[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 849



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Numero 849 del 15 agosto 2016

 

In questo numero:

1. Cominciare

2. Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia

3. Fermare i golpisti votando no al referendum

4. Malvolio Straccani: Quando facevo l'artista a Parigi

5. Malvolio Straccani: Solo quattro chiacchiere al bar

6. Malvolio Straccani: Il nipote di Zorro

 

1. SCORCIATOIE. COMINCIARE

 

Occorrera' pur porsi il problema di guardare in faccia la realta': le armi uccidono gli esseri umani.

Occorrera' pur porsi il problema di cominciare a fermare il massacro: il disarmo e' la via.

*

Pace, disarmo, smilitarizzazione.

Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

2. REPETITA IUVANT. DUE PROVVEDIMENTI INDISPENSABILI PER FAR CESSARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO E LA SCHIAVITU' IN ITALIA

 

Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro.

Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese.

 

3. QUID AGENDUM. FERMARE I GOLPISTI VOTANDO NO AL REFERENDUM

 

Senza odio, senza violenza, senza paura.

No al golpe.

AL referendum sulla riforma costituzionale votiamo no.

Senza odio, senza violenza, senza paura.

 

4. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: QUANDO FACEVO L'ARTISTA A PARIGI

[Dall'amico Malvolio Straccani riceviamo e pubblichiamo questo nuovo racconto]

 

A dire il vero non era a Parigi, ma a Perugia. E dove li trovavo i soldi per andare a Parigi, che oltretutto parlano in francese cosi' non capisco una parola? E alla dogana come facevo a passare, che m'hanno levato sia il passaporto che la patente per certe fesserie che avevo fatto cosi' per ridere in gioventu' (e m'avevano pure condannato, 'st'infami, per sfruttamento della prostituzione, che secondo me non e' neppure reato, ma avevo l'avvocato d'ufficio pure quella volta. Lo sapete come li chiamano l'avvocati d'ufficio? M'appello-a-la-cremenza-de-la-corte, mortacci loro).

Non lo so come m'era venuta l'idea de fa' l'artista. Non so neppure disegnare, ho fatto solo fino alla terza elementare e da allora non ho piu' preso in mano una penna o una matita, figuramose se ho mai toccato un pennello. Anzi, no, ce lo so perche' me venne l'idea. 'Na volta al cinema avevo visto un film che erano tutti artisti, pieni de femmine gnude, e se beveva sempre e nun se pagava mai, e ogni tanto pigliavano una femmina gnuda co' la scusa de fa' un quadro e 'nvece del quadro se faceveno essa. Me ricordo che uscii dal cinema e me dissi: que' ade' 'n ber mestiere, me piace.

Cosi' decisi di diventare artista a Parigi, perche' in quel film stavano a Parigi o in qualche altro posto in America, non se capiva bene, ma insomma se uno ha da fa l'artista l'ha da fa' a Parigi, cosi' andai a Perugia, che qui a Terni mi conoscono tutti e come entro in un bar chiamano i carabinieri.

A dire il vero io non sono neppure ternano, ma di Viterbo, anzi, della campagna vicino, ma so' stato a Roma per parecchi anni e quindi mi sono particolarmente evoluto e ho ormai un'esperienza cittadina, anzi metropolitana, fatta nella capitale d'Italia e del mondo, mica chiacchiere (se dice metropolitana perche' c'e' la metropolitana, che a Viterbo, a Terni, a Orvieto, a Perugia se la sognano, al piu' cianno le scale mobili). So' stato a Cinecitta', al Tufello, alla Magliana, ho visto tutti i posti, pure stazione Termini e Ponte Milvio. A piazza San Pietro pero' nun ce so' mai voluto anna', so' nnemico de la religgione, che i preti so' tutti sbirri, e tutta quella gente che se confessa, tutti 'nfami. Io so' comunista, so' ppe' la libberta', come dice Bandiera rossa; me piace Bandiera rossa perche' nun e' solo 'na canzone ma te spiega pure 'n sacco de cose, il popolo, la riscossa, io so' d'accordo co' tutte. Me piace pure Bella ciao, e le canzoni de Albano e de Giggi D'Alessio.

