[Nonviolenza] La nonviolenza contro il razzismo. 117



==================================
LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
==================================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Numero 117 del 15 dicembre 2018

In questo numero:
1. Anche il Consiglio d'Europa acquisisce la denuncia dei crimini razzisti del governo italiano
2. Dalla Commissione Europea una prima risposta alla denuncia delle politiche razziste del governo italiano
3. Quid agendum
4. Manifesta illegittimita' costituzionale di vari articoli del Decreto-Legge 4 ottobre 2018, n. 113 (il cosiddetto "decreto sicurezza")
5. Luigi Cajani ricorda Vittorio Emanuele Giuntella

1. L'ORA. ANCHE IL CONSIGLIO D'EUROPA ACQUISISCE LA DENUNCIA DEI CRIMINI RAZZISTI DEL GOVERNO ITALIANO

Anche il Consiglio d'Europa, con una missiva a firma di Tomas Bocek, il Rappresentante speciale per l'immigrazione e i rifugiati del Segretario generale, risponde all'esposto presentato dal "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo che denunciava le politiche razziste del governo italiano chiedendo un adeguato intervento europeo in difesa della legalita' e dei diritti umani violati.
*
Il Rappresentante speciale per l'immigrazione e i rifugiati del Segretario generale del Consiglio d'Europa, facendo anche riferimento al proprio rapporto dell'ottobre 2016 sulle violazioni dei diritti umani dei migranti in Italia, assicura che il Consiglio d'Europa continua a seguire gli sviluppi della situazione dei migranti e dei rifugiati in Italia, e dichiara che la denuncia dei crimini razzisti del governo italiano presentata dal "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e' stata acquisita e le informazioni in essa contenute messe a disposizione di tutti i servizi del Consiglio d'Europa che si occupano dei temi li' segnalati.
*
Ringraziando per l'attenzione, il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, Peppe Sini, chiede che dall'acquisizione della denuncia il Consiglio d'Europa passi ad azioni positive per contribuire a contrastare le flagranti violazioni della legalita' commesse dal governo italiano, per contribuire a fermare la violenza razzista in Italia, per contribuire a ripristinare in Italia e in Europa il rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
Lo ripetiamo una volta ancora, argomenta il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani": il governo italiano da mesi sta attuando una politica di omissione di soccorso nei confronti di naufraghi in pericolo di morte, e di sabotaggio dei soccorritori volontari che salvano vite umane nel Mediterraneo, negando loro approdo in porti sicuri in Italia; esponenti di primario rilievo del governo italiano da anni conducono una forsennata propaganda xenofoba e di istigazione al razzismo; il recente decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018 (il cosiddetto "decreto sicurezza") ha introdotto nell'ordinamento italiano misure di discriminazione razzista - che sono state autorevolmente definite "apartheid giuridico" - palesemente incompatibili con la Costituzione della Repubblica Italiana e con i trattati internazionali dall'Italia sottoscritti che difendono i diritti umani.
Occorre far cessare immediatamente questa scellerata politica di persecuzione razzista attuata dal governo italiano.
*
Pertanto, conclude il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani", rinnoviamo l'appello affinche' le istituzioni europee e le altre istituzioni sovranazionali competenti intervengano con atti concreti, con provvedimenti cogenti, per far cessare immediatamente la commissione di crimini razzisti da parte del governo italiano.
Ancora una volta rinnoviamo l'appello affinche' intervengano le competenti magistrature italiane, europee, internazionali.
Ancora una volta ricordiamo che il razzismo e' un crimine contro l'umanita'; che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'; che salvare le vite e' il primo dovere.
Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 15 dicembre 2018
*
Allegato: il testo integrale della lettera del Rappresentante speciale del Segretario generale del Consiglio d'Europa
COUNCIL 0F EUROPE
SPECIAL REPRESENTATIVE 0F THE SECRETARY GENERAL
ON MIGRATION AND REFUGEES
Strasbourg, 13 December 2018
Dear Mr Sini,
The Secretary General has asked me to respond to your e-mail of 3 November.
In my capacity as the Special Representative of the Secretary General on Migration and Refugees, I gather information on the fundamental rights of migrants and refugees in Europe, including through fact-finding missions, and make proposals for action. My fact-finding mission to Italy took place from 16 to 21 October 2016 and the report with the issues identifled is available at this address https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?Obiectld=09000016806f9d70.
I would like to assure you that the Council of Europe continues to follow developments in the field of migration (and related areas) in Italy very closely. Information contained in your mail has been shared with all the relevant services of the Organisation.
Yours sincerely,
Tomas Bocek

2. REPETITA IUVANT. DALLA COMMISSIONE EUROPEA UNA PRIMA RISPOSTA ALLA DENUNCIA DELLE POLITICHE RAZZISTE DEL GOVERNO ITALIANO

Con una lettera a firma del direttore Henrik Nielsen, Capo dell'Unita' per il Diritto d'Asilo della Direzione generale per l'Immigrazione e gli Affari interni, la Commissione Europea risponde all'esposto presentato dal "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo che denunciava le politiche razziste del governo italiano chiedendo un adeguato intervento europeo in difesa della legalita' e dei diritti umani violati.
Nella lettera dell'autorevole rappresentante si evidenzia che "le regole dell'Unione in materia di asilo si basano sul rispetto dei diritti umani e del principio di non refoulement (che vieta di respingere un rifugiato verso le frontiere di uno stato dove la sua vita o la sua liberta' siano minacciate) sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la quale e' vincolante sia per le istituzioni UE, sia per gli Stati membri nell'attuazione del diritto dell'Unione" e che quindi "ove fosse necessario, la Commissione Europea intraprendera' le azioni opportune al fine di garantire il rispetto di tali diritti e principi, esercitando il ruolo attribuitole dai Trattati".
Il direttore Nielsen evidenzia inoltre che "L'attivita' di ricerca e soccorso in mare cosiddetta SAR e' disciplinata dal diritto internazionale codificato nella Convenzione di Amburgo del 1979 e nella Convenzione per la sicurezza della vita umana in mare".
