[Nonviolenza] Telegrammi. 2294



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2294 del 21 marzo 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Benedetta Verrini intervista Mao Valpiana su Martin Luther King

2. Alessandra Bocchetti, Ida Dominijanni, Bianca Pomeranzi, Bia Sarasini: Speculum, l'altro uomo. Otto punti sugli spettri di Colonia

3. Al referendum del 17 aprile voteremo si'

4. Costituito il Comitato nazionale "Vota si' per fermare le trivelle"

5. No allo stravolgimento della Costituzione: al referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco

6. Il sito del Coordinamento per la democrazia costituzionale

7. "La riflessione pedagogica di John Dewey". Un incontro di studio a Viterbo

8. Oggi a Roma

9. Segnalazioni librarie

10. La "Carta" del Movimento Nonviolento

11. Per saperne di piu'

 

1. MAESTRI. BENEDETTA VERRINI INTERVISTA MAO VALPIANA SU MARTIN LUTHER KING

[Dal sito www.iodonna.it riprendiamo la seguente intervista dal titolo "Martin Luther King e cinquant'anni di lotta alla discriminazione razziale" e il sommario "Il 21 marzo del 1966 le Nazioni Unite istituivano la 'Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale'. L'anniversario coincide con la ripubblicazione in Italia di 'Perche' non possiamo aspettare' del leader nero dei diritti civili".

Benedetta Verrini, giornalista, collabora con diversi periodici sui temi dei diritti e della solidarieta'. Tra le opere di Benedetta Verrini: con Riccardo Bagnato, Armi d'Italia. Protagonisti e ombre di un made in Italy di successo, Fazi, Roma 2005.

Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"); attualmente e' presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa per la nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer Stiftung; fa parte del Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta istituito presso L'Ufficio nazionale del servizio civile; e' socio onorario del Premio nazionale "Cultura della pace e della nonviolenza" della Citta' di Sansepolcro; ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". E' stato fondamentale ideatore, animatore e portavoce dell'"Arena di pace e disarmo" del 25 aprile 2014 e coordina la campagna "Un'altra Difesa e' possibile". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Notizie minime della nonviolenza in cammino" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010.

Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (e' il primo dicembre quando Rosa Parks da' inizio alla lotta contro la segregazione sui mezzi di trasporto) guida la lotta nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994 (edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001; Il sogno della nonviolenza. Pensieri, Feltrinelli, Milano 2006; cfr. anche: Marcia verso la liberta', Ando', Palermo 1968; Lettera dal carcere, La Locusta, Vicenza 1968; Il fronte della coscienza, Sei, Torino 1968; Perche' non possiamo aspettare, Ando', Palermo 1970; Dove stiamo andando, verso il caos o la comunita'?, Sei, Torino 1970. Presso la University of California Press e' in via di pubblicazione l'intera raccolta degli scritti di Martin Luther King, a cura di Clayborne Carson (che lavora alla Stanford University). Sono usciti sinora sei volumi (di quattordici previsti): 1. Called to Serve (January 1929 - June 1951); 2. Rediscovering Precious Values (July 1951 - November 1955); 3. Birth of a New Age (December 1955 - December 1956); 4. Symbol of the Movement (January 1957 - December 1958); 5. Threshold of a New Decade (January 1959 - December 1960); 6. Advocate of the Social Gospel (September 1948 - March 1963); ulteriori informazioni nel sito: www.stanford.edu/group/King/ Tra le opere su Martin Luther King: Lerone Bennett, Martin Luter King. L'uomo di Atlanta, Claudiana, Torino 1969, 1998, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2008; Gabriella Lavina, Serpente e colomba. La ricerca religiosa di Martin Luther King, Edizioni Citta' del Sole, Napoli 1994; Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996; Sandra Cavallucci, Martin Luther King, Mondadori, Milano 2004; Paolo Naso (a cura di), Il sogno e la storia. Il pensiero e l'attualita' di Martin Luther King (1929-1968), Claudiana, Torino 2008; cfr. anche Paolo Naso, Come una citta' sulla collina. La tradizione puritana e il movimento per i diritti civili negli Usa, Claudiana, Torino 2008. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare interesse. Una introduzione sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con una bibliografia essenziale]

 

Cinquant'anni esatti: il 21 marzo del 1966, le Nazioni Unite istituivano la "Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale". A questo traguardo, molto piu' che simbolico, per i diritti umani, ha lavorato e dato la vita Martin Luther King. L'anniversario coincide con la pubblicazione (e una nuova traduzione a cura di Antonio Tozzi) di uno dei suoi piu' celebri libri, che ormai era da anni fuori catalogo nel nostro paese: "Perche' non possiamo aspettare" (edizioni Piano B).

C'e' piu' di un motivo per rileggere quello che e' considerato uno dei migliori saggi del Novecento: e' un testo culto per i movimenti che lottano per i diritti civili; recentemente lo slogan "Why We Can't Wait" e' stato adottato sia dal movimento Occupy Wall Street che da Barack Obama, durante la campagna elettorale del 2011. La resistenza nonviolenta e la disobbedienza civile come tecniche rivoluzionarie da impiegare contro la segregazione sono i temi principali affrontati in questo libro dal leader dei diritti civili statunitense, Premio Nobel per la Pace.

L'influenza di King nella cultura di massa ha una portata senza precedenti: decine di artisti si sono ispirati alla sua figura e al suo messaggio, in particolare, oltre che nel cinema, nella musica (da Elvis Presley, che scrisse "If I can dream" due mesi dopo l'assassinio del reverendo, agli U2, da Micheal Jackson ai Queen fino ai Linkin Park, che hanno riportato stralci dei suoi discorsi in "Wisdom, Justice and Love").

"L'eredita' di Martin Luther King e' enorme, perche' la sua forza attraversa i testi, l'oratoria, ma soprattutto si e' diffusa e si diffonde ancora nell'esempio. Oggi non esiste riflessione sui diritti civili, nel mondo, che possa prescindere dalla figura del reverendo King", spiega Mao Valpiana, giornalista, presidente nazionale del Movimento Nonviolento, che ha partecipato nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza.

Ma se King e' un'icona, soprattutto per i giovani, il rischio e' che resti congelato dentro una cornice. "E' conosciutissimo tra i giovani, come Che Guevara", spiega Valpiana. "Se domandi ai ragazzi perche' e' cosi' famoso, rispondono che ha lottato per l'uguaglianza, per i diritti dei neri. Ma questa e' solo una parte della grandezza di King. Partendo da Montgomery, dal boicottaggio degli autobus, e' arrivato all'opinione pubblica mondiale, opponendosi alla guerra nel Vietnam. Non ha lottato solo per i neri, ha lottato per la democrazia e il progresso della sua nazione".

Dalle primavere arabe tradite ai volti dei tanti siriani in fuga dalla guerra, l'urgenza della battaglia per i diritti civili e' piu' che mai attuale: "La potenza di Martin Luther King e' stata nel metodo: ha saputo trasferire la nonviolenza di Gandhi in Occidente, l'ha modernizzata, ha reso tutti i suoi sostenitori consapevoli e formati rispetto ai metodi nonviolenti. La sua piu' grande raccomandazione, che oggi per noi dovrebbe rappresentare un viatico, e' che una volta conquistati i diritti vanno difesi e riempiti ogni giorno di significato", prosegue Valpiana.

