttavia, minacciando la propria morte con un digiuno durato 145 ore (20-26 settembre 1932) fini' per trionfare sulla volonta' del governo inglese e degli stessi Indu' di casta superiore, ottenendo l'abolizione dei collegi elettorali separati per gl'"intoccabili", l'elevazione dei loro seggi da 71 a 148 nelle legislature provinciali, il 18% dei seggi per essi nel parlamento nazionale, il riconoscimento delle caste depresse nei pubblici servizi.
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Bibl.: R. Rolland, Mahatma G., Parigi 1924; C.F. Andrews, Mahatma Gandhi's Ideas, Londra s.d.; Mahatma Gandhi, Autobiografia a cura di C.F. Andrews, trad. it., Milano 1931; Oriente moderno, 1921-24, 1930-32.

16. MAESTRI. LUCIANO PETECH: : MOHANDAS KARAMCHAND GANDHI (1948)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce integrativa apparsa nell'Enciclopedia Italiana nella II Appendice nel 1948]

Gandhi, Mohandas Karamchand (XVI, p. 364). - Scarcerato il 5 maggio 1933, G. riprese la lotta sostituendo alla disobbedienza civile in massa quella individuale di volontari scelti. Arrestato nuovamente il primo agosto 1933, fu liberato dopo 22 giorni in seguito al digiuno da lui iniziato. Nell'ottobre 1934 egli annunzio' il suo ritiro dal Congresso indiano e dalla politica attiva; continuo', tuttavia, tramite i suoi discepoli, a controllare praticamente l'attivita' del Congresso, e il suo consiglio fu quasi sempre seguito in momenti decisivi. Pero' dopo il 1934 per vari anni la sua attivita' principale fu rivolta al problema degli "intoccabili" e alla ricostruzione rurale; a tale scopo egli si stabili' nel villaggio di Sevagram (Shevgaon) nelle province centrali. Rientro' ufficialmente nella politica attiva quando, durante la seconda guerra mondiale, il Congresso gli affido' pieni poteri per attuare una campagna di disobbedienza civile individuale (6 settembre 1940). Mutata la situazione con l'entrata in guerra del Giappone, il 30 dicembre 1941 G. si ritiro' a favore di Nehru. Nel 1942 egli partecipo' alle trattative con la missione Cripps. Dopo il loro fallimento, il Congresso decise di presentare un ultimatum al governo per l'immediato ritiro delle autorita' inglesi dall'India. Il giorno stesso della decisione (8 agosto 1942) G. fu arrestato ed internato a Poona, dove rimase fino al 6 maggio 1944, malgrado un suo digiuno di 21 giorni. Liberato in seguito a un grave attacco di malaria, ebbe parte importantissima nelle trattative che incominciarono nel 1945 e si conclusero con la proclamazione dell'India a Dominion il 15 settembre 1947. Durante i gravi conflitti hindu-musulmani dell'autunno, G. svolse strenua opera pacificatrice, ricorrendo anche due volte al digiuno malgrado l'eta'. Il 30 gennaio 1948 a Delhi, mentre si recava alla preghiera, fu ucciso da Nathuraim Vinayak Godse, membro di un'organizzazione ortodossa hindu (Rastriya Svayam Sevak Sangh).

17. MAESTRI. PIERO CRAVERI: ALDO CAPITINI (1975)
[Dal sito www.treccani.it riprendiamo la seguente voce apparsa nel Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 18 (1975)]

Aldo Capitini nacque a Perugia il 23 dic. 1899 da Enrico, campanaro del comune, e da Adele Ciambottini. Fece studi irregolari e nel 1924 sostenne l'esame di licenza liceale. Quello stesso anno vinceva il concorso per un posto di convittore presso la Scuola normale superiore di Pisa.
