[Nonviolenza] Telegrammi. 2150



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2150 del 28 ottobre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com

 

Sommario di questo numero:

1. Hic et nunc, quid agendum

2. "I diritti umani e dei popoli presi sul serio". Un incontro di riflessione a Viterbo

3. In memoria di Rafael Alberti, di Mario Cuminetti, di Charlotte Turner Smith, di Kateb Yacine

4. Movimento Nonviolento, Peacelink, Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo, Associazione Antimafie Rita Atria: Un appello per il 4 novembre: "Ogni vittima ha il volto di Abele"

5. Paolo Arena presenta "Arancia meccanica" di Anthony Burgess

6. Segnalazioni librarie

7. La "Carta" del Movimento Nonviolento

8. Per saperne di piu'

 

1. REPETITA IUVANT. HIC ET NUNC, QUID AGENDUM

 

Occorre soccorrere, accogliere, assistere tutti gli esseri umani in fuga dalla fame e dalle guerre.

Occorre riconoscere a tutti gli esseri umani il diritto di giungere in modo legale e sicuro nel nostro paese.

Occorre andare a soccorrere e prelevare con mezzi di trasporto pubblici e gratuiti tutti i migranti lungo gli itinerari della fuga, sottraendoli agli artigli dei trafficanti.

Occorre un immediato ponte aereo di soccorso internazionale che prelevi i profughi direttamente nei loro paesi d'origine e nei campi collocati nei paesi limitrofi e li porti in salvo qui in Europa.

Occorre cessare di fare, fomentare, favoreggiare, finanziare le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.

Occorre proibire la produzione e il commercio delle armi.

Occorre promuovere la pace con mezzi di pace.

Occorre cessare di rapinare interi popoli, interi continenti.

In Italia occorre abolire i campi di concentramento, le deportazioni, e le altre misure e pratiche razziste e schiaviste, criminali e criminogene, che flagrantemente confliggono con la Costituzione, con lo stato di diritto, con la democrazia, con la civilta'.

In Italia occorre riconoscere immediatamente il diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti.

In Italia occorre contrastare i poteri criminali, razzisti, schiavisti e assassini.

L'Italia realizzi una politica della pace e dei diritti umani, del disarmo e della smilitarizzazione, della legalita' che salva le vite, della democrazia che salva le vite, della civilta' che salva le vite.

L'Italia avvii una politica nonviolenta: contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Salvare le vite e' il primo dovere.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

 

2. INCONTRI. "I DIRITTI UMANI E DEI POPOLI PRESI SUL SERIO". UN INCONTRO DI RIFLESSIONE A VITERBO

 

Si e' svolto la sera di martedi' 27 ottobre 2015 a Viterbo presso il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" un incontro di riflessione sul tema: "I diritti umani e dei popoli presi sul serio". Nel corso dell'incontro sono state analizzate alcune situazioni concrete di grave violazione di diritti fondamentali ed alcune esperienze nonviolente di impegno per la giustizia, la solidarieta', la democrazia, la civile convivenza.

All'incontro ha preso parte Paolo Arena.

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Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta.

 

3. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI RAFAEL ALBERTI, DI MARIO CUMINETTI, DI CHARLOTTE TURNER SMITH, DI KATEB YACINE

 

Ricorre oggi, 28 ottobre, l'anniversario della scomparsa di Rafael Alberti (El Puerto de Santa Maria, 16 dcembre 1902 - Cadice, 28 ottobre 1999), della nascita di Mario Cuminetti (Albino, 28 ottobre 1934 - Milano, primo novembre 1995), della scomparsa di Charlotte Turner Smith (Londra, 4 maggio 1749 - Tilford, 28 ottobre 1806), della scomparsa di Kateb Yacine (Zighoud Youcef, 6 agosato 1929 - La Tronche, 28 ottobre 1989).

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Anche nel ricordo di Rafael Alberti, di Mario Cuminetti, di Charlotte Turner Smith, di Kateb Yacine, proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' e la biosfera.

 

4. REPETITA IUVANT. MOVIMENTO NONVIOLENTO, PEACELINK E CENTRO DI RICERCA PER LA PACE E I DIRITTI UMANI DI VITERBO, ASSOCIAZIONE ANTIMAFIE RITA ATRIA: UN APPELLO PER IL 4 NOVEMBRE: "OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE"

 

4 novembre 2015: non festa, ma lutto.

Cento anni dopo: basta guerre. Un'altra difesa e' possibile.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

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Il Movimento Nonviolento, PeaceLink, il Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo e l'Associazione Antimafie Rita Atria lanciano per il 4 novembre l'iniziativa "Ogni vittima ha il volto di Abele", affinche' in ogni citta' si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre.

Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze. Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.

Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. Non devono dar adito ad equivoci o confusioni di sorta; non devono essere in alcun modo ambigue o subalterne; non devono prestare il fianco a fraintendimenti o mistificazioni. Queste iniziative di addolorato omaggio alle vittime della guerra e di azione concreta per promuovere la pace e difendere le vite, devono essere rigorosamente nonviolente. Occorre quindi che si svolgano in orari distanti e assolutamente distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri armati, quei poteri che quelle vittime fecero morire. Ed occorre che si svolgano nel modo piu' austero, severo, solenne: depositando omaggi floreali dinanzi alle lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, ed osservando in quel frangente un rigoroso silenzio. Ovviamente prima e dopo e' possibile ed opportuno effettuare letture e proporre meditazioni adeguate, argomentando ampiamente e rigorosamente perche' le persone amiche della nonviolenza rendono omaggio alle vittime della guerra e perche' convocano ogni persona di retto sentire e di volonta' buona all'impegno contro tutte le guerre, e come questo impegno morale e civile possa concretamente limpidamente darsi. Dimostrando che solo opponendosi a tutte le guerre si onora la memoria delle persone che dalle guerre sono state uccise. Affermando il diritto e il dovere di ogni essere umano e la cogente obbligazione di ogni ordinamento giuridico democratico di adoperarsi per salvare le vite, rispettare la dignita' e difendere i diritti di tutti gli esseri umani.

