[Nonviolenza] Telegrammi. 2376



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2376 dell'11 giugno 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. "Teoria e prassi della nonviolenza: Simone Weil, Luce Fabbri, Franca Ongaro Basaglia". Un incontro di studio a Viterbo

2. Contro tutti i terrorismi, contro tutte le guerre

3. Hic et nunc, quid agendum

4. Nel referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco

5. Referendum: due siti utili per l'informazione

6. Jean Giono: L'uomo che piantava gli alberi

7. Segnalazioni librarie

8. La "Carta" del Movimento Nonviolento

9. Per saperne di piu'

 

1. INCONTRI. "TEORIA E PRASSI DELLA NONVIOLENZA: SIMONE WEIL, LUCE FABBRI, FRANCA ONGARO BASAGLIA". UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO

 

Si e' svolto venerdi' 10 giugno 2016 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio su "Teoria e prassi della nonviolenza: Simone Weil, Luce Fabbri, Franca Ongaro Basaglia". L'incontro e' stato coordinato dal responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini. Nel corso dell'incontro sono stati letti e commentati alcuni testi delle tre grandi pensatrici e militanti per la liberazione dell'umanita'.

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Simone Weil

Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stante la persecuzione antiebraica). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil. Biografia di un pensiero, Garzanti, Milano 1981, 1990; Eadem, Simone Weil. Una donna assoluta, La Tartaruga edizioni, Milano 1991, 2009; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina (Enna) 2006; Wanda Tommasi (a cura di), Weil, Rcs, Milano 2014; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994.

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Luce Fabbri

Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento per tutte le persone amiche della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa intervista  a cura di Cristina Valenti: Luce Fabbri, vivendo la mia vita, apparsa su "A. rivista anarchica" dell'estate 1998 (disponibile anche nella rete telematica nel sito: www.arivista.org). Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org).

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Franca Ongaro Basaglia

Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno civile, pensatrice di profondita', finezza e acutezza straordinarie, insieme al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica; e' deceduta nel gennaio 2005. Tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982; Manicomio perche'?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore, Milano 1982; Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo, Editori Riuniti, Roma 1987; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia. Dalla recente antologia di scritti di Franco Basaglia, L'utopia della realta', Einaudi, Torino 2005, da Franca Ongaro Basaglia curata, riprendiamo la seguente notizia biobibliografica, redatta da Maria Grazia Giannichedda, che di entrambi fu collaboratrice: "Franca Ongaro e' nata nel 1928 a Venezia dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura infantile e i suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e il 1963 insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, illustrata da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott. Ma sono gli anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a determinare la direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda meta' degli anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri componenti del gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman. La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, editi da Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi di Franco Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia, da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce. Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce "Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano 1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in "Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche, saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997; Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e' stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di Venezia il 13 gennaio 2005".

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Due appelli

Al termine dell'incontro sono stati ancora una volta condivisi e riproposti dai partecipanti due appelli: l'appello "Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia", e un appello a sostegno del centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna".

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L'appello per due provvedimenti indispensabili contro le stragi e la schiavitu'

L'appello "Due provvedimenti indispensabili per far cessare le stragi nel Mediterraneo e la schiavitu' in Italia" recita: "Riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro. Riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che vivono nel nostro paese".

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L'appello a sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna"

"L'associazione e centro antiviolenza "Erinna" e' un luogo di comunicazione, solidarieta' e iniziativa tra donne per far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza fisica e psichica e lo stupro, reati specifici contro la persona perche' ledono l'inviolabilita' del corpo femminile (art. 1 dello Statuto). Fa progettazione e realizzazione di percorsi formativi ed informativi delle operatrici e di quanti/e, per ruolo professionale e/o istituzionale, vengono a contatto con il fenomeno della violenza. E' un luogo di elaborazione culturale sul genere femminile, di organizzazione di seminari, gruppi di studio, eventi e di interventi nelle scuole. Offre una struttura di riferimento alle donne in stato di disagio per cause di violenze e/o maltrattamenti in famiglia. Erinna e' un'associazione di donne contro la violenza alle donne. Ha come scopo principale la lotta alla violenza di genere per costruire cultura e spazi di liberta' per le donne. Il centro mette a disposizione: segreteria attiva 24 ore su 24; colloqui; consulenza legale e possibilita' di assistenza legale in gratuito patrocinio; attivita' culturali, formazione e percorsi di autodeterminazione. La violenza contro le donne e' ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali e le donne che si impegnano perche' in Italia e in ogni Paese la violenza venga sconfitta lo fanno nella convinzione che le donne rappresentano una grande risorsa sociale allorquando vengono rispettati i loro diritti e la loro dignita': solo i Paesi che combattono la violenza contro le donne figurano di diritto tra le societa' piu' avanzate. L'intento e' di fare di ogni donna una persona valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignita' e saggezza. Una donna che conosca il valore della differenza di genere e operi in solidarieta' con altre donne. La solidarieta' fra donne e' fondamentale per contrastare la violenza".