Sfida non facile, nell'era dei social network: "Stiamo vivendo un momento di enorme cambiamento, come cittadini e come movimenti. Ogni giorno troviamo buoni motivi per indignarci e firmiamo petizioni online. Ma, guardando anche all'esempio di King, dobbiamo chiederci quanto peso possa avere questa nuova forma di mobilitazione. Non sono contrario all'uso di Internet e dei social media, anzi, sono mezzi straordinari con cui si puo' essere piu' vicini e ci si puo' informare. Ma per partecipare, partecipare davvero, bisogna mettersi in gioco. Dallo studio, al lavoro di gruppo, al confronto che dovrebbe cominciare tra i banchi di scuola: e' necessario rapportarsi concretamente agli altri, se davvero si vuole fare qualcosa. La mobilitazione virtuale non basta. Questo insegnava King ai suoi sostenitori, questo e' l'esempio che ci ha lasciato donando la sua vita, questo vale ancora per tutti noi".

 

2. RIFLESSIONE. ALESSANDRA BOCCHETTI, IDA DOMINIJANNI, BIANCA POMERANZI, BIA SARASINI: SPECULUM, L'ALTRO UOMO. OTTO PUNTI SUGLI SPETTRI DI COLONIA

[Dal sito della rivista "Internazionale", www.internazionale.it, riprendiamo il seguente intervento del 3 febbraio 2016 a firma Alessandra Bocchetti, femminista, Ida Dominijanni, giornalista, Bianca Pomeranzi, esperta di politiche di genere e cooperazione internazionale, Bia Sarasini, giornalista e saggista]

 

Una mano nera si allunga sotto le gambe inguainate in un collant bianco di Angela Merkel fino a toccarle il sesso; la parte superiore del suo corpo e' ancora coperta da una delle sue ben note giacche colorate, ma ormai, questo vuole dire l'immagine, la regina e' nuda, messa in scacco dall'intrusione molesta dell'uomo nero. E' il disegno pubblicato dal quotidiano tedesco "Sueddeutsche Zeitung" a commento e sigla dei fatti di Colonia. Al sessismo degli "uomini neri" che la notte di Capodanno hanno molestato le "donne bianche", gli "uomini bianchi" rispondono con lo stesso sessismo contro la loro cancelliera.

Risposta oscena ma, nel suo estremismo, veritiera. Che avesse ragione Michel Houellebecq, nel suo pur assai misogino Sottomissione? Gratta l'odio dei maschi europei verso gli invasori islamici, e ci troverai l'invidia. L'invidia per la sottomissione delle donne di cui gli invasori, al contrario degli invasi, possono ancora godere. Un'invidia esattamente speculare a quella degli invasori per la liberta' sessuale femminile di cui possono disporre gli invasi, facilmente intuibile sotto quel "desiderio d'occidente" che ha spinto gli aggressori della notte di Colonia a mimare a modo loro, violentemente, l'allegro e alcolizzato godimento che impazza in quella come in tante altre citta' europee a capodanno.

Dall'11 settembre in poi, dovremmo averlo capito una volta per tutte dalla scenografia hollywoodiana di quei due aerei che infilzarono le torri gemelle e stuprarono Manhattan (anche allora, guarda caso, si ricorse alla metafora dello stupro), gli atti di violenza e di terrore che in occidente vengono interpretati come se provenissero dall'altro mondo sono intrisi di tracce, tecniche, usi e costumi che provengono dal nostro. Altro che il ritorno delle tribu' che qualcuno ha voluto vedere in azione a Colonia: la "superiorita'" dell'occidente e' dura a morire, e se non fa piu' ordine nel mondo reale detta ancora legge nell'immaginario globale. Gli "altri" vi si specchiano, anche quando le fanno violenza.

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Fatti

Nel gioco degli specchi i fantasmi, si sa, sono di casa. E forse e' per questo che sulla piazza di Colonia hanno preso forma e consistenza molto piu' rapidamente dei fatti reali. Sui quali c'e' ancora, un mese dopo, parecchia nebbia. Di che cos'e' accaduto quella notte sappiamo l'essenziale, ma parecchi particolari non secondari non li conosciamo e probabilmente non li conosceremo mai.

Un branco di giovani uomini, forse cinquecento forse mille, "di aspetto arabo e nordafricano", ubriachi e assembrati dentro la stazione, si e' riversato a gruppi nella piazza del Duomo circondando, derubando, palpeggiando e molestando pesantemente un centinaio di donne bianche perlopiu' tedesche, da sole o in coppia con un'amica o con un uomo o in gruppo, il tutto nella completa passivita' della polizia che e' stata a guardare senza rendersi conto di quello che stava accadendo, e comunque incapace di impedirlo.

Le ricostruzioni, basate sulle testimonianze femminili e sui rapporti della polizia medesima, descrivono dettagliatamente le molestie e le ruberie subite dalle donne; alcune vittime raccontano di aver temuto di rimetterci la pelle. Restano pero' aperti molti buchi. Chi erano, da dove provenivano, come erano arrivati li' quegli uomini, e perche' li si era lasciati riunire nella stazione? Se erano tutti "di aspetto arabo e nordafricano", come mai tra i 31 fermati per aggressione e rapina figurano anche uno statunitense e tre tedeschi? Erano anche loro nordafricani trapiantati negli Stati Uniti e in Germania, o la loro presenza segnala che bisogna andarci piano con le identificazioni fatte sulla base del colore della pelle?

Tra quei 31 fermati, 19 sono richiedenti asilo, e di questi uno solo e' sospettato di molestie; secondo una testimonianza raccolta dal "New York Times", inoltre, quella notte una turista statunitense e' stata salvata da un cordone di siriani richiedenti asilo; qualche giorno dopo alcune centinaia di rifugiati siriani hanno manifestato contro la violenza, il razzismo e il sessismo. Questi numeri giustificano la messa in stato d'accusa della politica sui rifugiati di Merkel?

Ancora. La polizia, pur in stato di allerta contro il rischio di attentati, si e' rivelata del tutto impotente a contenere e disperdere il branco di aggressori, e ha taciuto l'accaduto per quattro giorni, come pure la tv pubblica tedesca. Questa impotenza e questo silenzio si devono a una pruderie "politicamente corretta" a favore dei migranti, come s'e' urlato in Germania e in Italia? O piuttosto alla sottovalutazione della violenza sessuale in un paese dove una donna su tre dice di averla subita da uomini che per il 70 per cento non sono arabi ma tedeschi, e in cui la notte di capodanno, come durante l'Oktoberfest, si chiude un occhio di fronte a qualche palpatina?

