[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 710



 

==============================

VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

==============================

Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Numero 710 del 13 giugno 2015

 

In questo numero:

1. Semplicemente

2. Simone Scala: Il rientro di Renato Solmi in Italia

3. In memoria di Martin Buber nel cinquantenario della scomparsa

4. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

 

1. EDITORIALE. SEMPLICEMENTE

 

Semplicemente, occorre accogliere nel mondo ogni nuovo essere umano che nasce.

Semplicemente, occorre recare soccorso ad ogni essere umano che soffre.

Semplicemente, occorre salvare le vite.

*

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Abbiamo il dovere di soccorrere, accogliere, assistere ogni essere umano.

E' tutto qui. Semplicemente.

 

2. RICERCHE. SIMONE SCALA: IL RIENTRO DI RENATO SOLMI IN ITALIA

[Il testo che segue riproduce il settimo paragrafo del primo capitolo del lavoro di Simone Scala, "Renato Solmi a confronto con Th. W. Adorno e M. Horkheimer. Storia intellettuale ed editoriale di una mediazione culturale", tesi di dottorato in Teoria e storia delle culture e letterature comparate, Universita' degli studi di Sassari, a.a. 2011-2012 (il testo integrale e' disponibile on line nel sito http://eprint.uniss.it).

Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e' stato impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. E' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]

 

Dopo la conclusione della permanenza francofortese, inizia una lunga fase di silenzio nella corrispondenza di lavoro tra la casa editrice e Renato Solmi. L'ultima lettera del 1957 che egli invia a Torino e' quella del 12 novembre (riguardante sostanzialmente solo questioni amministrative e richieste di pagamenti arretrati). Quella successiva e' dell'11 novembre 1958, ovvero quasi esattamente un anno dopo, con cui si avvisa Solmi che gli e' stato mandato in lettura il libro di Adorno Prismen (216). Nell'autunno di quell'anno, infatti, Solmi si trova a Milano e comincia a stringere nuovamente i contatti con i colleghi della casa editrice per una collaborazione a distanza. Si tratta, quindi, dei primi (e per il momento ancora incerti) segnali di ripresa dopo quel "lungo periodo di depressione opaca e inerte" (come abbiamo gia' ricordato precedentemente citando le parole di Solmi stesso), che lo ha allontanato tanto dal lavoro, quanto dall'impegno pubblico e - infine - dall'affetto degli amici e dei colleghi. E l'invio del libro di Adorno e' molto probabilmente il segnale di un nuovo inizio a un livello significativo dopo il periodo di malattia.

Ci vorra', comunque, ancora circa un anno perche' Solmi si rimetta piu' o meno definitivamente (217).

Il primo verbale che testimonia il suo ritorno a Torino e la sua attiva partecipazione ad una riunione del mercoledi' e' quello del 18 novembre 1959 (in questa occasione riferisce della possibilita' di coinvolgere Pietranera e Notarianni per dei libri bianchi) (218), mentre gia' nel verbale del 22 ottobre 1958 viene registrato il suo parere letto da Ponchiroli su Trotskij oggi di Maitan (219). Ma, al di la' degli aspetti biografici e personali, e' opportuno sottolineare che durante il periodo di lontananza egli si prefisse come condizione per il rientro pienamente operativo in casa editrice, quella di occuparsi di tematiche e di problemi che non lo coinvolgessero (o lo facessero in maniera molto minore rispetto al passato) nelle vicende politiche del presente e dell'immediato futuro. Come testimonia lo stesso Solmi: "Il mio ritorno in casa editrice nel settembre 1959 ebbe luogo all'insegna di questo stato di abbattimento e di relativa mortificazione, che mi indusse a orientare la mia attivita' verso settori di lavoro e campi d'interesse [...] che avrebbero dovuto proteggermi e ripararmi dalle seduzioni dell'attualita'. o permettermi comunque, nei suoi confronti, un atteggiamento distaccato e impassibile" (220). Tuttavia, anche in base a quanto abbiamo fin qui esaminato nel descrivere le caratteristiche del suo lavoro intellettuale, apparira' facile comprendere come i propositi di tenersi lontano "dalle seduzioni della realta'" non furono poi effettivamente mantenuti e non si concretizzarono negli impegni immediatamente successivi. Infatti, sia la situazione interna alla casa editrice Einaudi (il fallimento di alcune iniziative editoriali, l'arrivo di nuovi collaboratori e, soprattutto, la conoscenza con Raniero Panzieri), sia fattori politici esterni (quali, ad esempio, l'inizio dell'esperienza del centrosinistra in Italia e la corsa agli armamenti nucleari a livello internazionale) "tornarono a spingermi, a poco a poco, verso un impegno piu' diretto e piu' intenso, e quindi anche di carattere piu' regolare e continuativo, sul terreno accidentato dei 'Libri bianchi' e di altri testi di analisi o di attualita' militare e politica. Un'impressione duratura e profonda, e un'influenza generale su tutta la mia attivita', esercitarono su di me, in questo periodo, la lettura e la traduzione di alcuni scritti del filosofo viennese Gunther Anders" (221), il quale affronta - tra l'altro - il problema della diffusione delle armi atomiche analizzato nelle sue implicazioni antropologiche e filosofiche.

Intanto, nel corso del 1957, la casa editrice Einaudi e' riuscita ad uscire da una grave crisi di incertezza economica e monetaria (ne dava testimonianza anche Foa' in una lettera a Solmi che abbiamo precedentemente citato). Per farlo, pero', e' stata costretta a cedere intere collane ad altri editori (come quella scientifica a Boringhieri), a concedere il diritto di ristampa per i romanzi a Mondadori e a ridefinire i contratti con i propri collaboratori. Proprio a causa di quest'ultima disposizione alcuni di essi (tra i quali anche alcuni di quelli di piu' vecchia data) si allontanarono dalla Einaudi per iniziare a collaborare con altre case editrici: e' il caso - ad esempio - di Muscetta, di Giolitti e di Geymonat che passarono (anche se non sempre in modo definitivo) alla Feltrinelli (222).

