[Nonviolenza] Telegrammi. 3132



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3132 del 20 luglio 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Sommario di questo numero:
1. Un appello alla popolazione italiana: insorgere contro la strage
2. Prosegue il digiuno di giustizia in solidarieta' con i migranti
3. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
4. L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari
5. Al Presidente della Repubblica: una segnalazione e un quesito
6. "Sicut lex obligat". Una seconda lettera aperta ad alcuni pubblici ufficiali che segnala gravi reati
7. Jean Giono: L'uomo che piantava gli alberi
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. REPETITA IIUVANT. UN APPELLO ALLA POPOLAZIONE ITALIANA: INSORGERE CONTRO LA STRAGE

Chiediamo le immediate dimissioni del governo della disumanita'.
Chiediamo che siano processati i ministri criminali.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Siano soccorsi e tratti in salvo tutti i naufraghi.
L'omissione di soccorso e' omicida.
Salvare le vite e' il primo dovere.
L'Italia e' una repubblica democratica, uno stato di diritto, un paese civile.
L'Italia non e' un regime fascista, razzista, assassino.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Insorga il popolo italiano, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, per ripristinare il rispetto della legalita' che salva le vite.
Insorga il popolo italiano, con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza, in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chiediamo le immediate dimissioni del governo della disumanita'.
Chiediamo che siano processati i ministri criminali.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. INIZIATIVE. PROSEGUE IL DIGIUNO DI GIUSTIZIA IN SOLIDARIETA' CON I MIGRANTI
[Riceviamo, diffondiamo e aderiamo]

A tutti gli uomini e le donne di buona volonta'
Martedi' 10 luglio 2018 alle ore 12 ci ritroviamo a Roma, in piazza San Pietro, per una giornata di digiuno. Da li' proseguiremo a Montecitorio per testimoniare con il digiuno contro le politiche migratorie di questo governo. E continueremo a digiunare per altri 10 giorni con un presidio davanti a Montecitorio dalle ore 8 alle 14.
Per adesioni al digiuno e partecipazione scrivere a questa email: digiunodigiustizia at hotmail.com
"Avete mai pianto, quando avete visto affondare un barcone di migranti?", cosi' Papa Francesco ci interpellava durante la messa da lui celebrata a Lampedusa per le 33.000 vittime accertate (secondo il giornale inglese "Guardian" che ne ha pubblicato i nomi) perite nel Mediterraneo per le politiche restrittive della "Fortezza Europa".
E' il naufragio dei migranti, dei poveri, dei disperati, ma e' anche il naufragio dell'Europa, e dei suoi ideali di essere la "patria dei diritti umani". La Carta dell'Unione Europea afferma: "La dignita' umana e' inviolabile. Essa deve essere rispettata".
E' un crimine contro l'umanita', un'umanita' impoverita e disperata, perpetrato dall'opulenta Europa che rifiuta chi bussa alla sua porta.
Un rifiuto che e' diventato ancora piu' brutale con lo scorso vertice dell'Unione Europea in cui i capi di governo hanno deciso una politica di non accoglienza. Anche l'Italia decide ora di non accogliere, di chiudere i porti alle navi delle Organizzazioni non governative ed affida invece tale compito alla Guardia Costiera libica, che se salvera' i migranti, li riportera' nell'inferno che e' la Libia. Perfino la Commissione Europea ha detto: "Non riportate i profughi in Libia, li' ci sono condizioni inumane".
Per questo stiamo di nuovo assistendo a continui naufragi. L'Onu parla di oltre mille morti in questi mesi.
Papa Francesco ha fatto sue le parole dell'arcivescovo Ieronymos di Grecia pronunciate nel campo profughi di Lesbo: "Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi, e' in grado di riconoscere immediatamente la bancarotta dell'umanita'".
E' il sangue degli impoveriti, degli ultimi, che interpella tutti noi, in particolare noi cristiani che saremo giudicati su: "Ero straniero... e non mi avete accolto". Noi chiediamo a tutti i credenti di reagire, di gridare il proprio dissenso davanti a queste politiche disumane.