Rimase estraneo ai dibattiti politici che in quegli anni rendevano effervescente il clima culturale della Normale intorno al tema della palingenesi ideologica del fascismo. Tenace e laborioso, con quell'orgoglio e quella maturita' umana, se non proprio culturale, che spesso accompagnano l'esperienza di un autodidatta, tra i tanti docenti e discenti della scuola strinse un sodalizio spirituale con uno dei piu' isolati suoi coetanei, Claudio Baglietto. Le riflessioni comuni, da un lato sulla crisi della democrazia liberale e delle sue forze politiche di fronte al fascismo, dall'altro sulla conciliazione tra la Chiesa e il regime fascista, che, con intuizione precorritrice, essi avvertivano costituire un punto di rottura decisivo dell'esperienza religiosa cattolica nel nostro paese, gettarono le basi di un programma di ricerca intellettuale, a cui il C. avrebbe dato forma nel volume Elementi di un'esperienza religiosa, edito da Laterza nel 1937.
Il titolo del volume venne dato dal Croce, che se ne era fatto mallevadore, e a cui il C. era stato presentato da Luigi Russo nel 1936. Ma l'esperienza del C. non fu propriamente "religiosa" - anche se l'individualismo con cui fu vissuta, il sostanziale distacco da tutte le forme concrete in cui la lotta politica prendeva forma, la difficile storicizzazione delle sue proposizioni intellettuali potrebbero far ritenere esatta questa definizione, ma piu' generalmente "civile".
Mancano del resto nelle riflessioni contenute in questo volumetto gli elementi essenziali di una qualsiasi esperienza religiosa, cioe' quello teologico-metafisico e quello dogmatico-rituale che sono in parte presenti nell'esperienza modernista, a cui impropriamente qualcuno ha voluto ricollegare il Capitini. L'accento e' posto invece sul momento etico-individuale, come "coscienza della finitezza di tutto", anche se questa e' avvertita come "atto religioso", perche' percezione dell'"infinita'" della divinita', che "rende piu' facile l'adorazione della molteplicita' dinnanzi a noi, apertura della nostra vita, e fa meglio avvertire la presenza di Dio al centro, monoteismo concreto" (ibid., p. 32). Di qui tuttavia non nasceva una problematica religiosa, la fondazione d'un rapporto teologico-metafisico tra l'individuo e l'essenza divina di cui si cercava la prova, ma piu' semplicemente l'opzione per una scelta individuale d'ordine etico, non "naturalistica, di orgoglio, di incosciente pretesa ad assolutezza" (p. 31). Quello del C. era in realta' il rifiuto dei valori ideali e civili non solo dell'Italia fascista, ma anche di quella liberale, e la conseguente ricerca di una dimensione spirituale, che fosse regola coerente di vita, individuale, ma soprattutto "civile".
Le vicende biografiche del C. danno del resto una testimonianza ancora piu' convincente dei suoi scritti circa la natura di questi suoi orientamenti. Laureatosi in lettere e filosofia a Pisa nel 1929, era assunto come segretario della Scuola normale. Gia' l'anno dopo doveva lasciare quell'incarico per aver rifiutato l'iscrizione al Partito nazionale fascista, mentre il suo amico Baglietto, che, ultimati gli studi alla Scuola normale, si era recato in Germania con una borsa di studio, scriveva al Gentile la sua intenzione di non far ritorno in Italia. Baglietto si sarebbe poi avvicinato al partito comunista. Il C. non fece questo salto dall'impegno civile a quello politico, l'unico possibile, - e che comunque compirono molti della sua generazione tra il '30 e il '40 - per chi avesse svolto la propria esperienza giovanile negli anni trionfanti del regime fascista, e la cui protesta voleva essere anche una cesura con la tradizione politica dell'Italia liberale da un lato, con il cattolicesimo dall'altro.
Ritiratosi a Perugia, il C. svolse tuttavia in quegli anni un'intensa attivita' militante antifascista. "Ho visto piu' giovani e gente io che tutti gli altri", dira' di se', ricordando quegli anni (Nuova societa' e riforma religiosa, Torino 1950, p. 15). Fu in effetti instancabile nel compiere riunioni educative, religiose e politiche in ogni parte d'Italia, portando alla critica del fascismo e all'azione antifascista numerosissimi giovani.
