[Nonviolenza] Telegrammi. 2897



 TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2897 del 26 novembre 2017
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

Sommario di questo numero:
1. Il programma politico fondamentale dell'umanita'
2. L'assassinio di Enrico di Cornovaglia a Viterbo
3. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"
4. Il Senato approvi la legge sullo "ius soli / ius culturae"
5. "Una persona, un voto". Un appello all'Italia civile
6. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia
7. Carovana delle donne per il disarmo nucleare
8. Giuliana Giulietti presenta "Gli uomini mi spiegano le cose. Saggio sulla sopraffazione maschile" di Rebecca Solnit
9. Carlotta Cossutta presenta "La materiale vita. Biopolitica, vita sacra, differenza sessuale" di Tristana Dini
10. Alessandra Pigliaru presenta "Emma la Rossa" di Max Leroy
11. Claudia Durastanti ricorda Angela Carter
12. Segnalazioni librarie
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. L'ORA. IL PROGRAMMA POLITICO FONDAMENTALE DELL'UMANITA'

Nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in tante citta' del mondo tantissime donne e con esse tanti uomini hanno detto la loro opposizione alla violenza.
Che sia questo il programma politico fondamentale dell'umanita'.
Con voce e con volto di donna la nonviolenza e' in cammino.

2. LE ULTIME COSE. L'ASSASSINIO DI ENRICO DI CORNOVAGLIA A VITERBO

Nella citta' in cui vivo, che e' Viterbo, c'e' una chiesa, in piazza del Gesu', in cui nel 1271 durante la messa fu assassinato Enrico di Cornovaglia da Guido di Monforte alla presenza di Filippo III di Francia e di Carlo d'Angio'.
Fu un fatto di sangue cosi' sconvolgente che ancora ne resta memoria, molti anni dopo, nella Commedia dantesca.
Uccidere una persona nel luogo e nell'ora della preghiera, a Viterbo, a San Salvador o nel Sinai, sconvolge l'umanita' intera.
Pur assuefatta allo spettacolo osceno ed infinitamente reiterato dei crimini piu' efferati, pur vivendo nel mondo di Auschwitz e di Hiroshima, l'intera umanita' sente un di piu' di orrore quando un crimine - il crimine dei crimini, l'uccisione di esseri umani - si consuma in un luogo del sacro.
Le vittime innocenti della strage nella moschea di Rawda, come tutte le vittime di tutte le stragi, convocano l'umanita' intera a cessare di uccidere, a far cessare tutte lo uccisioni.
Ci convocano alla nonviolenza.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"
[L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza]

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.
O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.
Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, facebook: associazioneerinna1998
Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

4. APPELLI. IL SENATO APPROVI LA LEGGE SULLO "IUS SOLI / IUS CULTURAE"

Non e' possibile che un bambino ovvero una bambina, un ragazzo ovvero una ragazza, nati in Italia, cresciuti in Italia, che studiano in Italia, che vivono nella comunita', nella lingua e nella cultura italiane, possano essere ritenuti alieni: sono con tutta evidenza cittadine e cittadini italiani ancor prima di aver compiuto i diciotto anni, quando la legge vigente gia' riconosce loro il diritto di decidere di essere cittadini italiani con una semplice dichiarazione personale.
Perche' quindi continuare a umiliare e perseguitare dei bambini?
Perche' quindi continuare a negare la flagrante realta' che chi nasce e vive in Italia e' un cittadino italiano?
Ad eccezione di un'infima minoranza di pervertiti, nessuno in Italia vuole essere un persecutore di bambini.
Ad eccezione di un'infima minoranza di razzisti, nessun senatore potrebbe in scienza e coscienza negare il suo voto a una legge che prende atto della realta' e riconosce a bambine e bambini, ragazze e ragazzi, un diritto che loro appartiene: il riconoscimento giuridico del fatto inconfutabile che sono parte del popolo italiano, che sono cittadini italiani.

5. INIZIATIVE. "UNA PERSONA, UN VOTO". UN APPELLO ALL'ITALIA CIVILE

Un appello all'Italia civile: sia riconosciuto il diritto di voto a tutte le persone che vivono in Italia.
Il fondamento della democrazia e' il principio "una persona, un voto"; l'Italia essendo una repubblica democratica non puo' continuare a negare il primo diritto democratico a milioni di persone che vivono stabilmente qui.
Vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all'Italia ingenti benefici ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano.
Una persona, un voto. Il momento e' ora.

6. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.
Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