Infine ma non ultimo: violenze analoghe si sono verificate in contemporanea, quella stessa notte, in altre citta' tedesche e in Svezia, in Finlandia e in Austria, e questo fa legittimamente sospettare che si sia trattato di una provocazione concertata - un sospetto che a un certo punto e' diventato una certezza, sparata sui giornali in prima pagina in Germania e in Italia, per poi essere smentita il giorno dopo. Possibile che i potenti mezzi dell'intelligence tedesca ed europea non sappiano rispondere si' o no a questo sospetto, pure cruciale per valutare l'entità dell'accaduto? Di nuovo: minimizzano per fare un piacere alla politica d'integrazione di Merkel, come sostiene l'opinione di destra? O perche' considerano l'accaduto bagatelles pour dames, com'e' lecito supporre?

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Fantasmi

Non avremo mai risposta a queste domande, per la ragione molto semplice che la notte di Colonia ha ottenuto l'effetto che doveva ottenere a prescindere dallo svolgimento dettagliato dei fatti. E l'effetto consiste in una rapida e potente mobilitazione dell'immaginario europeo, nonche' di quello islamico, in materia di sesso e razza: due fattori che quando si intrecciano, e oggi sulla scena globale si presentano sempre intrecciati, sono capaci di produrre miscele esplosive.

Sul versante islamico, ci auguriamo che non faccia testo la convinzione dell'imam di Colonia che le donne, quella notte, le molestie se le sono cercate, coperte com'erano piu' di profumo che di abiti: ma certo le sue dichiarazioni "estreme" la dicono lunga sul regime del dicibile che autorizza quella che dovrebbe essere una guida spirituale a istituzionalizzare la segregazione femminile (e del resto, come scandalizzarci? Quante volte il "se l'e' cercata" giustifica tuttora, da noi, la violenza sessuale?).

Sul lato occidentale, l'antico fantasma coloniale della mano nera che violenta la donna bianca, ben rappresentato dal disegno del "Sueddeutsche Zeitung", e' tornato a materializzarsi, aggiornato, in un'Europa ossessionata da frontiere vacillanti, migrazioni incontenibili, calo della natalita', pericolo terrorista, declino economico, impotenza neoliberale, fallimento politico.

L'aggiornamento del fantasma coloniale significa, in questo quadro, il suo automatico reclutamento nel presunto "scontro di civilta'" in corso. L'uomo nero diventa l'islamico che inferiorizza le donne, proprie e altrui, e attraverso l'attacco alle donne bianche attacca l'intera civilta' occidentale, che invece le donne le ama, le emancipa, le libera, le tutela con i diritti, le presidia con i "suoi" uomini, pronti a scendere in campo a difesa delle "loro" donne.

Ne consegue l'arruolamento delle donne nella difesa della civilta' occidentale suddetta, con relativa messa all'indice delle disertrici: quelle che ad arruolarsi non ci stanno, quelle che sulla civilta' occidentale e sul suo amore per le donne nutrono qualche dubbio, quelle che la violenza contro le donne la vedono anche in occidente e non solo in Medio Oriente, quelle che sulla difesa dei "loro" uomini avanzano qualche sospetto, quelle che nei confronti delle donne musulmane non ergono il muro dei diritti conquistati o la montagna dei vestiti comprati agli ultimi saldi, ma lanciano il ponte di una tessitura comune della liberta' femminile.

Noi femministe, in sostanza, iscritte d'ufficio al fronte nemico dell'ipocrisia "politicamente corretta" verso il fanatismo islamico. Salvo ritrovarsi poi, i nostri accusatori, con le statue del Campidoglio coperte in omaggio al presidente iraniano Rohani per decisione di stato o di governo.

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Streghe

"Dove sono le femministe?". Quando ancora le notizie da Colonia arrivavano goccia a goccia, e' partita la caccia alle streghe. Trovato il colpevole numero uno, l'uomo nero, la grancassa mediatica, maschile e femminile, e' partita alla ricerca della colpevole numero due, la femminista bianca. Rea di tacere, di nascondersi, di non condannare, di colludere con i migranti e con la sinistra che difende (difende?) i migranti, di rompere le scatole ai "suoi" uomini su qualunque quisquilia come fosse una barbarie e di chiudere gli occhi sulle nefandezze dei barbari "veri".

Le femministe, nel frattempo, a Colonia erano gia' per strada, a manifestare contro il sessismo e contro il razzismo insieme. E ovunque, in Europa e fuori dell'Europa, erano all'opera per fare il contrario dei talk show e della stampa generalista: capire una situazione nuova e complicata e interpretarla non istericamente, due cose che l'isteria massmediatica non contempla.

E parlavano ovunque potessero, cioe' fuori del circuito ufficiale dell'informazione che non le interpella in modo da poterle accusare di stare in silenzio, di essersi dileguate, di non esistere, di avere perso. Parlavano e dicevano quello che ovunque, a est a ovest, a nord e a sud, vanno dicendo dall'11 settembre in poi: che non si lasciano arruolare in nessuno scontro di civilta' per la buona ragione che le civilta' in questione sono entrambe marcate dal patriarcato, entrambe fratturate al loro interno dalla contraddizione fra i sessi ed entrambe segnate, positivamente, dal conflitto tra i sessi innescato dalle donne.

Ragion per cui la trave nell'occhio dell'altro non ci esime dal guardare la pagliuzza nel nostro. E l'orgoglio per le nostre conquiste di donne occidentali non ci esime dal riconoscere le battaglie di liberta' delle donne non occidentali.

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Monopoli

Non c'e' il monopolio islamico della violenza e dell'inferiorizzazione femminile. E non c'e' nemmeno il monopolio occidentale e democratico della liberta' femminile.

Le molestie della notte di Colonia evocano a tutte noi situazioni molto familiari. Gli sguardi eccitati e fra loro complici degli uomini che tuttora si ritrovano da soli nei bar dei nostri paesi. I branchi di giovani maschi che molestano le studentesse, e talvolta le stuprano, nelle nostre scuole. Il senso di insicurezza e vulnerabilita' che ci accompagna specialmente la notte per strada, come una seconda pelle. I racconti di stupri, violenze, femminicidi che riempiono le pagine di cronaca dei nostri giornali. I fraintendimenti maschili sulla disponibilita' sessuale femminile che riempiono la posta del cuore dei nostri settimanali.

Potremmo continuare ma non serve: la violenza di uomini contro le donne e', purtroppo, uno dei pochi esempi di comportamento universale che il mondo globale ancora conosce. E non diminuisce ma tende addirittura ad aumentare nei paesi dove l'emancipazione femminile e' piu' consolidata. La hybris maschile non si ferma davanti ai diritti costituzionalmente garantiti, alla parita' di genere, alla cittadinanza, all'attivita' lavorativa e al protagonismo politico delle donne: al contrario, sembra che se ne alimenti, forse perche' ne ha paura.

Questo significa che non c'e' nessuna parentela automatica, nessun rapporto di causa-effetto tra la civilta' occidentale e la liberta' femminile. La civilta' occidentale e gli stati moderni nascono, ci tocca ricordarlo con Freud e Hobbes, da un patto tra uomini violenti, che si emancipano dall'autorita' paterna e se ne spartiscono l'eredita' escludendo le donne dalla vita pubblica e sottomettendole in quella privata. Nel corso della modernita', la liberta' non e' stata regalata alle donne dalla civilta' occidentale: sono le donne ad averla conquistata con le loro lotte anche contro la civilta' occidentale.