Quanto alla propaganda xenofoba e razzista l'autorevole funzionario evidenzia che "la Commissione Europea e' fortemente impegnata nella lotta contro il razzismo, la xenofobia e tutte le forme di intolleranza e ha sempre espresso la sua determinazione a utilizzare a tal fine tutti i mezzi previsti dai Trattati".
*
Il responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, Peppe Sini, nel ringraziare per l'attenzione, rileva che con tutta evidenza, sia pur con enorme ritardo, anche nelle istituzioni europee cresce la consapevolezza dell'estrema gravita' delle illegali politiche razziste del governo italiano. Tale consapevolezza deve tradursi al piu' presto in interventi che contribuiscano a far cessare la commissione di crimini razzisti da parte del governo italiano.
Poiche' in quanto tali politiche razziste del governo italiano violano diritti umani fondamentali, violano il diritto internazionale (oltre a violare in primis la stessa Costituzione della Repubblica italiana), esse devono essere contrastate a tutti i livelli applicando le leggi e i trattati internazionali vigenti.
Rinnoviamo pertanto l'appello affinche' le istituzioni europee e le altre istituzioni sovranazionali competenti intervengano con atti concreti, con provvedimenti cogenti, per far cessare immediatamente la commissione di crimini razzisti da parte del governo italiano.
Rinnoviamo l'appello affinche' intervengano le competenti magistrature italiane, europee, internazionali.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'. Salvare le vite e' il primo dovere.
Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 14 dicembre 2018
*
Allegato: testo integrale della lettera del direttore Nielsen
EUROPEAN COMMISSION DIRECTORATE-GENERAL MIGRATION and HOME AFFAIRS
Directorate C: Migration and Protection
The Director
Brussels, 13/12/2018
Gentile Sig. Sini,
La ringrazio per la Sua comunicazione indirizzata al presidente della Commissione Europea Juncker, a me e ai commissari Avramopulos e Jourova.
L'Unione europea e i suoi Stati membri hanno gradualmente messo a punto una risposta strategica forte e articolata mirata a salvare vite umane e gestire meglio i flussi migratori nel Mediterraneo centrale.
Questi due grandi obiettivi si articolano nel concreto nell'intensificare la lotta contro i trafficanti; proteggere i migranti, incrementare il reinsediamento e promuovere il ritorno volontario assistito; gestire i flussi migratori attraverso le frontiere meridionali della Libia; rafforzare il dialogo e la cooperazione operativa con i partner nell'Africa settentrionale; aumentare il finanziamento del Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa.
La gestione di tali flussi migratori inoltre non puo' che esercitarsi nel pieno rispetto delle normative internazionali ed europee in tema di protezione internazionale. Va ricordato che le regole dell'Unione in materia di asilo si basano sul rispetto dei diritti umani e del principio di non refoulement (che vieta di respingere un rifugiato verso le frontiere di uno stato dove la sua vita o la sua liberta' siano minacciate) sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la quale e' vincolante sia per le istituzioni UE, sia per gli Stati membri nell'attuazione del diritto dell'Unione.
Ove fosse necessario, la Commissione Europea intraprendera' le azioni opportune al fine di garantire il rispetto di tali diritti e principi, esercitando il ruolo attribuitole dai Trattati.
L'attivita' di ricerca e soccorso in mare cosiddetta "SAR" e' disciplinata dal diritto internazionale codificato nella Convenzione di Amburgo del 1979 e nella Convenzione per la sicurezza della vita umana in mare cosiddetta "SOLAS".
La potesta' di intervento in materia di ricerca e soccorso e' demandata, per i Paesi contraenti le predette Convenzioni, alle autorita' nazionali competenti, nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
La materia di cui trattasi non rientra tra le competenze dell'Unione Europea, tuttavia sino ad oggi la Commissione europea ha sviluppato ed attuato una serie di misure finalizzate a supportare, sotto il profilo tecnico e finanziario, gli Stati membri direttamente interessati nella gestione dei soccorsi in mare in favore dei migranti.
Con riferimento alla sua doglianza circa la propaganda xenofoba che lei ritiene numerosi esponenti del governo italiano stiano ponendo in atto, voglio informarla che la Commissione Europea e' fortemente impegnata nella lotta contro il razzismo, la xenofobia e tutte le forme di intolleranza e ha sempre espresso la sua determinazione a utilizzare a tal fine tutti i mezzi previsti dai Trattati. Essa ha esercitato ed esercita tali poteri in vari modi.
La Commissione controlla rigorosamente il recepimento e l'attuazione, da parte degli Stati Membri, della legislazione comunitaria sulla lotta contro alcune forme di criminalita' razzista e xenofoba, ossia la decisione quadro sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale, che definisce il quadro per una risposta comune ai discorsi e ai crimini motivati dall'odio, garantendo la responsabilita' degli autori dei reati. Questo strumento obbliga gli Stati Membri a sanzionare l'istigazione pubblica alla violenza o all'odio contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito in riferimento a razza, colore, religione, ascendenza o origine nazionale o etnica (discorso di odio). Inoltre, per qualsiasi altro reato, gli Stati membri devono garantire che la motivazione razzista e xenofoba sia considerata una circostanza aggravante o, in alternativa, che tale motivazione possa essere presa in considerazione nella determinazione delle sanzioni (reato di odio).
La Commissione sta lavorando intensamente per garantire che questa legislazione sia effettivamente recepita e attuata in tutti gli Stati membri.
Spero che queste informazioni possano esserle di aiuto.