I temi che egli svolgeva in quelle riunioni poggiavano su una "premessa... rigidamente morale, con accentuazione o del motivo della liberta' o della religiosita', della nonviolenza e della nonmenzogna... E fu una breccia che si apri' in giovani di valore per cui apparve la possibilita' di una tensione diversa da quella fascista, di una specie di rivolta intima e di ascesi, che metteva in prima linea la non collaborazione, la non tessera del partito" (ibid., p. 13).
La fragilita' di questa intelaiatura ideale, con la sua assenza di concetti propriamente "politici", non precludeva alle iniziative del C. una effettiva capacita' di incidenza, nella misura in cui esprimeva appunto un antifascismo "non politico", che si risolveva in una congiura degli onesti e degli esclusi, tra le morte gore della provincia fascista. Al 1936 risale la sua collaborazione con G. Calogero, e la sua adesione alla tematica "liberal-socialista", che diede vita ad un embrione di movimento, con gruppi costituiti, molto grazie allo stesso attivismo del C., a Perugia, Roma, Pisa, Padova, Firenze, Ancona, Bari, Siena e Pistoia.
Ma quando l'ipotesi "liberal-socialista" volle uscire dall'ambito ristretto dei dibattiti di piccole cerchie intellettuali e farsi esperienza politica, e nel maggio 1940 in un convegno ad Assisi il Calogero prese l'iniziativa di collegarsi con il movimento, che poi divenne il Partito d'azione, il C. prese subito le distanze, rivolgendo la sua attenzione piuttosto verso il partito socialista e il partito comunista, senza tuttavia tradurla in una qualche forma di impegno militante. In quegli anni di scelte politiche, egli infatti ne fece una singolare, quella di non chiudere la sua "parentesi antifascista". Tutti i limiti e anche i pregi della sua esperienza "civile" si evidenziarono dunque nella continuita' dei suoi atteggiamenti "metapolitici", dal fascismo alla repubblica democratica.
Tornando sul tema del liberal-socialismo, egli osservava che "tutti i partiti restano, ed e' giusto che restino, ma solo per presentare problemi da risolvere, forze da assimilare, problemi e forze che il liberalsocialismo puo' fare suoi" (ibid., p. 25). Con la sua propedeutica politica egli voleva invece rimanere "in mezzo alla moltitudine", e fare opera di pedagogia morale, che non era il "prepartito" del Croce, con cui pure poteva avere qualche assonanza, ma un sacerdozio senza ecclesia.
Nel 1942 il C. veniva arrestato a Firenze e poi confinato, ma da li' a poco liberato per essere di nuovo arrestato nel 1943. Dopo la Liberazione fondava in numerose citta' i Centri di orientamento sociale (C.O.S.), sedi di libero dibattito, che nel clima del dopoguerra costituirono per molti una tribuna aperta, e svolsero piu' la funzione di ricettacolo di problemi ed esperienze diverse, che quella di orientamento ideale e politico.
L'esperienza piu' significativa fu quella del C.O.S. di Firenze, dove emerse come figura di polemista quella di F. Tartaglia, un prete sospeso "a divinis", che portava, in quell'atmosfera di rivolgimenti civili, il lievito di una rottura religiosa, d'una tematica ecclesiale che pretendeva essere anche problematica civile e politica. A confronto con questa pur individuale, ma autentica esperienza religiosa, il C., che col Tartaglia aveva progettato "l'avvio di un movimento religioso che collegava esperienze e iniziative anche eterogenee ma accomunate dall'affermazione della necessita' di un rinnovamento radicale e urgente" (Cattaneo, p. 99) - e che tenne anche qualche convegno nazionale -, palesava la genericita' e la poverta' del suo messaggio religioso, il valore meramente etico del suo impegno di mediatore e di organizzatore di minoranze emarginate ed escluse. La personalita' del Tartaglia doveva infatti scomparire dalle scene nel '48, quando tutte le fratture civili e religiose del movimento cattolico venivano saldamente ricomposte. Vi rimase invece il C., a ricoprire il ruolo che gli era congeniale, quello di partecipe e animatore d'una nuova stagione "antifascista", anche se troppo distaccato dalla dinamica reale delle forze politiche per svolgervi una funzione piu' che secondaria.