7. INIZIATIVE. CAROVANA DELLA DONNE PER IL DISARMO NUCLEARE
[Riceviamo e diffondiamo]

Carovana delle donne per il disarmo nucleare da lunedi' 20 novembre a domenica 10 dicembre 2017 promossa dalla Wilpf
Evento nazionale di avvio della Carovana: 19 novembre, ore 10, Livorno, piazza della Repubblica.
La Wilpf Italia ha partecipato, come una delle componenti della societa' civile unite in Ican (Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari), Premio Nobel per la Pace 2017, al lungo percorso diplomatico che si e' concluso con la stesura del Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpnw) adottato il 7 luglio 2017 dall'Onu (122 paesi). Ora il Trattato e' aperto alle firme e ratifiche da parte degli Stati, ed entrera' in vigore alla 51ma ratifica: ha gia' ottenuto 53 firme e tre ratifiche. Gli Stati nucleari e quelli Nato (ad eccezione dell'Olanda) non hanno partecipato alla Conferenza Onu di New York che ha portato al Trattato, e anche l'Italia era assente.
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Antefatti: nel nostro paese si e' avviata una Campagna "Bando delle armi nucleari: Italia ripensaci" perche' l'Italia aderisca al Trattato. Il 14 settembre 2017 e' stato inviato alle Istituzioni - Presidente della Repubblica, Presidenti di Camera e Senato, Capo del Governo - una specifica petizione promossa da Disarmisti Esigenti, Wilpf Italia, Comitato No Guerra No Nato, Pax Christi, Ipri-Ccp, Pressenza, Ldu, Accademia Kronos, Energia felice, Fermiamo chi scherza col Fuoco Atomico (Campagna Osm-Dpn), PeaceLink, La Fucina per la Nonviolenza di Firenze, Chiesa Valdese di Firenze, Comitato per la pace, la convivenza, la solidarieta' "Danilo Dolci" di Trieste, Mondo senza guerre e senza violenza.
Nella Petizione (https://www.petizioni24.com/italiaripensacisulbandodellearminuclearine) si chiede al Governo italiano di firmare il Trattato, avviando previamente il necessario processo di denuclearizzazione del territorio italiano che ospita circa 70 bombe nucleari Usa, stoccate nelle basi militari di Ghedi ed Aviano, e che accoglie, nei suoi 11 porti nucleari, sottomarini a propulsione nucleare con bombe nucleari a bordo. E questo in violazione dell'art. 2 del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) firmato dall'Italia nel 1976. La Petizione ora e' aperta alle firme a livello individuale o collettivo. L'orologio dell'apocalisse nucleare segna due minuti e mezzo alla mezzanotte: e' urgente informare, sensibilizzare e mobilitare la gente perche' comprenda che l'impegno su queste tematiche e' di vitale importanza per ottenere la sicurezza dei territori, per tutelare la salute della cittadinanza nonche' per esigere una economia di pace che e' l'unica che puo' garantire la realizzazione dei diritti oggi negati.
Ruolo delle Donne: il Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpnw) sottolinea l'importanza della partecipazione delle donne per l'implementazione del Trattato stesso e questo anche in ragione del fatto che le donne sono le prime vittime delle radiazioni nucleari. Si aggiunge poi il grande potere trasformativo delle donne quando esse agiscono in nome dei diritti collettivi che si ispirano alla giustizia sociale, alla pace e alla tutela dell'ambiente. La Carovana delle donne per il disarmo nucleare sara' un evento inclusivo aperto alla partecipazione di tutti coloro che vogliono impegnarsi per il pieno rispetto della nostra Costituzione, a partire dall'art. 11 che nell'affermare il ripudio della guerra richiede che l'Italia svolga un ruolo attivo nella promozione di politiche di pace.
Durata della Carovana da lunedi' 20 novembre a domenica 10 dicembre 2017: periodo durante il quale nei diversi territori che aderiscono alla Carovana si svolgeranno autonome iniziative di informazione, sensibilizzazione, mobilitazione attorno alla mozione citata.
Partenza: lunedi' 20 novembre 2017 "Giornata Internazionale dei diritti dell'infanzia": il nostro obiettivo e' quello di evidenziare che vogliamo garantire un futuro alle giovani generazioni perche' possano vivere in un mondo liberato della minaccia nucleare.
Chiusura: domenica 10 dicembre 2017 "Giornata Internazionale dei Diritti Umani": il nostro obiettivo e' quello di evidenziare che il disarmo nucleare e' indispensabile per garantire la sicurezza dell'intera umanita' e che le ingenti spese militari devono essere impegnate per investimenti sociali rivolti a garantire il pieno godimento dei diritti (istruzione, sanita', casa, sicurezza dei territori, tutela dell'ambiente, lavoro). In quella data si chiede che una delegazione della Carovana venga ricevuta dal Presidente della Repubblica, in quanto garante della Costituzione.
Partenza congiunta da vari luoghi: non avendo fondi a disposizione, abbiamo pensato alla partenza congiunta della Carovana da alcuni luoghi simbolici: Ghedi e Aviano (le basi militari dove sono stoccate bombe nucleari Usa), Livorno e Pisa (porto nucleare in sinergia con Camp Darby e Hub militare di Pisa), Trieste (porto nucleare), Napoli (porto nucleare e VI Flotta), alcuni siti della Sicilia e della Sardegna e naturalmente tutte le altre realta' territoriali che vorranno partecipare.
La Carovana si muovera' all'interno del proprio territorio durante il periodo 20 novembre - 10 dicembre, con azioni specifiche di cui sotto diamo alcune indicazioni.
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Attivita'
- Conferenza stampa;
- Incontri con: Comandante della base militare, Presidente dell'autorita' portuale, Sindaco e Prefetto e consegna della Petizione, del Trattato di proibizione delle armi nucleari, Studio dell'Onu sugli effetti delle radiazioni nucleari;
- Presidi cittadini e raccolta di firme per la petizione (https://www.petizioni24.com/italiaripensacisulbandodellearminuclearine);
- Conferenze, presentazioni di libri sulla tematica, proiezioni di filmati, ecc.;
- Incontri con gli studenti sul tema del pericolo nucleare, presentazione del libro di Carlo Cassola, "La rivoluzione disarmista";
- FlashMob;
- Attivita' di arte per la pace con un focus specifico sul disarmo nucleare e la tutela dell'ambiente;
- Partecipazione alla manifestazione di NonUnaDiMeno in occasione del 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
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Materiali
- Striscione con la scritta "Carovana delle donne per il disarmo nucleare. 20 novembre - 10 dicembre 2017";
- Mostra "Esigete il disarmo nucleare" (esiste in due versioni: 13 pannelli grandi in Pvc oppure 13 locandine plastificate);
- Testo della petizione;
- Testo del Trattato di interdizione delle armi nucleari;
- Libro di Carlo Cassola, "La rivoluzione disarmista", in occasione del centenario della nascita.
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Per informazioni: Antonia Sani: antonia.baraldi.sani at gmail.com e Giovanna Pagani: gioxblu24 at gmail.com