Henrik Nielsen

3. REPETITA IUVANT. QUID AGENDUM

1. Il governo della disumanita' da mesi sta attuando una politica di omissione di soccorso nei confronti di naufraghi in pericolo di morte, e di sabotaggio dei soccorritori volontari che salvano vite umane nel Mediterraneo, negando loro approdo in porti sicuri in Italia;
2. esponenti di primario rilievo del governo della disumanita' da anni conducono una forsennata propaganda xenofoba e di istigazione al razzismo;
3. il recente decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018 del governo della disumanita' (il cosiddetto "decreto sicurezza") mira a introdurre nell'ordinamento italiano misure di discriminazione razzista - che sono state autorevolmente definite "apartheid giuridico" - palesemente incompatibili con la Costituzione della Repubblica Italiana, con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, con la Dichiarazione universale dei diritti umani, con lo stato di diritto, con la civilta' giuridica e il diritto internazionale.
*
4. Occorre che ogni persona decente si impegni per ottenere l'immediata cessazione di ogni atto criminale, persecutorio, razzista ed incostituzionale da parte del governo della disumanita';
5. occorre che ogni persona decente si impegni per ottenere le dimissioni del governo della disumanita';
6. occorre che ogni persona decente si impegni per ottenere che i ministri del governo della disumanita' responsabili di crimini abominevoli siano processati e condannati secondo le leggi vigenti.
*
7. Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta';
8. vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera;
9. salvare le vite e' il primo dovere.
*
10. Agisci nei confronti delle altre persone come vorresti che esse agissero verso di te;
11. l'altro dell'altro sei tu;
12. sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.

4. MATERIALI. MANIFESTA ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DI VARI ARTICOLI DEL DECRETO-LEGGE 4 OTTOBRE 2018, N. 113 (IL COSIDDETTO "DECRETO SICUREZZA")

Sintetizziamo qui l'elenco degli articoli che presentano profili di manifesta illegittimita' costituzionale riscontrati dall'"Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione" (Asgi) nelle nuove norme concernenti permessi di soggiorno per esigenze umanitarie, protezione internazionale, immigrazione e cittadinanza previste nel Decreto-Legge 4 ottobre 2018, n. 113.
Il testo integrale del documento dell'Asgi - 28 pagine dense di dottrina giuridica e puntuali riscontri - puo' essere letto nel sempre utilissimo sito dell'Asgi (www.asgi.it).
*
Nel documento si evidenzia preliminarmente che non sussistono i casi di straordinaria necessita' e urgenza prescritti dall'art. 77 Cost. per l'adozione del decreto-legge, e che "la mancanza dei requisiti costituzionali del decreto-legge e' oggi ritenuto dalla Corte costituzionale come vizio di legittimita' costituzionale dell'intero decreto-legge, non sanato neppure dall'approvazione della legge di conversione in legge".
*
1. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 1 (Abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario).
*
2. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 3 (trattenimento per la determinazione o la verifica dell'identita' e della cittadinanza dei richiedenti asilo).
*
3. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 4 (Disposizioni in materia di modalita' di esecuzione dell'espulsione).
*
4. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 9 (Disposizioni in materia di domanda reiterata e di domanda presentata alla frontiera).
*
5. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 10 (Procedimento immediato innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale).
*
6. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 12 (Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo).
*
7. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 13 (Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica).
*
8. Profili di manifesta illegittimita' costituzionale dell'art. 14 (disposizioni in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza).
*
9. L'irragionevole previsione dell'inclusione del reato di blocco stradale quale causa ostativa all'ingresso e soggiorno regolari.

5. MEMORIA. LUIGI CAJANI RICORDA VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA
[Dal sito dprs.uniroma1.it riprendiamo questa relazione di Luigi Cajani su Vittorio Emanuele Giuntella dal titolo originale "Vittorio Emanuele Giuntella, da testimone a storico dell'internamento", relazione presentata nel corso della Giornata di studi in memoria di Vittorio Emanuele Giuntella tenuta il 28 novembre 1997 presso l'Universita' di Roma "La Sapienza"]

"8 settembre 1943, mercoledi'
Alle 20 di sera la radio inaspettatamente dirama la notizia dell'armistizio. La nostra posizione diventa insostenibile. Infatti nella notte dopo una serie di visite del Colonnello tedesco Scharemberg, decisa dal Comando nostro la cessazione di ogni resistenza, si procede al disarmo delle nostre truppe" (1).
Cosi' scriveva nella sua agendina il tenente degli alpini Vittorio Emanuele Giuntella nella notte fra l'8 e il 9 settembre del '43. Si trovava a S. Lucia, vicino a Gorizia: iniziava li' per lui l'ultima fase della guerra, quella dell'internamento da parte dei tedeschi, che avrebbe influito profondamente sul suo futuro di storico.
Come in molti altri casi, dopo l'annuncio dell'armistizio i tedeschi ricorsero ad un abile inganno per prevenire la reazione dei militari italiani: promisero il rimpatrio in cambio della consegna delle armi. Il 12 settembre Giuntella sali' con gli altri commilitoni su un carro bestiame. Nessuna indicazione sulla destinazione: "Milano, Villach, Innsbruck?", annoto' Giuntella al momento della partenza. Dopo tre giorni di viaggio il treno entrava in Polonia, e l'inganno divenne palese.
Il primo campo di prigionia fu quello di Hohenstein, in Prussia orientale: "immenso, pieno di baracche, di filo spinato, di lumi e di riflettori", cosi' apparve a Giuntella. Lontano, oltre i reticolati, il mausoleo di Hindenburg. In questo campo vennero sbrigate le pratiche burocratiche: "Sono fotografato, inventoriato, numerato e mi prendono le impronte digitali", annotava Giuntella il 18 settembre. Venne immatricolato come Internato Militare Italiano col numero 52.
Questa qualifica, applicata impropriamente (2) a coloro che erano di fatto dei prigionieri di guerra, rifletteva la complicata situazione in cui si trovavano i militari italiani catturati dai tedeschi dopo l'armistizio. Due Stati infatti rivendicavano la sovranita' su di loro: il Regno d'Italia e la nuova Repubblica Sociale Italiana. Mussolini riteneva che lo status di prigionieri di guerra fosse incompatibile con il rapporto di alleanza che aveva ristabilito con la Germania, e contava fra l'altro di trovare fra i militari deportati in Germania un numero di fedeli tale almeno da ricostituire quattro divisioni (3). Speranza che venne cocentemente delusa, perche' degli oltre 600.000 internati solo 15.000 si dichiararono disposti a combattere per la Rsi (4).