Il guado del 1956/57 (ovvero la fine dei "dieci inverni" di Fortini), ha fatto emergere, quindi, le debolezze interne alla casa editrice, soprattutto per quel che concerne il verificarsi di spaccature piu' o meno profonde nel rapporto tra i collaboratori, ma anche con ricadute importanti rispetto alla futura progettazione generale. Da questo punto di vista va senza dubbio registrata la perdita di centralita', nell'attivita' della casa, del Consiglio editoriale inteso come luogo di confronto e di mediazione tra le sue differenti componenti (ma - come vedremo dettagliatamente - va sottolineato anche che la crisi ormai irreversibile in cui si trovava questo organismo fece si' che durante le sue riunioni si consumassero nel futuro prossimo gravi drammi, tanto umani quanto professionali). Proprio a partire da questo periodo, infatti, ha inizio una nuova fase interna alla casa editrice caratterizzata dal contendersi il primato sulle decisioni relative alla linea programmatica e progettuale di due diverse tendenze, ciascuna determinata da una particolare visione del ruolo della casa nell'ambito della cultura italiana a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta: la prima vedeva l'Einaudi come un soggetto politico a tutti gli effetti e - quindi - non solo autonomo rispetto agli attuali partiti di classe (ritenuti non piu' in grado di guidare il movimento rivoluzionario), ma in un certo senso del tutto sostitutivo di essi; la seconda, invece, riportava il compito della casa editrice entro binari piu' marcatamente culturali e, in particolar modo, l'avrebbe voluta ricondurre nel solco di una tradizione ultradecennale contraddistinta da interessi maggiormente differenziati, enciclopedici in qualche modo. Se volessimo indicare un nome e un cognome per ciascuna delle due opzioni, la prima ha certamente tra i suoi principali esponenti lo stesso Renato Solmi, mentre la seconda ha come punto di riferimento Italo Calvino (secondo Luisa Mangoni questa contrapposizione sta alla base della diffidenza espressa da Solmi nei confronti del Barone rampante, poiche' nel suo romanzo Calvino avrebbe tentato di esprimere gli stessi concetti che cercava di realizzare all'interno della casa editrice) (223).

Come abbiamo dianzi accennato, un aspetto che non va assolutamente sottovalutato in questo confronto e' l'ingresso in casa editrice di nuovi colleghi. Per quanto riguarda la futura attivita' di Renato Solmi e la sua evoluzione politica e culturale, di primaria importanza fu la conoscenza e la collaborazione con Raniero Panzieri. Questi entro' all'Einaudi nel 1959, occupandosi soprattutto della collana di scienze sociali "La nuova societa'" (224), il cui fine era l'indagine dell'attualita' e del presente. In base alla testimonianza dello stesso Solmi, per lui frequentare da vicino Panzieri (per il quale le idee e le teorie politiche non andavano considerate esclusivamente nella loro astrattezza, ma riportate costantemente alla molteplicita' della vita reale) ha significato "entrare per la prima volta in contatto con la tradizione intellettuale e col patrimonio di lotte del movimento operaio [...]: conoscendolo, ho avuto l'impressione di imbattermi in un filo che veniva da molto lontano, e che egli aveva avuto il merito di custodire e di sviluppare, senza spezzarlo o confonderlo con altri; e che a quel filo avrei dovuto continuare ad attenermi, per quanto stava in me, anche in seguito (ma questo mi e' risultato piu' chiaro dopo la sua morte)" (225). E' vero, infatti, che l'impegno politico di Solmi era rimasto sempre al di qua della militanza attiva tra le fila di un partito o di un gruppo organizzato, caratterizzandosi - semmai - per un lavoro ideologico e intellettuale di studio e di diffusione di idee elaborate (o rielaborate con originalita') a partire da pensatori marxisti di diverse tendenze - e proprio in questo senso, come abbiamo visto, considerava l'attivita' nella casa editrice anche in una prospettiva di prassi politica. Quindi, la vicinanza di un intellettuale appena uscito dal Partito socialista ma che continuava ad essere attivamente impegnato nella costruzione di un progetto rivoluzionario anche in Italia e il cui insegnamento era assolutamente interno e coerente con la prospettiva marxista senza, peraltro, limitarsi in nessun caso alla superficialita' della propaganda dottrinaria e di partito "non poteva fare a meno di suscitare, da un lato, uno stato di tensione e di allarme negli ambienti della sinistra tradizionale, sindacale e politica, e di dare luogo, per contro, a un atteggiamento di viva curiosita' e di crescente interesse in tutti quelli che, come me, [...] erano ancora orientati, nonostante tutti gli errori commessi e tutte le delusioni sperimentate in passato, in una prospettiva di carattere rivoluzionario" (226).