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In particolare vogliamo sostenere la Campagna "Un'altra difesa e' possibile" che ha depositato in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta. Un Dipartimento che comprenda i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche sulla pace e il disarmo e che abbia forme di interazione e collaborazione con il Dipartimento della Protezione civile, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ed il Dipartimento della Gioventu' e del Servizio Civile Nazionale. Si tratta di dare finalmente concretezza a cio' che prefiguravano i costituenti con il ripudio della guerra, e che gia' oggi e' previsto dalla legge e confermato dalla Corte costituzionale, cioe' la realizzazione di una difesa civile alternativa alla difesa militare, finanziata direttamente dai cittadini attraverso l'opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi.

Obiettivo della Campagna e' quello di organizzare la difesa civile, non armata e nonviolenta - ossia la difesa della  Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; la preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; la difesa dell'integrita' della vita, dei beni e dell'ambiente dai danni che derivano dalle calamita' naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni - anziche' finanziare cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra, che lasciano il Paese indifeso dalle vere minacce che lo colpiscono e lo rendono invece minaccioso agli occhi del mondo. La Campagna vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralita' alla Costituzione che "ripudia la guerra" (art. 11), afferma la difesa dei diritti di cittadinanza ed affida ad ogni cittadino il "dovere della difesa della patria" (art. 52).

Per informazioni sulla Campagna "Un'altra difesa e' possibile" si veda al sito www.difesacivilenonviolenta.org La segreteria della Campagna e' presso il Movimento Nonviolento.

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A tutte le persone amiche della nonviolenza chiediamo di diffondere questa proposta e contribuire a questa iniziativa. Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni. Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.

Ogni vittima ha il volto  di Abele.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

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Movimento Nonviolento

per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax 0458009803, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it

PeaceLink

per contatti: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it

Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo

per contatti: e-mail: nbawac at tin.it, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Associazione Antimafie Rita Atria

per contatti: e-mail: abruzzo at ritaatria.it, sito: www.ritaatria.it

 

5. LIBRI. PAOLO ARENA PRESENTA "ARANCIA MECCANICA" DI ANTHONY BURGESS

[Ringraziamo Paolo Arena per questo intervento.

Paolo Arena, critico e saggista, studioso di cinema, arti visive, weltliteratur, sistemi di pensiero, processi culturali, comunicazioni di massa e nuovi media, e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo e fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che per anni si sono svolti con cadenza settimanale a Viterbo; nel 2010 insieme a Marco Ambrosini e Marco Graziotti ha condotto un'ampia inchiesta sul tema "La nonviolenza oggi in Italia" con centinaia di interviste a molte delle piu' rappresentative figure dell'impegno nonviolento nel nostro paese. Ha tenuto apprezzate conferenze sul cinema di Tarkovskij all'Universita' di Roma "La Sapienza" e presso biblioteche pubbliche. Negli scorsi anni ha animato cicli di incontri di studio su Dante e su Seneca. Negli ultimi anni ha animato tre cicli di incontri di studio di storia della sociologia, di teoria del diritto, di elementi di economia politica. Fa parte di un comitato che promuove il diritto allo studio con iniziative di solidarieta' concreta.

Anthony Burgess, nato a Manchester nel 1917 e deceduto a Londra nel 1993, e' stato un prolifico scrittore, ma anche musicista, docente, persona di varie esperienze. Tra le sue molte opere Arancia meccanica e' certo la piu' nota, anche grazie al celebre film che ne trasse Stanley Kubrick]

 

Anthony Burgess, Arancia meccanica, Einaudi, Torino 1969 (col titolo Un'arancia a orologeria), 2005 (ed. orig: A Clockwork Orange, 1962).

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1. Storia

Alex e' un giovane inglese che assieme alla sua banda trascorre il tempo tra l'ozio, il vandalismo e la violenza. Di famiglia piccolo-borghese, in un'Inghilterra tetra e conformista Alex manifesta la propria individualita' praticando la violenza come stile di vita.

Le loro serate iniziano al Korova Milkbar, un locale dove si servono bevande corrette con droghe stimolanti o allucinogene (dato che l'alcool e' soggetto a certe restrizioni); a seguire si decide cosa fare, in genere sortite verso altri locali dove mangiare, bere e crearsi un alibi (offrendo da bere ad anziane signore stanziali del ristorante); quindi ci si accanisce contro qualche passante dall'aria mite (in questo caso un uomo con dei volumi della biblioteca): verbosi insulti e botte fino allo sgorgare dell'agognata "salsa rossa". Per concludere un'effrazione ed un'aggressione, oppure qualcosa per procacciarsi il denaro per i dischi e per le libagioni. Occasionalmente uno scontro con un'altra banda simile alla loro: con proprio look, proprio vocabolario, proprie regole, proprie idiosincrasie. Il tutto senza farsi prendere dai rarissimi poliziotti e rincasando comunque dai genitori ogni giorno; Alex infatti ha sedici anni e nonostante sembri essere abbastanza colto non frequenta molto la scuola e deve comunque sottostare agli orari domestici. Rientra in una casa dove non si comunica e forse non ci si ama, si rintana in camera sua ad ascoltare musica classica o a ricevere visite del suo responsabile della liberta' vigilata.

Anche la banda ha le sue tensioni, in quanto sorta di famiglia sostitutiva: Bamba e' troppo stupido e brutale per capire quando e' il momento di fermarsi e non riesce a conformarsi allo stile che Alex il capo esige per il gruppo e si sporca, e' sempre in disordine; Pete e Georgie oltre che in lotta per la leadership sembrano essere eccessivamente interessati ai soldi, ad una violenza strumentale che e' contraria agli ideali stilistici di Alex.

Tra queste vicende c'e' anche il tempo di avere un rapporto con certe ragazzine alla moda che Alex (lui ha 16 anni e loro 10) aggancia al solito negozio di dischi, disgustato per le loro scelte musicali ed il loro look.