Per sostenere il centro antiviolenza delle donne di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it, facebook: associazioneerinna1998

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

2. REPETITA IUVANT. CONTRO TUTTI I TERRORISMI, CONTRO TUTTE LE GUERRE

 

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni uccisione e' un crimine.

Non si puo' contrastare una strage commettendo un'altra strage.

Non si puo' contrastare il terrorismo con atti di terrorismo.

A tutti i terrorismi occorre opporsi.

Salvare le vite e' il primo dovere.

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La guerra e' il terrorismo portato all'estremo.

Ogni guerra consiste di innumerevoli uccisioni.

La guerra e' un crimine contro l'umanita'.

Con la guerra gli stati divengono organizzazioni terroriste.

Con la guerra gli stati fanno nascere e crescere le organizzazioni terroriste.

A tutte le guerre occorre opporsi.

Salvare le vite e' il primo dovere.

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Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Un'organizzazione criminale va contrastata con un'azione di polizia da parte di ordinamenti giuridici legittimi.

La guerra impedisce l'azione di polizia necessaria.

Occorre dunque avviare un immediato processo di pace nel Vicino e nel Medio Oriente che consenta la realizzazione di ordinamenti giuridici legittimi, costituzionali, democratici, rispettosi dei diritti umani.

Occorre dunque che l'Europa dismetta ogni politica di guerra, di imperialismo, di colonialismo, di rapina, di razzismo, di negazione della dignita' umana di innumerevoli persone e di interi popoli.

Occorre dunque una politica europea di soccorso umanitario, di pace con mezzi di pace: la politica della nonviolenza che sola riconosce e promuove e difende i diritti umani di tutti gli esseri umani.

Salvare le vite e' il primo dovere.

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La violenza assassina si contrasta salvando le vite.

La pace si costruisce abolendo la guerra.

La politica della nonviolenza richiede il disarmo e la smilitarizzazione.

La politica nonviolenta richiede la difesa civile non armata e nonviolenta, i corpi civili di pace, l'azione umanitaria, la cooperazione internazionale.

Salvare le vite e' il primo dovere.

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Si coalizzino tutti gli stati democratici contro il terrorismo proprio ed altrui, contro il terrorismo delle organizzazioni criminali e degli stati.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione dei conflitti.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per l'indispensabile aiuto umanitario a tutte le persone ed i popoli che ne hanno urgente bisogno.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per contrastare le organizzazioni criminali con azioni di polizia adeguate, mirate a salvare le vite e alla sicurezza comune.

Si coalizzino tutti gli stati democratici per la civile convivenza di tutti i popoli e di tutti gli esseri umani.

Salvare le vite e' il primo dovere.

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Cominci l'Italia.

Cominci l'Italia soccorrendo, accogliendo e assistendo tutte le persone in fuga dalla fame e dall'orrore, dalle dittature e dalla guerra.

Cominci l'Italia cessando di partecipare alle guerre.

Cominci l'Italia uscendo da alleanze militari terroriste e stragiste come la Nato.

Cominci l'Italia cessando di produrre  armi e di rifornirne regimi e poteri dittatoriali e belligeranti.

Cominci l'Italia abrogando tutte le infami misure razziste ancora vigenti nel nostro paese.

Cominci l'Italia con un'azione diplomatica, politica ed economica, e con aiuti umanitari adeguati a promuovere la costruzione di ordinamenti giuridici legittimi, costituzionali e democratici dalla Libia alla Siria.

Cominci l'Italia destinando a interventi di pace con mezzi di pace, ad azioni umanitarie nonviolente, i 72 milioni di euro del bilancio dello stato che attualmente ogni giorno sciaguratamente, scelleratamente destina all'apparato militare, alle armi, alla guerra.