8. LIBRI. GIULIANA GIULIETTI PRESENTA "GLI UOMINI MI SPIEGANO LE COSE. SAGGIO SULLA SOPRAFFAZIONE MASCHILE" DI REBECCA SOLNIT
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo e diffondiamo]

Rebecca Solnit, Gli uomini mi spiegano le cose. Saggio sulla sopraffazione maschile, Ponte alla Grazie, 2017, pp. 176.
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Il discredito della parola femminile, la cultura dello stupro e la rivoluzione femminista sono i temi affrontati da Rebecca Solnit nella raccolta di saggi Gli uomini mi spiegano le cose. Saggio sulla sopraffazione maschile. Come Cassandra, la giovane donna che diceva la verita' e non veniva mai creduta (questo in conseguenza di una maledizione che le aveva lanciato il dio Apollo perche' si era rifiutata di fare sesso con lui) ed era considerata dalla sua famiglia pazza e bugiarda, cosi' generazioni di donne "sono state bersagliate di accuse: di essere deliranti, confuse, manipolatorie, maligne, delle intriganti, di avere una innata tendenza alla disonesta'". Ogni qual volta una donna mette in discussione un uomo - scrive Solnit - in particolare un uomo potente, specialmente se ha qualcosa a che fare con il sesso, l'uomo si difende gettando discredito su di lei e sul suo racconto. Da mezza svitata, ipocrita e sgualdrina fu trattata nel 1991 Anita Hill che di fronte alla commissione di giustizia del Senato americano riporto' una serie di episodi in cui Clarence Thomas (nominato giudice della Corte Suprema da Bush senior e allora suo superiore) l'aveva costretta ad ascoltarlo mentre descriveva dei porno da lui visionati e le sue fantasie sessuali. Il medesimo schema denigratorio fu utilizzato contro Nafissatou Diallo, la cameriera nera, immigrata, che nel 2011 accuso' uno degli uomini piu' potenti del mondo, il presidente del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, di averla violentata nella stanza di un lussuoso albergo a Manhattan. Strauss-Kahn indusse i suoi avvocati a diffamare Diallo che fu raffigurata come una bugiarda e una prostituta. Ragionando su alcuni dei molti scandali sessuali scoppiati negli Usa e su altri innumerevoli casi di abusi e stupri, cio' che Solnit porta a evidenza e' la stretta parentela che intercorre tra violazione del corpo delle donne e delegittimazione della parola femminile. La pretesa maschile di spiegare le cose alle donne, indipendentemente dal fatto che sappiano o no di cosa stanno parlando, non e' che una delle forme usate per zittirle. "Un uomo - osserva Solnit - agisce sulla base della convinzione che tu non hai diritto di parlare e che non riuscirai a descrivere cio' che ti sta accadendo. Cio' puo' significare che verrai interrotta mentre dici la tua a una cena o a un convegno; potrebbe anche voler dire che ti verra' detto di stare zitta, o che sarai minacciata se aprirai bocca, o che verrai picchiata perche' hai parlato, o che verrai ammazzata per farti tacere per sempre". Nel 1963 Betty Friedan pubblico' La mistica della femminilita', un libro che per Solnit rappresenta una pietra miliare nella lotta delle donne con gli uomini che ti spiegano le cose e che vogliono, con le buone o con le cattive, ridurti al silenzio. Il manifesto di Friedan fu il primo segnale del profondo malessere che serpeggiava tra le donne americane e che e' all'origine della rivolta femminista negli anni Settanta del Novecento. La presa di parola delle donne sulla scena pubblica fece saltare il confine fra pubblico e privato; assesto' un colpo al dominio maschile sulla sessualita', sulle scelte procreative femminili e porto' allo scoperto i maltrattamenti e le violenze dando loro un nome. L'espressione "sexual harassment" (molestie sessuali) - ad esempio - fu coniata negli anni Settanta, usata per la prima volta nel sistema giuridico negli anni Ottanta, ottenendo status giuridico da parte della Corte Suprema nel 1986. Oggi lo stupro, la violenza sessuale coniugale, le molestie sessuali sono reati penalmente perseguibili, ma di certo non scomparsi dalla faccia della terra. La violenza sulle donne ha radici profonde, attecchisce in quasi tutte le culture del mondo, in moltissime istituzioni, nella maggior parte delle famiglie del pianeta. Ma Solnit non si scoraggia. Fedele al motto "sperare nel buio" perche' l'azione senza la speranza e' impossibile, lei ci invita a considerare i sorprendenti cambiamenti ottenuti nel giro di quattro o cinque decenni. Quando Rebecca e' nata, nel 1961, le donne erano prive di diritti basilari e le violenze domestiche erano faccende private. Il fatto che non tutto sia cambiato in maniera permanente, definitiva, irrevocabile non e' un fallimento.
La strada e' lunga - dice - forse mille miglia, e la donna che la percorre non ha coperto neanche il primo miglio. Ma so che, nonostante tutto, non tornera' indietro. Ci vuole tempo, la strada e' fatta di tappe intermedie, e sono in tante oggi a percorrerla, chi arriva prima, chi si ferma e poi riprende. "Accade nella vita di ognuno di noi: arretriamo, falliamo, insistiamo, ritentiamo [...] e certe volte facciamo un grande balzo, troviamo cose che non sapevamo di cercare". Soltanto mezzo secolo fa le donne non avevano una lingua per articolare l'esperienza femminile del mondo. E neppure genealogie femminili cui riferirsi. La narrazione del patriarcato si e' infatti costruita sulla cancellazione e l'esclusione delle discendenze matrilineari (bisnonne, nonne, madri, figlie). Un argomento che Solnit affronta nel bellissimo capitolo La nonna ragno. La storia del femminismo e' sempre stata e ancora e' una lotta per dare un nome alle cose, per parlare ed essere ascoltate. Anita Hill e' stata la prima, negli Stati Uniti, a uscire dal silenzio e a inaugurare la battaglia contro le molestie sessuali nell'ambiente di lavoro. E' stata offesa, derisa, ma ha aperto la via. E oggi - osserva Solnit commentando in una intervista il caso Weinstein - sono tante le donne che parlano, che danno del filo da torcere agli uomini di potere e a quelli comuni, affrontando a testa alta i feroci attacchi della misoginia maschile e femminile ai quali rispondono colpo su colpo. Ma ci sono anche uomini - precisa Solnit - che si lasciano coinvolgere nel femminismo perche' hanno capito che li' la posta in gioco e' la liberta' di tutte e di tutti. E non e' un caso, mi viene da pensare, che negli Usa (in particolare dopo la vittoria di Trump) siano le donne, femministe o no, a guidare i grandi movimenti (pacifista, ambientalista, antirazzista, per i diritti delle lesbiche, dei gay, delle persone transgender) in cui sono attive. Quando non abbiamo le parole per un fenomeno, un'emozione o una situazione non se ne puo' parlare, il che significa che oltre a non riuscire a riferirci a quella cosa, non riusciremo neppure a cambiarla. Per questo e in perfetta sintonia con la sua scrittrice piu' amata, Virginia Woolf, alla quale dedica uno dei saggi contenuti nel libro, Rebecca Solnit dice: le parole sono le nostre armi.