Alcune aggressioni particolarmente violente: lo scrittore F. Alexander con la moglie (lei si uccidera' in seguito alla violenza subita); una sorta di barbone che annuncia l'epoca di caos in cui vive il mondo; una donna ricca che vive circondata di gatti e che morira' in seguito all'aggressione.

Durante quest'ultima Alex viene tradito dalla banda e viene arrestato; verra' condannato a quattordici anni di carcere.

La seconda parte del romanzo narra la permanenza di Alex in carcere. Nonostante sia un ragazzo egli si trova in un carcere normale e si trova a doversi confrontare con un ambiente diverso da quello domestico od esterno. Qui tutto e' brutalita' e violenza ma senza l'estasi estetica che lui ne ricavava: Alex e' ben lungi dall'essere un criminale, considerandosi un artista, una persona di stile che rivendica la propria autonomia di pensiero rifiutandosi di aderire a qualunque proposta conformista, come appunto il comportamento secondo le regole della societa' o secondo etica.

In carcere si confronta ancora con l'ipocrisia della societa': nessuno si cura del suo vero recupero e cosi' a lui basta fingere di volersi comportare bene; si avvicina al cappellano (l'unico a dire che il bene debba essere scelto consapevolmente e non in maniera meccanica, pur essendo chiaramente una figura che cerca di raccogliere consenso per il suo "partito") e frequenta la biblioteca.

Non puo' pero' sempre sfuggire agli episodi di violenza, per la quale sente attrazione man mano che aumenta la pesantezza della vita in un ambiente cosi' repressivo e meccanizzato.

A seguito di una nuova aggressione Alex riesce a farsi inserire in una sperimentazione di cui ha sentito parlare, il cosiddetto "Trattamento Ludovico" (o "Cura Ludovico" - la terminologia del libro e del film si sovrappongono alla memoria): egli intenderebbe solo fingere di aver capito i suoi errori e di volersi reinserire nella societa'.

La Cura Ludovico e' un procedimento sperimentale sul quale e' in corso una battaglia politica: il governo e' ansioso di dare un segno alla popolazione che si sta facendo il possibile per fermare il crimine (contenendo le spese, certo) e quindi invece di pensare ad una riforma della societa' introduce questo metodo palliativo di condizionamento mentale per ridurre all'impotenza i devianti annientandone la personalita'.

Alex incontra per la prima volta l'ipocrisia della politica: sono tutti ansiosi di restituirgli quel bene che sembra mancare dalla sua testa per una sorta di squilibrio chimico piu' che per problematiche politico-sociali; la macchina della propaganda si mette in moto ed Alex diventa un esempio da sbandierare.

Il progetto di Alex, non rendendosi conto in cosa consista la cura, e' quello di fingere il piu' possibile e fare il bravo finche' i dottori non si convinceranno della sua guarigione dal male, guadagnarsi la liberta' e tornare a alle sue amate attivita': l'ultraviolenza, il "va-e-vieni" (il sesso), ascoltare Ludwig Van, bere il suo "mommo coi coltelli" (latte addizionato di anfetamine).

Mentre lo avviano alla Cura Ludovico, la politica inizia a coccolare Alex come fosse lui la vera vittima di una qualche astratta ingiustizia, come fosse un povero malato da curare, come se in lui ci fosse un cittadino modello che la miglior tecnologia psichiatrica e la miglior gestione politica potranno restituire alla societa'.

La "Cura Ludovico" consiste in: somministrazione di certe sostanze, costrizione alla visualizzazione di filmati contenenti un crescendo di violenza (fino ad una sorta di apoteosi nazi-apocalittica) ed ascolto di musica classica; questo per molte ore al giorno, senza possibilita' di opporsi: gli occhi aperti tramite un congegno (che nella trasposizione cinematografica Kubrick iconizzera' in una delle immagini piu' significative e riconoscibili del ventesimo secolo), corpo bloccato da cinghie; in quindici giorni ogni desiderio di male verra' estirpato dalla testa del giovane Alex, pena una violenta reazione fisica; i dottori sono soddisfatti, il cappellano mugugna, il ministro gongola.

Dopo quindici giorni accade veramente qualcosa di simile: sottoposto ad una prova di reazione ad una provocazione, Alex scopre (e mostra) di non poter piu' pensare o compiere atti di violenza perche' essi sono associati ad una sensazione di nausea e di mancamento che lo stende letteralmente: tremori, mal di testa, dolore fisico, angoscia.

A qualunque tensione egli venga sottoposto non potra' mai reagire in maniera energica perche' stara' male, mentre se si sottomette provera' sollievo. Dentro la sua testa, pero', egli sceglie ancora il male e la violenza - e' solo che il suo corpo e' allergico ad essi, quindi la cura si e' dimostrata solo un palliativo, una costrizione, un momentaneo tampone al problema del singolo.

Nella terza parte del romanzo Alex e' reimmesso nella societa': senza adattamento, senza aiuti, senza alcun sostegno. Non sono neanche stati avvisati i suoi genitori, che infatti al suo rientro in casa restano sorpresi, soprattutto perche' intanto hanno subaffittato la sua stanza ad una sorta di energumeno provinciale che piano piano sembra volersi appropriare di casa e famiglia (senza che i genitori siano troppo dispiaciuti di cio' visto il fallimento del primo figlio assassino).

Alex e' senza casa e senza famiglia, senza la sua roba e i suoi dischi (tutto venduto per i risarcimenti).

E' anche senza la banda: Georgie e' morto mentre Alex era in carcere, Pete e' cresciuto e si e' inserito nella societa' conformista, Bamba si e' alleato con l'ex rivale Billyboy ed entrambi sono violenti ed ambigui poliziotti.

Proprio mentre cerca risposte, Alex si imbatte prima in una vecchia vittima di aggressione che si vendica, poi nei poliziotti Bamba e Billyboy, che lo portano fuori citta' e lo picchiano con molta violenza lasciandolo poi per strada.