Le democrazie contemporanee registrano a fatica questa conquista, traducendola e spesso tradendola nel linguaggio della parita' e dei diritti. Ma tra la liberta' femminile e gli ordinamenti occidentali resta aperta una tensione: la liberta' femminile resta affidata in primo luogo alle donne stesse, alle loro lotte e alla loro autonomia. Men che meno e' possibile identificare la liberta' femminile con la liberta' di mercato o con un non meglio precisato "stile di vita occidentale", come l'ideologia neoliberale martellante ci invita a fare dalle colonne dei principali giornali italiani.

Vestirsi o andare al cinema e in discoteca a proprio piacimento sono certo cose piacevoli e irrinunciabili, ma possono sottintendere condizioni di dipendenza dal mercato, dal denaro, da canoni imposti, dallo sguardo altrui che hanno poco a fare con la liberta' esistenziale e politica che abbiamo guadagnato con il femminismo. L'occidente non e' l'Eden della liberta' femminile: ed e' solo assumendo questa posizione critica nei confronti della "nostra" civilta' che possiamo sporgerci su altri mondi, o sull'impatto di altri mondi con il nostro.

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Differenze

Quando diciamo o scriviamo queste cose, alcune amiche ci rimproverano di usare il patriarcato come categoria universale indifferenziata, finendo col fare di ogni erba un fascio senza vedere che il patriarcato si intreccia con differenti sistemi di dominio, si cristallizza in differenti gradi di oppressione femminile e di sopraffazione maschile, domanda differenti strategie di lotta. Non e' cosi'. Siamo ben consapevoli, tristemente consapevoli, che oggi la radicalizzazione politico-religiosa peggiora la vita delle donne nei paesi islamici, legittimando su base ideologica il dominio maschile.

Siamo consapevoli che la violenza sulle donne e' diventato per il gruppo Stato islamico e per Boko haram uno spietato carosello pubblicitario, che sulle donne di piazza Tahrir si e' scaricata la frustrazione maschile di una rivoluzione perdente, che in paesi come l'Afghanistan taliban le donne sono di nuovo costrette a una segregazione che sembrava essere stata superata. E sappiamo di essere inadeguate di fronte a questi come ad altri effetti delle guerre e del disordine mondiale di oggi, perche' le guerre impediscono in radice quella pratica di relazione con l'altra che nella politica delle donne e' irrinunciabile e che l'indignazione e gli attestati di solidarieta', per quanto urlati, non possono sostituire.

Sappiamo altrettanto bene che le migrazioni non risolvono ma moltiplicano il problema dei rapporti fra i sessi. Ci si attribuisce oggi l'onere della prova che per noi la difesa della liberta' femminile viene prima del buonismo sulle politiche dell'accoglienza. Rimandiamo questa richiesta ai suoi mittenti. Non siamo state certo noi a parlare, per anni, di migranti e di rifugiati in modo neutro, come se la condizione di migranti o di rifugiati cancellasse la differenza sessuale. Non la cancella, e non ci volevano i fatti di Colonia per accorgersi che l'accoglienza e la cosiddetta integrazione non sono due pranzi di gala. Non ci volevano i fatti di Colonia per accorgersi che norme e consuetudini delle comunita' straniere fanno quasi sempre a pugni con le nostre, che le difficolta' di integrazione spesso le irrigidiscono ulteriormente inasprendo la segregazione femminile al loro interno, che le donne sono sempre, in pace come in guerra, posta in gioco di uno scambio sociale che gli attriti culturali rendono arduo e talvolta impraticabile.

Ne' ci volevano i fatti di Colonia per realizzare - ohibo' - che una politica dell'accoglienza che non tenga conto della differenza sessuale e' una cattiva politica. Laddove si creano ghetti di soli maschi, che siano islamici o no, il pericolo del branco e' sempre in agguato. Laddove si organizzano e si tollerano tratte femminili, la prostituzione e il suo sfruttamento sono garantiti. E tuttavia, ci sara' pure da riflettere di fronte al fatto che e' dal versante maschile dei migranti che emerge il problema di una minaccia violenta alla convivenza sociale.

Sono piu' uomini che donne a reagire aggressivamente all'urto dell'impatto con i paesi d'accoglienza. E sono piu' donne che uomini - si pensi alle migliaia di badanti che vivono e lavorano in Italia, o alle donne che lavorano nei centri d'accoglienza o nella mediazione culturale o nell'insegnamento delle lingue ai migranti - a occuparsi della cura della vita e delle relazioni fra mondi diversi, continuando l'opera femminile della civilta' che la violenza maschile nasconde e disfa.

Questa almeno e' una buona notizia; e non e' l'unica, se solo guardiamo a quello che sta accadendo considerando le donne come soggetti attivi, e non come oggetti passivi, del cambiamento in corso.

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Cori noir

E' bastata l'aggressione di una notte a Colonia e nelle altre citta' coinvolte per trascinarci in un baleno tutte, occidentali e nordafricane, nella casella delle vittime designate, pericolanti e perdenti del supposto "scontro di civilta'" in atto. Ma la vittimizzazione delle donne e' una delle piu' frequenti strategie del loro addomesticamento: serve a nascondere e a deprimere la soggettivita' femminile e le pratiche sociali, politiche, artistiche in cui si esprime.

Ovunque oggi, in un quadro planetario attraversato da faglie, guerre e mutamenti inediti, le donne lottano per la propria liberta', ovunque aprono conflitti con l'altro sesso, ovunque escono dagli schemi imposti, ovunque tradiscono le ingiunzioni normative sulla loro esistenza, ovunque intrecciano relazioni con donne di cultura e provenienza diverse. Questo "ovunque" vale da mezzo secolo in qua, lo ricordiamo a quanti sui mezzi d'informazione ci danno per morte e per sconfitte ogni volta che possono, nelle democrazie occidentali. Ma vale oggi, in primo luogo, per il mondo musulmano.

Lo sappiamo da analiste competenti, che inascoltate ci spiegano le differenze, le articolazioni, le combinazioni tra legge religiosa e leggi statuali interne a quel mondo, e le connesse differenze nella condizione, nella soggettivita' e nella rivolta femminili. Lo sappiamo dalle migranti che incontriamo nella nostra quotidianita', dalle storie che ascoltiamo nei centri antiviolenza a cui le piu' sfortunate si rivolgono per trarne la forza di ribellarsi a un padre o a un marito o un fratello, dalle testimoni sopravvissute alle guerre, dalle protagoniste delle rivolte.

Lo sappiamo dai racconti delle scrittrici, dalle opere delle artiste, dai film delle registe, dal pensiero delle filosofe, dalle letture del Corano delle teologhe. E sappiamo anche che la strada della liberta' delle donne musulmane non passa sempre ne' necessariamente per la loro occidentalizzazione, vale a dire per un'emancipazione laica, giuridicamente assistita dalla sintassi dei diritti e dalla retorica della parita', e tanto ribelle all'ingiunzione a velare il corpo femminile quanto obbediente all'opposta ingiunzione a scoprirlo.