9. LIBRI. CARLOTTA COSSUTTA PRESENTA "LA MATERIALE VITA. BIOPOLITICA, VITA SACRA, DIFERENZA SESSUALE" DI TRISTANA DINI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriradelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso in "About Gender", vol. 6, n. 11]

Tristana Dini, La materiale vita. Biopolitica, vita sacra, differenza sessuale, Mimesis, Milano 2016, pp. 156.
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"Pensare, pensare dobbiamo. In ufficio, in automobile, mentre tra la folla osserviamo l'incoronazione, mentre passiamo accanto al monumento dei caduti, mentre percorriamo Whitewall, mentre sediamo nella tribuna riservata al pubblico della Camera dei comuni, dei tribunali, ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali. Non dobbiamo mai smettere di pensare: che civilta' e' questa in cui ci troviamo a vivere? Cosa significano queste cerimonie e perche' dovremmo prendervi parte? Cosa sono queste professioni e perche' dovremmo diventare ricche esercitandole?".
Queste righe de Le tre ghinee di Virginia Woolf, citate da Tristana Dini in La materiale vita, potrebbero segnare il tono di tutto il ricchissimo testo, che invita a pensare e ripensare agli intrecci tra biopolitica e differenza sessuale.
Questo libro prende le mosse - e il titolo - da un progetto iniziato da Tristana Dini con Angela Putino, che purtroppo non ha avuto il tempo di svilupparsi, ma di cui restano tracce importanti nell'impostazione del discorso e nell'approccio ai temi trattati.
Il centro del progetto e' quello di analizzare insieme biopolitica e femminismo in un duplice senso: da un lato, infatti, si tratta di osservare la biopolitica con le lenti del femminismo, per metterne in luce aspetti che altrimenti rimarrebbero in ombra, dall'altro, viceversa, si osserva il femminismo a partire dalla biopolitica, per indagarne reazioni, resistenze e complicita'.
Entrambi i termini che pervadono questo testo - femminismo e biopolitica - sono carichi di storia e di significati diversi. E' bene precisare, percio', che Dini utilizza femminismo con la consapevolezza della varieta' di teorie e prospettive a cui rimanda, ma sceglie di fare riferimento soprattutto al "pensiero delle donne" e al "pensiero della differenza sessuale" che usa quasi come sinonimi per riferirsi alla liberta' femminile che si inaugura asserendo che "ogni donna pensa", pur nell'unicita' delle teorie e delle posizioni che scaturiscono da questo pensare.
Allo stesso modo anche biopolitica e' ormai un termine saturo: nell'ultimo decennio si e' affermato nel dibattito pubblico perdendo alcuni caratteri di specificita' e finendo per indicare ogni momento in cui vita e politica si incontrano. Questo testo, pero', affronta il tema della biopolitica a partire da un punto di vista molto preciso, che separa nettamente biopotere e potere sovrano, vedendo nella loro unificazione uno sguardo maschile che, non riconoscendo una frattura, rafforza il potere patriarcale. Al contrario, secondo Putino e Dini, la biopolitica sarebbe in relazione con una forma di potere materno, oblativo e di cura, di cui enfatizza e perverte molti dei tratti: "in questa chiave, della biopolitica in quanto cura, e' possibile fornirne una lettura come derivazione dalla sfera delle competenze materne in opposizione al potere sovrano che rientra nell'ambito dell'ordine simbolico del padre (e si realizza nella sfera del diritto)" (p. 77).
La consapevolezza di questa derivazione materna del biopotere e' un pensiero perturbante per il femminismo, ma proprio per questo e' anche necessario indagarne a fondo le implicazioni.
Dini sviluppa questa indagine suddividendo il testo in tre parti: la prima intitolata La differenza bio-politica, la seconda Vita sacra e la terza Per una politica della vita materiale. La prima parte prende in esame la concezione della biopolitica di un'uguaglianza intesa come appartenenza dell'essere umano ad una specie; intesa in questo modo essa puo' essere vista come l'affermazione del sociale, in cui gioca un ruolo fondamentale piu' la norma che la legge. In questo quadro il femminismo svela l'astrattezza dell'universalismo e dell'uguaglianza che ne consegue: le donne mostrano la loro esclusione e tentano di sovvertirla, facendo dei tratti che le condannano ad essere fuori dalla scena politica degli elementi di valorizzazione - si pensi all'enfasi sulla maternita' come ruolo politico che pervade le prese di parola delle donne nel XIX secolo. Questa strategia impiglia le donne in un paradosso doloroso - rivendicare l'inclusione proprio attraverso le forme grazie a cui si viene escluse - che viene scardinato dal femminismo della seconda ondata, capace, secondo Dini, di uscire da queste strette maglie grazie al pensiero della differenza.
Per mostrare questo movimento Dini sottolinea come la differenza sessuale sia da sempre presente nel pensiero occidentale: dapprima nella "retorica" della misoginia, poi come "metafora" utilizzata da tutti quei filosofi della differenza (vengono citati Derrida, Deleuze e Nancy) che fanno dell'essere donna un sinonimo del processo di decostruzione del logocentrismo.