In questo periodo, gli interessi di Solmi - sostenuti ed alimentati dal contatto con il nuovo collega - si rivolgono ad aspetti filosofici, economici e sociologici inseriti in una prospettiva marxista: "dal pensiero di Lukacs e dei suoi discepoli [...], al lavoro dei neomarxisti americani che si raccoglievano intorno al gruppo della 'Monthly Review'; dagli sviluppi piu' originali della Scuola di Francoforte ai maggiori esponenti della storiografia economica e sociale in Inghilterra e nel resto del mondo anglosassone; dalle tendenze piu' avanzate della pedagogia e della psicologia contemporanea alle forme piu' critiche e problematiche dell'arte e della letteratura d'avanguardia" fino al "fenomeno della contestazione giovanile e studentesca" (227). Sono questi, quindi, i riferimenti teorici che muovono Solmi ad un rinnovato impegno politico e culturale. Bisogna inoltre tener presente il crescente interesse di Solmi per il tema della minaccia atomica - che, per quanto allora costituisse un tema molto presente, assunse talvolta nella sua elaborazione un carattere psicologicamente angosciante, tanto da provocare "una professione aperta di scetticismo, non del tutto priva di accenti canzonatori, ma tutt'altro che superficiale o improvvisata [...], da parte di Italo Calvino, nei confronti dei timori da me frequentemente espressi in merito alle riflessioni e alle anticipazioni teoriche sulla guerra atomica [...]" (228). Ad ulteriore conferma del fatto che egli era in qualche modo inteso come esponente di uno dei due fronti contrapposti, in quello stesso torno di tempo anche un altro importante collaboratore della casa editrice manifesto una certa ostilita' nei confronti di Renato Solmi: Giulio Bollati. Se, all'apparenza, le motivazioni si pongono su un piano piu' personale rispetto a quelle piu' ideologiche di Calvino, ci pare di poter sostenere che anche quelle di Bollati rientrano nell'ambito della divisione tra i due schieramenti all'interno dell'Einaudi, divisione che presto esplodera' (anche nel Consiglio che avrebbe in realta' dovuto fare opera di mediazione) in una resa dei conti che avra' come pretesto il cosiddetto "Caso Fofi". Bollati, dunque, manifesta dispetto e rincrescimento nei confronti di Solmi "per il fatto che io, a suo dire, mi fossi schierato ormai toto corde e senza riserve dalla parte di Raniero Panzieri e avessi rinunciato a sostenerlo e ad assecondarlo, come gli era sembrato, invece, che avessi intenzione di fare in precedenza, nei suoi sforzi di pianificazione complessiva dell'attivita' editoriale in una prospettiva di lungo respiro (cio' che, in realta', non era mai stato e non era affatto nelle mie intenzioni, ma che, evidentemente, era stato avvertito o presentito da lui come una tendenza immanente e irreversibile della mia condotta)" (229).

Prima di passare ad esaminare le vicende che portarono alla conclusione del rapporto di Solmi con l'Einaudi, ci pare opportuno analizzare quale sia stato il suo ruolo all'interno della casa editrice e quale peso avesse assunto in via Biancamano dopo il rientro a Torino. L'impressione che si ha leggendo i verbali e' che in questo periodo Solmi lavori con grande partecipazione e rinnovato entusiasmo. La sua presenza alle riunioni del Consiglio e' costante e gli interventi numerosi e precisi. In questo senso e' interessante menzionare un'importante testimonianza retrospettiva di Giulio Einaudi, il quale annovera Solmi tra le "eminenze grigie" presenti nella casa editrice, ovvero: "il termine piu' appropriato per definire coloro che nel tempo, attraverso spostamenti anche piccoli ma continui, continui colpi di pollice, hanno impresso una svolta silenziosa, o imposto modifiche. Non compaiono in prima persona, non hanno un peso rilevante nel catalogo, in certi casi non esistono addirittura. Una straordinaria eminenza grigia e' stato Raniero Panzieri. Pochissimi libri in catalogo, ma quando Calvino veniva a Torino, da Parigi, era con Panzieri che parlava per primo. [...] Eminenza grigia e' stato anche Renato Solmi. Tenacissimo nel difendere i 'suoi' libri, quelli in cui credeva. E' stato lui, con Cesare Cases, a imporre i francofortesi. E Walter Benjamin. Credeva in alcuni libri, ed ecco uscire Essere o non essere di Guenther Anders e l'Abici' della guerra di Brecht" (230). Ne risulta, quindi, la conferma della centralita' che il lavoro editoriale di Solmi aveva assunto per la casa editrice. D'altro lato, pero', viene alla luce anche come le sue proposte fossero comunque da riferire e finalizzate ad un "suo" preciso progetto di vasta portata e non sempre coincidente con le priorita' generali della casa editrice.

Ed in effetti, come riferisce Luca Baranelli (amico e collega di Solmi e allora appena entrato a lavorare per l'Einaudi anche grazie all'interessamento dello stesso Solmi, con il quale - tra l'altro - condivise l'ufficio): "All'inizio, il mio compito era di aiutare in redazione Renato Solmi, che in quel periodo si occupava prevalentemente di libri di attualita' politica, sociale ed economica: curava la collana dei Libri bianchi che, dopo una serie con la copertina bianca durata cinque anni, proprio nel 1962 cambiarono aspetto, mettendo una foto in copertina. Il mio tavolo di lavoro era nel suo stesso ufficio" (231). L'occupazione prevalente di Solmi era quindi legata - ancora una volta - alla ricerca e alla cura di testi che trattavano soprattutto dell'attualita' della societa' italiana e internazionale. Come esempi di quali fossero i temi dei libri pubblicati nella serie dei "Libri bianchi" possiamo citare, tra gli altri, il volume contenente una scelta di saggi tratti dalla "Monthly Review" sulla politica estera americana, una raccolta di articoli di Nenni sui congressi dell'Urss (232) e, ancora, una documentazione sull'allora nascente centrosinistra. Tuttavia, ci pare molto significativo che sia i verbali, sia le testimonianze dirette di chi nei primi anni Sessanta lavorava insieme a Solmi registrino un importante ampliamento dei suoi punti di riferimento culturali. Con le parole di Mangoni: "non alla apocalisse culturale ma a quella fisica, nucleare, pensava da tempo Solmi nelle sue proposte editoriali, che lasciarono un'impronta nei Saggi e nei Libri bianchi" (233). Ne sono prova (tra i tanti che propose in questo periodo) titoli quali Energia atomica e epoca atomica di quel Weizsacker (234) che aveva letto per la prima volta a Francoforte o il gia' menzionato Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki di Anders (235). Allo stesso ambito di ricerca intellettuale e politica puo' essere ricondotto anche il progetto di dare alle stampe il materiale sulla prima marcia della pace Perugia-Assisi in un libro curato da Aldo Capitini sulla nonviolenza e sul movimento per la pace in Italia (236). Di quanto poi questo interesse lo impegnasse ci da' un'ulteriore testimonianza ancora Baranelli: "All'inizio del '63, se non mi sbaglio, Solmi ottenne di lavorare a meta' tempo: si occupava gia' allora dei problemi della pace e della guerra, soprattutto della bomba atomica e del disarmo nucleare, e voleva studiarli piu' a fondo. Aveva bisogno di molto tempo per leggere e fare ricerche in biblioteca perche' forse aveva in mente di scrivere un libro su questi argomenti. Solmi veniva in ufficio per 4 ore, non ricordo se la mattina o il pomeriggio, e quindi io per 4 ore lavoravo da solo" (237).