Cercando di rientrare in citta' Alex si imbatte nella casa dello scrittore F. Alexander a cui racconta la sua storia. Lo scrittore lo soccorre non realizzando li' per li' che si tratta dell'aggressore che causo' la morte della moglie: il progetto di Alexander e' coinvolgere Alex nei piani del proprio gruppo politico di screditare la classe dirigente mostrando quando siano inumani ed inutili i suoi metodi. Ad  Alex, che ha conosciuto di persona la maggioranza governativa, questa politica di opposizione non appare molto diversa: anche loro vogliono sfruttarlo curandosi poco della sua individualita' e dei suoi desideri.

Alex tenta poi il suicidio, sentendosi messo alle strette da questi gruppi e da questa societa' che sembra ignorarlo completamente da quando non ha piu' paura di lui (e complice un nuovo attacco di sofferenza dopo aver ascoltato musica classica nell'appartamento vicino al suo - forse provocata dal gruppo).

All'ospedale il ministro gli offre completo recupero e reinserimento nella societa', cercando di coprire la coscienza sporca della classe dirigente e l'errore di promuovere la Cura Ludovico, da cui Alex verra' a sua volta curato (e quindi tecnicamente reso di nuovo capace di fare del male).

Nel discusso capitolo finale, pero', Alex si stufa della sua nuova banda e dell'ultraviolenza e della solita vita in giro tra strada e locali; inizia a sentire dentro di se' la necessita' di qualcosa di piu' profondo, completo (complice anche l'aver incontrato Pete che ormai si e' sposato ed ha una vita normale), forse vuole una propria famiglia, un figlio. Sa che le generazioni dopo di lui saranno di nuovo violente e spregiudicate, forse di piu', ma lui avverte l'arrivo dell'eta' adulta.

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L'opera e il suo stile

Arancia Meccanica prende questo titolo definitivo dopo l'uscita del film di Kubrick tratto dall'opera,  giudicato da Burgess cosi' affine al libro da esserne omologo (purche' si riconoscesse a lui la paternita' originaria dell'opera). Non e' effettivamente facile distinguere tra le due quando si richiama alla memoria qualche dettaglio, se non per il fatto che sembra la sceneggiatura del film venga da una specifica prima edizione americana del libro priva dell'ultimo capitolo, quello della "conversione al conformismo" di Alex (giudicato forse banale per il pubblico americano) che Kubrick non aveva letto se non all'ultimo momento - e non potendo sconvolgere ormai il senso stretto dell'opera che egli riteneva, a ragione, di aver ricavato per il suo film.

Le espressioni "Arancia ad orologeria" o "Arancia meccanica" sembra vengano da un detto che indica qualcosa di strampalato, messo su alla meno peggio eccetera. Lasciandoci guidare da qualche suggestione non ci riesce difficile immaginare questa societa' i cui ingranaggi sferragliano alacremente, ogni cittadino rotella al proprio posto, il conformismo a fare da lubrificante; una societa' tecnorganica in cui l'uomo seppure ancora di carne si e' fatto definitivamente automa ed estensione dei prodotti che consuma, manipola.

Il fatto stilistico notevolissimo di quest'opera e' lo stile linguistico utilizzato. L'autore infatti inventa un gergo da attribuire alla banda di giovani (e presumibilmente alle altre bande, come fossero segni distintivi), un gergo che di fatto e' una lingua nuova, una lingua non parlata dagli altri cittadini. Il cosiddetto Nadsat, creata da parole di derivazione russa, neologismi, adattamenti onomatopeici, ispirazioni sensoriali, infantilismi e altri espedienti, piu' che una vera e propria lingua e' un nuovo vocabolario da adattarsi alla struttura linguistica dell'inglese.

Nella traduzione in italiano letta questo effetto e' stato reso nella maniera migliore possibile anche se probabilmente alcune delle sfumature desiderate dall'autore si perdono; la traduttrice ha usato termini pseudostranieri, obsoleti, onomatopeici, di ispirazione visiva ed altro riuscendo comunque a restituire quella sensazione estraniante che si desiderava.

Per fare alcuni esempi il latte diviene "mommo" (e "mommo coi coltelli" e' quando gli si addizionano stimolanti), le mani sono "granfie", il sesso e' "il (vecchio) va-e-vieni", la birra e' "la saponata", la sigaretta "la cancerosa", le persone sono "malcichi" (dal russo) oppure "poldi", la testa "il planetario", per dire di qualcosa che e' grande o molto troviamo "cinebrivido" ("carascio'" nel film).

L'effetto e' dirompente, a volte esilarante come gli sproloqui di gusto puramente fonetico che potrebbe enunciare una persona in stato di alterazione da sostanze esilaranti; ma alla fine quando ci si rende conto che parlare questa sottolingua isola, divide, genera incomprensione - soprattutto quando si usa anche per pensare, come nel monologo interiore o memoriale di Alex di cui e' fatta l'opera - ci viene da pensare che forse questa pseudolingua e' altro che un semplice segno di riconoscimento tribale giovanilista, magari di teenagers che vogliono tenere nascosti ai genitori i loro affari.

L'intenzione dell'autore sembrerebbe quella di sottolineare l'incomunicabilita' di queste porzioni di societa', l'impossibilita' di essere una se non ci si mette d'accordo nemmeno sui nomi da dare alle cose. Ma non trovo ci sia un marcato intento didascalico in questo espediente: e' solo un fatto che intanto traghetta l'opera in un ambito di avanguardia (non ai livelli di sperimentazione di certa letteratura come Queneau, ma rimanendo funzionale al narrato) e soprattutto rende all'opera quella sensazione di estraneita' che la fa rientrare nell'opinione diffusa nella categoria di fantascienza o letteratura distopica: non sappiamo quasi nulla dell'ambientazione che ci faccia pensare che la storia si ambienti in un tempo o in una realta' diversi da quelli reali, ammesso che abbia senso dire questo; ma la lingua - come le mescolanze linguistiche orwelliane, come la strana lingua internazionale di Blade Runner, come progetti spericolati ma interessanti come l'Esperanto e l'interlingua (non per niente amate spesso da informatici della prima ora ed appassionati di fantascienza) -, la lingua di Arancia Meccanica rende l'ambientazione una Babele postmoderna popolata da persone che non si capiscono piu' tra una generazione e l'altra - e cioe' niente di piu' realistico travestito da qualcos'altro come la buona letteratura di genere (anche se in questo caso non e' chiaro di quale genere si tratti).