Arrivo a Perugia che era de domenica. Come al solito nun ciavevo 'na lira manco pe' piagne. E annava bene, perche' l'artista ha da esse povero, diventa ricco solo a la fine (oppure more). Ma pure quann'e' povero c'e' sempre chi l'aiuta, perche' all'artista je vonno bene tutti, e piu' de tutti je vonno bene i ricchi che se fanno fa' i quadri o i monumenti. Cosi' decido de comincia' a fa' l'artista cercando qualcuno da fajje 'n quadro. E siccome ci tengo a presentarmi bene, e si sente gia' da come parlo (perche' parlo con una certa distinzione, qualche volta uso 'l dialetto, ma se vojo so parla' in itajano stretto), allora, quale e' la prima cosa da fare in ogni mestiere? Eh? Imparare dai maestri. Imparare dai amestri e' la rpima cosa. Cosi' decido di telefonare a Zibbacchiotto e di farlo venire pure a lui a Perugia, non per fargli fare l'artista, ce lo vedete Zibbacchiotto che fa l'artista? No, per la parte preparatoria. E la parte preparatoria era questa, che per studiare le opere dei maestri bisogna osservarle attentamente, da vicino: ora, se tu ce fai caso le tengono sempre lontano: per esempio nei musei, mica te le fanno tocca'. Allora a fini di studio ho fatto veni' Zibbacchiotto pe' damme 'na mano. Abbiamo cominciato con le chiese, che sono piu' facili perche' sono quasi sempre aperte e quasi sempre vote. Tu entri con la lametta, tagli vicino alla cornice, arrotoli e via. Poi nel tuo atelie' (atelie' e' dove l'artista beve e dorme quanno e' da solo) le studi da vicino le opere dei maestri. Solo che anno' a fini' che le potevo studiare poco perche' Zibbacchiotto insisteva per venderle subito, e non dico che fosse una cattiva idea, perche' ci si facevano bei soldi.

Poi un giorno la tecnologia ebbe il sopravvento sull'arte. Ando' cosi': il nostro metodo era di entrare in una chiesa, dare uno sguardo in giro e se c'era roba buona non starci tanto a pensare, se era roba piccola la mettevamo nel borsone (giravamo sempre con due borsoni di quelli firmati, per darci un tono da turisti, ma li avevamo comprati dai cinesi perche' di buttare via i soldi per due borsoni era proprio una scemenza), se invece erano bei quadri grossi tagliavamo con la lametta, arrotolavamo e via. Era un buon metodo, rapido ed efficiente; e qui vorrei fare una protesta: in quelle chiese c'erano un mucchio di quadri che pero' erano fatti direttamente sul muro, e questa era proprio una carognata, perche' se li volevi portare via a fini di studio nel tuo atelie', dovevi venire col picchio e tirare giu' mezzo muro, e c'era sempre il rischio che il quadro si sbriciolava: insomma, non era cosa. Questa e' proprio una cosa contraria all'arte, che dovrebbe essere a disposizione di tutti, e invece quei quadri disegnati sul muro erano una truffa, erano. E io e Zibbacchiotto per protesta allora li sgraffiavamo col coltello, o ci disegnavamo sopra col pennarello (soprattutto Zibbacchitto ci faceva certi disegni di dettagli di anatomia maschile, ma grossi esagerati; avete capito, no?). Insomma, un giorno avevamo lavorato e tutto era andato bene. La sera stavamo a magnasse 'na pizza in pizzeria e arrivano gli sbirri e c'invitano a una passeggiata. Noi per non essere cafoni andiamo con loro. Non ci si crede, ci portano in una stanzetta in questura e accendono una televisione piccola che stava su un tavolino, e che film facevano? Io e Zibbacchiotto che stavamo a taja' quel quadro de quel pomeriggio. E il commissario Megre', li', ce dice: "Che nun ce lo sapevate che c'ereno le telecamere?" e ce fa segno de guarda' bene n'antra vorta se all'entrata c'e' il cartello "area videosorvegliata". Mo' il bello e' che io quel cartello l'avevo visto fuori della chiesa, ma pensavo che era per il parcheggio dei motorini sul sagrato, o per tenere lontani gli spacciatori. Invece quei fijji de bona donna il film lo facevano dentro! Al processo l'avvocato mio je lo spiego' che era attivita' de studio pe' comincia' a fa' l'artista, ma il giudice neppure lo stava a senti'. Come dicevano in quel film, era un filisteo, e glielo ho pure detto quando ha letto la condanna per me e per Zibbacchiotto; me so' alzato e ho strillato: "Signor giudice, lei e' un filisteo, ma l'arte un giorno sara' libera". Zibbacchiotto me guardava a bocca aperta, ma che ne capisce lui dell'arte. Intanto ci hano messo in galera a tutti e due, a me e a Zibbacchiotto. A Zbbacchiotto non gliene poteva frega' di meno, lui ci era abituato a fare dentro e fuori. Io invece ci restai male, perche' sentivo la vocazione artistica. Comunque anno' cosi'. E cosi' fini' quella parte della mia vita che facevo l'artista a Parigi.