Nonostante il suo interessamento per questo campo di studio, uno dei maggiori impegni di Renato Solmi resta comunque quello legato alla Scuola di Francoforte. Abbiamo gia' ricordato, quando abbiamo trattato dei contatti di Solmi con Adorno prima della partenza per Francoforte nel 1956, che uno dei suoi propositi piu' profondamente perseguiti era quello di tradurre una scelta di saggi di Walter Benjamin. Nel 1962, quindi, esce finalmente per Einaudi il volume Angelus novus, ovvero l'antologia benjaminiana curata da Solmi con cui per la prima volta viene portato diffusamente a conoscenza del lettore italiano il grande critico tedesco (238). Si e' trattato - com'e' noto e ampiamente riconosciuto - di un'iniziativa meritoria e di grandissima portata. Tuttavia, considerando proprio la mole e l'eco che l'operazione di Solmi ha avuto relativamente alla diffusione delle idee del pensatore berlinese nell'ambito della cultura del nostro paese e delle discussioni che ne sono scaturite, non possiamo in questa sede che accennarvi solo cursoriamente e con l'unico fine di inquadrare il ruolo che questo lavoro ha avuto nella vita intellettuale di Solmi stesso.

La traduzione di Solmi, dunque, riguardava una scelta di saggi di Benjamin tratti dalla raccolta Schriften uscita in due volumi presso la casa editrice francofortese Suhrkamp nel 1955 e curata da Adorno e da sua moglie Gretel Karplus. A proposito dell'operazione tedesca (che a sua volta - e' bene ricordarlo - non e' che una scelta dell'opera in quel periodo ancora piuttosto frammentaria di Benjamin) nel febbraio 1956, quando viene informato da Solmi che Suhrkamp concederebbe i diritti solo per la traduzione delle opere complete di Benjamin, Cases risponde all'amico di non capire la necessita di "tradurre delle 'opere complete' che non sono affatto tali e che del resto non pretendono affatto di esserlo (ho l'impressione che l'amico Adorno abbia eliminato tutto quel che c'era di piu engage')" (239). In effetti le scelte effettuate dai coniugi Adorno furono oggetto di polemiche anche in Germania, soprattutto - a partire dalla seconda meta' degli anni Sessanta - per iniziativa di intellettuali marxisti (sia della Germania orientale, che di quella occidentale) che accusarono i curatori francofortesi di aver espunto le parti di Benjamin maggiormente legate al materialismo storico e al marxismo (240).

Oltre che occuparsi della scelta e della traduzione, Solmi scrive anche l'introduzione all'antologia. Qui l'autore non si propone tanto di dare delle coordinate biobibliografiche su Benjamin e sulla sua opera (che, anzi, sono quasi del tutto assenti). Piuttosto realizza a tutti gli effetti il primo saggio critico italiano su Benjamin, tentando di inquadrare all'interno di una prospettiva dialettica gli scritti benjaminiani, ovvero sottolinea e analizza l'originalita' e la profondita' delle sue idee, ma - allo stesso tempo - marca anche i limiti e le contraddizioni insite nel suo pensiero (inquadrandolo nel contesto piu' generale e complessivo fornito da altre opere allora non ancora tradotte in italiano e non limitato solo alla scelta particolare effettuata per questa silloge).

Da un punto di vista storico-ricettivo, va sottolineato che, all'epoca, la conoscenza dell'opera di Walter Benjamin in Italia non andava oltre i confini di una ristrettissima cerchia, composta soprattutto da germanisti studiosi del barocco (sulla base, in modo particolare, dello scritto Der Ursprung des deutschen Trauerspiels), di Brecht o da conoscitori di Lukacs (al primo, suo caro amico, Benjamin aveva dedicato alcuni saggi, mentre il secondo l'ha criticato per le sue teorie sull'avanguardia artistica nel saggio sul realismo) (241): "Quando, per una combinazione di circostanze piu' o meno fortuite, ho avuto l'onore di tradurre per la prima volta in italiano una raccolta di scritti di questo autore, il suo nome era gia' circondato da un'aura di rispetto e di prestigio, ma il suo pensiero e la sua opera erano ancora praticamente sconosciuti da noi come in ogni altra parte del mondo di lingua e di cultura non tedesca" (242). Del resto, anche in Germania la conoscenza della sua opera (cosi' come la critica su di essa), ancora alla fine degli anni Cinquanta, era piuttosto esigua, almeno rispetto alla massiccia diffusione riscontrabile a partire dagli anni successivi, quando si assistette alla fioritura di lavori di critica su Benjamin e sui suoi scritti. La scarsita della Sekundaerliteratur allora disponibile puo', se non giustificare, sicuramente attenuare le responsabilita' di Solmi per alcuni errori interpretativi commessi nella traduzione (243): la principale difficolta' di Solmi nell'affrontare i testi di Benjamin sta nel fatto che si tratta di un autore "del quale erano disponibili solo alcuni scritti che lasciavano appena intuire la presenza di un impianto teoretico unitario" (244).