Diversa era la posizione delle autorita' tedesche: fin dall'annuncio della destituzione di Mussolini, Hitler aveva tracciato le linee da seguire al momento della defezione dell'Italia, che considerava prossimo: disarmare i militari, selezionando subito fra di loro coloro ­ i fascisti convinti, pensava ­ che intendevano rimanere fedeli all'alleanza, per poi utilizzare tutti gli altri come lavoratori, di cui la Germania aveva sempre piu' bisogno. L'applicazione della figura giuridica dell'internato militare rispondeva pienamente a queste mire: gli internati militari, infatti, non rientravano fra le categorie protette dalla Convenzione di Ginevra del 1929, e quindi, a differenza dei prigionieri di guerra, potevano essere impiegati liberamente nelle attivita' proibite dalla Convenzione, in particolare nell'industria bellica. L'esclusione dalla Convenzione di Ginevra ebbe peraltro un'altra conseguenza molto grave per gli Internati Militari Italiani (Imi): cio' significava infatti che non godevano della tutela del Comite' International de la Croix-Rouge, che provvedeva all'assistenza alimentare dei prigionieri di guerra, e in particolare inviava loro ­ grazie soprattutto alla Croce Rossa statunitense ­ considerevoli quantita' di pacchi viveri, che erano indispensabili per affrontare la prigionia senza soffrire la fame, data la scarsita' delle razioni distribuite dai tedeschi. Il Comite', a dire il vero, si offri' ripetutamente di inviare viveri anche agli Imi, pur non avendo l'obbligo giuridico di tutelarli, e insiste' in tal senso fino agli ultimi momenti della guerra, ma il governo della Repubblica Sociale Italiana si oppose, giacche' per ragioni di prestigio non voleva che gli imi ricevessero pacchi di viveri provenienti, sia pure indirettamente, da uno Stato nemico, e dichiaro' che l'assistenza degli Imi era compito suo: un compito che pero' non ebbe la capacita' di svolgere. Pertanto gli Imi dipesero soltanto dai pacchi viveri che ricevevano da casa: un aiuto assai scarso e irregolare, e di cui comunque potevano beneficiare solo coloro che avevano parenti e amici nella zona occupata dai tedeschi, giacche' i collegamenti diretti con l'Italia in mano agli Alleati erano interrotti. La fame caratterizzo' dunque, e da subito, la prigionia degli Imi.
Giunti in Germania, i soldati e i sottufficiali italiani furono dunque rapidamente avviati al lavoro: solo sporadicamente, e solo all'inizio, venne rinnovata loro la proposta di aderire alla Rsi, per venire incontro ai desideri di Mussolini. Diverso fu invece il trattamento dei circa 30.000 ufficiali: vennero chiusi nei campi e nei loro confronti inizio' subito una martellante campagna per convincerli ad aderire in varie forme: dapprima arruolandosi in reparti della Milizia inquadrati nella Ss, nell'ottica, appunto, di selezionare i fascisti fedeli. Giuntella segnala una prima richiesta in tal senso gia' il 23 settembre, sempre nel campo di Hohenstein:
"Stamane hanno letto un riassunto degli avvenimenti degli ultimi tempi. Chiesto chi voleva andare a combattere nelle Ss e chi fosse inscritto nella Milizia".
Pochi giorni dopo la richiesta veniva rinnovata, nel nuovo campo di Doeblin:
"11 ottobre
Ci viene richiesto di rispondere per iscritto all'invito di entrare nelle Ss. Si risponde che gli ufficiali italiani hanno una sola parola. Poiche' a tale richiesta e' gia' stato risposto di no dalla quasi totalita', non intendiamo tornare sulle nostre decisioni".
Questa prima campagna di adesione falli' quasi totalmente e venne rapidamente abbandonata. Ad essa ne seguì subito una nuova, che proponeva l'arruolamento nell'esercito della Rsi: una prospettiva assai diversa da quella di combattere sotto comando tedesco, e che soprattutto dava la possibilita' di tornare in Italia. Questa possibilita' era tanto piu' allettante in quanto le condizioni di vita negli Oflag (i campi per ufficiali) si deterioravano rapidamente: fame e freddo cominciarono ben presto a farsi sentire ferocemente. Queste sofferenze erano un argomento che gli emissari repubblichini che venivano a tenere discorsi di propaganda non esitavano ad utilizzare come minaccioso strumento di pressione, mescolandolo a motivazioni piu' nobili. Ne e' una prova, fra tante, la relazione di un ufficiale che, dopo un iniziale rifiuto, fini' per aderire:
"Dopo averci letto una lettera dell'ambasciatore in Germania, Anfuso, a noi diretta, in cui si parlava della rinascita e della rivendicazione dell'onore dell'Italia quali obiettivi del nostro governo, il generale ci disse alcune parole: aderendo si aveva il trattamento del soldato e ufficiale tedesco che mangia bene ed e' ben pagato. Coloro che non avessero voluto aderire sarebbero stati oramai abbandonati al loro destino e avrebbero pensato la fame e l'inverno polacco a servirli. Questo discorso, fatto a gente che, affamata, scarsamente coperta, stava da piu' di un'ora all'aperto a parecchi gradi sotto zero, ebbe un effetto deleterio. Ci prese una tristezza e uno scoraggiamento infinito: ci si chiedeva di essere dei mercenari, perche' non della Patria ci si parlava, ma del soldo e del vitto. Non della fratellanza che sola in tanta sciagura avrebbe dovuto risollevare dal fango l'Italia, ma un italiano minacciava altri italiani di essere abbandonati al loro destino. La fame e l'inverno polacco avrebbero pensato ad eliminare dei fratelli. Anche chi come il sottoscritto era pronto ad aderire e non desiderava altro che ritornare uomo e soldato, sentì un moto di ribellione in se stesso" (5).