Vi racconto di quando mi occupavo di import-export tra l'Italia e la Colombia?

 

5. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: SOLO QUATTRO CHIACCHIERE AL BAR

[Dall'amico Malvolio Straccani riceviamo e pubblichiamo questo nuovo racconto]

 

Mmm, questo si' che e' un caffe'. Eh, che ne dice? Secondo me e' il miglior caffe' di Roma, ci vengo tutte le mattine qui al bar del sediaro abbruciato - nome curioso, no? -, mi bevo il mio caffe' e sono felice. Ah, vedo che anche a lei piacciono i gialli, anche a me piace leggere, stando in portineria certi giorni passa un sacco di tempo che non succede niente e allora bisogna tenere la mente sveglia, e io leggo i gialli o faccio la Settimana enimmistica, solo le parole crociate pero', gli altri giochi mi annoio e certi neppure si capiscono, e' vero? Lo sa che da giovane volevo fare lo scrittore? Ma forse la sto disturbando, me lo dica, me lo dica liberamente e mi taccio. L'ho sentito alla radio "mi taccio", e' un bel modo di dire, non le pare? A me piace continuare a imparare le cose, apposta mi piace leggere. Io non li capisco quelli che dicono che non gli piace leggere. Scommetto che lei e' d'accordo con me. Del resto lei stava forse leggendo, se ha quel giallo sul tavolo... Sicuro che non disturbo? Allora le faccio un po' di compagnia, il tempo di finire il caffe', poi devo tornare alla guardiola che c'e sempre da fare, mai un minuto libero.

Avevo anche cominciato a fare lo scrittore, sa? No, non ho mai pubblicato niente, ci mancherebbe, pero' alcune cosucce le avevo scritte, cosi', per me. Anche poesie, sicuro, no, non erano poesie d'amore. Dove stavo io se scrivevi una poesia d'amore la ragazza ti lasciava perche' pensava che non eri normale. E' strano, no? Perche' invece le canzoni d'amore gli piacevano a tutte e ci piangevano come fontane. Io pero' non ho mai imparato a suonare niente, si figuri, non so neppure ballare. Forse e' per questo che sono restato solo. E' una vita dura da soli, da giovane ti pare che soffri come un cane ma invece e' da vecchio che soffri veramente come un cane. Lei avra' famiglia, si'? Ah, congratulazioni, congratulazioni. Un uomo deve avere un famiglia. Io da ragazzo ero una persona riflessiva, e' per questo che volevo fare lo scrittore. No, non me le ricordo piu' le poesie che scrivevo allora, e non le ho neppure conservate, anzi, per un certo periodo si', ma poi sa come succede, tra un trasloco e l'altro. Poi ho smesso, e' naturale, ho smesso quando ho finito di andare a scuola. Scrivevo pure un romanzo, pensi un po', ma pure quello l'ho lasciato perdere, che per scrivere un romanzo ci vuole un sacco di tempo, uno si crede che ci si mette lo stesso tempo che a leggerlo, invece no, ci vuole un'enormita' di tempo in piu', sa? E chi ce l'aveva piu' il tempo? Per campare bisogna darsi da fare e allora il tempo per scrivere, saluti e baci. Saluti e baci. Pero' leggere mi piace sempre, qui al bar ci vengo a prendere il caffe', ma ci vengo pure a dare uno sguardo al Corriere dello sport, mi piace leggere. E poi mi piace leggere i gialli, perche' c'e' una storia vera, coi morti ammazzati, e alla fine vince la giustizia, mica come nel mondo reale che alla fine restano solo i morti ammazzati e i morti di fame e basta. No? Non e' cosi'? Non e' che l'annoio, eh? No? La giustizia, sarebbe bello che ci fosse davvero la giustizia, ma quella vera, eh? Ah, io guardi per la giustizia sarei disposto... neppre lo so che sarei disposto a dare, ma quale giustizia, si', la giustizia, eh? Ancora con le favole, eh?