Ci dissociamo percio' nettamente dal coro noir che ha accompagnato sui mezzi d'informazione italiani ed europei i fatti di Colonia. La voce delle donne, quando la si ascolta e non la si mette a tacere, racconta una realta' ben piu' articolata di quella di una regressione generalizzata al patriarcato tribale degli uomini ambrati e barbuti che dal Medio Oriente allunga la sua ombra minacciosa sulle donne europee. La diagnosi andrebbe piuttosto ribaltata.

C'e' una generalizzata crisi del patriarcato che ovunque, a ovest e a est, a nord e a sud del mondo perde il credito femminile. Con buona pace delle fantasie alla Houellebecq, la sottomissione femminile non e' piu' garantita ne' sotto le insegne dell'islam ne' sotto quelle cristiane o di altre religioni. E la liberta' femminile non passa solo per le magnifiche sorti e progressive della democrazia laica.

Nel mondo globale la legge del padre, che nella modernita' ha assicurato il suo supporto simbolico agli ordinamenti politici e statuali, non fa piu' ordine. In questo disordine si aprono molti varchi per atti di violenza maschile nostalgici e reazionari, ma se ne aprono altrettanti per costruire pratiche di liberta' femminile e reti di relazione tra donne, che tradiscono l'appartenenza a questa o quella civilta' e ai rispettivi feticci e inventano forme inedite di politica basate sullo scambio, il conflitto e la mediazione tra esperienze, storie, radici, orizzonti di senso differenti.

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Bocche velate

L'ascolto dell'altra e dell'altro, della sua esperienza e della sua storia, delle sue esigenze e dei suoi desideri, dei suoi traumi e delle sue risorse, e' una condizione necessaria per ritessere la trama della civilta' in una direzione opposta allo scontro tra le civilta'. Non ci aiuta e anzi ci e' di ostacolo, in questo, il frastuono della macchina mediatica italiana, tutta programmata non per ascoltare ma per urlare.

Abbiamo gia' detto della caccia alla strega femminista che e' scattata subito dopo i fatti di Colonia, una strega accusata, senza essere interpellata, di silenzio colpevole, di connivenza con l'ipocrisia favorevole ai migranti politicamente corretta, di usare due pesi e due misure contro gli uomini di casa sua e contro gli stranieri. Ma non e' un problema che nasce a Colonia: questo schema si ripete, insopportabilmente uguale, a ridosso di qualunque evento che chiami in causa le relazioni tra i sessi. La molla che scatta e' sempre la stessa, il tentativo di liquidare il femminismo e le femministe decretando che hanno perso e distorcendone o sminuendone le posizioni.

La futilita' programmatica che non da oggi caratterizza buona parte del giornalismo italiano si fa, quando c'e' di mezzo il femminismo, piu' approssimativa e grossolana. Come se parlando di donne tutto fosse lecito, come se la cronaca non avesse precedenti, come se la parola femminile non contasse niente, come se le posizioni politiche e culturali femministe non avessero il diritto alla distinzione, all'analisi, alla discussione che si riserva alla chiacchiera maschile: e soprattutto come se non esistessero nella loro autonomia, ma solo come appendici subalterne della sinistra e della destra, o comunque di schieramenti e conflitti disegnati altrove.

Un immaginario misogino, maschile e femminile, prende cosi' il posto dell'analisi della realta'. E la delegittimazione del femminismo diventa una posta in gioco, nient'affatto secondaria, di qualunque "guerra culturale": accompagnata, va da se', dalla promessa che ci penseranno i "nostri" uomini, d'ora in poi, a difenderci da quello che non siamo in grado di contrastare noi.

Questa prassi corrente dei mezzi d'informazione mainstream non e' meno violenta delle mani maschili che si sono infilate sotto i vestiti delle donne la notte di Colonia. E dice, torna a dire, che ogni qual volta e' sotto attacco il corpo femminile, e' la parola femminile il vero obiettivo, la vera minaccia, il target da abbattere: qui, nell'occidente della liberta' di espressione, non li', nel Medio Oriente delle bocche velate. Abbiamo scritto questo testo per mostrare che quella parola e' viva e non si lascia silenziare.

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Prime adesioni: Maria Luisa Boccia, Maria Rosa Cutrufelli, Elettra Deiana, Sara Gandini, Diana Sartori, Tamar Pitch, Chiara Zamboni, Luana Zanella, Edda Billi, Maria Brighi, Paola Mastrangeli, Rosanna Marcodoppido, Marinella Perroni, Ilaria Fraioli, Carlotta Cerquetti, Giovanna Borrello, Sandra Macci, Daniela Dioguardi, Vittoria Tola, Susanna Menichini

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Questo testo nasce da un incontro sui fatti di Colonia alla Casa internazionale delle donne di Roma, dove sara' presentato e discusso in un convegno il 14 febbraio 2016 (via di San Francesco di Sales, 1, sala Carla Lonzi, dalle 10 alle 15). Per informazioni, adesioni e interventi visitare la pagina http://www.facebook.com/suglispettridicolonia

 

3. REPETITA IUVANT. AL REFERENDUM DEL 17 APRILE VOTEREMO SI'

 

Al referendum del 17 aprile voteremo si'.

Per difendere le coste italiane dalle devastazioni, dal degrado e dai pericoli provocati dalle trivellazioni.

Per difendere dall'inquinamento l'ambiente marino e tutte le sue forme di vita.

Per difendere il diritto di tutte le persone alla salute e a un ambiente salubre.

Per difendere il diritto delle generazioni future a un mondo vivibile.

Per difendere la bellezza della natura, un bene comune prezioso e insostituibile.

Per sostenere l'approvvigionamento energetico da fonti pulite e rinnovabili.

Per far cessare lo sfruttamento dissennato e distruttivo delle risorse naturali.

Per far prevalere la ragione, la responsabilita', il diritto, la solidarieta'.

Con la forza della verita', con la forza della democrazia, per il bene comune.

Al referendum del 17 aprile voteremo si'.

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Osvaldo Ercoli, Antonella Litta, Emanuele Petriglia, Alessandro Pizzi, Peppe Sini

 

4. REPETITA IUVANT. COSTITUITO IL COMITATO NAZIONALE "VOTA SI' PER FERMARE LE TRIVELLE"

 

E' stato costituito il Comitato nazionale "Vota si' per fermare le trivelle".

Per informazioni cfr. il sito del "Coordinamento nazionale No Triv": www.notriv.com

Attenzione: al referendum del 17 aprile per votare contro le trivellazioni occorre votare si'.

 

5. REPETITA IUVANT. NO ALLO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE: AL REFERENDUM DI OTTOBRE VOTIAMO NO AL GOLPE BIANCO

 

In tutta Italia si stanno costituendo i comitati locali per la democrazia costituzionale in vista del referendum che si svolgera' in ottobre.

Nel referendum di ottobre votiamo no al golpe bianco, votiamo no allo stravolgimento della Costituzione, votiamo no alla deriva autoritaria; difendiamo la democrazia, difendiamo l'ordinamento repubblicano nato dalla resistenza antifascista.

 

6. REPETITA IUVANT. IL SITO DEL COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

 

No allo stravolgimento della Costituzione.