Circa il 75% degli ufficiali internati rifiuto' di aderire alla Rsi (6): si tratta di una percentuale molto alta e storicamente molto significativa per quanto riguarda la legittimazione e il consenso nei confronti della Rsi. Questo rifiuto divenne la chiave di lettura di tutta la vicenda degli Imi, che ne fecero la loro bandiera e il senso e il valore della loro esperienza come prigionieri dei tedeschi. Le motivazioni del rifiuto di aderire furono molteplici e fra loro variamente intrecciate: una grande importanza aveva il giuramento fatto al re, che portava a considerare legittimo il governo del Regno d'Italia e non quello della Rsi; e ancora il rifiuto della guerra fascista e dell'alleanza colla Germania nazista. Giuntella, scrivendo molti anni dopo sull'esperienza dell'internamento, metteva in luce la progressiva maturazione del rifiuto:
"In questo rifiuto alle proposte dei nazisti e dei fascisti ci sono alcuni motivi, che debbono essere precisati. E' il rifiuto di gente che la guerra l'ha fatta su tutti i fronti [...], che ha pagato di persona, dalla sciagurata campagna contro la Grecia alla disastrosa ritirata di Russia, ed ora non vuole continuare a fare la guerra dei fascisti e dei nazisti. L'amara esperienza dei frutti del fascismo fatta sulla propria pelle li porta a respingerlo come esperienza storica irrevocabilmente chiusa con il disastro e la vergogna. Se all'inizio non vi e' nella massa degli internati una chiara consapevolezza politica, perche' la fedelta' al governo legittimo e al giuramento e' per molti ancora il primo argomento, condiviso per ragioni contingenti anche dagli ufficiali di sentimenti repubblicani, vi e' pero' una coscienza comune che una generale risposta negativa al fascismo e al nazismo ha il significato politico di una rottura netta con il passato, e, percio', in definitiva di un plebiscito da parte di una generazione giovane, che non ha mai votato e che si trova a "votare" per la prima volta in un campo di concentramento per il fascismo o contro il fascismo, e che deve scegliere individualmente, mentre fino ad allora altri hanno segnato il suo destino e scelto al suo posto" (7).
Fondamentale fu l'opera di organizzazione della resistenza all'adesione, svolta nei vari Oflag da gruppi di ufficiali variamente motivati: "vi erano cattolici e protestanti ­ scrivera' Giuntella, che ne fece attivamente parte fin dall'inizio ­ per la prima volta riuniti contro lo spirito del male, contro il regno di Satana, che vedevano incarnato nel fascismo. Vi erano giovani, che avevano resistito alla devastazione ideologica del fascismo [...] e ve n'erano degli altri che il distacco dal regime l'avevano maturato a contatto con la tragica realta' della guerra [...] vi erano anziani che venivano dalla lunga resistenza al fascismo e portavano una piu' radicata coscienza politica" (8).
In qualche caso, come nel campo di Doeblin, per rinsaldare il morale venne celebrato il giuramento degli allievi ufficiali. Ma per lo piu' si tratto' di un continuo argomentare, un continuo sostenere gli incerti, contro le sollecitazioni ad aderire che spesso arrivavano con la posta da casa, contro la fame e il freddo, contro la paura di epidemie, che si sapeva aver fatto strage fra i prigionieri russi, in quegli stessi campi dove ora si trovavano gli italiani. Giuntella descrive efficacemente nel suo diario il clima di tensione e di agitazione collettiva in cui si trovano gli internati:
"21 dicembre 1943
Il generale d'aviazione Ferroni e il maggiore Vaccari, dell'esercito fascista, vengono nel campo a raccogliere adesioni. Vaccari tiene una pubblica concione, alla quale non assisto. L'atmosfera del campo e' stasera piu' che mai eccitata. Molti che speravano sul serio di poter tornare in Italia, anche senza aderire, in virtu' di un provvedimento collettivo [...] sono rimasti male a sentirsi dire che soltanto firmando la scheda di adesione si puo' tornare a casa. I piu' deboli sono in piena crisi.
22 dicembre 1943
Nel pomeriggio gli aderenti sono partiti dal campo, per le localita' della Germania dove saranno allestite le divisioni fasciste. [...] Intanto la crisi dei piu' deboli di spirito e' in pieno sviluppo. C'e' gente che in piena notte si sveglia e cerca e chiede carta e penna per firmare l'adesione; altri che dopo aver firmato vanno a furia a consegnarla al Comando tedesco per tema di doverci ripensare sopra".
Dove quest'opera di contropropaganda manco' o fu insufficiente, come nel caso, rimasto peraltro unico, dell'Oflag di Bia}a Podlaska, il morale degli Imi frano', sotto la spinta della fame, del freddo e della paura delle epidemie: in quel campo quasi tutti i 2.500 internati aderirono (9).
La propaganda per rifiutare l'adesione era resa piu' difficile dalla paura di rappresaglie tedesche: lo spettro di Katyn, di cui molti attribuivano la responsabilita' ai tedeschi e non ai sovietici, aleggiava di tanto in tanto, come riferisce Giuntella:
"3 gennaio 1944
Il Comando tedesco ha chiesto d'urgenza l'elenco dei non aderenti. Cio' ha fatto nascere il panico in coloro che in fondo ai loro riposti pensieri conservano l'incubo della fossa di Katin".
Egli venne anche a conoscenza di un'informazione ancora piu' spaventosa e angosciante, che tenne accuratamente segreta, per le conseguenze che avrebbe potuto avere sul morale dei compagni di prigionia:
"A Deblin Irena un tenente degli alpini aderi' immediatamente quando i tedeschi chiesero le prime adesioni. Lo rimproverai di avere aderito e lui mi disse: "Ho lavorato con mio padre nel villaggio di Mauthausen; nel campo di concentramento c'e' una camera a gas. Io aderisco perche' non voglio finire nella camera a gas"" (10).