Noi proponiamo un piccolo segno visibile, pubblico: un digiuno a staffetta con un presidio davanti al Parlamento italiano per dire che non possiamo accettare questa politica delle porte chiuse che provoca la morte nel deserto e nel Mediterraneo di migliaia di migranti.
"Il digiuno che voglio - dice il profeta Isaia in nome di Dio - non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?".
padre Alex Zanotelli, a nome dei missionari comboniani
mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta
don Alessandro Santoro, a nome della Comunita' delle Piagge di Firenze
suor Rita Giaretta, Casa Ruth, Caserta
padre Giorgio Ghezzi, religioso sacramentino
"La Comunita' del Sacro Convento aderisce e partecipa nella preghiera" e' quanto riferisce padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi

3. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

4. REPETITA IUVANT. L'ITALIA SOTTOSCRIVA E RATIFICHI IL TRATTATO ONU PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

L'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. REPETITA IUVANT. AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: UNA SEGNALAZIONE E UN QUESITO

Al Presidente della Repubblica italiana
Oggetto: una segnalazione e un quesito
Egregio Presidente della Repubblica,
credo che lei come ogni persona ragionevole sia indignato e crucciato per quanto sta accadendo in questi giorni: un ministro che annuncia una schedatura razzista palesemente incostituzionale; il governo italiano che rifiuta di accogliere i superstiti di naufragi e scatena una campagna di aggressione contro i soccorritori; ministri della Repubblica diuturnamente impegnati in una ripugnante, criminale, ossessiva propaganda di menzogne, di diffamazioni e di odio razzista.
Come tante altre persone (la reale maggioranza del popolo italiano, poiche' il governo dell'estrema destra razzista ha si' a suo sostegno la maggioranza effettiva dei seggi in Parlamento, ma non ha affatto la maggioranza reale dei voti di chi vive in Italia) anch'io la prego di intervenire, nelle forme e nei modi previsti dall'ordinamento, in difesa di tante vite innocenti in grave pericolo, in difesa della legalita' e della democrazia, in difesa della Costituzione della Repubblica di cui e' supremo garante.
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Egregio Presidente della Repubblica,
mi permetta inoltre di porle il seguente quesito.
Tra i ministri che alcune settimane fa hanno giurato nelle sue mani fedelta' alla Costituzione della Repubblica ve ne sono alcuni che nella loro propaganda e nel loro programma avevano gia' precedentemente esplicitamente annunciato la volonta' di realizzare persecuzioni razziste e religiose in evidente, flagrante violazione della Costituzione.
Questi stessi ministri, una volta ottenuta la fiducia del Parlamento, hanno subito iniziato a mettere in pratica quanto avevano precedentemente pubblicamente e reiteratamente annunciato dando evidente esecuzione al dichiarato disegno criminoso.
Questi stessi ministri in queste poche settimane hanno gia' commesso flagranti reati ed hanno ripetutamente annunciato l'intenzione di commetterne degli altri in esplicita violazione della Costituzione.
Il quesito che le pongo e' il seguente: poiche' all'atto di giurare fedelta' alla Costituzione questi signori avevano gia' manifestato l'intenzione di violarla, cio' non e' motivo di invalidita' del giuramento reso?
E non implica quindi che il governo attuale, perlomeno nelle persone di alcuni suoi ministri (che peraltro di esso effettualmente sono, ancor piu' che magna pars, maestri e donni), sia in carica illegittimamente?
E non e' necessario che ai ministri rivelatisi ab origine palesemente spergiuri, mendaci, fraudolenti e quindi traditori dell'impegno giurato nelle sue mani siano imposte immediate dimissioni e nei loro confronti si avvii un procedimento giudiziario ai sensi delle leggi vigenti?
Le pongo questo quesito in tutta la sua gravita', con vivissima preoccupazione per l'operato delittuoso e fin disumano del governo e segnatamente di alcuni ministri che non fanno mistero di essere gli effettuali padroni dell'esecutivo nonche' i caporioni dell'estrema destra razzista.