Dini sottolinea come queste concezioni siano il cuore polemico della sovversione femminista, ribadendo che, al contrario, la differenza di cui parla il femminismo sia una differenza ancora tutta da realizzare e che emerge in diverse critiche mosse all'ordine simbolico del padre e al suo fondamento edipico. Inoltre, nel testo si mette in luce come questo gesto anti-edipico costituisca anche il punto di partenza per le teorie queer, quasi a suggerire un'alleanza con il femminismo della differenza spesso ritenuta impossibile nel dibattito italiano. Il pensiero della differenza femminista si caratterizza, in questo senso, per la consapevolezza della sessualita' come di un luogo primario di potere spesso invisibile. Questa concezione, pero', si intreccia con l'attenzione alla sessualita' che caratterizza la biopolitica e che modifica la concezione della differenza in chiave biologica, mantenendo le differenze, ma nascondendone la dimensione di inclusione ed esclusione sotto una presunta naturalita'. Proprio qui si mostra uno dei nodi del testo, che si interroga su come il femminismo possa reagire alla biopolitica pur condividendone alcuni luoghi: "in questa chiave Putino legge l'evento della liberta' femminile all'epoca della biopolitica: sul piano propriamente biologico-politico, in cui la differenza funziona come segmentazione del continuum biologico e la differenza sessuale, insieme a quella etnica, da' corso a nuove gerarchie, impone funzioni, produce identita', si puo' sottrarre la teoria evoluzionista alle maglie del governo della specie e restituirla al rango di gai savoir" (p. 52).
La seconda parte del testo prende in esame il legame tra vita, sacro e politica, mostrando come una maggiore sacralita' della vita corrisponda anche ad una sua maggiore esposizione ai rischi di morte: la tanatopolitica, infatti, non sarebbe altro che il reciproco della biopolitica. Dini passa in rassegna le teorie di Agamben, che legano biopolitica e sovranita', e quelle di Esposito, che enfatizzano la dimensione della comunita', per evidenziare come in entrambi si perda una specificita' attribuita da Foucault alla biopolitica: la coimplicazione di questa con l'emergere della biologia come scienza, una convergenza non solo temporale, ma anche strutturale. Il testo poi analizza le riflessioni di Kristeva, Weil, Butler e Cavarero per mostrare modi diversi di illuminare aspetti diversi della nuda vita, del malheur o della vulnerabilita' che caratterizzano il vivente e che possono ottenere come reazione due forme differenti di potere: quello sovrano basato sull'uccidibilita' e il biopotere basato sulla cura. Ed e' qui che si inseriscono le riflessioni di Putino sulla contiguita' tra femminismo isterico e biopolitica a cui rispondere con la capacita' di rimettere al centro il desiderio e l'eros, che permette una via d'uscita dall'amore come cura per aprire a pratiche differenti.
Questa invocazione a Eros ci introduce alla terza parte del libro, che approfondisce questo tema mettendo in luce come la biopolitica si caratterizzi per una forma di governo della specie che agisce tramite il desiderio e non attraverso la coercizione. In questo senso il femminismo e' un luogo privilegiato, poiche' allo stesso tempo spazio di possibile cattura, ma anche terreno di resistenza, grazie alla centralita' che accorda al linguaggio, alla sessualita' e al simbolico nella pratica e nella teoria politica. Ma perche' la contiguita' si trasformi in resistenza bisogna tenere presente che "nel momento in cui la governamentalita' neoliberale espone il femminismo ad un pericolo insidioso perche', avendone assunto alcune istanze, rischia di neutralizzarne le pratiche e la presa teorica sul presente, occorre ritornare ai punti non assorbibili, non assimilabili, non addomesticabili del femminismo per rilanciarlo, e per smarcarsi in maniera chiara dalla convergenza con la traiettoria neoliberale" (p. 106).
Emerge, qui, un'ulteriore rischio: quello che il femminismo diventi strumento del neoliberismo, che si caratterizza per una costante valorizzazione delle soggettivita' e delle loro differenze.
Per scongiurare questo pericolo, Dini suggerisce di ripartire dalle zone d'ombra del neoliberismo, dal godimento che sfugge ad ogni logica prestazionale. Il testo riconosce la progressiva scomparsa della sessualita' dal femminismo italiano, un movimento che troverebbe origine nella precauzione di non far coincidere politica delle donne e identita' sessuale. Questa scomparsa, pero', tende a rendere il femminismo stesso - forse sarebbe piu' corretto dire: una parte del femminismo - incapace di leggere in profondita' l'attuale nesso tra potere e sessualita'. Per reagire a questa incapacita' La materiale vita ci spinge a tornare a domandarci cosa desideriamo, intendendo il desiderio come eccedenza e non come imperativo neoliberale al godimento. Si tratta, quindi, di un desiderio che non rimanda ad un'autenticita', ma ad una creativita' del se', ad una capacita' di fare dell'etica una pratica.
Se il femminismo, quindi, puo' essere letto come una critica alla distinzione tra bios e zoe', che passa dalla messa in discussione della distinzione tra natura e cultura, Dini propone di stare nella contraddizione tra i due termini: una postura che potrebbe permettere di evitare le maglie strette dell'adesione totale alla tecnica o ai richiami arcaici all'autenticita'. Alla fine del ricco viaggio che il testo propone, capace di una lucida analisi dei limiti del pensiero della differenza, rimane la consapevolezza che il femminismo non solo possa ancora essere un motore di resistenza, ma anzi, proprio per le sue contiguita' con le forme di potere presenti, si riveli una pratica in grado di sovvertirne i meccanismi, mettendo al centro i corpi come luogo dell'inaspettato che sfugge le norme biopolitiche. Perche', pero', questo sia possibile e' necessario guardare ancora e di nuovo nell'abisso in cui si intrecciano tra femminismo e biopolitica: un gesto che ha poco di rassicurante ma puo aprire a nuovi e imprevisti orizzonti.