Arancia Meccanica a questo punto e' senza dubbio una distopia, e quindi una satira sociale - una provocazione piu' che un'opera didascalica. Il senso dell'opera e l'appartenenza mutano per via del controverso ultimo capitolo, che poi sarebbe il ventunesimo - ventuno come gli anni in cui si entra nella maggiore eta' in certi paesi, che poi sarebbe secondo le interpretazioni piu' diffuse la chiave di lettura del libro. C'e' da dire che spesso il libro viene confuso con il film, anche se effettivamente a parte i dovuti adattamenti per via delle differenza di medium - ed escluso appunto il finale - il senso delle due opere appare molto simile ed e' inscindibile dallo stile.

Il fatto stilistico e quello linguistico sono inseparabili, poiche' per Alex la pratica della violenza e' rivendicazione della propria autonomia di pensiero e questa non puo' che iniziare dal decidere egli stesso il nome delle cose nel mondo che lo circondano; rifiutare la prima imposizione della storia dell'umanita' biblica (se si esclude la decisione di venire al mondo), quella del nome: l'uomo che lo riceve imposto e che lo impone agli altri elementi del creato. Alex che si trova ad abitare un mondo disgustosamente nominato da altri e con assoluta mancanza di stile: occorre decidere il nuovo nome delle cose, il vero nome poiche' nelle tradizioni magiche conoscere il vero nome (o il nome segreto) delle cose e delle persone ci rende padroni di esse. Rinominare le cose quindi anche come pratica di conoscere e (ri)fare il mondo appropriandocene. Una mappa segreta delle cose che solo noi conosciamo.

Oltretutto in questo modo si riequilibrano le forze, dato che i signori del mondo sono coloro che conoscono piu' parole della povera gente e che possiedono i concetti e le cose con cui queste parole si relazionano, conoscono meglio il mondo, pensano piu' pensieri e piu' complessi eccetera, da don Milani a Foucault, passando appunto per sperimentazioni letterarie piu' o meno godibili che hanno fatto proprio del gioco linguistico un modo di ridisegnare con intenti artistici il mondo: il rapporto parola/immagine surrealista, l'uso dada della parola, certe opere di Rodari oppure le "Fanfole" di Fosco Maraini o anche certe eccessive (e velleitarie) creazioni linguistiche della letteratura fantasy eccetera, proprio per l'impatto fortemente ludico e gioiosamente infantile che ha questa rottura delle regole linguistiche (imposte sin dalla piu' tenera eta') e che ricorda anche l'uso che i bambini fanno della "parolaccia".

Quando non riconosciamo le cose che ci circondano siamo disorientati ed e' possibile che mutino anche i nostri valori in merito al mondo ed alle altre persone; e' per questo che leggendo probabilmente ci troviamo dalla parte di Alex, scegliamo comunque istintiva adesione alla teoria di liberta' di scelta a qualunque costo e ci appaiono come cattivi coloro che vogliono spegnere l'umanita' di Alex (anche se per fermarne la violenza). L'autore forse ci ha fatto volutamente smarrire di modo che senza condizionamenti socioculturali potessimo scegliere, cogliere questo aspetto della vicenda.

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Stile della violenza, violenza dello stile

Di cosa parla Arancia Meccanica? Perche' tutti lo citano, perche' il termine e' persino entrato nei media per descrivere appunto situazioni di violenza e di teppismo?

Leggere il libro dopo aver visto l'adattamento cinematografico kubrickiano e' un'impresa molto ardua e risulta difficile cercare di visualizzarlo in maniera autonoma, resasi impossibile qualunque astrazione dal capolavoro. E mi chiedo quanto sarebbe poi nota l'opera letteraria senza il traino del film: molto meno, se non altro come longevita'. Eppure c'e' un certo fascino di nicchia nel libro che gli ritaglia uno spazio di dignita' proprio nella narrativa marginale (pur non essendolo affatto), quella che richiede un certo sforzo per essere letta e che non sfonda nel grande mercato, non diventa mainstream con le proprie forze, non va oltre l'ambito del "cult" e questo la rende interessante - pur essendo poi opera notissima e Burgess scrittore prolifico.

Per dichiarazione dell'autore stesso, Arancia Meccanica parla intanto della violenza come unica via che Alex ha per rivendicare la propria individualita', e questo e' un fatto interessante da approfondire, con seri risvolti politici.

La societa' che percepiamo alle spalle del protagonista, per quanto vagamente camuffata, e' quella inglese degli anni sessanta: sviluppo economico nelle periferie e nei settori della modernita' (commercio/consumo, servizi, spettacolo), pace sociale imposta con un certo tasso di repressione, conformismo dilagante anche grazie ai media di propaganda ed alla subcultura pop, contentini elargiti alla turbolenta working-class. Ce n'e' per tutti: basta indossare un maglioncino alla moda, comprare i quarantacinque giri di grido, lo stivaletto giusto, obbedire ai genitori, desiderare un'auto nuova, andare alla partita, a ballare. Quello che accade nella uggiosa provincia inglese e' meglio non saperlo: se non fossimo costretti a nominare Liverpool per ovvi motivi diremmo anzi che esiste solo la cosiddetta Swingin' London, il resto e' nebbioso commento, pioggerellina, case in mattoni, serate al pub, lavoro in miniera o in fabbrica eccetera: tutti schiavi per mantenere lo splendente gioiello che tutto il mondo desidera.