E lei che dice, non ho ragione? Dicevo qui col signore che qui fanno il miglior caffe' d'Italia, e si sa che in Italia si fa il miglior caffe' del mondo. Ho ragione? Ho ragione si'. E mica lo dico per farmi fare lo sconto, eh, lo dico perche' e' vero e ci si puo' mettere la mano nella bocca della verita', ce l'avete presente la bocca della verita'? Uno ci mette la mano e se ha detto una fregnaccia zacchete, addio mano. Eh? Non e' una bella storia? Roma e' piena di monumenti e di storie gajarde. Come si dice, infatti? Tutte le strade portano a Roma. Ci sara' un motivo, ci sara'. Se al Comune non fossero tutti ladri noi qui col turismo potremmo vivere tutti di rendita, solo a starcene fermi e a lasciarci guardare e fotografare dai turisti, eh? Le belle statuine potremmo fare, e viverci di rendita, che in messun posto del mondo ci sono tutti i monumenti di Roma, anzi, neppure in tutti i posti del mondo messi insieme. No? Non e' vero? E poi certe mattinate, come questa per esempio, solo a Roma: il sole, la luce, e' una bellezza, una bellezza. In Svizzera, in America, come minimo piove.

Forse e' opportuno che mi presenti. Faccio il portiere in quel palazzo, da qui se ne vede uno spigolo, ma se uscite dal bar si vede bene. Non ho fatto il portiere per tutta la vita, no, e' un lavoro che mi e' capitato qualche anno fa, e mi sta bene, perche' un vecchio come me che altro lavoro puo' trovare?

Dietro la guardiola ci sono due stanze e il gabinetto, e io vivo li', in una stanza dormo, nell'altra cucino, e il gabinetto serve per quando devo andare al gabinetto, non c'e' mica bisogno di spiegarlo, e che lo uso come sala da pranzo? Eh? Mi scalano l'alloggio dallo stipendio, ma io non ho grosse spese. Tutto in nero, sicuro. Con gli inquilini non ho mai avuto problemi. Io mi faccio gli affari miei, e quando mi chiamano per qualche guasto di solito so dove mettere le mani, oppure so a chi telefonare. Nessuno si lamenta di me. Ma non ho fatto sempre il portiere, e neppure sono di qui, a Roma ci sono venuto che gia' ero stato in un mucchio di altri posti. E neppure pensavo di fermarmici. E' successo per caso, come sempre.

Fare il portiere e' un bel lavoro, specialmente per uno come me che ha girato tanto e non ha piu' voglia di andare tanto in giro. Sono stato anche in America, sa? In Argentina. Ma qui si sta meglio, mi creda. Quando ero la' comandavano i militari. Meglio non parlarne. No, non ho niente da nascondere, volevo dire solo che non mi va di parlarne.

No, no, non mi hanno fatto niente. No, neanch'io ho fatto niente. Dicevo cosi', per dire. Si' che sono italiano, ma quale immigrato, italiano sono. No, di Roma no, ma italiano si'. Certo che sono cattolico, non molto praticante, ma cattolico si'. Perche' non sono praticante? Ma non lo so. Anzi, no, io vorrei andarci a messa almeno la domenica ma e' che ho da pensare alla portineria, c'e' sempre da fare, e poi bisogna vigilare, con tutti i delinquenti che ci sono in circolazione. Ma no, ma che alludo, non alludo a niente e a nessuno. Dicevo solo che devo stare sempre in portineria, e' il mio lavoro e voglio farlo bene, no?

Si', e' vero, adesso sto qui al bar, ma giusto due minuti per bere un biancosarti e dare uno sguardo al Corriere dello sport, poi torno subito alla guardiola. Ma e' naturale che tifo pure io per la magica Roma, che c'entra che non sono di qui, ormai sono di qui, ci vivo da un sacco di tempo. Mo perche' ridete?

Per chi tifavo prima? Ma veramente prima il calcio non m'interessava tanto. No, ho detto che non m'interessava tanto, non che non me ne fregava niente, certo che m'interessavo di calcio anche prima, e chi non ha dato quattro calci al pallone? E le figurine Panini, come no? No che non ho niente contro i tifosi, se uno vuole vedere le partite che male c'e'?

Non ho detto che c'e' qualcosa di male, ho detto proprio il contrario, ho detto che male c'e', se lei avesse ascoltato, e poi stavo parlando col signore, mi scusi. Ah, questa, mi scusi, e' proprio buffa: come sarebbe a dire che l'ho offesa? Io neppure la conosco, dicevo solo che lei probabilmente non ha ascoltato il ragionamento che stavo facendo, che poi neppure era un ragionamento, solo quattro chiacchiere al bar.