La campagna per l'arruolamento nell'esercito di Salo' si concluse, di fronte a questo sostanziale fallimento e a causa dello scarso entusiasmo dei tedeschi, agli inizi del '44, e venne sostituita da un'altra, quella per il lavoro volontario in Germania. I tedeschi esitavano evidentemente a costringere degli ufficiali a lavorare, forse per una forma di rispetto della dignita' dei gradi o della Convenzione di Ginevra, che esentava gli ufficiali dal lavoro, e quindi volevano che essi accettassero di farlo: in cambio del lavoro promettevano un sostanziale miglioramento del vitto. Sebbene fosse moralmente meno impegnativo lavorare che combattere, in quanto non implicava il riconoscimento della Rsi, i nuclei di resistenza dei vari Oflag si batterono perche' non si cedesse neanche in questo ai tedeschi.
In alcuni campi l'opera di resistenza venne sostenuta anche dalla diffusione di notizie sull'andamento della guerra, ottenute grazie a radio clandestine costruite con mezzi di fortuna. Nel campo di Sandbostel, dove Giuntella venne trasferito il 16 marzo, si venne subito a sapere del successo dello sbarco in Normandia, e gli internati, assai imprudentemente, manifestarono la loro gioia riempiendo di barchette di carta una grande pozza fra le baracche, detta il laghetto.
Il braccio di ferro fra i tedeschi e gli ufficiali internati sulla questione del lavoro continuo' fino all'inizio del 1945. La battaglia di chi animava la resistenza contro questa forma di collaborazione si faceva sempre piu' difficile, perche' la fame diveniva sempre piu' atroce e insopportabile, quasi un'ossessione, e i decessi per esaurimento fisico e per malattie, in particolare la tubercolosi, si moltiplicavano. Coloro che cedevano erano sempre piu' numerosi. Agli inizi di febbraio i tedeschi decisero di tagliar corto e di non insistere oltre nell'ottenere un'adesione, e imposero a tutti il lavoro. Il 13 febbraio 1945, nel campo di Wietzendorf (dove si trovava dal 26 novembre del 1944), Giuntella annotava l'annuncio dell'inizio di questa nuova fase:
"Alle ore 10.30 adunata in teatro. Un capitano tedesco, aiutato da un interprete, ci spiega il punto di vista tedesco sulla questione del lavoro: gli accordi di Hitler e del Sig. Mussolini hanno fatto si' che decadesse l'applicazione nei nostri confronti delle norme protettrici delle convenzioni internazionali di Ginevra. Ergo tutti gli ufficiali italiani compresi quelli in spe, esclusi solo medici, cappellani, generali, superiori ai 60 anni, malati in via permanente saranno avviati al lavoro. Le opinioni politiche dei singoli non interessano al Comando tedesco".
Nonostante che l'obbligo di lavorare potesse essere una scappatoia dalla responsabilita' della scelta, i nuclei di resistenza del campo, animati dal fiduciario degli internati, il colonnello Pietro Testa, insistettero perche' non si cedesse all'imposizione e perche' nessuno compilasse, come richiesto dal Comando tedesco, la scheda in cui dichiarare la propria professione. E solo poco piu' di un centinaio di ufficiali, sui circa 5.000 presenti, compilo' la scheda. Il Comando tedesco comunico' allora che chi avesse continuato a rifiutarsi di lavorare sarebbe stato consegnato alla polizia: il che significava il campo di punizione. Poi, agli inizi di marzo, il braccio di ferro fini' e l'obbligo di lavorare venne revocato11: il tracollo della Germania era imminente. Giuntella raccontava che quegli ultimi giorni furono durissimi. Fame e freddo ricorrono insistentemente nei suoi appunti:
"28 febbraio
Sono estremamente debole. Non mi reggo in piedi. Mi fa male la testa e a stento riesco a leggere qualche rigo. Le mie mani non hanno piu' sangue. Quanta fame; quanta sofferenza".
Ma anche speranza, alimentata dalle notizie ­ sempre clandestine ­ sull'avvicinarsi del fronte: "14 marzo: Passato il Reno"; e il 3 aprile: "Sono vicini". La liberazione del campo si fece attendere ancora alcuni giorni, fra ordini e contrordini di evacuazione e rumori di combattimenti nelle vicinanze. Poi, il 16 aprile, arrivo' l'avanguardia angloamericana:
"Verso le 16.30 e' un gran correre all'ingresso del campo. E' arrivato un maggiore inglese in un'auto privata. I suoi carri sono fermi a 4 km. dal campo perche' un ponte sul fiume e' saltato in aria [...] l'atto finale della nostra tragedia: la liberazione. Un entusiasmo indescrivibile e' in tutti, ma muto e raccolto. Sembra impossibile essere liberi".
Il ritorno in Italia, dopo un'esperienza cosi' forte anche sul piano etico e politico, fu difficile, caratterizzato da una diffusa incomprensione del valore di una scelta antifascista in cui i protagonisti si riconoscevano. Giuntella ricordava spesso, come particolarmente significativo del clima nel quale si trovo' al ritorno, un episodio che gli capito' sul finire del 1945:
"Convocato al ministero della difesa mi sentii chiedere: "Lei ha dichiarato di non aver aderito alla Rsi e alle richieste di lavorare per i tedeschi. Perche' l'ha fatto?". Io credetti che per la prima volta qualcuno volesse elogiarmi! Spiegai le ragioni del mio rifiuto e il colonnello, che mi interrogava soggiunse: "Ma se lei avesse aderito alle richieste dei tedeschi non sarebbe stato trattato meglio?". "Certo ma" ed esposi le motivazioni della mia scelta, sempre convinto che l'altro si sarebbe commosso! A questo punto, invece, il colonnello disse: "Proprio non capisco". E finalmente capii io e gli risposi seccamente: "Che lei capisca, o no, non mi interessa" e lo lasciai in asso" (12).