Come dicevamo, non e' nostra intenzione scendere nei particolari riguardo le implicazioni teoretiche della linea interpretativa di Solmi dell'opera di Benjamin, ne' delle sue scelte traduttive e delle relative problematiche che sono state sollevate da vari interpreti, ne' tantomeno della successiva discussione che ne segui', della "fortuna" di Angelus novus. Ci pare tuttavia che esplicitare alcuni punti di riferimento culturali dell'operazioni di Solmi possa essere utile anche nella prospettiva che stiamo cercando di tracciare per questa ricerca relativa alla sua figura intellettuale.

Da questo punto di vista, soffermarci sull'introduzione all'antologia benjaminiana significa principalmente individuare qual e' il filo rosso che segue Solmi nel suo saggio, quali sono i temi che porta in superficie e con quali obiettivi. Innanzitutto si puo' affermare con una certa sicurezza che la linea guida riscontrabile nell'introduzione ad Angelus novus sia costituita da un continuo raffronto del pensiero di Benjamin con quello di Lukacs, o meglio della lettura dei testi benjaminiani sulla scorta delle coordinate interpretative fornite dal pensatore ungherese, in una sorta di dialogo continuo tra i due. Non ci pare corretta, quindi, un'interpretazione che inquadri l'operazione di Solmi come una netta contrapposizione dei due intellettuali o addirittura una stroncatura di Benjamin mediante Lukacs, il che avrebbe significato semplificare strumentalmente - come poi in effetti avverra' a partire dagli anni Settanta per mano di alcuni critici appartenenti alla cosiddetta nuova sinistra, soprattutto dopo la "caduta" di Lukacs e la nomina di Benjamin a portabandiera contro l'ortodossia comunista - e ridurre la portata del pensiero tanto del primo quanto del secondo. Nemmeno, pero', si tratta (com'e' ovvio) di una sintesi forzata tra due sistemi per molti versi inconciliabili. Secondo i propositi di Solmi, quindi, le pagine di Benjamin non vanno presentate - in questo frangente - come un "esempio" ma come un "documento" (245). Ma documento di che cosa? Secondo Solmi l'importanza di Benjamin sta nel suo ruolo di critico della societa' e, dunque, nella possibilita' che egli offre di apportare correzioni, principalmente metodologiche e legate all'analisi della realta' della cultura e della societa' occidentale, rispetto alla piu' ampia portata del sistema teorico lukacsiano: "Si puo' dubitare della validita', non teoretica, ma pragmatica, dell'argine costruito con tanti sforzi da Lukacs, e chiedersi se, in questo senso, la diagnosi benjaminiana (e adorniana) dell'inevitabile decadenza e scomparsa di certe forme tradizionali di vita e di cultura (conforme agli sviluppi e alle trasformazioni radicali della societa' di massa) non tenga piu' conto della realta' (limitatamente a questi fenomeni) dei postulati teoretici di Lukacs" (246).

Quelle appena citate sono le parole conclusive dello scritto di Solmi. Un breve passo indietro, pero', ci puo' far capire quali sono i termini del rapporto tra i due pensatori, a cui continuamente si riferisce Solmi stesso. Molto spazio e' dedicato in questo saggio di Solmi a Der Ursprung des deutschen Trauerspiels (opera di Benjamin che, sebbene sia inserita nelle Schriften adorniane, e' stata esclusa da Angelus novus per motivi editoriali e non era ancora stata tradotta in Italia) ed in modo particolare alla "Premessa gnoseologica", in cui Solmi individua "il retroterra filosofico e concettuale del pensiero benjaminiano" (247). Anche secondo Cases, inoltre, e' proprio a partire da quest'opera che si possono individuare i fondamenti filosofici, le istanze "micrologiche" (ovvero uno dei tratti piu' innovativi ed originali di Benjamin) e la metodologia generale dell'autore (248). Un campo particolare del pensiero di Benjamin (in confronto con quello di Lukacs) che Solmi analizza nella sua introduzione e' quello dell'estetica (soprattutto rispetto al ruolo delle avanguardie artistiche) e della critica letteraria. Tuttavia, questo tema ha implicazioni che vanno ben oltre i limiti della singola disciplina, con importantissime conseguenze anche per quel che concerne - piu' in generale - la concezione della filosofia della storia, il dibattito sullo storicismo e, in ultima istanza, la prassi politica. E' lo stesso Solmi ad indicarcelo con convinzione quando sostiene che "il pensiero di Benjamin, come abbiamo visto, si muove interamente nell'ambito della problematica artistica e culturale dell'avanguardia. L'esperienza del nuovo mondo, della societa' di massa, delle condizioni radicalmente mutate di vita e di esperienza (e delle loro conseguenze per il pensiero e per l'arte), e' al centro della sua speculazione, soprattutto nella sua seconda fase, in cui essa cerca, in qualche modo, di rendersi conto delle condizioni storiche della propria possibilita'" (249). L'avanguardia artistica diventa quindi un'allegoria della "presenza del presente", ovvero la necessita' del momento di rottura rispetto al decorso rettilineo della storia e del tempo (che Benjamin - da un punto di vista politico - attribuisce principalmente alla concezione socialdemocratica e progressista (250), ma che in effetti e' riconducibile anche ad un certo marxismo e soprattutto a quello ortodosso). Questo sull'avanguardia e' probabilmente l'esempio piu' significativo tratto dall'introduzione di Solmi. E' chiaro, tuttavia, che le implicazioni filosofiche del pensiero del critico berlinese sono enormi e vanno a coinvolgere, tra l'altro, il concetto di comunismo messianico, i rapporti (dal suo punto di vista estremamente stretti) tra teologia e materialismo storico, le affinita' e le divergenze tra lo stesso Benjamin e Heidegger o, ancora, il suo rifiuto delle tendenze irrazionalistiche borghesi (e dei loro corollari politici) - tutti aspetti che non sfuggono a Solmi e che egli tratta piu' o meno approfonditamente nel suo scritto introduttivo. Ma cio' che a questo punto ci preme soprattutto sottolineare e' che - secondo Solmi - al centro del pensiero di Benjamin sta il concetto di allegoria. Ma tale concetto se da un lato e' la chiave per interpretare "le formule paradossali" del berlinese, dall'altro e' anche causa di ambiguita' e in ultima istanza di contraddizione: "e' cio' che invera, per cosi' dire, l'evoluzione successiva di un pensatore come Adorno, dove le formule escatologiche di Benjamin, estratte dall'irripetibilita' della loro formulazione allegorica, e sottratte alla loro connessione - sempre implicita nell'ultimo Benjamin - con la speranza reale nel comunismo, rischiano di entrare in aperta contraddizione con un contesto sociologico-hegeliano, che richiederebbe invece la definizione concreta di linee reali di sviluppo". Ed e' ha questo punto che, in base a quanto sostiene Solmi, interviene in aiuto il pensiero di Lukacs: "Resta che, da un lato, solo l'impostazione umanistica di Lukacs permette d'intendere gli sviluppi complessivi dell'evoluzione in una prospettiva veramente storica; e che, dall'altro, solo essa rimane aperta sull'avvenire come realta' concretamente possibile" (251).