10. LIBRI. ALESSANDRA PIGLIARU PRESENTA "EMMA LA ROSSA" DI MAX LEROY
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriradelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "Il manifesto" del 20 gennaio 2017 col titolo "Lo sguardo obliquo di una insorta"]

Max Leroy, Emma la Rossa, Eleuthera, Milano 2017, pp. 223.
*
Di Emma Goldman, pensatrice, anarchica, femminista, immigrata e irriducibile rivoluzionaria, si e' detto e scritto molto - con maggiore trasporto dagli anni Settanta in avanti. Eppure la figura di questa "piccola Giovanna D'Arco", come sovente veniva chiamata da qualche giornalista che ne aveva incrociato - e ne temeva anche un poco - la forza politica, abitava il terreno del mito fino dagli anni Trenta del Novecento. Fascinazione comprensibile, a percorrere la sua vita sembra di stare dentro un romanzo straordinario. Uno di quelli che ha come protagonista l'esistenza tempestosa di chi nasce gia' insorta, a cavallo tra due secoli, facendo parte della storia e scrivendola. La storia degli ultimi, degli operai e delle operaie con cui si confronta Emma Goldman, la storia che la trafigge anzitutto nella coscienza incarnata che la interroga sulla sessualita', sulla riproduzione e il controllo delle nascite, sul suffragio e tanto altro ancora.
La storia di cui ha fatto parte Emma Goldman e' insomma quella che ha nutrito un pensiero anticapitalistico e capace di raccontare cosa significa il fermento libertario, quali le sue genealogie, le sue scommesse, come l'anarchismo. E il suo incontro con il conflitto della classe operaia, l'antimilitarismo contro il fanatismo della prima guerra mondiale, la rivoluzione russa prima, la guerra civile spagnola poi. Forse una vita non basta per reggere tutto questo, quella di Emma si'.
Disfare l'affronto di essere nata donna per un padre ottuso e autoritario, e' il modo in cui Goldman debutta nella decostruzione simbolica del gia' dato. Sceglie di rimettersi al mondo, lo fa numerose volte. La prima, come lei stessa scrive, e' il 15 agosto del 1889 quando a vent'anni arriva a New York.
Da Kovno (l'odierna Kaunas), cittadina portuale della Lituania, se n'era gia' andata tempo prima per raggiungere la sorella Helena che abitava nel Connecticut. Li' Emma confeziona corsetti in una fabbrica e segue laboratori di cucito che poco dopo, oltre alla sopravvivenza, le avrebbero dato il senso della relazione con le lavoratrici del tessile.
Frequenta circoli radicali e di operai, studia, ascolta, scrive, legge moltissimo, stringe rapporti con alcuni esponenti del movimento anarchico. Trascorre qualche mese e la figura di questa giovane donna, dapprima misteriosamente comparsa su un carretto a Union Square a tenere un discorso e a resistere alle cariche della polizia, diviene centrale sia sui giornali che all'interno del movimento.
Proprio in quei primi comizi di piazza la si ricorda avvolta da una bandiera. Era rossa, da qui - insieme alla furia mostrata contro ogni potere costituito - la nominazione di Emma the Red. E proprio Emma la Rossa (eleuthera, pp. 223, euro 16, prefazione di Normand Baillargeon, traduzione di Carlo Milani) si intitola il volume di Max Leroy che ne ripercorre la parabola cominciando dal fulgore di quegli anni di apprendistato alla rivolta.
Appassionato e all'orlo di una festa del cuore verso chi ha speso la propria vita per la liberta' e la giustizia, il libro di Leroy propone un ritratto puntuale, servendosi di un apparato bibliografico interessante che conduce lettori e lettrici sulle tracce di Goldman, di cio' che ha scritto - due le opere che si ricordano principalmente: My Disillusionment in Russia (1923) e Living My Life (1931), la sua autobiografia (si dica per inciso che entrambe sono state tradotte in Italia tra gli anni '70 e '80 da La salamandra. Di piu' recenti invece si segnalano Femminismo e anarchia, edito da Bfs con una splendida prefazione di Bruna Bianchi, e Anarchia e prigioni, edito da Ortica). Ulteriore pregio di Leroy e' quello di aver tenuto conto della dedizione di biografi e in particolare biografe come Alice Wexler e Candace Falk (direttrice dell'Emma Goldman Papers Project che a Berkeley ha raccolto dal 1980 a oggi piu' di ventimila carte relative alla sua produzione e ai suoi scambi epistolari).
Se "lo Stato e' un saccheggiatore al soldo del capitalismo", scrive convinta ripensando al suo arresto occorso all'eta' di 24 anni per incitamento alla sommossa, la maggiore oppressione viene inferta alle donne, ai bambini e alle bambine. Da quell'oppressione, gravida di nodi da sciogliere, e da alcune sue esperienze (non ultima quella di levatrice per cui segue un corso a Vienna), impara molto e si mette in cammino. Verso un femminismo che non la abbandonera' mai piu'; gli incontri piu' importanti sono due: quello con Voltairine de Cleyre, scrittrice e militante anarchica, e con Louise Michel, la "vergine rossa" deportata in Nuova Caledonia dopo la repressione della Comune di Parigi. Il resto e' la lettura di Mary Wollstonecraft (cosi' come nella sua formazione decisivi sono stati Henry David Thoreau e Michail Bakunin). Molti illustri esponenti del movimento anarchico la ammirano; da Johann Most, Edward Brady a Petr Kropotkin. A qualcuno concede di amarla.
In una lettera ad Aleksandr Berkman - compagno di lotte e presenza cruciale nella sua vita - nell'agosto del 1927, riesce a raccontare il tenore della sua differenza, quella in fondo che la sa consegnare alla gratitudine delle generazioni politiche successive: "Le sole teorie non sono sufficienti a smuovermi. Comprendere le nostre idee non e' abbastanza. E' necessario sentirle in ogni fibra come una fiamma, come una febbre divorante, una passione elementare".

11. AUTRICI. CLAUDIA DURASTANTI RICORDA ANGELA CARTER
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriradelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente apparso su "La Repubblica" del 20 febbraio 2017 col titolo "La scrittrice che visse due volte"]