Cominci l'Italia a promuovere una politica della sicurezza comune e del bene comune centrata sulla difesa popolare nonviolenta, sui corpi civili di pace, sulla legalita' che salva le vite.

Salvare le vite e' il primo dovere.

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Ogni vittima ha il voto di Abele.

Alla barbarie occorre opporre la civilta'.

Alla violenza occorre opporre il diritto.

Alla distruzione occorre opporre la convivenza.

Al male occorre opporre il bene.

Contro tutti i terrorismi, contro tutte le guerre.

Salvare le vite e' il primo dovere.

 

3. REPETITA IUVANT. HIC ET NUNC, QUID AGENDUM

 

Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.

Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.

Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.

Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.

Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.

Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.

Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.

In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.

In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.

L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.

L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Salvare le vite e' il primo dovere.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

4. REPETITA IUVANT. NEL REFERENDUM DI OTTOBRE VOTIAMO NO AL GOLPE BIANCO

 

Nel referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco, votiamo no allo stravolgimento della Costituzione, votiamo no alla deriva autoritaria; difendiamo la democrazia, difendiamo l'ordinamento repubblicano nato dalla resistenza antifascista.

 

5. RIFERIMENTI. REFERENDUM: DUE SITI UTILI PER L'INFORMAZIONE

 

Informazioni e materiali utili per il referendum di ottobre per impedire lo stravolgimento della Costituzione sono nel sito del "Coordinamento per la democrazia costituzionale": http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net e nel sito del "Comitato per il No nel referendum sulle modifiche della Costituzione": www.iovotono.it

 

6. TESTI. JEAN GIONO: L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo che abbiamo ripreso dal sito www.minerva.unito.it E' il testo integrale di Jean Giono, L'uomo che piantava gli alberi, nella traduzione di Luigi Spagnol, Salani, Milano 1996, 2010.

Jean Giono (1895-1970) e' stato un grande scrittore francese, e una persona saggia]

 

Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza.

Questa regione e' delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Drome, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pianure del Comtat Venaissin e i contrafforti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi, il sud della Drome e una piccola enclave della Valchiusa.

Si trattava, quando intrapresi la mia lunga passeggiata in quel deserto, di lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine. L'unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica.

Attraversavo la regione per la sua massima larghezza e, dopo tre giorni di marcia, mi ritrovavo in mezzo a una desolazione senza pari. Mi accampai di fianco allo scheletro di un villaggio abbandonato. Non avevo piu' acqua dal giorno prima e avevo necessita' di trovarne. Quell'agglomerato di case, benche' in rovina, simile a un vecchio alveare, mi fece pensare che dovevano esserci stati, una volta, una fonte o un pozzo. C'era difatti una fonte, ma secca. Le cinque o sei case, senza tetto, corrose dal vento e dalla pioggia, e la piccola cappella col campanile crollato erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma la vita era scomparsa.

Era una bella giornata di giugno, molto assolata ma, su quelle terre senza riparo e alte nel cielo, il vento soffiava con brutalita' insopportabile. I suoi ruggiti nelle carcasse delle case erano quelli d'una belva molestata durante il pasto.

Dovetti riprendere la marcia. Cinque ore piu' tardi non avevo ancora trovato acqua e nulla mi dava speranza di trovarne. Dappertutto la stessa aridita', le stesse erbacce legnose. Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. La presi per il tronco d'un albero solitario. A ogni modo mi avvicinai. Era un pastore. Una trentina di pecore sdraiate sulla terra cocente si riposavano accanto a lui.

Mi fece bere dalla sua borraccia e, poco piu' tardi, mi porto' nel suo ovile, in una ondulazione del pianoro. Tirava su l'acqua, ottima, da un foro naturale, molto profondo, al di sopra del quale aveva installato un rudimentale verricello.

L'uomo parlava poco, com'e' nella natura dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di se' e confidente in quella sicurezza. Era una presenza insolita in quella regione spogliata di tutto. Non abitava in una capanna ma in una vera casa di pietra, ed era evidente come il suo lavoro personale avesse rappezzato la rovina che aveva trovato al suo arrivo. Il tetto era solido e stagno. Il vento che lo batteva faceva sulle tegole il rumore del mare sulla spiaggia.