Informazioni e materiali utili per il referendum di ottobre per impedire lo stravolgimento della Costituzione sono nel sito del Coordinamento per la democrazia costituzionale: http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net

 

7. INCONTRI. "LA RIFLESSIONE PEDAGOGICA DI JOHN DEWEY". UN INCONTRO DI STUDIO A VITERBO

 

Si e' svolto domenica 20 marzo 2016 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di studio sul tema: "La riflessione pedagogica di John Dewey".

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John Dewey, filosofo e pedagogista americano (1859-1952), e' uno dei punti di riferimento della riflessione pedagogica del Novecento. Tra le opere di John Dewey: Ricostruzione filosofica, Laterza, Bari 1931; Liberalismo e azione sociale, La Nuova Italia, Firenze 1946; Esperienza e natura, Paravia, Torino 1948; Individualismo vecchio e  nuovo, La Nuova Italia, Firenze 1948; Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1949; Scuola e societa', La Nuova Italia, Firenze 1949; Logica. Teoria dell'indagine, Einaudi, Torino 1949; Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1949; Problemi di tutti, Mondadori, Milano 1950; L'educazione di oggi, La Nuova Italia, Firenze 1950; L'arte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze 1951; Le fonti di una scienza dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze 1951; Saggi pedagogici, Vallecchi, Firenze 1951; Liberta' e cultura, La Nuova Italia, Firenze 1953; Il mio credo pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1954; Intelligenza creativa, La Nuova Italia, Firenze 1957; Natura e condotta dell'uomo, La Nuova Italia, Firenze 1958; Una fede comune, La Nuova Italia, Firenze 1959; Teoria della valutazione, La Nuova Italia, Firenze 1960; Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze 1961; La ricerca della certezza, La Nuova Italia, Firenze  1966. Tra le opere su John Dewey: per un avvio Alberto Granese, Introduzione a Dewey, Laterza, Roma-Bari 1973; Amalia De Maria, Invito al pensiero di Dewey, Mursia, Milano 1990.

 

8. INCONTRI. OGGI A ROMA

[Riceviamo e diffondiamo]

 

In vista del referendum per decidere se sostituire la Costituzione del 1948 con la nuova Costituzione scritta dal governo, il 21 marzo alle ore 16,30 presso la Federazione Nazionale della Stampa in Corso Vittorio Emanuele 349, a Roma, Anna Falcone, Alex Zanotelli, Domenico Gallo, l'agenzia di stampa "Adista" e Raniero La Valle illustreranno le ragioni dei "Cattolici del No" e i motivi che legittimano i cittadini a lottare per la coerenza tra i loro valori piu' alti e la Costituzione repubblicana.

Il professor Luigi Ferrajoli chiarira' il rapporto tra la seconda e la prima parte, ordinamento e principi, di una Costituzione indivisibile.

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Il testo dell'appello "No alla democrazia dimezzata"

La posta in gioco tra il Si' e il No nel prossimo referendum costituzionale non e' il Senato ma e' l'abbandono della Costituzione vigente e la sua sostituzione con un sistema di democrazia dimezzata in cui i valori e i diritti riconosciuti nella prima parte della Carta, da cui dipendono la vita, la salute e la possibile felicita' del cittadini, sarebbero isolati e neutralizzati per lasciare libero campo al potere del denaro e delle sue istituzioni nazionali e sovranazionali. Questo, col supporto di una legge elettorale congegnata per dare tutto il potere a un solo partito, e' il disegno delle riforme istituzionali oggi sottoposte al popolo come nuove, ma concepite da vecchi politici, nostalgici dei modi spicciativi di governo di un lontano passato.

Mettendo mano alla Costituzione questi politici vogliono riaprire vecchie questioni di democrazia risolte da tempo e da cui non si puo' tornare indietro: divisione dei poteri, sovranita' popolare, fiducia parlamentare ai governi senza vincolo di disciplina di partito, liberta' e diritti sottratti all'arbitrio dei poteri, anche se espressi dalle maggioranze. Si sarebbero dovute fare al contrario riforme rivolte al futuro, a partire dalla domanda sul perche' i diritti al lavoro e a condizioni economiche e sociali che non impediscano il pieno sviluppo della persona umana, pur sanciti in Costituzione, non si sono mai realizzati, e non certo per colpa solo del Senato. E' questa domanda, non quella sul numero dei senatori, che avrebbe risvegliato la coscienza pubblica, a cominciare dai giovani oggi cosi' disperati, e curato la piaga sociale dell'assenteismo e dell'indifferenza.

La Costituzione e' un bene comune e, pur provenendo ciascuno da parti diverse, comune deve essere la battaglia di uomini e donne per la sua cura e la sua difesa, ognuno lottando pero' con i suoi colori e con le sue bandiere. I cristiani gia' altre volte, in momenti cruciali della storia della Repubblica, sono stati determinanti con le loro scelte nei referendum per un avanzamento della democrazia e della laicita' e per tenere aperta la via di vere riforme. Oggi come cattolici ci sentiamo di nuovo chiamati a votare No alle spinte restauratrici, e cosi' ci saranno dei "Cattolici del No" in questo referendum. Allo stesso modo speriamo nell'impegno di molti altri cristiani di ogni denominazione e confessione. Ugualmente voteranno No moltissimi che cristiani o credenti non sono, magari anche piu' motivati e determinati di noi. Ma noi, che pur non siamo soliti nominare la fede nella lotta politica, questa volta diciamo No proprio come cattolici, rispettando in ogni caso quanti saranno spinti da motivazioni diverse.

Prima di tutto votiamo No per una questione di giustizia. Se, nel suo significato piu' elementare, la giustizia e' "la correttezza di una pesata eguale", lo scambio che ci viene proposto, di dar via meta' della Costituzione per avere in cambio ancora Renzi al potere, non e' giusto. Renzi e la Costituzione non hanno lo stesso peso, e mentre il primo non ci e' costato niente (non lo abbiamo nemmeno eletto) la Costituzione ci e' costata molto, in pensiero e martiri anche nostri. Percio', come voto di scambio, Renzi contro la Costituzione e' uno scambio ineguale. Di conseguenza se in questo gioco d'azzardo con la Costituzione Renzi, perdendo, vorra' lasciare il potere, ce ne faremo una ragione. Ma avremo salvato l'idea che ci vuole un minimo d'equita' anche in un baratto.

In secondo luogo votiamo No per una questione di verita'. Non e' vero che la Costituzione vigente e' vecchia, tant'e' che da vent'anni si cerca di cambiarla. Vero e' che da vent'anni essa resiste, anche grazie a imponenti voti popolari. Vecchia e' invece la proposta Costituzione nuova, che da' piu' potere al potere e meno potere ai cittadini, in cio' tornando allo Statuto albertino concesso dal re e finito in Mussolini. Ma e' un'illusione che dia piu' potere a Renzi e alla Boschi, che gia' conosciamo; in realta' dara' piu' potere e forza esecutiva a uno di quei mangiapopoli arruffoni e razzisti che oggi circolano in Europa e che facilmente, col marketing delle agenzie pubblicitarie e dei telefonini scambiati per modernita', potra' insediarsi a palazzo Chigi e nei 340 seggi di replicanti assegnatigli per legge nella Camera residua, con tutti i poteri compreso il diritto di guerra. Non e' vero che con la nuova Costituzione si ridurranno i costi della politica. I deputati restano 630, le spese delle province ricadranno su altri enti, il Senato rimane a gravare sul bilancio pubblico col suo palazzo e tutto il suo apparato, anche se viene ridotto ad un club nobiliare per consiglieri regionali e sindaci che passeranno a Roma uno o due giorni alla settimana (sicche' il Senato sara' il primo Ufficio Pubblico a brillare per l'assenteismo del suo personale).