Nel 1952 fondava a Perugia il Centro di orientamento religioso (C.O.R.) per conversazioni domenicali su problemi religiosi, poi il Centro per la nonviolenza e la Societa' vegetariana italiana. Trasferiva questi temi suoi originali della prima esperienza antifascista e quelli nuovi della difesa delle minoranze religiose e civili sulle colonne delle riviste laiche del tempo, dal Ponte a Belfagor, alla Riforma della scuola, per citarne solo alcune.
Un taglio polemico e un impegno civile che tuttavia si stemperavano con l'esaurirsi dell'esperienza centrista tra il 1953 e gli inizi degli anni '60. Il C., anche in quest'ultima fase della vita, seppe tuttavia, a differenza di altri, rimanere fedele a se stesso. Gia' nel 1961 organizzava la marcia della pace da Perugia ad Assisi, e diveniva il mallevadore in Italia di quelle campagne civili e pacifiste che, a seguito della caduta di tensione della guerra fredda, si sviluppavano con grande adesione di pubblica opinione specie nel mondo anglosassone. In questo seppe essere precursore e sostenitore - pur trasferendo in esse i limiti della sua personale esperienza militante - di quelle campagne radicali e laiche per i diritti civili che acquistarono uno spazio nei dibattiti della societa' civile italiana alla fine degli anni '60.
Dopo la Liberazione aveva ripreso il suo posto di segretario alla Scuola normale e, conseguita la libera docenza in filosofia morale, ne aveva ricoperto l'incarico all'universita' di Pisa fino al 1956, quando vinse la cattedra di pedagogia, che insegno' prima all'universita' di Cagliari, poi a quella di Perugia. Numerosi i suoi scritti su questi argomenti, che costituiscono pero' piu' un contributo alla sua biografia che alle rispettive discipline.
Il C. mori' a Perugia il 16 ottobre 1968.
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Fonti e Bibl.: Necrol. in Corriere della Sera, 22 ott. 1968 e 22 nov. 1968; B. Razzolti, Ricordo di A. C., in Studi urbinati, n. s., XLIII (1969), pp. 456-59; M. Melelli, in Boll. d. Dep. di st. patria per l'Umbria, LXXIII (1971), 2, pp. 151-169 (con bibl.); Una lotta nel suo corso, a cura di S. Contini Bonacossi-L. Ragghianti Collobi, Venezia 1954, ad Ind.; C. Francovich, La Resistenza a Firenze, Firenze 1961, ad Ind.; G. Cattaneo, L'uomo della novita'. Storia di un mov. relig., in Paragone, XVIII (1947) n. 214, pp. 74 ss.; A. Bandinelli, A. C.: la chiave antiautorit., in Astrolabio, 27 ott. 1968; Lettere di A. C. a D. Dolci, a cura di F. Alasia, in Il Ponte, XXV (1969), pp. 1241-78; il fascicolo della riv. Azione nonviolenta, V (1968), 11-12, e' a lui dedicato, con articoli di W. Binni, E. Enriques Agnoletti, L. Borghi, A. Apponi e con ampia bibl. delle sue opere; P. Spriano, Storia del Partito comunista, Torino 1973, III, pp. 53, 80.

18. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- "MicroMega", n. 2, 2020, Gedi, Roma 2020, pp. 216, euro 15.
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Riletture
- Garcilaso de la Vega, Poesias castellanas completas, Castalia, Madrid 1987, pp. 212.
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Riedizioni
- Valeria Luiselli, La storia dei miei denti, La Nuova Frontiera, Roma 2016, Gedi, Roma 2020, pp. 174, euro 9,90 (in supplemento al quotidiano "La Repubblica").

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3682 del 18 marzo 2020
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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