La casa era in ordine, i piatti lavati, il pavimento di legno spazzato, il fucile ingrassato; la minestra bolliva sul fuoco. Notai che l'uomo era rasato di fresco, che tutti i suoi bottoni erano solidamente cuciti, che i suoi vestiti erano rammendati con la cura minuziosa che rende i rammendi invisibili.

Divise con me la minestra e, quando gli offrii la borsa del tabacco, mi rispose che non fumava. Il suo cane, silenzioso come lui, era affettuoso senza bassezza.

Era rimasto subito inteso che avrei passato la notte da lui; il villaggio piu' vicino era a piu' di un giorno e mezzo di cammino. E, oltretutto, conoscevo perfettamente il carattere dei rari villaggi di quella regione. Ce ne sono quattro o cinque sparsi lontani gli uni dagli altri sulle pendici di quelle cime, nei boschi di querce al fondo estremo delle strade carrozzabili.

Sono abitati da boscaioli che producono carbone di legno. Sono posti dove si vive male. Le famiglie, serrate l'una contro l'altra in quel clima di una rudezza eccessiva, d'estate come d'inverno, esasperano il proprio egoismo sotto vuoto. L'ambizione irragionevole si sviluppa senza misura, nel desiderio di sfuggire a quei luoghi.

Gli uomini portano il carbone in citta' con i camion, poi tornano. Le piu' solide qualita' scricchiolano sotto questa perpetua doccia scozzese. Le donne covano rancori. C'e' concorrenza su tutto, per la vendita del carbone come per il banco di chiesa, per le virtu' che lottano tra di loro, per i vizi che lottano tra di loro e per il miscuglio dei vizi e delle virtu', senza posa. Per sovrappiu', il vento altrettanto senza posa irrita i nervi. Ci sono epidemie di suicidi e numerosi casi di follia, quasi sempre assassina.

Il pastore che non fumava prese un sacco e rovescio' sul tavolo un mucchio di ghiande. Si mise a esaminarle l'una dopo l'altra con grande attenzione, separando le buone dalle guaste. Io fumavo la pipa. Gli proposi di aiutarlo. Mi rispose che era affar suo. In effetti, vista la cura che metteva in quel lavoro, non insistetti. Fu tutta la nostra conversazione. Quando ebbe messo dalla parte delle buone un mucchio abbastanza grosso di ghiande, le divise in mucchietti da dieci. Cosi' facendo elimino' ancora i frutti piccoli o quelli leggermente screpolati, poiche' li esaminava molto da vicino. Quando infine ebbe davanti a se' cento ghiande perfette, si fermo' e andammo a dormire.

La societa' di quell'uomo dava pace. Gli domandai l'indomani il permesso di riposarmi per l'intera giornata da lui. Lo trovo' del tutto naturale o, piu' esattamente, mi diede l'impressione che nulla potesse disturbarlo. Quel riposo non mi era affatto necessario, ma ero intrigato e ne volevo sapere di piu'. Il pastore fece uscire il suo gregge e lo porto' al pascolo. Prima di uscire, bagno' in un secchio d'acqua il sacco in cui aveva messo le ghiande meticolosamente scelte e contate.

Notai che in guisa di bastone portava un'asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un metro e mezzo. Feci mostra di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada parallela alla sua. Il pascolo delle bestie era in un avvallamento. Lascio' il piccolo gregge in guardia al cane e sali' verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m'invito' ad accompagnarlo se non avevo di meglio. Andava a duecento metri da li', piu' a monte. Arrivato dove desiderava, comincio' a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva cosi' un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprieta' di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Pianto' cosi' le cento ghiande con estrema cura.

Dopo il pranzo di mezzogiorno ricomincio' a scegliere le ghiande. Misi, credo, sufficiente insistenza nelle mie domande, perche' mi rispose. Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la meta', a causa dei roditori o di tutto quel che c'e' di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c'era nulla.

Fu a quel momento che mi interessai dell'eta' di quell'uomo. Aveva evidentemente piu' di cinquant'anni. Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzeard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita.

Aveva perso il figlio unico, poi la moglie. S'era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza d'alberi. Aggiunse che, non avendo altre occupazioni piu' importanti, s'era risolto a rimediare a quello stato di cose.