Ringraziandola per l'attenzione ed augurandole ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 30 giugno 2018

6. REPETITA IUVANT. "SICUT LEX OBLIGAT". UNA SECONDA LETTERA APERTA AD ALCUNI PUBBLICI UFFICIALI CHE SEGNALA GRAVI REATI

Al Prefetto di Viterbo
al Questore di Viterbo
al Presidente del Tribunale di Viterbo
e per conoscenza:
al Presidente della Repubblica
alla Presidente del Senato della Repubblica
al Presidente della Camera dei Deputati
Oggetto: una seconda lettera aperta al Prefetto, al Questore ed al Presidente del Tribunale di Viterbo recante la segnalazione di gravi reati commessi e annunciati da personaggi che hanno responsabilita' di governo
Egregio Prefetto,
egregio Questore,
egregio Presidente del Tribunale,
vi scrivo nuovamente, facendo seguito alla mia precedente lettera aperta a voi medesimi indirizzata il 21 giugno 2018, che ad ogni buon fine allego in calce alla presente.
E vi scrivo per segnalarvi quanto segue:
I. che il ministro dell'Interno persiste tuttora, come da anni, in dichiarazioni che si configurano come una propaganda che istiga all'odio razziale, reato previsto e punito dalle leggi vigenti;
II. che lo stesso ministro dell'Interno persiste nel dichiarare la volonta' di procedere ad azioni contro i beni e i diritti delle persone rom, e finanche ad una loro schedatura etnica nonostante che autorevolissime personalita' istituzionali lo abbiano reso edotto che tale misura e' palesemente incostituzionale;
III. che il governo in almeno due specifiche circostanze ha rifiutato di accogliere nei porti italiani imbarcazioni che ospitavano naufraghi soccorsi in mare, con tale rifiuto violando fondamentali norme morali e giuridiche universalmente riconosciute;
IV. che il governo ha condotto nei giorni scorsi una vera e propria campagna di diffamazione, minaccia e aggressione nei confronti di organizzazioni non governative che stanno salvando vite umane in mare: con questa immorale e brutale campagna ostacolando la loro attivita' di salvataggio, e quindi mettendo ancor piu' in pericolo le vite di numerosi innocenti a rischio di naufragio nel Mediterraneo che le organizzazioni non governative si sforzano di trarre in salvo;
V. che non solo nella propaganda delle forze politiche che lo compongono, ma finanche nel suo dichiarato programma di governo, l'attuale esecutivo annuncia e prevede iniziative che si configurano come vere e proprie violazioni dei diritti umani, atti di omissione di soccorso, atti di persecuzione razzista, atti di persecuzione religiosa, flagranti violazioni di norme di legge vigenti e finanche della Costituzione della Repubblica italiana.
Egregio Prefetto,
egregio Questore,
egregio Presidente del Tribunale,
con la presente lettera aperta vi si segnala tutto quanto precede, e che palesemente costituisce "notitia criminis", affinche' in quanto pubblici ufficiali procediate (sicut lex obligat) a promuovere la necessaria azione giudiziaria per far cessare la commissione di reati e punirne ai sensi di legge i responsabili.
L'Italia e' una repubblica democratica, uno stato di diritto, un paese civile: salvare le vite e' il primo dovere.
Augurandovi ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 29 giugno 2018
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Allegato: testo della lettera del 21 giugno 2018
Al Prefetto di Viterbo
al Questore di Viterbo
al Presidente del Tribunale di Viterbo
e per conoscenza:
al Presidente della Repubblica
alla Presidente del Senato della Repubblica
al Presidente della Camera dei Deputati
Oggetto: una lettera aperta al Prefetto, al Questore ed al Presidente del Tribunale di Viterbo recante la segnalazione di gravi reati commessi e annunciati dal ministro dell'Interno che oggi sara' a Viterbo, reati tali per cui lo stesso dovrebbe dimettersi immediatamente dal suo incarico e nei suoi confronti dovrebbe essere avviata un'azione giudiziaria ai sensi delle leggi vigenti.