A uno scrittore non basta morire per essere canonizzato, soprattutto se per gran parte della sua vita e' stato eretico. Eppure quando Angela Carter e' scomparsa venticinque anni fa - lei che per tutta la carriera ha scritto di magia e ragazze dalla sessualita' ferale e violenta recuperando generi negletti come la favola e il gotico in un periodo storico dominato dalle preoccupazioni austere dei vari Martin Amis o J. G. Ballard - l'Inghilterra si e' inginocchiata subito per celebrare questa sorta di Dickens sotto psichedelici o di Salvador Dali' delle lettere, che una volta ebbe l'idea di proporre una tesi di dottorato con il titolo "De Sade: culmine dell'Illuminismo". Non esattamente una figura conciliante. Ma se critici, lettori e colleghi - fu molto amica di Salman Rushdie e fece da mentore a Kazuo Ishiguro - continuano a celebrarla, lo fanno per una ragione precisa: dotata di una fantasia massacrante e di una capacita' unica di articolare le contraddizioni del desiderio, Angela Carter e' sopravvissuta persino al mito di se stessa, stando al quale e' una specie di strega benigna del fantastico.
Per capire come funziona il mondo di Angela Carter, basta leggere le prime pagine di Notti al circo, uscito ora Fazi nella brillante e laboriosa traduzione di Maria Giulia Castagnone: la protagonista Fevvers e' una performer circense di fine Ottocento parzialmente ispirata a Mae West che, a differenza dell'attrice, ha due ali maestose sulla schiena. Fevvers e' torrenziale, seduce principi, sottomette persino la Russia con il suo fascino. A guardarla piu' da vicino, tuttavia, questa donna-uccello dalla gestualita' volgare e grandiosa "somigliava piu' a una giumenta da tiro che a un angelo" ed era un "capolavoro di squallore squisitamente femminile", piena di difetti che traspaiono sotto il trucco e la finzione. Fevvers e' un miscuglio aberrante e bellissimo di tante cose, e, come spesso accade nella scrittura di Carter, in Notti al circo nessuna superficie resta intatta: ogni architettura rivela una crepa, e ogni crepa fa precipitare in un sotterraneo.
Ci sono scrittori che riportano il lettore dentro se stesso e a cui ci si affeziona per immedesimazione, perche' i protagonisti sulla pagina somigliano tanto a chi legge. E poi ci sono autori che invitano il lettore ad andare contro se stesso, lo portano in posti in cui tutto e' oscuro e liberatorio, e lo fanno innamorare dei suoi difetti potenziali invece delle cose che sa gia'. Angela Carter e' una grande autrice che trascina il lettore proprio in questi spazi imprevedibili e iridescenti, in cui la realta' e' solo una delle tante alternative a disposizione. Diventata famosa negli anni in cui impazzava il realismo magico, non amava molto questa definizione se attribuita ai suoi testi: "Non possiamo parlare di realismo magico ogni volta che succede qualcosa di strano in un romanzo", diceva.
Che Angela Carter costringa il lettore a smascherarsi e scoprire qualcosa di inedito su di se', l'ho scoperto in prima persona quando mi sono trasferita in Inghilterra e ho conosciuto la mia proprietaria di casa, un'artista dai lunghi capelli bianchi che vive in campagna e indossa le scarpe di Dorothy nel Mago di Oz anche di inverno. Un giorno per fare conversazione le avevo chiesto quali fossero i sui libri preferiti. Erano La camera di sangue e Notti al circo di Angela Carter, ovviamente, informazione che mi diede prima di regalarmi una delle sue creazioni: una di palla di vetro piena di specchi deformanti e una foresta di fiamme. Quello era il motivo per cui non volevo leggere Carter: perche' piaceva alle persone strane, che vivevano in un mondo parallelo in cui tutto, dal sesso alla neve imprevista ai furti al supermercato, venivano ridotti alle diavolerie di Vladimir Propp, e il destino aveva un peso specifico troppo ingombrante. In quegli anni preferivo leggere scrittrici che potevano prendere una virata lievemente futurista, come Jennifer Egan, ma lo facevano a partire da una base reale.
