[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 707



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Numero 707 dell'8 giugno 2015

 

In questo numero:

1. "Una persona, un voto". E' necessario e urgente riprendere l'iniziativa per il riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti

2. Simone Scala: Il lavoro editoriale di Renato Solmi dal 1951 al 1956

3. In memoria di Jessie Bernard

 

1. EDITORIALE. "UNA PERSONA, UN VOTO". E' NECESSARIO E URGENTE RIPRENDERE L'INIZIATIVA PER IL DIRITTO DI VOTO NELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE A TUTTE LE PERSONE RESIDENTI

 

"Una persona, un voto". E' necessario e urgente riprendere l'iniziativa per il riconoscimento del diritto di voto nelle elezioni amministrative a tutte le persone residenti nel nostro paese.

Per far cessare il regime di apartheid che insensatamente priva del diritto di voto anche solo nelle elezioni amministrative (elezioni comunali e regionali) cinque milioni di persone regolarmente residenti nel nostro paese.

Per denunciare e sconfiggere le pratiche di supersfruttamento e fin di riduzione in schiavitu' di cui troppe persone sono vittime nel nostro paese, e sono vittime anche perche' non hanno propri rappresentanti nelle istituzioni democratiche elettive.

Per contrastare adeguatamente ed efficacemente i poteri criminali e il regime della corruzione.

Per contribuire ad abrogare tutte le infami, criminali, incostituzionali misure e pratiche razziste tuttora vigenti in Italia imposte da governi razzisti, neofascisti e filomafiosi.

Per opporsi al razzismo e al fascismo con la forza della democrazia, della partecipazione, della legalita'.

Cessi il regime dell'apartheid in Italia. Una persona, un voto.

 

2. RICERCHE. SIMONE SCALA: IL LAVORO EDITORIALE DI RENATO SOLMI DAL 1951 AL 1956

[Il testo che segue riproduce il quarto paragrafo del primo capitolo del lavoro di Simone Scala, "Renato Solmi a confronto con Th. W. Adorno e M. Horkheimer. Storia intellettuale ed editoriale di una mediazione culturale", tesi di dottorato in Teoria e storia delle culture e letterature comparate, Universita' degli studi di Sassari, a.a. 2011-2012 (il testo integrale e' disponibile on line nel sito http://eprint.uniss.it).

Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e' stato impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. E' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]

 

Questa e' quindi a grandi linee la situazione della casa editrice Einaudi nel periodo in cui Renato Solmi si trasferisce a Torino e inizia a svolgere il proprio lavoro di redattore. Vediamo ora di analizzare in che modo Solmi si inserisce ed opera all'interno di una realta' sicuramente attraente (in modo particolare per un giovane di ventiquattro anni) ma anche tanto complessa e travagliata. In base alla sua stessa testimonianza, l'attivita' di Solmi presso l'Einaudi (iniziata, come gia' ricordato, nel novembre 1951) puo' essere suddivisa in due fasi distinte: la prima arriva fino al 1956; la seconda inizia verso la fine del 1958 e termina con il suo licenziamento nel 1963. Nel mezzo si situano il soggiorno di circa un anno a Francoforte (durante il quale continua comunque a collaborare con Torino) e un periodo di malattia. E' chiaro - considerando la sua giovane eta' e i suoi interessi intellettuali finora indicati - che, da principio, questa esperienza era caratterizzata, come lui stesso scrive, da "uno stato di soggezione e da un atteggiamento di ammirazione per le persone che mi circondavano e che costituivano, nel loro insieme, l'ambiente piu' eletto e piu' qualificato che potessi sognarmi di incontrare in un lavoro come quello [...] da cui ci si sentiva accolti e protetti come da persone di famiglia, ricche di un'esperienza politica, estetica e culturale da cui si poteva attingere a piene mani semplicemente ascoltando quello che dicevano, o partecipando, quando era possibile, alle loro discussioni" (106). Certamente, avere tra i propri colleghi intellettuali della statura di Natalia Ginzburg, Italo Calvino, Giulio Bollati, Delio Cantimori (solo per nominarne alcuni), non poteva che costituire una fonte di arricchimento sia umano che professionale. Tuttavia vi erano anche "una serie di fattori negativi" (107), come ad esempio un certo e comprensibile timore causato da un ambiente tanto ricco di stimoli. Tale soggezione si tradusse, talvolta, nella difficolta' di affrontare con sicurezza ed estrema coerenza il proprio lavoro. Cosi', quando Solmi propose la traduzione del libro di Daniel Guerin Ou' va le peuple americain (un'analisi delle lotte operaie nell'America degli anni Trenta e Quaranta che si posizionava, dal punto di vista ideologico, nettamente al di fuori della pubblicistica "togliattiana"), accetto' infine senza opporsi la scelta di non pubblicare il libro, nonostante questo avesse ricevuto l'approvazione in prima battuta dal Consiglio. Fu infatti la forte opposizione di Antonio Giolitti (108)  (il quale scrive: "In questo caos ideologico, l'unico criterio metodologico costante che risulta, dal libro di G., aver servito da guida alla sua indagine e' lo schema seguente: da una parte il male, incarnato nei monopoli, negli 'staliniani', nei riformisti e in Roosevelt; dall'altra il bene e cioe' la spontaneita' operaia (anarcosindacalista)" (109)) a far rivedere la decisione e a decretare il rifiuto di inserirlo nel catalogo Einaudi. Solmi sperimentava per la prima volta e in prima persona la logica che abbiamo piu' volte richiamato delle frizioni politico-culturali interne alla casa editrice e che si concretizzavano in una certa subordinazione rispetto alla linea tracciata dagli esponenti comunisti.