Egregio Prefetto,
egregio Questore,
egregio Presidente del Tribunale,
i mezzi d'informazione annunciano che oggi il ministro dell'Interno pro tempore sara' a Viterbo per un'iniziativa di propaganda elettorale.
Segnalo a voi, autorevoli pubblici ufficiali, la seguente notitia criminis.
Il ministro dell'Interno ha commesso gravi reati ed altri ha annunciato di volerne commettere; essi sono:
1. istigazione all'odio razziale attraverso una pluriennale campagna di propaganda razzista;
2. omissione di soccorso avendo proibito l'approdo nei porti italiani di una nave che recava naufraghi raccolti in mare in operazioni coordinate dalla Guardia costiera italiana;
3. intenzione di effettuare una schedatura etnica dei rom e sinti presenti in Italia, misura la cui flagrante incostituzionalita' e' stata dichiarata dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri di cui il ministro dell'Interno e' magna pars ed effettuale dominus;
4. enunciazione della volonta' di effettuare atti di umiliazione, vessazione e persecuzione razzista e religiosa, come esplicitato in reiterate dichiarazioni e nello stesso programma di governo.
Egregio Prefetto,
egregio Questore,
egregio Presidente del Tribunale,
poiche' il nostro e' un paese civile, uno stato di diritto, un ordinamento giuridico democratico, il ministro dell'Interno che cosi' caratterizza la sua azione di governo, in palese conflitto con i valori e i principi della Costituzione della Repubblica italiana, in palese conflitto con le norme di legge in Italia vigenti, ha il dovere di dimettersi immediatamente; e tutti i pubblici ufficiali cui giunge la notitia criminis contenuta in questa lettera aperta hanno il dovere di promuovere un'azione giudiziaria nei suoi confronti.
Augurandovi ogni bene,
Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 21 giugno 2018

7. TESTI. JEAN GIONO: L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI
[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo che abbiamo ripreso dal sito www.minerva.unito.it E' il testo integrale di Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, nella traduzione di Luigi Spagnol, Salani, Milano 1996, 2010.
Jean Giono (1895-1970) e' stato un grande scrittore francese, e una persona saggia]

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza.
Questa regione e' delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drome, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drome e una piccola enclave della Valchiusa.
Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine. L'unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica.
Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e, dopo tre giorni di marcia, mi ritrovavo in mezzo a una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato. Non avevo piu' acqua dal giorno prima e avevo necessita' di trovarne. Quell'agglomerato di case, benche' in rovina, simile a un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo. C'era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case, senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa.
Era una bella giornata di giugno, molto assolata ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo, il vento soffiava con brutalita' insopportabile. I suoi ruggiti nelle carcasse delle case erano quelli d'una belva molestata durante il pasto.
Dovetti riprendere la marcia. Cinque ore piu' tardi non avevo ancora trovato acqua e nulla mi dava speranza di trovarne. Dappertutto la stessa aridita', le stesse erbacce legnose. Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. La presi per il tronco d'un albero solitario. A ogni modo mi avvicinai. Era un pastore. Una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui.
Mi fece bere dalla sua borraccia e, poco piu' tardi, mi porto' nel suo ovile, in una ondulazione del pianoro. Tirava su l'acqua, ottima, da un foro naturale, molto profondo, al di sopra del quale aveva installato un rudimentale verricello.
L'uomo parlava poco, com'e' nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di se' e confidente in quella sicurezza. Era una presenza insolita in quella regione spogliata di tutto. Non abitava in una capanna ma in una vera casa di pietra, ed era evidente come il suo lavoro personale avesse rappezzato la rovina che aveva trovato al suo arrivo. Il tetto era solido e stagno. Il vento che lo batteva faceva sulle tegole il rumore del mare sulla spiaggia.