Era una lettura fuorviante e rischiavo di smarrire il fatto che due autrici cosi' diverse stavano lavorando sul tema che mi interessava di piu': la possibilita' di reinventare se stessi, la malinconia data dallo scontro tra quello che pensiamo di essere e il modo in cui ci percepiscono gli altri, e l'occasionale gioia che proviamo quando ci rendiamo conto di essere riusciti a imporre la nostra versione preferita al mondo.
Negli ultimi anni, la versatilita' di Angela Carter mi ha teso agguati ovunque: dalla Trilogia dell'Area X di Jeff VanderMeer (Einaudi), soprattutto per il lusso nelle descrizioni paesaggistiche e nell'architettura della stranezza - non a caso VanderMeer la riconosce come maestra e le ha dedicato dei saggi critici - a Boy, Snow, Bird di Helen Oyeyemi (Einaudi) che attraverso la favola di Biancaneve affronta questioni politiche come la segregazione razziale proprio come ne La camera di sangue Carter prendeva le favole non per farle diventare roba per adulti, ma per svelarne i contenuti latenti, la sensualita', la trasgressione e i pericoli che gia' contenevano.
Se Malamud diceva che la vita e' una tragedia piena di gioia, per Carter "la commedia e' una tragedia che succede agli altri" e nei suoi romanzi si e' destreggiata con le varie complicazioni di quest'affermazione, con un brio e un piacere che il lettore oggi forse riscontra solo in Fato e furia di Lauren Groff (Bompiani).
Ma Angela Carter e' anche nella Sara Taylor di Tutto il nostro sangue (minimum fax), per il modo in cui affronta la disparita' di genere: "Ho letto Carter - racconta - dopo un decennio e mezzo trascorso su testi scritti da uomini o per gli uomini o sugli uomini, in cui viene presentata una "mitologia" della donna che ho sempre sentito come inadeguata. La scrittura di Angela Carter mi ha mostrato che quella mitologia poteva essere sovvertita". Ed e' impossibile non pensare ad Angela Carter durante The OA, la serie controversa di Netflix che invece di raccontare la sindrome da stress post-traumatico di una ragazza rapita per sette anni con le armi convenzionali del realismo, lo fa attraverso la Russia kitsch, gli angeli, la danza.
Ma la cosa piu' bella che si impara dai racconti e dai romanzi di Angela Carter e' proprio questa: cio' che la fantasia e l'immaginazione possono fare a una creatura ferita, per darle un'altra vita. Con la sua scrittura, ha sempre dato una seconda possibilita' a una vittima: come se la vittima fosse un ruolo sfortunato e temporaneo, ma non definitivo. Interrogata sulla natura del suo lavoro, diceva: "Non scrivo mai della ricerca di se'. Non ho mai creduto che il se' fosse una bestia mitica che e' stata intrappolata e deve essere restituita, in modo che una persona torni a essere intera. Io scrivo delle negoziazioni che facciamo per scoprire un altro tipo di realta'. Quando siamo nella foresta non andiamo alla ricerca di noi stessi, ma dell'altro".
Poco familiare, strana e sensuale, Angela Carter e' una favolista nata che invita il lettore a seguirla nei boschi o nelle sue parodie circensi, per esporlo a una vera e propria crisi della presenza in cambio di qualcosa di molto piu' complesso e affascinante: una possibilita' di perdere se stesso e trovare il mondo.

12. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Margherita Centenari (a cura di), Leopardi, Rcs, Milano 2017, pp. 168, euro 1 (in supplemento al "Corriere della sera").
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Riletture
- Fernanda Pivano (a cura di), Poesia degli ultimi americani, Feltrinelli, Milano 1964, 1980, pp. 372.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 2897 del 26 novembre 2017
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVIII)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

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