Fin qui, molto sinteticamente, abbiamo esposto gli aspetti teorici e culturali dell'operazione di Solmi. Dal nostro punto di vista, poi, e' interessante notare anche che - come dimostra la corrispondenza conservata presso l'Archivio Einaudi - tale operazione, fin dalle prime battute, non ebbe vita facile. Infatti, il ritardo della pubblicazione di Angelus novus fu dovuto soprattutto all'opposizione alla traduzione di Solmi (pronta gia' dal 1959) da parte della casa editrice Suhrkamp che aveva incaricato Stefan Burger (consulente della casa editrice su consiglio di Adorno dopo che si era occupato di controllare accuratamente la traduzione dei Minima moralia, come vedremo approfonditamente nel prossimo capitolo) di leggere il manoscritto della traduzione prima della pubblicazione. A questo proposito il 31 marzo 1960 Foa' scrive a Cases, riferendosi proprio alla traduzione, che: "il giudizio e' stato decisamente negativo. Gli appunti precisi fatti alla traduzione riguardano cinque o sei passi e gli errori veri e propri non sono piu' di due, di cui uno dovuto ad un errore di battitura nel testo tedesco. Abbiamo protestato per questo giudizio sbrigativo e non sufficientemente motivato, ma loro, da veri testoni, tengono duro, con dietro le spalle Adorno (che diffida ideologicamente di Solmi) e Burger" (252). A questo punto Cases viene incaricato dalla casa editrice Einaudi (in accordo con quella francofortese) di riesaminare il lavoro di Solmi e di esprimere un giudizio che permetta di trovare la soluzione piu' adeguata senza dover rinunciare alla pubblicazione. Il germanista accetta la proposta di effettuare tale controllo e decide di procedere confrontando la traduzione di Solmi con quella francese realizzata da Maurice de Gandillac (uscita nel 1959). Scrive - tra l'altro - a Foa' il primo aprile: "Quanto a Solmi, cosi' imparera' a impancarsi con questi discepoli di Karl Kraus che fanno i processi alle virgole invece di limitarsi a Lukacs che e' grato quando lo si taglia perche' ha la coscienza di essere troppo prolisso. [...] Ho verificato due pagine ammirando l'eroismo di Solmi" (253). Quindi compila l'elenco degli errori commessi dal traduttore francese in raffronto con quanto fatto da quello italiano ("Fehler der franzosischen Ubersetzung und Vergleich mit der italienischen"), e lo invia in copia alla casa editrice tedesca. Da tale documento risulta che la traduzione di Solmi - almeno nella prospettiva presa in esame - e' molto piu' soddisfacente ed adeguata rispetto a quella di de Gandillac. In effetti, e' proprio l'elenco compilato da Cases a costituire il perno della difesa intrapresa con i tedeschi perche' venga accettata e mantenuta la traduzione di Solmi: "La faccenda e' assai sgradevole, tanto piu' che Rene' sta traducendo la Dialektik der Aufklaerung. Difendero' il mio punto di vista, ma quelli sono matti" (254). Cases, comunque, in seguito ad un incontro personale con Burger (255), ebbe la conferma diretta di quanto asseriva fin dall'inizio Foa', ovvero che l'opposizione a Solmi non concerneva nella sostanza problemi legati ad eventuali errori commessi dal traduttore. Si trattava, in realta', di un contrasto riguardante principalmente il rapporto di Solmi con Adorno. La resistenza opposta dal francofortese era dovuta a due motivi fondamentali: da un lato la questione allora ancora in sospeso della traduzione dei Minima moralia che (come vedremo meglio e nel dettaglio in seguito) sono stati pubblicati in Italia con tagli per circa un terzo degli aforismi rispetto all'originale; dall'altro la diffidenza ideologica del filosofo nei confronti di Solmi, il quale veniva considerato troppo vicino a posizione lukacsiane, per quanto riguarda sia il lavoro su Benjamin che quello - all'epoca ancora in corso, come ricorda lo stesso Cases - della traduzione della Dialektik der Aufklaerung. La vicenda si concluse quasi un anno dopo il suo inizio, nel febbraio del 1961, con la sostanziale accettazione da parte della casa editrice tedesca della traduzione di Solmi: "L'ultima volta che sono venuto a Torino ho portato a Solmi il resto della traduzione di Benjamin che non avevo ancora guardato. Ho fatto due o tre rilievi di scarsa importanza, sempre meravigliandomi di come lui abbia potuto tradurre questa roba. Per me dunque la faccenda e' liquidata" (256).