E via, questo poi no. Non ho detto che lei e' un buffone, me ne guarderei bene, ho detto che questo malinteso,  questa circostanza, come la posso chiamare, era buffa, curiosa, come posso dire: simpatica, divertent, ecco, cosi', che poi non importa, non dicevo a lei, era buffa, divertente la situazione, ma cosi', senza malizia, e se per caso l'ho offesa mi creda che era senza volerlo e comunque le chiedo scusa. Si', chiedo scusa anche a lei, che mi costa?

Ah, ma allora. Ho detto "che mi costa" perche' e' un modo di dire. Ma no che non ho detto che siete due pezzenti, ma ci mancherebbe, ma chi sono io, anzi, si', sono d'accordo con voi, se qui c'e' un pezzente sono proprio io, va bene cosi'? E adesso, scusatemi, devo proprio tornare alla guardiola, scusate, eh? Devo andare, magari c'e' qualche inquilino che mi cerca, oppure arriva il postino, bisogna che mi trovino li', no?

Eh no, giu' le mani, eh? Ma che fate? Ma che fate? Ma che ho detto?

E adesso che c'entra? E se pure fossi comunista, e allora? Ah si'? E allora guardate un po', si', so' proprio comunista, e me ne vanto. Col cavolo che lo dico, ditelo voi viva il duce e poi sciacquatevi la bocca col piscio mischiato col veleno pei topi. A me il fascismo me fa schifo. E se non fossi vecchio come sono... ma lasciamo perdere, devo tornare alla guardiola, non pensavo... no, niente, il padrone del bar e' un amico, vengo qui tutte le mattine, non voglio essere proprio io a creare grane proprio qui che si beve il miglior caffe' del mondo. Come non detto, eh, fate come se non avessi detto niente, tanti saluti e bona giornata.

Ma che fate, aho'? Eh no, eh, giu' i coltelli, giu' i coltelli!

 

6. RACCONTI PER L'ESTATE. MALVOLIO STRACCANI: IL NIPOTE DI ZORRO

[Dall'amico Malvolio Straccani riceviamo e pubblichiamo questo nuovo racconto]

 

Sara', ma a me essere il nipote di don Diego e' sempre sembrato un guaio e nient'altro. Dice: sai quante ragazze rimorchi, e invece non si rimorchia un bel niente. E poi tutti si aspettano da te che fai gli atti di valore, come se fosse facile fare gli atti di valore - che ne so - a quattordici anni, che uno di due anni piu' grande te le suona ad andare e venire. E i professori poi: Nicasio, lei che e' il nipote di don Diego dovrebbe dare l'esempio... E m'interrogano tutti i giorni. E per quanto io mi sguerci a studiare non basta mai. Nicasio, si impegni per essere degno del nome che porta; Nicasio, il compito in classe e' andato male, che direbbe suo nonno buonanima; Nicasio, almeno lei la poesia la deve imparare a memoria tutta; Nicasio di qua, Nicasio di la'. E questa sarebbe vita?

A casa, poi, non vi dico. La mamma: Nicasio, hai detto le preghiere? Nicasio, finisci la minestra; Nicasio, vai a governare le galline; Nicasio, e' l'ora di pianoforte; Nicasio, non vorresti donare qualcuno dei tuoi giocattoli ai bambini poveri della parrocchia?

*

La scuola fu un tormento. La famiglia pure. Gli altri ragazzini con cui giocavamo a pallone anche peggio. Se mi mandavano a comprare il pane o la frutta, o il giornale o qualunque altra cosa, non vi dico. Anzi, ve lo dico.

Mia madre mi manda dal barbiere a farmi tagliare i capelli. E il barbiere approfitta che sono li' sul seggiolone e lui mi gira intorno con le forbici e il pettine e da' un colpo qua e uno la' e comincia a raccontare agli altri clienti le storie del nonno e ogni volta mi dice: la sapevi questa, Nicasio? e io non sapevo che dire, perche' le sapevo tutte che le avevo sentite un milione di volte ma se dicevo che le sapevo il barbiere si offendeva, e allora dovevo fare la figura del fesso e dire: No, sor Armando, Davvero, sor Armando? Ma pensate un po', sor Armando, Grazie di avermelo detto, sor Armando, e cosi' per mezz'ora.