Poiche' conducevo anch'io in quel momento, malgrado la giovane eta', una vita solitaria, sapevo toccare con delicatezza l'anima dei solitari. Tuttavia, commisi un errore. La mia giovane eta', appunto, mi portava a immaginare l'avvenire in funzione di me stesso e di una qual certa ricerca di felicita'. Dissi che nel giro di trent'anni quelle diecimila querce sarebbero state magnifiche. Mi rispose con gran semplicita' che, se Dio gli avesse prestato la vita, nel giro di trent'anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare.

Stava gia' studiando, d'altra parte, la riproduzione dei faggi e aveva accanto alla casa un vivaio generato dalle faggine. I soggetti, che aveva protetto dalle pecore con una barriera di rete metallica, erano di grande bellezza. Pensava inoltre alle betulle per i terreni dove, mi diceva, una certa umidita' dormiva a qualche metro dalla superficie del suolo.

Ci separammo il giorno dopo.

*

L'anno seguente ci fu la guerra del '14, che mi impegno' per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verita', la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l'avevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata.

Finita la guerra mi trovai con un'indennita' di congedo minuscola ma con il grande desiderio di respirare un poco d'aria pura. Senza idee preconcette, quindi, tranne quella, ripresi la strada di quelle contrade deserte.

Il paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime come un tappeto. Dalla vigilia m'ero rimesso a pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce, mi dicevo, occupano davvero un grande spazio.

Avevo visto morire troppa gente in cinque anni per non immaginarmi facilmente anche la morte di Elzeard Bouffier, tanto piu' che, quando si ha vent'anni, si considerano le persone di cinquanta come dei vecchi a cui resta soltanto da morire. Non era morto. Gli erano rimaste solo quattro pecore ma, in cambio, possedeva un centinaio di alveari. Si era sbarazzato delle bestie che mettevano in pericolo i suoi alberi. Perche', mi disse (e lo constatai), non s'era per nulla curato della guerra. Aveva continuato imperturbabilmente a piantare.

Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano piu' alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e, poiche' lui non parlava, passammo l'intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall'anima di quell'uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.

Aveva seguito la sua idea, e i faggi che mi arrivavano alle spalle, sparsi a perdita d'occhio, ne erano la prova. Le querce erano fitte e avevano passato l'eta' in cui potevano essere alla merce' dei roditori; quanto ai disegni della Provvidenza stessa per distruggere l'opera creata, avrebbe dovuto ormai ricorrere ai cicloni. Bouffier mi mostro' dei mirabili boschetti di betulle che datavano a cinque anni prima, cioe' al 1915, l'epoca in cui io combattevo a Verdun. Le aveva piantate in tutti i terreni dove sospettava, a ragione, che ci fosse umidita' quasi a fior di terra. Erano tenere come delle adolescenti e molto decise.

Il processo aveva l'aria, d'altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice. Ma, ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere dell'acqua in ruscelli che, a memoria d'uomo, erano sempre stati secchi. Era la piu' straordinaria forma di reazione che abbia mai avuto modo di vedere. Quei ruscelli avevano gia' portato dell'acqua, in tempi molto antichi.

Alcuni dei tristi villaggi di cui ho parlato all'inizio del mio racconto sorgevano su siti di antichi villaggi gallo-romani di cui restavano ancora vestigia nelle quali gli archeologi avevano scavato trovando ami in posti dove nel ventesimo secolo si doveva far ricorso alle cisterne per avere un po' d'acqua.

Anche il vento disperdeva certi semi. Con l'acqua erano riapparsi anche i salici, i giunchi, i prati, i giardini i fiori e una certa ragione di vivere.

Ma la trasformazione avveniva cosi' lentamente che entrava nell'abitudine senza provocare stupore. I cacciatori che salivano in quelle solitudini seguendo le lepri o i cinghiali s'erano accorti del rigoglio di alberelli, ma l'avevano messo in conto alle malizie naturali della terra. Percio' nessuno disturbava l'opera di quell'uomo. Se l'avessero sospettato, l'avrebbero ostacolato. Era insospettabile. Chi avrebbe potuto immaginare, nei villaggi e nelle amministrazioni, una tale ostinazione nella piu' magnifica generosita'?