*

Note

216. Archivio Einaudi, incartamento Renato Solmi, foglio 182.

217. Interessante in questo senso anche la seguente lettera di Fortini a Cases del 21 luglio 1959: "Nozze di Solmi. Ti dico francamente che la mia comprensione, il mio affetto - che e' molto grande - per Rene', trovano un limite nel fastidio che mi viene dal doverlo interpretare simultaneamente in due chiavi diverse, attribuendo alle sue nevrosi quel che invece dovrebbe essere visto come componente 'normale' del suo carattere e viceversa. Manifestamente egli non vuole ammettere questi due piani, e lo capisco: ma allora il suo modo di fare, nei confronti miei e di Ruth, diventa proprio poco simpatico. Se in tutti questi anni di tribolazioni non mi ha creduto degno di conoscere, non diro' di persona, ma nemmeno di nome la sua prossima, benissimo, che se la sposi e sia felice, gli mandero' un telegramma di auguri, ma davvero non vedo perche' si debba far regali - che sono, Adorno insegna, una forma di religio - a chi si ritiene a un tempo troppo in alto e troppo in basso per poter essere un eguale. Tu sai meglio di me, ne' credo che Rene' lo rifiuterebbe: tutte le nevrosi sono storiche, storicizzabili. E, a storicizzarla, quella di Rene e' brutta, proprio brutta. Ho sempre pensato che ci sia qualcosa di molto negativo nel rifiutarsi alla esperienza della debolezza; e trovo indicativo che Rene' non mi abbia perdonato di averlo aiutato in un momento di debolezza. Come dice Lukacs giovane citato da Goldmann? L'uomo 'tragico' puo' aver fratelli, non compagni. Ma, aggiungo io, rischia di essere una fraternita' fondata sul disprezzo del rapporto da compagno a compagno. Forse non sono abbastanza 'tragico'. Invece di un classificatore-schedario bisognerebbe regalargli una bella edizione rilegata del Vangelo. E poi, se si sposa e vuol farlo sapere, la posta funziona". Archivio del Centro Studi Franco Fortini, Fortini a Cases, lettera 13.

218. T. Munari, cit., p. 319.

219. Ibidem, p. 293.

220. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi", cit., p. 763.

221. Ibidem, p. 764.

222. L. Mangoni, cit., pp. 868-869.

223. Ibidem, p. 873.

224. Cfr. il verbale della riunione del 24 giugno 1959 tenutasi a Roma alla presenza di N. Bobbio, A. Caracciolo, A. Giolitti, F. Momigliano, R. Panzieri, A. Pizzorno, P. Sylos Labini. In: T. Munari, cit., pp. 312-314.

225. R. Solmi, "Gli anni di Panzieri", in Idem, Autobiografia documentaria, cit., pp. 716-717. Si tratta di un articolo in memoria di Panzieri pubblicato per la prima volta in "Linea d'ombra", n. 12, novembre 1985 in occasione del ventesimo anniversario della sua morte.

226. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi", cit., pp. 764-765.

227. Ibidem, p. 765.

228. Ibidem, pp. 765-766.

229. Ibidem, p. 766.

230. S. Cesari, cit., pp. 129-130.

231. L. Baranelli, F. Ciafaloni, Una stanza all'Einaudi. Quodlibet, Macerata 2013, p. 58 (intervista di Baranelli a Luca Zanette del 2007, pp. 57-93).

232. T. Munari, cit., p. 517. Si tratta dei seguenti volumi: P. M. Sweezy, L. Huberman, Teoria della politica estera americana, 1962; e P. Nenni, Le prospettive del socialismo dopo la destalinizzazione, 1962.

233. L. Mangoni, cit., p. 918.

234. T. Munari, cit., p. 398.

235. Ibidem, p. 401. A proposito di questo libro, Solmi dice: "si legge e fa anche una certa impressione: meta' reportage e meta riflessione filosofica. [...] Il suo difetto e' una certa astrazione, cioe' voler filosofare su cio' di cui forse non si puo' filosofare. Pero' fa pensare. E' interessante anche se non brillante". Il libro uscira nel 1961 nei "Saggi" con una prefazione di Bobbio e nella traduzione dello stesso Solmi, il quale tradurra' anche La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, pubblicato l'anno successivo.

236. Ibidem, p. 553. In cammino per la pace, 1962.

237. L. Baranelli, F. Ciafaloni, cit., p. 62.

238. Nelle intenzioni originarie Angelus novus sarebbe dovuto essere il primo volume della pubblicazione di tutte le opere allora conosciute di Walter Benjamin. Cfr. Lettera di Solmi a Adorno del 20 novembre 1959, Archivio Einaudi, Corrispondenza con autori e enti stranieri, Theodor W. Adorno, foglio 9.

239. L. Mangoni, cit., p. 822, n. 783.

240. Cfr. G. De Michele, Tiri mancini. Walter Benjamin e la critica italiana. Mimesis Eterotopia, Milano 2000, p. 60 e n. 48.

241. Cfr. R. Gavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia italiana 1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Si vedano in particolare le pp. 37-38.

242. R. Solmi, "Su Benjamin", in: Idem, Autobiografia documentaria, cit., p. 267. Si tratta di "Una testimonianza del traduttore di Angelus novus", pubblicata in: "L'indice dei libri del mese", XV, 4, aprile 1998.

243. Ibidem, pp. 269-270. Da ricordare, a questo proposito, che tanto la traduzione quanto l'introduzione sono state approntate da Solmi gia' alla fine del 1959.