I giovani, questa strana categoria che di li' a qualche anno potra' considerarsi classe, si gode l'attenzione di tutta la societa' (e non solo in Gran Bretagna): sono i nuovi grandi consumatori (assieme alle donne post-belliche), sono sensibili ad un marketing mirato, sono irrequieti ma inesperti, sono energici ed ignoranti, sono nati nel benessere lontano dalla guerra combattuta dai loro padri, lontani dalla colonizzazione ormai praticamente conclusa (la Giamaica e' indipendente dal 1962 e ci sono altre poche questioni in sospeso), sono inglesi e del resto del mondo non sanno quasi nulla: mai invasi, mai sconfitti, ancora padroni del mondo in molti settori (lo spettacolo, la moda, la "cultura universitaria", la lingua, il fatto che tutti i giovani europei semplicemente desiderino essere inglesi). Le subculture che si diffondono tra questi giovani sono tendenzialmente spoliticizzate, individualiste (i Mod, ad esempio), basate sull'estetica, sul linguaggio, sulle ritualita'; gli anni della contestazione devono ancora arrivare; la mescolanza di razze c'e' ma e' tenuta fuori dai circuiti del consumo: i migranti sono per lo piu' schiavi che popolano le periferie urbane - come nel caso dei flussi dalla Giamaica che proprio in quegli anni daranno il via alla cultura dello Ska e poi del Reggae, e animeranno (senza troppo clamore) gli strati subalterni della societa' inglese, riuscendo ad integrarsi appunto solo per il tramite della musica.

Una societa' sempre piu' ordinata e lanciata, che omette le problematiche e le rubrica sotto "teppismo", "criminalita' giovanile", eccetera.

Alex de Large e' un figlio di questa societa': per via dell'interpretazione di McDowell ce lo immaginiamo un bel ragazzo biondo, sappiamo che e' molto intelligente, proviene da una famiglia molto media e quindi ha tutte le potenzialita' piccolo-borghesi per realizzarsi un una societa' relativamente secolarizzata, in mano al mercato e teoricamente aperta all'intraprendenza del privato cittadino che sappia comunque accettare e capire quale sia il suo posto.

Alex pratica la violenza come stile: per sentirsi padrone della propria esistenza, facitore di bellezza ed unicita', individuo pensante in autonomia egli pratica un male elevato quasi ad arte; aggressioni accompagnate da verbosita' assortite, pestaggi piu' o meno idealizzati, un edonismo contorto e di una certa raffinatezza, il rifiuto di ogni convenzione sociale, l'indifferenza per la famiglia, l'amore per le arti demode' come la musica classica o l'abbigliamento vecchio stile. Questo e' il suo modo di sentirsi unico, anche se ci sembra un'ovvieta' un po' da manuale di sociologia (che mi sembra uno dei bersagli innominati dell'opera).

I suoi "drughi" sono solo dei gregari, al confine tra l'essere i lacche' del capo ed i competitori per il ruolo-alfa di questa tribalita' neanche troppo nuova e neanche troppo suggerita (ce ne accorgeremo nel film quando le movenze dei pestaggi somiglieranno notevolmente alle violente agitazioni dei primati che scoprono la violenza in "2001 odissea nello spazio"). I drughi desiderano rapinare, arricchirsi per poter consumare quella merce spazzatura da cui Alex e' disgustato; i drughi sono integrati al sistema seppure nel loro paradossale ruolo di devianti, non sono creativi, tanto meno sovversivi ed infatti non sorprende affatto la continuita' con cui essi si trasformano in adulti "normali" o in poliziotti - non vi e' alcuna dissonanza in questo percorso poiche' la brutalita' trova la sua naturale possibilita' di integrazione nel sistema se le si da' un senso.

Alex invece e' caotico, e' il Male perche' non puo' essere ridotto a nessun ruolo: non puo' essere usato come spauracchio per la societa' (anche se ci provano) perche' non fa nulla che non faccia un altro bullo, un poliziotto, un soldato, un capoufficio, un insegnante, un caporale; non e' un modello per il consumo poiche' apprezza la vera grande arte che non e' nel mercato; non crede in alcun tipo di societa' gerarchica (ne' la famiglia, ne' la piccola banda di cui e' egli stesso un riluttante capo); non desidera nulla che il sistema possa dargli per farlo rientrare nei ranghi (nel film il fatto e' reso con la perfetta immagine di lui che si svuota le tasche in un cassetto pieno di soldi che egli tratta con assoluta indifferenza). Ci sembra sia attratto dal sesso, ma piu' che altro come atto di narcisismo: le ragazzine con cui egli si intrattiene in un rapporto che e' veramente prossimo ad una perversa "paideia" estetico-musicale; gli stupri che compie quasi con indifferenza (nominandoli "il vecchio va-e-vieni" come se fosse una semplice routine). La violenza e' il risultato della riduzione all'essenziale di ogni altro gesto umano, di ogni piacere, di ogni azione significante possibile; rimosso tutto il superfluo cio' che resta del proprio io, della societa' e del mondo sembra essere la possibilita' di estorcere un po' di "salsa rossa" da un corpo ridotto ad entita' vuota e senza valore, che puo' solo "scricciare" di dolore e che se davvero valesse qualcosa praticherebbe per primo l'ultraviolenza, comprenderebbe per primo quell'unico senso delle cose, ma quell'individuo senza nome che massacriamo forse e' solo il nostro io riflesso nell'altro.

Spesso il senso dell'opera si riduce a questa prima parte, e spesso questo se ne ricorda: l'ubriacone massacrato, l'ultraviolenza, gli stupri, il latte drogato, il linguaggio strano, la spensieratezza antisistema, poi un po' di chiacchiere sulla violenza giovanile. Ma e' uno stereotipo, accresciuto anche dalla potatura di Kubrick; c'e' altro.

*

Le regole della violenza

Con la reclusione in carcere Alex si trova sottoposto ad una nuova serie di regole e ad un nuovo tipo di violenza. Se nel mondo esterno egli, per quanto aderisca a quella filosofia dello scontro (concetto tipico della sottocultura Ultras, e se ne sente l'eco), si accanisce con soggetti piu' deboli o al limite suoi pari (altre bande): non partecipa della criminalita' dei bassifondi, della violenza della malavita - il suo, per quanto estremo, e' ancora un tipo di teppismo, una ragazzata, un gioco.