A partire dal 1920 non ho mai passato piu' d'un anno senza andare trovare Elzeard Bouffier. Non l'ho mai visto cedere ne' dubitare. Eppure, Dio solo sa di averlo messo alla prova! Non ho fatto il conto delle sue delusioni. E' facile immaginarsi tuttavia che, per una simile riuscita, sia stato necessario vincere le avversita'; che, per assicurare la vittoria di tanta passione, sia stato necessario lottare contro lo sconforto. Bouffier aveva piantato, un anno, piu' di diecimila aceri. Morirono tutti. L'anno dopo abbandono' gli aceri per riprendere i faggi che riuscirono ancora meglio delle querce.

Per farsi un'idea piu' precisa di quell'eccezionale carattere, non bisogna dimenticare che operava in una solitudine totale; al punto che, verso la fine della vita, aveva perso del tutto l'abitudine a parlare. O, forse, non ne vedeva la necessita'.

Nel 1933 ricevette la visita di una guardia forestale sbalordita. Il funzionario gli intimo' l'ordine di non accendere fuochi all'aperto, per non mettere in pericolo la crescita di quella foresta naturale. Era la prima volta, gli spiego' quell'uomo ingenuo, che si vedeva una foresta spuntare da sola. A quell'epoca Bouffier andava a piantare faggi a dodici chilometri da casa. Per evitare il viaggio di andata e ritorno, poiche' aveva ormai settantacinque anni, stava considerando la possibilita' di costruirsi una casupola di pietra sul luogo stesso dove piantava. Cio' che fece l'anno seguente.

Nel 1935 una vera e propria delegazione governativa venne a esaminare la foresta naturale. C'erano un pezzo grosso delle Acque e Foreste, un deputato, dei tecnici. Fu deciso di fare qualcosa e, fortunatamente, non si fece nulla, tranne l'unica cosa utile: mettere la foresta sotto la tutela dello Stato e proibire che si venisse a farne carbone. Perche' era impossibile non restare soggiogati dalla bellezza di quei giovani alberi in piena salute. Esercito' il proprio potere di seduzione persino sul deputato.

Un capitano forestale mio amico faceva parte della delegazione. Gli spiegai il mistero. Un giorno della settimana seguente andammo insieme a cercare Elzeard Bouffier. Lo trovammo in pieno lavoro, a venti chilometri da dove aveva avuto luogo l'ispezione.

Quel capitano forestale non era mio amico per nulla. Conosceva il valore delle cose. Seppe restare in silenzio. Offrii le uova che avevo portato in regalo. Dividemmo il nostro spuntino in tre e restammo qualche ora nella muta contemplazione del paesaggio.

La costa che avevamo percorso era coperta d'alberi che andavano da sei a otto metri di altezza. Mi ricordavo l'aspetto di quelle terre nel 1913, il deserto... Il lavoro calmo e regolare, l'aria viva d'altura, la frugalita' e soprattutto la serenita' dell'anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne. Era un atleta di Dio. Mi domandavo quanti altri ettari avrebbe coperto d'alberi.

Prima di partire il mio amico azzardo' soltanto qualche suggerimento a proposito di certe essenze alle quali il terreno sembrava adattarsi. Non insistette. "Per la semplice ragione", mi spiego' poi, "che quel signore ne sa piu' di me". Dopo un'ora di cammino, dopo che l'idea aveva progredito in lui, aggiunse: "Ne sa piu' di tutti. Ha trovato un bel modo di essere felice!".

E' grazie a quel capitano che, non solo la foresta, ma anche la felicita' di quell'uomo, furono protette. Fece nominare tre guardie forestali per quella protezione e le terrorizzo' a tal punto che rimasero insensibili alle mazzette offerte dai boscaioli.

L'opera corse un grave rischio solo durante la guerra del 1939. Poiche' le automobili andavano allora col gasogeno, non c'era mai abbastanza legna. Cominciarono a tagliare le querce del 1910, ma l'area era talmente lontana da tutte le reti stradali che l'impresa si rivelo' fallimentare dal punto di vista finanziario. Fu abbandonata. Il pastore non aveva visto nulla. Era a trenta chilometri di distanza, e continuava pacificamente il proprio lavoro, ignorando la guerra del '39 come aveva ignorato quella del '14.

*

Ho visto Elzeard Bouffier per l'ultima volta nel giugno del 1945. Aveva ottantasette anni. Avevo ripreso la strada del deserto ma adesso, nonostante la rovina in cui la guerra aveva lasciato il paese, c'era una corriera che faceva servizio tra la valle della Durance e la montagna. Misi sul conto di quel mezzo di trasporto relativamente rapido il fatto che non riconoscessi piu' i luoghi delle mie prime passeggiate. Mi parve anche che l'itinerario mi facesse passare in posti nuovi. Ebbi bisogno del nome di un villaggio per concludere che invece mi trovavo proprio in quella zona un tempo in rovina e desolata. La corriera mi porto' a Vergons.