La casa era in ordine, i piatti lavati, il pavimento di legno spazzato, il fucile ingrassato; la minestra bolliva sul fuoco. Notai che l'uomo era rasato di fresco, che tutti i suoi bottoni erano solidamente cuciti, che i suoi vestiti erano rammendati con la cura minuziosa che rende i rammendi invisibili.
Divise con me la minestra e, quando gli offrii la borsa del tabacco, mi rispose che non fumava. Il suo cane, silenzioso come lui, era affettuoso senza bassezza.
Era rimasto subito inteso che avrei passato la notte da lui; il villaggio piu' vicino era a piu' di un giorno e mezzo di cammino. E, oltretutto, conoscevo perfettamente il carattere dei rari villaggi di quella regione. Ce ne sono quattro o cinque sparsi lontani gli uni dagli altri sulle pendici di quelle cime, nei boschi di querce al fondo estremo delle strade carrozzabili.
Sono abitati da boscaioli che producono carbone di legno. Sono posti dove si vive male. Le famiglie, serrate l'una contro l'altra in quel clima di una rudezza eccessiva, d'estate come d'inverno, esasperano il proprio egoismo sotto vuoto. L'ambizione irragionevole si sviluppa senza misura, nel desiderio di sfuggire a quei luoghi.
Gli uomini portano il carbone in citta' con i camion, poi tornano. Le piu' solide qualita' scricchiolano sotto questa perpetua doccia scozzese. Le donne covano rancori. C'e' concorrenza su tutto, per la vendita del carbone come per il banco di chiesa, per le virtu' che lottano tra di loro, per i vizi che lottano tra di loro e per il miscuglio dei vizi e delle virtu', senza posa. Per sovrappiu', il vento altrettanto senza posa irrita i nervi. Ci sono epidemie di suicidi e numerosi casi di follia, quasi sempre assassina.
Il pastore che non fumava prese un sacco e rovescio' sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l'una dopo l'altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Io fumavo la pipa. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti, vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Cosi' facendo elimino' ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiche' li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a se' cento ghiande perfette, si fermo' e andammo a dormire.
La societa' di quell'uomo dava pace. Gli domandai l'indomani il permesso di riposarmi per l'intera giornata da lui. Lo trovo' del tutto naturale o, piu' esattamente, mi diede l'impressione che nulla potesse disturbarlo. Quel riposo non mi era affatto necessario, ma ero intrigato e ne volevo sapere di piu'. Il pastore fece uscire il suo gregge e lo porto' al pascolo. Prima di uscire, bagno' in un secchio d'acqua il sacco in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate.
Notai che in guisa di bastone portava un'asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un metro e mezzo. Feci mostra di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada parallela alla sua. Il pascolo delle bestie era in un avvallamento. Lascio' il piccolo gregge in guardia al cane e sali' verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m'invito' ad accompagnarlo se non avevo di meglio. Andava a duecento metri da li', piu' a monte. Arrivato dove desiderava, comincio' a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva cosi' un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprieta' di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Pianto' cosi' le cento ghiande con estrema cura.
Dopo il pranzo di mezzogiorno ricomincio' a scegliere le ghiande. Misi, credo, sufficiente insistenza nelle mie domande, perche' mi rispose. Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la meta', a causa dei roditori o di tutto quel che c'e' di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c'era nulla.
Fu a quel momento che mi interessai dell'eta' di quell'uomo. Aveva evidentemente piu' di cinquant'anni. Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzeard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita.
Aveva perso il figlio unico, poi la moglie. S'era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza d'alberi. Aggiunse che, non avendo altre occupazioni piu' importanti, s'era risolto a rimediare a quello stato di cose.
Poiche' conducevo anch'io in quel momento, malgrado la giovane eta', una vita solitaria, sapevo toccare con delicatezza l'anima dei solitari. Tuttavia, commisi un errore. La mia giovane eta', appunto, mi portava a immaginare l'avvenire in funzione di me stesso e di una qual certa ricerca di felicita'. Dissi che nel giro di trent'anni quelle diecimila querce sarebbero state magnifiche. Mi rispose con gran semplicita' che, se Dio gli avesse prestato la vita, nel giro di trent'anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare.