Giuntella riconosceva in questo rifiuto di valorizzare il "no" degli internati militari le tracce di una volonta' di pacificazione rispetto a coloro che avevano aderito alla Rsi. "Per gli internati militari vi fu [...] ­ egli scrisse ­ la manifesta volonta' delle autorita' militari del tempo, o di una notevole parte di esse, quella che aveva accettato di servire la Rsi, di confondere tutto e tutti in una generica "pacificazione", invocata da quanti non volevano subire le conseguenze della loro trasgressione" (13).
Ben presto venne fondata l'Associazione nazionale ex internati, riconosciuta come Ente morale il 2 aprile 194814, che si distinse sia dalle associazioni di ex combattenti che da quelle partigiane, rivendicando la peculiarita' dell'esperienza fatta in Germania, che verra' efficacemente definita come "resistenza senz'armi". Questa scelta di autonomia fu peraltro fonte, nel clima della guerra fredda, di un certo isolamento e di molte incomprensioni. Giuntella ricordava che varie parti politiche "svolsero nei primi anni dopo la liberazione una vera azione di sabotaggio alla costituzione di nostre sezioni, anche in Roma" (15), e citava anche un caso di incomprensione che lo aveva particolarmente meravigliato, dato il personaggio che vi era stato coinvolto:
"A poca distanza di anni dagli eventi, il generale Cadorna, che era stato comandante del Corpo volontari della liberta' durante la Resistenza, si oppose in Senato all'approvazione del disegno di legge, che concedeva agli ex internati non aderenti la croce di guerra, accampando testualmente le dichiarazioni della radio della Rsi sull'ottimo trattamento ad essi riservato. Riuscii fuori dell'aula della commissione legislativa a spiegargli che era mal informato e debbo riconoscere che cambio' parere e me ne diede atto in piu' occasioni" (16).
L'impegno di Giuntella all'interno dell'Anei fu determinante per affermare all'esterno il senso antifascista del rifiuto di collaborare con i fascisti e con i tedeschi e per organizzare un'attivita' di ricerca storica che raccogliesse la memoria dell'internamento e collocasse quest'esperienza nel contesto generale dei rapporti tra la Germania e la Rsi. Fu proprio in occasione di un convegno di storici che maturo' la svolta nei rapporti fra le associazioni partigiane e l'Anei. Durante il Congresso internazionale della Resistenza tenuto a Karlovy Vary nel 1964, Giuntella incontro' Ferruccio Parri, al quale spiego' la vicenda degli internati militari, che egli non conosceva. Poco dopo Parri intervenne al Congresso nazionale dell'Anei, dove riconobbe il valore antifascista del rifiuto di collaborare manifestato dagli internati. Dopo di allora, le associazioni partigiane e gli istituti di storia della Resistenza fecero giungere sempre il loro saluto ai congressi dell'Anei (17). Nel 1964 Giuntella promosse anche la pubblicazione della rivista storica dell'anei, i "Quaderni del Centro di Studi sulla deportazione e l'internamento" (18). Questa rivista, che egli segui' costantemente, si caratterizzo' perche' non limitava l'attenzione alla vicenda degli Imi, ma affrontava i vari aspetti della politica di deportazione praticata dalla Germania nazista come strumento di potere. Una riflessione dalla quale sarebbe poi nato il volume Il nazismo e i lager (19). Sui "Quaderni" vennero pubblicati, oltre a saggi storici, documenti e numerose testimonianze, fra cui particolarmente importanti quelle sul campo di Dora (20); molta attenzione venne riservata agli zingari, verso i quali Giuntella nutriva un forte affetto; in un numero speciale, il quinto, pubblicato nel 1968, vennero pubblicati i risultati di un'inchiesta svolta fra gli associati dell'Anei per ricostruire le vicende dell'8 settembre. Da questa intensa attivita' nacquero altre iniziative, che contribuirono a ricostruire la storia dell'internamento: due volumi antologici di memorie, Il lungo inverno dei Lager (21), pubblicato nel 1973, e Resistenza senz'armi (22), del 1984, e due convegni scientifici tenuti a Firenze nel 1985 (23) e nel 1991 (24), il primo dedicato specificamente alla vicenda degli Imi, e il secondo alla storia di tutti i prigionieri in mano tedesca, come specchio di una ricerca internazionale ormai affermata.
A conclusione del volume che raccoglieva gli atti di quest'ultimo convegno, Giuntella tracciava un quadro del lavoro di ricerca che aveva promosso e di cui era stato protagonista, e ribadiva il valore antifascista della scelta di non aderire con queste parole che ben sintetizzano il messaggio da lui dato con passione ai suoi studenti e ai suoi amici:
"Il Lager degli italiani non fu un universo di vinti e di affamati; fu un mondo di resistenti, che prese su di se' la dignita' e l'onore di un Paese, che aveva assistito al crollo di ogni autorita' militare e civile, e lotto' in condizioni, che non e' esagerato dire eroiche. Fu la presa di coscienza di un gruppo di italiani, che nella maggior parte aveva avuto come sola esperienza politica quella del fascismo, ma che aveva valutato direttamente e sulla propria pelle i disastri della guerra fascista, che l'imbelle retorica dei suoi gerarchi non poteva piu' nascondere. Nel Lager avvenne un fatto anomalo. Proprio li', in un mondo dove era preclusa ogni volonta' ed ogni scelta personale, fu chiesto agli italiani per la prima volta di esprimere individualmente una adesione, o un rifiuto, e si pronunciarono in massa per il rifiuto [...]. Nella storia degli italiani e' uno dei rarissimi casi di una decisione collettiva presa con piena consapevolezza del rischio di morte, che comportava [...]. Una resistenza disarmata, ma non inerme e inefficace, significativa soprattutto come affermazione di valori morali, che sono sempre da difendere, anche quando tutto il resto e' perduto" (25).