In terzo luogo votiamo No per una questione di patriottismo costituzionale. Consideriamo la Costituzione la nostra Patria, sia come cittadini che come cattolici. Come cittadini temiamo che il crollo dell'architettura della Repubblica causato dalla ristrutturazione in corso travolga anche i diritti e i valori fondamentali. Come cattolici ci sentiamo figli della Costituzione perche', benche' inattuata, mette al di sopra di tutto la persona umana e perche' fa del lavoro, che una volta era considerato il compito abbrutente del servo, il fondamento stesso della Repubblica e il diritto col quale sta o cade la dignita' del cittadino.

Infine votiamo No per coerenza storica. Per secoli si e' chiesto alla Chiesa di riconoscere la sovranita' del diritto e la divisione dei poteri, e sarebbe assurdo che proprio ora che il papa le ha solennemente proclamate all'Onu, i cattolici italiani ne abbandonassero la difesa per tornare a quella vecchia, decrepita, infausta cosa che e' l'uomo solo al comando e tutti gli altri a dire di si'.

Ma coerenza storica ci impone di votare No anche perche' i cattolici in Italia hanno messo il meglio di se' nella Costituzione repubblicana. E' la cosa migliore che hanno fatto nel Novecento. Dopo la scelta antiunitaria e revanscista della questione romana, dopo la sconfitta del Partito popolare, dopo l'acquiescenza al fascismo, e grazie alla partecipazione alla Resistenza, la Costituzione e' stato il dono più alto che i cattolici, certo non da soli, hanno fatto all'Italia. Ora si dovrebbe cambiarla per portarla su posizioni piu' avanzate (piu' diritti, piu' sicurezza sociale, lavoro, cultura, piu' garanzie contro la cattiva "governabilita'" e l'arroganza della politica), non certo sfasciarla.

Queste sono le ragioni, laiche e sacrosante, del nostro No alla rottamazione costituzionale.

Fatto a Roma il 21 gennaio 2016, dopo l'approvazione in seconda lettura della nuova Costituzione da parte del Senato, senza i due terzi dei voti...

Anna Falcone, avvocata, Domenico Gallo, magistrato, Raniero La Valle, giornalista, Alex Zanotelli, missionario comboniano, Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, Lorenza Carlassare, costituzionalista, Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Boris Ulianich, storico del cristianesimo, Enrico Peyretti, "operaio del leggere e scrivere", Torino, Adista, settimanale di informazione politica e documentazione, avv. Francesco Di Matteo, presidente del Comitato per il No di Bologna, Giovanni Avena, giornalista, Roma, Eletta Cucuzza, Roma, Angelo Cifatte, funzionario comunale, Genova, Marcello Vigli, Lidia Menapace, partigiana gia' senatrice, "Koinonia", mensile, Convento San Domenico, Pistoia, Alberto Simoni, domenicano, Vittorio Bellavite, "Noi siamo Chiesa", Lorenzo Acquarone, docente universitario, gia' parlamentare, Genova, Suore orsoline di Casa Rut, Caserta, Raffaele Luise, presidente del Cenacolo degli amici di papa Francesco, Maurizio Chierici, giornalista, Waldemaro Flick, avvocato, Genova, Francesco De Notaris, senatore nella XII legislatura, Napoli, Giuseppe Campione, docente di Geografia politica, presidente della Regione Sicilia dopo le stragi del '92, avv. Nanni Russo, gia' parlamentare, Savona, Sergio Tanzarella, professore di Storia della Chiesa, Facolta' teologica dell'Italia Meridionale, Pasquale Colella, docente di diritto canonico, Napoli, I redattori de "Il tetto", Napoli, Giuseppe Florio, Presidente di "Progetto Continenti", Roma, Lanfranco Peyretti, Marco Romani, "Pane Pace Lavoro", Reggio Emilia, Gilberto Squizzato, giornalista, Busto Arsizio, Marina Sartorio, insegnante, Genova, Maria Pia Porta, insegnante, Genova, Paolo Farinella, prete, Genova, Paolo Lucchesi, sindacalista, Barberino Val D'Elsa (Fi), Antonino Cinquemani, Palermo, Maria Luisa Paroni, Sabbioneta (Mantova), Giovanni Bianco, giurista, Nicola Colaianni, professore di diritto ecclesiastico, Bari, Franco Ferrara, Presidente Centro Studi Erasmo, Gioia del Colle, Carlo Cautillo, prete passionista, Claudio Michelotti, Parma, Michele Celona, architetto, Mantova, Maria Luisa Maioli, pensionata, Mantova, Gaetano Briganti, insegnante, Mercogliano (Av), Fiorella Ferrarini, vicepresidente Anpi provinciale di Reggio Emilia, Valeria Indirli, catechista, Roncoferraro (Mantova), Rosa Pappalardo, San Fratello (Messina), Corrada Salemi, Dina Rosa, Agoiolo (Cr) per Salviamo il paesaggio (sezione casalasca), prof.ssa Marzia Benazzi, Mantova, Bianca Mussini, maestra, Bozzolo (Mn), Eliana Strona, Torino, Carla Zauli, Bologna, Stefano Ventura, ricercatore Cnr, capo scout, Bologna, Giovanni Nespoli, Renata Rossi, insegnante, Giorgio Azzoni, diacono, Carla Pellacini, Gianni Gennari, teologo e giornalista, Annamaria Fiengo, insegnante di filosofia, Marco Badiali, Salesiano Cooperatore, Bologna, Luigi Bottazzi, presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia, Fabio Ragaini, Francesco Capizzi, chirurgo, Bologna, Giuseppe Acocella, ordinario di Teoria generale del diritto, Universita' Federico II, Napoli, Maria Teresa Cacciari, Bologna, Roberto Mancini, docente di filosofia, Universita' di Macerata, Aldo Antonelli, prete, Avezzano (Aq), Carmine Miccoli, prete, Lanciano (Ch), Pio Russo Krauss, Comunita' cristiana di Via Caldieri, Napoli, Antonio Vermigli, direttore della rivista "In dialogo", Quarrata (Pt), Giancarlo Poddine, Savona, Antonio Mammi, Comitati Dossetti di Casalgrande, Reggio Emilia, Angela Mancuso, Firenze, Nicola Tranfaglia, Universita' di Torino, Grazia Tuzi, eredi via Chiesa Nuova 14, (Comunita' del porcellino), Emanuele Chiodini, San Martino Siccomano, (Pv), Aristide Romani, Flavio Pajer, Biblioteca per le scienze religiose (To), Saverio Paolicelli, Margherita Lazzati, fotografa, Milano, Marina Lazzati, pedagogista, Fausto Pellegrini, giornalista, Carlo Cefaloni, Franca Maria Bagnoli, insegnante, Ivano Pioli, Ilario Maiolo, avvocato, Roma, Piera Capitelli, gia' Sindaco di Pavia, Totu Paladini, Fulvio Mastropaolo, ordinario di diritto civile a Roma tre, Anna Sforza, educatrice penitenziario di Bologna, Eli Colombo, Augusto Cacopardo, Firenze, Agata Cancelliere, insegnante, Roma, Nino Cascino, ricercatore sociale, Roma, Giorgio Nebbia, professore, ambientalista, Roma, Maria Ricciardi, Felice Scalia S.J., gesuita, Messina, Luciano Benini, Comitato per la Costituzione, Fano, Marco Bernabei, psicologo, Mauro Magini, chimico, Roma, Marta Lucia Ghezzi, Pavia, Mauro Armanino, missionario e antropologo, Niamey (Niger), Andrea Rocca, Paolo Candelari, Miriam Gagliardi, Vladimir Sabillon, grafico, Francesco Riva, cooperante, Jessica Veronica Padilla, bancaria, Donatella Gregori, dipendente pubblico, Pietro Vecchi, studente di architettura, Donatella Caruso, insegnante, Loris Lanzoni, imprenditore, Ilaria Barbieri, maestra, Umberto Musumeci, Montebelluna (TV), Antonio Caputo, Giustizia e Liberta', Maria Rosa Filippone, bibliotecaria, Genova, Mario Epifani, avvocato, Genova, Raffaele Porta, professore di liceo, Andrea Trucchi, avvocato, Genova, Daniele Ferrarin, Vicenza, Mauro Bortolani, Reggio Emilia, Renzo Dutto e la Comunita' di Mambre, (Cuneo), Franco Camandona, medico, Genova, Giuliano Minelli, Maurizio Mazzetto, prete, Vicenza, Luca Pratesi, neurologo, Roma, Giandomenico Magalotti, Francesco Grespan, Maria Paola Patuelli, Luigi Antonio Faraco, Marzabotto, Giacomo Grappiolo, insegnante, Genova, Paolo Palma, presidente dell'associazione Dossetti "Per una nuova etica pubblica", gia' deputato dell'Ulivo, Irene e Francesco Palma, Cosenza, Irene Scarnati, insegnante di lettere, Cosenza, Giovanni Serra, imprenditore sociale, gia' assessore al Welfare, Cosenza, Franca Sita', Gianni Russotto, pensionato, Genova, Giovanni Colombo, avvocato, Milano, Giuseppe Deiana, presidente dell'Associazione C. C. Puecher di Milano, Mauro Castagnaro, giornalista, Francesco Piersante, Luigi Mariano Guzzo, Universita' Magna Graecia, Catanzaro, Gian Luigi Montorsi, imprenditore, Reggio Emilia, Andriotto Pietro, Costanza Boccardi, casting director, Napoli, Velia Galati, volontaria emerita della Croce Rossa Italia, Genova, Mario Corinaldesi, soccorritore ambulanza ed autista taxi sociale, Agugliano (An), Alessandro Bongarzone, giornalista, Angelo Bertucci, Monica Pendlebury, Jacopo Bertucci, Yasmin Bertucci, Giampietro Filippi, geologo, Savona, Giuseppe Claudio Godani, docente di Filosofia. Genova, Alberto Pane, Andrea Rocca, insegnante, Milano, Dino Biggio, Cagliari, Giovanni Battista Baggi, Cassino (Fr).