Nel 1913 quella frazione di una dozzina di case contava tre abitanti. Erano dei selvaggi, si odiavano, vivevano di caccia con le trappole; piu' o meno erano nello stato fisico e morale degli uomini preistorici. Le ortiche divoravano attorno a loro le case abbandonate.

La loro condizione era senza speranza. Non avevano altro da fare che attendere la morte: situazione che non dispone alla virtu'.

Ora tutto era cambiato. L'aria stessa. Invece delle bufere secche e brutali che mi avevano accolto un tempo, soffiava una brezza docile carica di odori. Un rumore simile a quello dell'acqua veniva dalla cima delle montagne: era il vento nella foresta. Infine, cosa piu' sorprendente, udii il vero rumore dell'acqua scrosciante in una vasca. Vidi che avevano costruito una fontana; l'acqua vi era abbondante e, cio' che soprattutto mi commosse, vidi che vicino ad essa avevano piantato un tiglio di forse quattro anni, gia' rigoglioso, simbolo incontestabile di una resurrezione.

In generale Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata. Avevano sgomberato le rovine, abbattuto i muri crollati e ricostruito cinque case. La frazione contava ormai diciotto abitanti, tra cui quattro giovani famiglie. Le case nuove, intonacate di fresco, erano circondate da orti in cui crescevano, mescolati ma allineati, verdure e fiori, cavoli e rose, porri e bocche di leone, sedani e anemoni. Era ormai un posto dove si aveva voglia di abitare.

Da li', proseguii a piedi. La guerra da cui eravamo appena usciti non aveva consentito il rifiorire completo della vita, ma Lazzaro era ormai uscito dalla tomba. Sulle pendici piu' basse della montagna, vedevo i campicelli di orzo e segale in erba; in fondo alle strette vallate, qualche prateria verdeggiava.

Sono bastati gli otto anni che ci separano da quell'epoca perche' tutta la zona risplenda di salute e felicita'. Dove nel 1913 avevo visto solo rovine sorgono ora fattorie pulite, ben intonacate, che denotano una vita lieta e comoda. Le vecchie fonti, alimentate dalle piogge e le nevi che la foresta ritiene, hanno ripreso a scorrere. Le acque sono state canalizzate. A lato di ogni fattoria, in mezzo a boschetti di aceri, le vasche delle fontane lasciano debordare l'acqua su tappeti di menta. I villaggi si sono ricostruiti a poco a poco. Una popolazione venuta dalle pianure, dove la terra costa cara, si e' stabilita qui, portando gioventu', movimento, spirito d'avventura. S'incontrano per le strade uomini e donne ben nutriti, ragazzi e ragazze che sanno ridere e hanno ripreso il gusto per le feste campestri.

Se si conta la vecchia popolazione, irriconoscibile da quando vive nell'armonia, e i nuovi venuti, piu' di diecimila persone devono la loro felicita' a Elzeard Bouffier.

Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, e' bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c'e' voluto di costanza nella grandezza d'animo e d'accanimento nella generosita' per ottenere questo risultato, l'anima mi si riempie d'un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un'opera degna di Dio.

Elzeard Bouffier e' morto serenamente nel 1947, all'ospizio di Banon.

 

7. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Marco Bettalli (a cura di), Guerra del Peloponneso, Rcs, Milano 2016, pp. 168, euro 5,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

- Pietro Vannicelli (a cura di), Guerre persiane, Rcs, Milano 2016, pp. 168, euro 1 (in supplemento al "Corriere della sera").

*

Riletture

- Elio Vittorini, Americana, Bompiani, Milano 1941, 1984, 2 voll. per complessive pp. XXX + 1060.

*

Riedizioni

- Carlo Bonini, Giancarlo De Cataldo, Suburra, Einaudi, Torino 2013, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2016, pp. 462, euro 7,90.

- Andrea Camilleri, La giostra degli scambi, Sellerio, Palermo 2015, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2016, pp. 208, euro 7,90.

 

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

9. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2376 dell'11 giugno 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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