Vado a comprare il pane, non e' che la sora Cesira mi da' la pagnotta, io pago ed esco; no, mi fa passare avanti da tutti e mi serve per ultimo, perche' cosi' puo' raccontare a tutti che sono il figlio di don Carlo che e' il figlio di don Diego, e comincia a raccontare a tutti la storia della mia famiglia e io devo restare li' prova vivente della veridicita' dei suoi racconti e ogni tanto mi fa: "E' vero, Nicasio, anima mia?", e io: "Sissignora, sora Cesira, adesso mi potrebbe dare il pane che la mamma mi ha detto di tornare a casa subito?", e lei: "Adesso, adesso, aspetta un attimo che ci sono questi signori che erano gia' qui" e invece sono entrati un quarto d'ora, mezz'ora dopo di me. Oltretutto suo figlio e' mio compagno di classe, cosi' si mette anche a raccontare di quello che succede a scuola che cento volte glielo ho detto ad Alfonso di non fare lo scemo e di non raccontargli sempre tutto tutto alla madre, ma lui figuriamoci. E cosi' via.

Oppure si andava a giocare a pallone, e io le prime volte giocavo all'attacco, e appena quelli dell'altra squadra sapevano che ero il nipote di don Diego, ebbene, che avessi o non avessi la palla giu' calci, spintoni, sputi e manciate di polvere negli occhi. Dovemmo decidere che giocavo in difesa, ma io ero bravo all'attacco e in difesa non mi ci trovavo, allora facevo il terzino fluidificante, ma appena passavo il centrocampo era un assalto, mi venivano addosso in quattro e mi seppellivano, non era piu' giocare a pallone, era un misto di rugby e lotta libera. Il peggio e' che non potevo smettere di giocare perche' siccome ero il nipote di mio nonno le altre squadre giocavano con noi solo se io ero in campo. Voi non vi potete immaginare, neanche lontanamente vi potete immaginare.

Gli anni della scuola sono la cosa peggiore che esista al mondo. Quando finii le superiori giurai a me stesso che se avessi mai avuto dei figli mi sarei fatto uccidere piuttosto che sottoporli alla stessa tortura che avevo subito io.

*

Adesso ero adulto, ed ero sempre il nipote di don Diego. Tutti pensano che chissa' quali vantaggi, quali opportunita'. Quello era un nome che nell'opinione comune apriva tutte le porte, tutte le carriere erano in discesa, dovevo solo afferrare l'occasione che preferivo tra le innumerevoli che mi si sarebbero presentate. La pensate anche voi cosi'? Sbagliatissimo. Intanto tutti parlavano bene del nonno, ma poi si dividevano in due categorie. Quelli che sotto sotto pensavano che il nonno era un ipocrita, uno che si travestiva - e avete visto che vestiti si metteva? -, e uno che quando era Zorro si vergognava di essere don Diego e quando era don Diego si vergognava sicuramente di essere Zorro, e poi a dirla tutta faceva tutto Bernardo, che gli avevano tagliato la lingua apposta, perche' non potesse raccontare come andavano veramente le cose. E questi erano quelli benevoli, perche' l'altro gruppo era di quelli che pensavano che il nonno aveva combinato solo guai, che era un sovversivo e un comunista - bella forza, con tutti i soldi di suo padre, e poi voleva liberare i servi degli altri, ma i suoi marameo, e faceva certe cose con le serve di casa, che ve lo raccomando l'eroe del popolo! -. Il risultato era che tutti si gloriavano dell'eroe del paese, anche perche' portava un po' di turismo e senza turismo qui da noi ci sono solo le olive, le vigne e gli ortaggi, e un po' - ma poco poco - di allevamento di ovini e di suini (e gli animali da cortile, e' logico), neppure le fabbriche, neppure gli uffici. E avevano promesso che ci portavano l'universita' ma poi se la papparono quelli di ***, che gia' ci avevano pure il pomodorificio e il mare, mentre noi niente. Il babbo aveva fatto "il museo di Zorro" e ci campavamo, ma insomma se avessimo fatto un albergo e un ristorante sarebbe stata un'altra cosa, invece l'albergo col ristorante e con la piscina "da Zorro" lo fecero nel paese vicino (dove il nonno ci sara' andato si' e no due volte in vita sua), che sono solo venti chilometri, ma sono parecchi venti chilometri, e infatti la discoteca poi l'hanno fatta li' e non qui da noi. Qui da noi ci sono solo i negozi di souvenir, qualche pensione, due trattorie e qualche agriturismo nei dintorni. Per dire: non ci sono neppure i pusher, chi si droga deve andare a Santa Maria Santissima per comprare la roba. E il cinema apre solo d'estate, perche' non ce lo abbiamo un cinema coperto, ma solo un'arena che se ci si portano le sedie diventa cinema, senza le sedie e' la balera delle feste patronali. E il mercato settimanale, e le fiere per le feste comandate, che ve lo dico a fare? due bancarelle di roba ammuffita e via, che c'e' da vergognarsi come cani. Neppure i fuochi d'artificio facciamo, per la festa del santo patrono chi ha una carabina spara per aria dal terrazzo di casa e quella e' la sera del di' di festa, e va di lusso quando non si ferisce nessuno.