244. G. De Michele, cit., p. 45.

245. R. Solmi, "Introduzione a Angelus novus di Walter Benjamin", in Idem, Autobiografia documentaria, cit., p. 254.

246. Ibidem.

247. G. De Michele, cit., p. 46.

248. C. Cases, "Benjamin, l'allegoria e il barocco", in Idem, Il testimone secondario, cit., p. 101.

249. R. Solmi, "Introduzione a Angelus novus di Walter Benjamin", cit. p. 253.

250. Ibidem, p. 251.

251. Ibidem, p. 254.

252. Archivio Einaudi, incartamento 636/1 Cesare Cases (2 febbraio 1951 - 10 giugno 1961), foglio 220, lettera di Foa' a Cases del 31 marzo 1960.

253. Archivio Einaudi, incartamento 636/1 Cesare Cases (2 febbraio 1951 - 10 giugno 1961), foglio 222, lettera di Cases a Foa' del primo aprile 1960.

254. Archivio Einaudi, incartamento 636/1 Cesare Cases (2 febbraio 1951 - 10 giugno 1961), foglio 236, lettera a Foa' del 31 maggio 1960.

255. Archivio Einaudi, incartamento 636/1 Cesare Cases (2 febbraio 1951 - 10 giugno 1961), foglio 242, lettera a Foa' del 15 giugno 1960.

256. Archivio Einaudi, incartamento 636/1 Cesare Cases (2 febbraio 1951 - 10 giugno 1961), foglio 332, lettera a Foa' del 14 febbraio 1961.

 

3. MAESTRI. IN MEMORIA DI MARTIN BUBER NEL CINQUANTENARIO DELLA SCOMPARSA

 

Ricorre oggi, 13 giugno, il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Martin Buber.

*

Martin Buber, filosofo, educatore, scrittore e straordinario uomo di pace, e' nato a Vienna l'8 febbraio 1878 ed e' deceduto a Gerusalemme il 13 giugno 1965. Per almeno tre ragioni Martin Buber e' uno dei nostri maestri piu' grandi: per essere il grande filosofo del principio dialogico, che pone alla base del nostro esserci la relazione io-tu; per essere il grande uomo di pace che sempre oppose la civilta' e la comprensione alla violenza e alla chiusura; per essere il grande amorevole ricercatore delle tradizioni e delle memorie dei pii, degli umili e dei dimenticati. Opere di Martin Buber: tra le sue opere segnaliamo Il principio dialogico, Comunita', Milano 1958, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (Milano) 1993 (contiene anche il saggio Ich und Du); Il problema dell'uomo, Patron, Bologna 1972, Ldc, Leumann (Torino) 1983, Marietti, Genova 2004; Sentieri in utopia, Comunita', Milano 1967; Immagini del bene e del male, Comunita', Milano 1965, Gribaudi, Torino 2006; L'eclissi di Dio, Comunita', Milano 1965, Mondadori, Milano 1990, Passigli, Firenze 2001; Sette discorsi sull'ebraismo, Israel, Firenze 1923, Carucci, Assisi-Roma 1976; Israele. Un popolo e un paese, Garzanti, Milano 1964; Gog e Magog, Bompiani, Milano 1964; La leggenda del Baal-Schem, Israel, Firenze 1925, Gribaudi, Torino 1995; I racconti dei chassidim, Longanesi, Milano 1962, 1978, Garzanti, Milano 1979; La regalita' di Dio, Marietti, Casale Monferrato 1989; La fede dei profeti, Marietti, Casale Monferrato 1985; Mose', Marietti, Casale Monferrato 1983; Confessioni estatiche, Adelphi, 1987; Sion, storia di un'idea, Marietti, 1987; Il cammino dell'uomo secondo l'insegnamento chassidico, Qiqajon, 1990; Profezia e politica. Sette saggi, Citta' Nuova, 1996; Discorsi sull'ebraismo, Gribaudi, Torino 1996; Incontro. Frammenti autobiografici, Citta' Nuova, 1998; (con Elie Wiesel), Elia, Gribaudi, Torino 1998; Le storie di Rabbi Nachman, Tea, 1999, Guanda, 2004; Due tipi di fede. Fede ebraica e fede cristiana, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (Milano) 1999; La modernita' della parola. Lettere scelte (1918-1938), La Giuntina, Firenze 2000; Racconti di angeli e demoni, Gribaudi, Torino 2000; Beato l'uomo che ha trovato la saggezza. Meditazioni per ogni giorno, Gribaudi, Torino 2001; Il cammino del giusto. Riflessioni su alcuni salmi, Gribaudi, Torino 2002; L'uomo tra il bene e il male, Gribaudi, Torino 2003; Daniel. Cinque dialoghi estatici, La Giuntina, Firenze 2003; La passione credente dell'ebreo, Morcelliana, Brescia 2007; Cfr. anche, con Franz Rosenzweig, Prigioniero di Dio, Studium, Roma 1989; e il dibattito con Gandhi, in M. K. Gandhi, M. Buber, J. L. Magnes, Devono gli Ebrei farsi massacrare?, in "MicroMega" n. 2 del 1991 (pp. 137-184). Opere su Martin Buber: per un'introduzione cfr. Clara Levi Coen, Martin Buber, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1991.

*

Nel ricordo e alla scuola di Martin Buber proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

4. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

O anche attraverso vaglia postale a "Associazione Erinna - Centro antiviolenza", via del Bottalone 9, 01100 Viterbo.

Per contattare direttamente il Centro antiviolenza "Erinna": tel. 0761342056, e-mail: e.rinna at yahoo.it, onebillionrisingviterbo at gmail.com, sito: http://erinna.it

Per destinare al Centro antiviolenza "Erinna" il 5 per mille inserire nell'apposito riquadro del modello per la dichiarazione dei redditi il seguente codice fiscale: 90058120560.

 

==============================

VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

==============================

Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 710 del 13 giugno 2015

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

 

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

Gli unici indirizzi di posta elettronica utilizzabili per contattare la redazione sono: nbawac at tin.it e centropacevt at gmail.com