*
Note
1. Questa citazione, come le altre simili, e' tratta da vari diari manoscritti di proprieta' della famiglia Giuntella.
2. La figura giuridica dell'internato militare esisteva gia' nel diritto internazionale, e indicava quei militari di paesi belligeranti i quali, trovandosi in un paese neutro, venivano disarmati e posti sotto custodia dalle autorita' di quest'ultimo, affinche' non potessero intraprendere azioni belliche (cfr. R. Socini Leyendecker, Aspetti giuridici dell'internamento, in I militari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, Atti del convegno di studi storici promosso a Firenze il 14 e il 15 novembre 1985 dall'Associazione nazionale ex internati nel 40 anniversario della liberazione, a cura di N. Della Santa, Giunti, Firenze 1986, pp. 134-53).
3. Mussolini, nell'ottobre-novembre del 1943, insistette molto perche', attraverso un'adeguata propaganda, venisse reclutato un nuovo esercito repubblicano fra i militari rinchiusi nei Lager. In un colloquio telefonico con Keitel, il 13 novembre, egli affermo' orgogliosamente: "Io mi sentirei disonorato, se fra tanti internati non si trovassero 50.000 volontari per costituire queste quattro divisioni". "Non posso entrare in merito a ragioni politiche ­ replico' Keitel ­ e ne riferiro' quindi immediatamente al Fuehrer. Debbo pero' dire che gli internati non li vogliamo noi per ragioni militari e percio' dal punto di vista militare, se il mio parere sara' richiesto, daro' al Fuehrer parere negativo" (E. Canevari, Graziani mi ha detto, Magi-Spinetti, Roma 1947, p. 298).
4. Cfr. G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich. Traditi, disprezzati, dimenticati, Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio storico, Roma 1992 (versione originale Die italienischen Militaerinternierten im deutschen Machtebereich 1943-1945, verraten, verachtet, vergessen, R. Oldenbourg Verlag, Muenchen 1990), p. 454.
5. Gli internati militari in Germania nella relazione di un ufficiale della Repubblica di Salo', in "Il Movimento di liberazione in Italia", n. 21 (nov. 1952), p. 24, cit. in V. E. Giuntella, Il Nazismo e i Lager, Edizioni Studium, Roma 1979, p. 110.
6. Cfr. G. Rochat, Memorialistica e storiografia sull'internamento, in I militari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, cit., pp. 23-69, qui p. 36.
7. Giuntella, Il Nazismo e i Lager, cit., p. 112.
8. Ivi, p. 114.
9. Cfr. L. Cajani, Appunti per una storia degli Internati Militari Italiani in mano tedesca (1943-1945) attraverso le fonti d'archivio, in I militari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, cit., pp. 81-119, qui p. 93.
10. V. E. Giuntella, Memoria storica e dovere della testimonianza, in Il dovere di testimoniare, Atti del convegno, Torino 28-29 ottobre 1983, Consiglio regionale del Piemonte, Torino 1984, pp. 130-40, qui p. 130.
11. Cfr. P. Testa, Wietzendorf, Centro di Studi sulla deportazione e l'Internamento, Roma 1973, p. 236.
12. V. E. Giuntella, L'Associazione Nazionale ex Internati e la memoria storica dell'internamento, in I militari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943. Atti del convegno di studi storici promosso a Firenze il 14 e 15 novembre 1985 dall'Associazione nazionale ex internati nel 40° anniversario della liberazione, Relazioni, interventi, tavola rotonda, bibliografia, a cura di N. Della Santa, Giunti, Firenze 1986, pp. 70-6, qui p. 71.
13. V. E. Giuntella, I giovani e la memoria storica della deportazione, in Consiglio regionale del Piemonte-Aned, Storia vissuta, Atti del Convegno internazionale, Torino, 21-22 novembre 1986, Milano 1988, pp. 134-45, cit. in Consiglio regionale del Piemonte-Aned-Centro studi Amici del Triangolo Rosso, Vittorio Emanuele Giuntella: lo storico, il testimone, a cura di M. Anastasia, Franco Angeli, Milano 1999, pp. 46 ss.
14. Cfr. N. Labanca, La memoria ufficiale dell'internamento militare. Tempi e forme, in Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945), a cura di N. Labanca, Le Lettere, Firenze 1992, pp. 269-99, qui p. 277.
15. Giuntella, L'Associazione Nazionale ex Internati e la memoria storica dell'internamento, cit., p. 72.
16. Ivi, p. 71.
17. Cfr. Labanca, La memoria ufficiale, cit., p. 296.
18. I primi 5 numeri sono usciti con cadenza annuale, poi sempre piu' irregolarmente, fino all'ultimo, il tredicesimo, pubblicato nel 1995.
19. V. E. Giuntella, Il nazismo e i lager, Studium, Roma 1979.
20. Si vedano Testimonianze sul campo di Dora, in "Quaderni del Centro di studi sulla deportazione e l'internamento", III (1966), pp. 36-46, e il dossier di documenti e testimonianze pubblicato nel numero X (1978-1982), alle pp. 39-64.
21. A cura di P. Piasenti, La Nuova Italia, Firenze.
22. Associazione nazionale ex internati, Resistenza senz'armi. Un capitolo di storia italiana (1943-1945) dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, prefazione di L. Amadei, Le Monnier, Firenze 1988(2).
23. Cfr. I militari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, cit.
24. Cfr. Fra sterminio e sfruttamento, cit.
25. Giuntella, Considerazioni finali, in Fra sterminio e sfruttamento, cit., pp. 345-50, qui p. 350.

==================================
LA NONVIOLENZA CONTRO IL RAZZISMO
==================================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XIX)
Numero 117 del 15 dicembre 2018
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
*
Nuova informativa sulla privacy
E' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy a questo indirizzo: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
Per non ricevere piu' il notiziario e' sufficiente recarsi in questa pagina: https://lists.peacelink.it/sympa/signoff/nonviolenza
Per iscriversi al notiziario l'indirizzo e' https://lists.peacelink.it/sympa/subscribe/nonviolenza
*
L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e' centropacevt at gmail.com