Stava gia' studiando, d'altra parte, la riproduzione dei faggi e aveva accanto alla casa un vivaio generato dalle faggine. I soggetti, che aveva protetto dalle pecore con una barriera di rete metallica, erano di grande bellezza. Pensava inoltre alle betulle per i terreni dove, mi diceva, una certa umidita' dormiva a qualche metro dalla superficie del suolo.
Ci separammo il giorno dopo.
*
L'anno seguente ci fu la guerra del '14, che mi impegno' per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verita', la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l'avevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata.
Finita la guerra mi trovai con un'indennita' di congedo minuscola ma con il grande desiderio di respirare un poco d'aria pura. Senza idee preconcette, quindi, tranne quella, ripresi la strada di quelle contrade deserte.
Il paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Dalla vigilia m'ero rimesso a pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce, mi dicevo, occupano davvero un grande spazio.
Avevo visto morire troppa gente in cinque anni per non immaginarmi facilmente anche la morte di Elzeard Bouffier, tanto piu' che, quando si ha vent'anni, si considerano le persone di cinquanta come dei vecchi a cui resta soltanto da morire. Non era morto. Gli erano rimaste solo quattro pecore ma, in cambio, possedeva un centinaio di alveari. Si era sbarazzato delle bestie che mettevano in pericolo i suoi alberi. Perche', mi disse (e lo constatai), non s'era per nulla curato della guerra. Aveva continuato imperturbabilmente a piantare.
Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano piu' alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiche' lui non parlava, passammo l'intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.
Aveva seguito la sua idea, e i faggi che mi arrivavano alle spalle, sparsi a perdita d'occhio, ne erano la prova. Le querce erano fitte e avevano passato l'eta' in cui potevano essere alla merce' dei roditori; quanto ai disegni della Provvidenza stessa per distruggere l'opera creata, avrebbe dovuto ormai ricorrere ai cicloni. Bouffier mi mostro' dei mirabili boschetti di betulle che datavano a cinque anni prima, cioe' al 1915, l'epoca in cui io combattevo a Verdun. Le aveva piantate in tutti i terreni dove sospettava, a ragione, che ci fosse umidita' quasi a fior di terra. Erano tenere come delle adolescenti e molto decise.
Il processo aveva l'aria, d'altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice. Ma, ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere dell'acqua in ruscelli che, a memoria d'uomo, erano sempre stati secchi. Era la piu' straordinaria forma di reazione che abbia mai avuto modo di vedere. Quei ruscelli avevano gia' portato dell'acqua, in tempi molto antichi.
Alcuni dei tristi villaggi di cui ho parlato all'inizio del mio racconto sorgevano su siti di antichi villaggi gallo-romani di cui restavano ancora vestigia nelle quali gli archeologi avevano scavato trovando ami in posti dove nel ventesimo secolo si doveva far ricorso alle cisterne per avere un po' d'acqua.
Anche il vento disperdeva certi semi. Con l'acqua erano riapparsi anche i salici, i giunchi, i prati, i giardini i fiori e una certa ragione di vivere.
Ma la trasformazione avveniva cosi' lentamente che entrava nell'abitudine senza provocare stupore. I cacciatori che salivano in quelle solitudini seguendo le lepri o i cinghiali s'erano accorti del rigoglio di alberelli, ma l'avevano messo in conto alle malizie naturali della terra. Percio' nessuno disturbava l'opera di quell'uomo. Se l'avessero sospettato, l'avrebbero ostacolato. Era insospettabile. Chi avrebbe potuto immaginare, nei villaggi e nelle amministrazioni, una tale ostinazione nella piu' magnifica generosita'?