La mamma voleva che facessi l'universita', e nella capitale: il nipote di don Diego doveva diventare o avvocato o dottore o ingegnere, mica ceci. Ma il babbo pensava che era meglio se restavo a occuparmi del museo, che lui si sentiva gia' vecchio. Povero papa', se e' stata dura essere il nipote di Zorro provate a pensare cosa deve essere stato essere il figlio di Zorro. Sembrava che ne portasse il marchio nel corpo delle umiliazioni e delle sofferenze patite. Nessuno lo stimava, a cominciare dalla mamma tutti lo consideravano un fallito e un buono a nulla. Tra l'altro il nonno quando aveva ereditato alla morte del bisnonno Alessandro aveva fatto degli investimenti sbagliati - secondo alcuni, secondo altri si era mangiato questo e quest'altro per fare il gradasso e ben gli stava se poi era finito come era finito, a dover tirare avanti con la pensione -. Ma la verita' era che il nonno si era convinto che si potevano fare i soldi con il cinema e invece fini' che i film su Zorro li fece Walt Disney e al nonno non gli diede mai una lira di diritti, e quando il nonno fece causa mise un avvocato che era un amico di famiglia che prima promise mari e monti ("Vinciamo alla grande, gli facciamo cacciare fino all'ultimo baiocco al sor Topolino dei miei stivali") e poi perse la causa e noi restammo con le pive nel sacco e dovemmo pagare un sacco di spese, ma un sacco, un sacco di spese che mai ce lo saremmo potuto immaginare. Il nostro avvocato qualche mese dopo la fine della causa fu assunto a Hollywood come sceneggiatore, e indovinate da chi? Avete indovinato.

Povero nonno. E povero papa'. Almeno il nonno da giovane era stato Zorro, il babbo era stato solo e sempre nient'altro che il figlio di Zorro, anzi, come dicevano tutti in paese quando pensavano che nessuno di noi della famiglia sentisse, "quel fesso del figlio di Zorro, se poi veramente don Diego e' il padre, perche' lo sapete che si dice di don Diego, no?". Lo sapete come ando' a finire? Che il nonno fini'a dover andare a fare la comparsa alle feste di matrimonio, o di battesimo, o delle cresime, o delle prime comunioni dei mafiosi, proprio quelli contro cui si era battuto da giovane, che adesso gli allungavano cinquantamila lire per esserci pure lui alla tavolata e quello col microfono a un certo punto fermava l'orchestrina e diceva: "E lo sapete chi c'e' tra gli amici di famiglia della bellissima sposa e del fortunatissimo sposo? Anche don Diego de la Vega, e lo sapete chi era da giovane? Era Zorro!" e giu' gli applausi, e il nonno si doveva alzare in piedi ed inchinarsi a destra e a sinistra. Poi fu colpito dall'alzheimer e non usci' piu' di casa. E poi e' morto. Bernardo, non so se lo sapete, era gia' morto in quell'incidente che l'autista dello scuolabus si era ubriacato ed entro' con tutto il pullman dentro la sala da biliardo e Bernardo era li' che guardava una partita, neppure giocava, e il pullman lo mise sotto e poi ci fu quella causa infinita per il risarcimento dei due biliardi rovinati, e del povero Bernardo non gliene fregava niente a nessuno e i funerali glieli abbiamo pagati noi perche' tutto quello che aveva messo da parte (e il bisnonno Alessandro nel testamento gli aveva anche lasciato un bel regalo) glielo aveva portato via quella ragazzetta che diceva di essere un'attrice e gli aveva proposto di andare insieme a vivere a Milano, si fece dare tutti i soldi e spari' nel nulla, neppure una lettera o una telefonata. Da allora Bernardo beveva e passava le giornate alla sala da biliardo (che poi era la stanza di dietro del bar dello sport).

Povero nonno, povero babbo e povero Bernardo.