In carcere egli conosce la durezza della vita e se ne rende conto: qui non ha alcun privilegio e deve difendersi come puo'. Qui ci appare quasi una vittima e visualizzandolo come l'affilato angioletto biondo del McDowell cinematografico ci sembra quasi un personaggio dickensiano: un buon giovane sfortunato sottoposto chissa' a quali prove dalla dura vita.

In carcere egli capisce subito che deve cavarsela con l'intelligenza e quindi si accompagna spesso al cappellano e frequenta la biblioteca; spera di riuscire ad ottenere la buona condotta, di convincere le autorita' che egli non e' un criminale incallito ed irrecuperabile, guadagnarsi l'uscita e poi ricominciare a farsi gli affari suoi. Pensa come un ragazzino: e' intelligente certo, forse piu' del sistema, ma non ha alcuna esperienza del mondo, alcuna profondita' di veduta, alcuna comprensione dei meccanismi che regolano la societa' estesa esterna e la societa' nella societa' carceraria.

Il cappellano sembra essere un personaggio lucido sull'idea di bene e di male, anche se non si capisce quanto stia tirando acqua al suo mulino. In generale tutta l'opera e' permeata, dicevamo, dell'incomprensione/rifiuto per l'azione e la parola degli adulti.

Quando dopo l'ennesima violenza Alex sente parlare del Trattamento Ludovico e ne richiede l'applicazione si immagina che sia l'ennesima trovata che egli potra' aggirare con l'astuzia, come faceva gia' con le regole della casa, le imposizioni dei genitori, la scuola, le leggi di quel pezzo di strada che era il suo mondo: in pratica un bambino che ruba la marmellata, piu' che un malavitoso. Si trova invece a dover subire un trattamento che dispiega tutta la potenza fisica e mentale del sistema, la sua militarizzazione nella guerra per la difesa dello status quo.

Il trattamento poi e' devastante: visualizzare immagini di violenza (di violenza tipica, come quella dei nazisti, i cattivi per eccellenza del secolo), essere narcotizzati, essere bombardati con la grande musica classica che come nessun'altra arte puo' essere in grado di mostrare quanto sia sottile spesso il confine tra sublime ed abominevole (penso a Wagner, ma anche al fatto che Hitler amasse Beethoven), ed al fatto che spesso la grande arte del passato che oggi celebriamo facesse da sfondo al grande tritacarne della storia.

E' quasi come se il Sistema dicesse ad Alex: "guarda: questi siamo noi. Questo e' quello che facciamo. Siamo molto piu' violenti e spietati di te ed abbiamo la storia dalla parte del manico. Qualunque violenza che non sia autorizzata da noi verra' stroncata sul nascere. Adeguati o soccombi". E infatti altri teppisti sono diventati poliziotti, uno e' un borghese, Alex e' solo quel punto percentuale che non viene reintegrato e che va eliminato. Alex e la sua violenza vanno eliminati non per la violenza in se' ma perche' non sono integrati, sono scorie.

Il cappellano si oppone a questa terapia, dicendo che non educa al bene ma ne scaturisce solo una reazione negativa al male, togliendo di fatto la facolta' di scegliere alla persona, diminuendone l'umanita'. Le priorita' della politica e della società sono altre: togliere i soggetti pericolosi dalle strade cercando un'alternativa alle carceri, far sentire sicuri elettori, lavoratori e consumatori. Nell'escalation della violenza e' sempre il sistema a vincere: ha piu' mezzi, piu' tempo, piu' determinazione, ti toglie semplicemente tutto quello che hai e se non e' con le privazioni materiali che puo' ricattarti ne' con la morte, lo fa con una vita di sofferenza, costringendoti ad essere cio' che piu' detesti ed odi, impedendoti persino di morire per farti vivere questo incubo e mostrare a tutti gli altri cosa succede.

E cosi' il ritorno di Alex in societa' e' il vero incubo che egli esorcizzava con la violenza e con lo stile: si accontenterebbe di tornare dai suoi, ma non lo vogliono piu'; gli amici della banda non esistono piu'; cio' in cui era forte e' ora la sua vulnerabilita'; finisce preda di coloro che sottometteva; burattino nelle mani della politica; allergico violentemente a cio' che gli dava piacere, alla bellezza. Debole, demoralizzato e senza neanche il consolante piacere che i conformisti ricevono in cambio della loro sottomissione; e' come se fosse prigioniero col suo cervello di un corpo che non puo' controllare. E' Hyde intrappolato nel corpo di Jekyll.

Forse e' meglio essere stupidi allora: meglio essere come i normali che non conoscono cio' che manca loro e non ne sentono la mancanza e si accontentano delle piccole cose. E il dolore che scaturisce dalla Cura Ludovico e' questo, forse.

A questo punto meglio gettarsi dalla finestra: soprattutto quando si scopre che anche coloro che si dicono contro il Sistema ne sono in realta' una parte e riproducono in piccolo i suoi stessi meccanismi: sfruttano gli altri, mentono, desiderano il potere.

*

Una questione torbida

L'interrogativo inquietante che scaturisce da questa parte e' lo stesso che spesso ci poniamo quando ci avviciniamo alla politica, alla lotta, ad interessarci del mondo - ed e' l'importante questione che definitivamente posiziona Arancia Meccanica accanto ad altri classici della letteratura distopica: preferiamo una pace conformista, una liberta' distribuita dall'alto, una sedazione generalizzata ovvero una liberta' a qualunque costo, compresa la possibilita' di accettare il male come manifestazione dell'autonomia di pensiero ed azione che dovrebbe essere garantita a tutti? Questa chiave di lettura porta a considerazioni, a dire il vero un po' ingenue, su cui le politiche libertarie gia' si sono confrontate con risultati interessanti nei decenni scorsi; ma accettiamo le condizioni poste dall'opera come vincolanti e quindi pur sapendo che la liberta' e' un luogo dove si incontrano le liberta' di tutti o riconosciamo la violenza di Alex come resistenza ad una misteriosa cospirazione i cui agenti piu' o meno consapevoli siano le cosiddette persone qualunque?