A partire dal 1920 non ho mai passato piu' d'un anno senza andare trovare Elzeard Bouffier. Non l'ho mai visto cedere ne' dubitare. Eppure, Dio solo sa di averlo messo alla prova! Non ho fatto il conto delle sue delusioni. E' facile immaginarsi tuttavia che, per una simile riuscita, sia stato necessario vincere le avversita'; che, per assicurare la vittoria di tanta passione, sia stato necessario lottare contro lo sconforto. Bouffier aveva piantato, un anno, piu' di diecimila aceri. Morirono tutti. L'anno dopo abbandono' gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce.
Per farsi un'idea piu' precisa di quell'eccezionale carattere, non bisogna dimenticare che operava in una solitudine totale; al punto che, verso la fine della vita, aveva perso del tutto l'abitudine a parlare. O, forse, non ne vedeva la necessita'.
Nel 1933 ricevette la visita di una guardia forestale sbalordita. Il funzionario gli intimo' l'ordine di non accendere fuochi all'aperto, per non mettere in pericolo la crescita di quella foresta naturale. Era la prima volta, gli spiego' quell'uomo ingenuo, che si vedeva una foresta spuntare da sola. A quell'epoca Bouffier andava a piantare faggi a dodici chilometri da casa. Per evitare il viaggio di andata e ritorno, poiche' aveva ormai settantacinque anni, stava considerando la possibilita' di costruirsi una casupola di pietra sul luogo stesso dove piantava. Cio' che fece l'anno seguente.
Nel 1935 una vera e propria delegazione governativa venne a esaminare la foresta naturale. C'erano un pezzo grosso delle Acque e Foreste, un deputato, dei tecnici. Fu deciso di fare qualcosa e, fortunatamente, non si fece nulla, tranne l'unica cosa utile: mettere la foresta sotto la tutela dello Stato e proibire che si venisse a farne carbone. Perche' era impossibile non restare soggiogati dalla bellezza di quei giovani alberi in piena salute. Esercito' il proprio potere di seduzione persino sul deputato.
Un capitano forestale mio amico faceva parte della delegazione. Gli spiegai il mistero. Un giorno della settimana seguente andammo insieme a cercare Elzeard Bouffier. Lo trovammo in pieno lavoro, a venti chilometri da dove aveva avuto luogo l'ispezione.
Quel capitano forestale non era mio amico per nulla. Conosceva il valore delle cose. Seppe restare in silenzio. Offrii le uova che avevo portato in regalo. Dividemmo il nostro spuntino in tre e restammo qualche ora nella muta contemplazione del paesaggio.
La costa che avevamo percorso era coperta d'alberi che andavano da sei a otto metri di altezza. Mi ricordavo l'aspetto di quelle terre nel 1913, il deserto... Il lavoro calmo e regolare, l'aria viva d'altura, la frugalita' e soprattutto la serenita' dell'anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne. Era un atleta di Dio. Mi domandavo quanti altri ettari avrebbe coperto d'alberi.
Prima di partire il mio amico azzardo' soltanto qualche suggerimento a proposito di certe essenze alle quali il terreno sembrava adattarsi. Non insistette. "Per la semplice ragione", mi spiego' poi, "che quel signore ne sa piu' di me". Dopo un'ora di cammino, dopo che l'idea aveva progredito in lui, aggiunse: "Ne sa piu' di tutti. Ha trovato un bel modo di essere felice!".
E' grazie a quel capitano che, non solo la foresta, ma anche la felicita' di quell'uomo, furono protette. Fece nominare tre guardie forestali per quella protezione e le terrorizzo' a tal punto che rimasero insensibili alle mazzette offerte dai boscaioli.
L'opera corse un grave rischio solo durante la guerra del 1939. Poiche' le automobili andavano allora col gasogeno, non c'era mai abbastanza legna. Cominciarono a tagliare le querce del 1910, ma l'area era talmente lontana da tutte le reti stradali che l'impresa si rivelo' fallimentare dal punto di vista finanziario. Fu abbandonata. Il pastore non aveva visto nulla. Era a trenta chilometri di distanza, e continuava pacificamente il proprio lavoro, ignorando la guerra del '39 come aveva ignorato quella del '14.