Quando il babbo me lo chiese, di restare a casa per aiutarlo a gestire il museo di Zorro come potevo dirgli di no? Il lavoro era tanto perche' il museo - che erano tre stanze di casa nostra e il patio dove dovevamo tenere un cavallo perche' i turisti si aspettavano che ci fosse il cavallo di Zorro e non ci pensavano che se Zorro era morto pure il cavallo di Zorro tanto giovane e pimpante non poteva essere. Invece volevano vedere il cavallo e doveva essere bello lustro e pure pronto ad assumere la posa rampante e a nitrire come vedevano nella sigla dei telefilm di Walt Disney (e non mi fate dire cosa penso di quell'egregio signore di Walt Disney, non mi posso proprio permettere di farmi querelare: mio padre quando perdemmo la causa era furioso, ma quell'egregio signore gli fece scrivere da un avvocato che ci tenevano d'occhio e che se avessimo osato dire una parola contro di loro ci avrebbero portato via la casa e se gli andava ci cavavano pure la pelle e ci mandavano a stracci, e stessimo pure sicuri che erano capaci di farlo).

Cosi' avevamo un accordo con il sor Francesco che ha il maneggio che quando arrivava qualche turista a visitare il museo ci portava il cavallo di Zorro, che poi era un cavallo qualunque non troppo vecchio che lui sapeva farlo impennare e nitrire (nascondeva un chiodo nella mano), e noi gli davamo cinquecento lire a volta, che non era poco visto che il biglietto del museo era di mille lire per gli adulti e gratis per i bambini a condizione che i bambini non fossero piu' di due e fossero accompagnati da almeno un adulto (dicevamo che dovevano essere accompagnati perche' c'erano le armi che erano pericolose e perche' Tornado - che sarebbe il nome del cavallo di Zorro - poteva imbizzarrirsi e calpestarli; anche se la verita' era che Tornado era tenuto a cavezza dal sor Francesco per tutto il tempo, e le armi di Zorro erano tutte chiuse nelle vetrinette e i ragazzini si' e no le vedevano).

Bisognava tenere pulite le tre stanze e il patio, ogni tanto rinfrescare l'insegna con una passata di vernice, spolverare le vetrinette, le fotografie, i libri e i manoscritti e gli spartiti sottovetro sullo scrittoio del nonno, e poi staccare i biglietti e accompagnare i turisti nella visita guidata, e l'accompagnamento della guida era tutto perche' da vedere c'era ben poco e allora tutto dipendeva dall'abilita' del cicerone che raccontava, raccontava, raccontava e faceva durare un quarto d'ora il passaggio in tre stanze dove non c'era quasi niente da vedere. Poi c'erano le macchinette col caffe', le bibite e le merendine e un po' di merchandising artigianale, le magliette di Zorro che ricamava mia madre, le sciarpe di Zorro che erano pezze di raso nero tagliate dritto per dritto e mia madre ci ricamava sopra la zeta con un filo rosa o turchino (rosa per le donne e turchino per gli uomini),e altra roba cosi' che mi vergogno pure a dirla. Ci dovevamo vivere tutta la famiglia. Mio padre aveva cercato a lungo di trovare un altro lavoro, ma aveva avuto un incidente da giovane, era finito in galera e quando usci' e torno' a casa era malato cronico di depressione e non aggiungo altro. Povero babbo. E povera mamma, che aveva sposato il figlio di Zorro e si era ritrovata quel relitto.

Cosi' restai li' a casa a gestire il museo di Zorro tra i venti e i trent'anni, quando il babbo e' morto per soffocamento e pochi giorni dopo e' morta anche la mamma di crepacuore. Poi c'e' chi dice che invece sono morti perche' hanno mandato giu' troppe medicine tutte insieme, e su questa tesi io preferisco non pronunciarmi, anche perche' collegata ad essa sono state formulate varie e tutte sgradevolissime illazioni, anche da parte del maresciallo dei carabinieri e per chiudere la questione gli ho dovuto regalare la collana della mamma, che era l'unica cosa di valore che avevamo ancora, gli altri gioielli di famiglia li avevamo dovuti gia' vendere tutti; le terre del bisnonno le aveva gia' dovute vendere tutte il nonno, la mazzata finale era stato il processo col gringo cinematografaro.

*

E questa e' stata la mia vita, non so come sono riuscito a sopravvivere per trent'anni senza suicidarmi, grandi cose fa il tempo e noi neppure ce ne accordiamo, e adesso che ho trent'anni ho deciso di svendere casa e tutto, lasciare il paese e la patria, e di venire a vivere qui a Parigi ("Parigi, a noi due!"), e sono diventato Fantomas.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

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Numero 849 del 15 agosto 2016

 

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