La questione e' stringente, claustrofobica finanche, e se non si trattasse di una mera situazione speculativa scegliere sarebbe difficile - per nostra fortuna la realta' e' sfumata e non e' fatta soltanto di quanto narrato davanti al nostro naso, errore che spesso facciamo quando avvicinandoci ad un opera qualunque ci sentiamo insoddisfatti perche' l'autore ha tralasciato fatti che a noi da fuori sembrano ovvi. Resta il fatto che Alex evidentemente si sente in trappola e l'unica forma di irriducibilita' che senta di poter raggiungere e' quella di praticare una violenza assolutamente non strumentale, irriducibile a qualunque ragionamento, a qualunque speculazione sociologica, a qualunque altra definizione se non quella di fatto artistico.

E qui sta un'altra faccenda importante. La ricezione dell'opera ha proposto diverse letture che potremmo come al solito definire "da destra" e "da sinistra". Il fatto che l'estetica (ed un certo intendimento dell'etica) dell'opera siano finite in ammirazione a certe destre per cosi' dire antisistema (affermazione da usare coi piedi di piombo ovviamente) come quelle delle tifoserie da stadio con la vocazione per lo scontro, i vari fascismi di strada che si definiscono lontani dai palazzi (salvo poi gradirne i protettori, finanziatori, avvocati) ed i vari teppismi piu' o meno politicizzati e' facile da riscontrare: dall'utilizzo della parola "drughi" per definirsi come gruppo (l'autore lo deriva dal russo Droog, amico) fino ad una certa poetica dei bastoni e delle catene che vorrebbe imitare l'ultraviolenza artistica del film ma che in realta' ne e' solo una maniera ortopedica e giudiziaria ben funzionale a certi poteri. Anche la succitata e stereotipata tribalita' urbana e' solo una scusa per picchiarsi in strada fuori dagli stadi e dai locali o per accanirsi contro qualche sventurato che gira isolato, magari con l'aria da secchione o con il colore della pelle poco conforme ai gusti del momento.

Sono comunque derivazioni mainstream dal film piu' che dal libro, anche se non e' impossibile trovare nelle due opere (escludendo il detto ventunesimo capitolo) una flebile vena apologetica della violenza - purche' alle limitazioni imposte dall'ambientazione dell'opera, ammettendo appunto che non vi sia altra scelta per esistere - ma senza scadere in logore mitologie resistenziali che oggi piu' che mai servono solo a dar sollievo alle scalmane di chi non sa fare politica in altro modo. Ma d'altra parte non e' la prima volta che gruppi di picchiatori piu' o meno politicizzati prendono in prestito l'estetica di qualche film: certi occhiali da sole, certi soprabiti, certi slang, eccetera - a destra e, per cosi' dire, a sinistra (appropriandosi tra l'altro di capolavori come "Giu' la testa" di Sergio Leone).

Ho usato cautela nell'impiegare l'espressione "antisistema" perche' e' ovvio ai piu' che la violenza e' sempre funzionale al sistema dominante: esso dispone di piu' forza per batterla sul piano dello scontro fisico e puo' usarne la paura come deterrente per instaurare regimi ancor piu' repressivi eccetera.

Da sinistra si offrono certe letture un po' stereotipate sul disagio giovanile e sul manifestare la propria inquietudine con atteggiamenti estremi, sugli sfoghi, sulla repressione, e su quant'altro non possa leggersi su certi libriccini meglio che in questa sede.

Resta da dire che capovolgendo la celebre citazione di Mao (che fini' poi in "Giu' la testa", film chissa' perche' di ispirazione per certi servizi d'ordine di picchiatori degli anni settanta) si potrebbe considerare che nell'opera "la violenza e' un atto di rivoluzione" anche se risulta difficile credere che qualcuno possa pronunciare un'affermazione del genere in maniera non ironica oggi.

Ad una riflessione piu' approfondita quindi l'opera riguadagna profondita', forse una profondita' neanche intenzionalmente desidera dall'autore; resta il fatto che come spesso nella letteratura distopica si dispongono dettagli portati all'estremo e si lascia che essi maturino da soli le proprie conseguenze, e questo accade; anzi si sentono scricchiolare convinzioni troppo salde di certe politiche troppo dogmatiche, troppo certe di essere nel giusto; in questo l'opera centra il bersaglio della provocazione: puo' considerarsi giusto, date certe condizioni socio-politiche, ritenere legittima manifestazione della propria liberta' personale la pratica della violenza come unica possibile rivendicazione della propria autonomia di pensiero?

La societa' bianca, europea, piccolo-borghese era troppo ignorante all'epoca per porsi una questione del genere (ma non la cultura avanzata e non le culture della decolonizzazione africana in pieno svolgimento, ed i suoi teorici come Fanon) ed oggi e' ancor piu' improbabile che riesca a sollevarsi un dibattito in merito - seppur in ambito puramente speculativo. Forse e' meglio che Arancia Meccanica resti confinato nella nicchia del genere e che "le persone qualunque" continuino a deridere quei pazzi, scoppiati, secchioni che si trastullano con le astronavi, le altre dimensioni, i mondi inventati, le realta' alternative, i regimi immaginari; forse e' meglio che si continui a ridurre l'opera al semplice: "quel film dove i ragazzi vestiti di bianco picchiano la gente per divertimento" - senza rendersi conto che quei ragazzi vestiti di bianco erano loro ieri ed oggi i loro figli - se con un po' di fortuna si e' nati dalla parte giusta del coltello.

 

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

 

Letture

- Franco Cardini e Marina Montesano (a cura di), Carlo Magno e il Sacro Romano Impero, Rcs, Milano 2015, pp. 168, euro 5,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

*

Riletture

- Milan Kundera, L'arte del romanzo, Adelphi, Milano 1988, 2008, pp. 234.

 

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

8. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 2150 del 28 ottobre 2015

Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it , centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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