Possono firmare questo appello sia persone singole che riviste, gruppi, circoli, associazioni.

La sede del Comitato dei cattolici del No e' in via Acciaioli 7, 00186, Roma tel. 066868692, fax: 066865898, mail: cattolicidelno at gmail.com, e in ogni computer o cellulare che fungera' da campana per avvertire del pericolo.

Il Comitato aderisce al Comitato per il No nel referendum e al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale.

Chi, pur senza firmare questo appello, vuole partecipare alla battaglia per il No, puo' aderire al Comitato per il No nel referendum costituzionale a questo link: http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net, oppure http://www.iovotono.it, o scrivere a: segreteria.comitatoperilno at gmail.com

 

9. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Riletture

- Walter Binni, La nuova poetica leopardiana, Sansoni, Firenze 1947, 1979, pp. XXIV + 200.

- Walter Binni, La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze 1973, 1977, pp. XII + 282.

- Walter Binni, Lettura delle Operette morali, Marietti, Genova 1987, pp. VIII + 118.

- Bruno Biral, La posizione storica di Giacomo Leopardi, Einaudi, Torino 1974, 1997, pp. XVIII + 430.

- Franco Brioschi, La poesia senza nome. Saggio su Leopardi, Il Saggiatore, Milano 1980, pp. VIII + 304.

- Liana Cellerino, Tecniche ed etica del paradosso. Studio sui Paralipomeni di Leopardi, Lerici, Cosenza 1980, pp. II + 174.

- Francesco De Sanctis, Giacomo Leopardi, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. XXXIV + 318.

- Angiola Ferraris, L'ultimo Leopardi, Einaudi, Torino 1987, pp. VI + 186.

- Norbert Jonard, Bruno Biral, Liana Cellerino, Giovanni Pirodda, Il caso Leopardi, Palumbo, Palermo 1974, pp. 160.

- Gilberto Lonardi, Leopardismo, Sansoni, Firenze 1974, pp. IV + 124.

- Cesare Luporini, Leopardi progressivo, Editori Riuniti, Roma 1980 (prima edizione in Filosofi vecchi e nuovi, Sansoni, Firenze 1947), pp. X + 110.

- Salvatore Natoli, Antonio Prete, Dialogo su Leopardi. Natura, poesia, filosofia, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 174.

- Antonio Negri, Lenta ginestra. Saggio sull'ontologia di Giacomo Leopardi, Sugarco, Milano 1987, pp. 416.

- Mario Picchi, Storie di casa Leopardi, Camunia, Milano 1986, Rizzoli, Milano 1990, pp. II + 382.

- Mario Andrea Rigoni, Il pensiero di Leopardi, Bompiani, Milano 1997, pp. 256.

- Sebastiano Timpanaro, La filologia di Giacomo Leopardi, Le Monnier, Firenze 1955, Laterza, Roma-Bari 1978, 1997, pp. XVI + 272.

- Sebastiano Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano, Nistri-Lischi, Pisa 1965, 1988, pp. XL + 440.

- Sebastiano Timpanaro, Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Nistri-Lischi, Pisa 1980, pp. XVI + 480.

- Sebastiano Timpanaro, Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Ets, Pisa 1982, pp. 346.

- Sebastiano Timpanaro, Nuovi studi sul nostro Ottocento, Nistri-Lischi, Pisa 1995, pp. XXII + 248.

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Riedizioni

- Gino Tellini, Leopardi, Salerno, Roma 2001, Rcs, Milano 2016, pp. 368, euro 6,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

 

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

11. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2294 del 21 marzo 2016

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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