*
Ho visto Elzeard Bouffier per l'ultima volta nel giugno del 1945. Aveva ottantasette anni. Avevo ripreso la strada del deserto ma adesso, nonostante la rovina in cui la guerra aveva lasciato il paese, c'era una corriera che faceva servizio tra la valle della Durance e la montagna. Misi sul conto di quel mezzo di trasporto relativamente rapido il fatto che non riconoscessi piu' i luoghi delle mie prime passeggiate. Mi parve anche che l'itinerario mi facesse passare in posti nuovi. Ebbi bisogno del nome di un villaggio per concludere che invece mi trovavo proprio in quella zona un tempo in rovina e desolata. La corriera mi porto' a Vergons.
Nel 1913 quella frazione di una dozzina di case contava tre abitanti. Erano dei selvaggi, si odiavano, vivevano di caccia con le trappole; piu' o meno erano nello stato fisico e morale degli uomini preistorici. Le ortiche divoravano attorno a loro le case abbandonate.
La loro condizione era senza speranza. Non avevano altro da fare che attendere la morte: situazione che non dispone alla virtu'.
Ora tutto era cambiato. L'aria stessa. Invece delle bufere secche e brutali che mi avevano accolto un tempo, soffiava una brezza docile carica di odori. Un rumore simile a quello dell'acqua veniva dalla cima delle montagne: era il vento nella foresta. Infine, cosa piu' sorprendente, udii il vero rumore dell'acqua scrosciante in una vasca. Vidi che avevano costruito una fontana; l'acqua vi era abbondante e, cio' che soprattutto mi commosse, vidi che vicino ad essa avevano piantato un tiglio di forse quattro anni, gia' rigoglioso, simbolo incontestabile di una resurrezione.
In generale Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata. Avevano sgomberato le rovine, abbattuto i muri crollati e ricostruito cinque case. La frazione contava ormai diciotto abitanti, tra cui quattro giovani famiglie. Le case nuove, intonacate di fresco, erano circondate da orti in cui crescevano, mescolati ma allineati, verdure e fiori, cavoli e rose, porri e bocche di leone, sedani e anemoni. Era ormai un posto dove si aveva voglia di abitare.
Da li', proseguii a piedi. La guerra da cui eravamo appena usciti non aveva consentito il rifiorire completo della vita, ma Lazzaro era ormai uscito dalla tomba. Sulle pendici piu' basse della montagna, vedevo i campicelli di orzo e segale in erba; in fondo alle strette vallate, qualche prateria verdeggiava.
Sono bastati gli otto anni che ci separano da quell'epoca perche' tutta la zona risplenda di salute e felicita'. Dove nel 1913 avevo visto solo rovine sorgono ora fattorie pulite, ben intonacate, che denotano una vita lieta e comoda. Le vecchie fonti, alimentate dalle piogge e le nevi che la foresta ritiene, hanno ripreso a scorrere. Le acque sono state canalizzate. A lato di ogni fattoria, in mezzo a boschetti di aceri, le vasche delle fontane lasciano debordare l'acqua su tappeti di menta. I villaggi si sono ricostruiti a poco a poco. Una popolazione venuta dalle pianure, dove la terra costa cara, si e' stabilita qui, portando gioventu', movimento, spirito d'avventura. S'incontrano per le strade uomini e donne ben nutriti, ragazzi e ragazze che sanno ridere e hanno ripreso il gusto per le feste campestri.
Se si conta la vecchia popolazione, irriconoscibile da quando vive nell'armonia, e i nuovi venuti, piu' di diecimila persone devono la loro felicita' a Elzeard Bouffier.
Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, e' bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c'e' voluto di costanza nella grandezza d'animo e d'accanimento nella generosita' per ottenere questo risultato, l'anima mi si riempie d'un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un'opera degna di Dio.
Elzeard Bouffier e' morto serenamente nel 1947, all'ospizio di Banon.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- John Locke, Saggio sull'intelligenza umana, Laterza, Roma-Bari 1988, Mondadori, Milano 2008, pp. LXX + 826.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 3132 del 20 luglio 2018
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XIX)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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