In questa fase, ad ogni modo, prende avvio l'attivita' editoriale che portera' Solmi nel giro di pochi anni a guadagnarsi la stima dei colleghi e ad assumere un ruolo sempre piu' di primo piano all'interno della casa editrice. Per verificare quali sono stati i suoi interessi e di che cosa si e' occupato durante l'attivita' lavorativa, e' opportuno passare rapidamente in rassegna i verbali del Consiglio editoriale Einaudi (raccolti da Tommaso Munari nel volume gia' citato). Da un lato - com'e' facilmente comprensibile - Solmi si dedica a libri inerenti e affini ai propri studi universitari. Dall'altro, emerge che contemporaneamente propone e s'impegna per la pubblicazione di volumi di storia, di politica e di filosofia contemporanea strettamente legati al pensiero marxista non stalinista, critico e non ortodosso. Affiorano, poi, le prime testimonianze degli scontri interni alla casa editrice che lo vedranno protagonista, in modo particolare quelli con lo storico Delio Cantimori.

Cosi', ad esempio, per quanto riguarda il primo campo disciplinare, durante le riunioni del 23 e del 28 novembre 1951 "Solmi attira l'attenzione del Consiglio su due libri del filosofo svizzero Gigon: uno e' il noto studio su Socrate e l'altro e' uno studio sulle origini della filosofia greca, in particolare sui presocratici" (110). Oppure il 30 aprile 1952 segnala The Roman Revolution di Syme e Plato's Theory of Ideas di Ross (111). Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, il 23 gennaio 1952 raccomanda il libro su Thomas Mann dello studioso appartenente alla corrente lukacsiana Hans Mayer, gia' apparso nella Germania orientale, e "fa presente anche l'opportunita' di prendere in considerazione la pubblicazione di qualche altro libro di Lukacs, specialmente quello su Marx e Engels, storici della letteratura" (112), o ancora propone il gia' ricordato Guerin. Coerentemente con quanto abbiamo rilevato analizzando i suoi scritti del periodo di "Discussioni", emerge dunque il tentativo da parte di Solmi di intervenire nel dibattito culturale e politico del tempo. In questo caso pero' si tratta di utilizzare la casa editrice (come ancor meglio apparira' in seguito) quale mezzo di diffusione di una proposta politico/culturale di grande portata.

Riferendoci ancora ai suoi primi anni di impiego, il progetto avanzato da Solmi maggiormente carico di conseguenze (come vorremmo dimostrare nel seguito di questa ricerca: per l'autore stesso, per l'Einaudi in generale e - in ultima istanza - anche per la cultura italiana nel suo complesso) e' di certo la traduzione e la pubblicazione dei Minima moralia di Theodor Wiesengrund Adorno. E' lo stesso Solmi, infatti, a testimoniare come "l'incontro con Adorno sia stato per me, in effetti, un episodio cruciale (e per certi aspetti unico e irripetibile) della mia esperienza di pensiero e di vita" (113). A questo proposito, tuttavia, noi ci limitiamo qui esclusivamente a ricostruire in estrema sintesi e quasi per punti i fatti che hanno portato alla pubblicazione degli aforismi adorniani, rinviando, per un'analisi piu precisa e particolareggiata delle vicende legate all'uscita del libro del francofortese in Italia, ad un apposito capitolo del presente lavoro.

Nel verbale della riunione del 5 marzo 1952 per la prima volta Solmi "riferisce sulla lettura di questo libro [Minima moralia] che costituisce, a suo parere, il migliore tentativo di critica, fatta dall'interno, della cultura tedesca. Il libro e' fatto di riflessioni, organicamente legate tra loro, che rivelano, oltre a tutto, uno scrittore di notevole valore letterario. [...] Il Consiglio decide di affidare a Bobbio, in seconda lettura, il Minima moralia" (114). Nel giro di pochi giorni Balbo - che si occupava della collana filosofica e aveva gia' sentito parlare positivamente del libro, pur non avendolo ancora letto - in una lettera del 15 marzo, esprime il suo consenso (115). Ma nella riunione del 25 giugno Foa' legge l'opinione di Cantimori, il quale aveva chiesto fin da subito che il libro gli venisse spedito: "il parere di Cantimori e' nettamente sfavorevole alla pubblicazione di questo libro, cui peraltro riconosce un certo potere di seduzione. E' il tardivo prodotto di quella letteratura di massime e considerazioni socio-psico-filosofiche molto in auge nel periodo 'weimeriano' [...]. Il Consiglio prende atto della esauriente e gustosa relazione di Cantimori e invita il primo relatore, Solmi, a preparare una 'apologia' da inviare a Cantimori" (116). Quest'ultimo aveva scritto anche a Bollati per ribadire il proprio dissenso. Da tale lettera si comprende anche come si stessero creando sempre piu' nettamente due fronti contrapposti sia rispetto ai Minima moralia, sia rispetto alle scelte generali della casa: "Mando a te l'Adorno, perche' non so se Foa' ne e' uno degli entusiasti. Ti ricordi quelle pagine di Hemingway in Verdi colline d'Africa, dove lui H. sta alla posta per certa grossa selvaggina sospettosissima, e tutto gli viene guastato da un grosso camion sgangherato, guidato da un tale che leggeva il querschnitt, che faceva conversazioni intellettuali e 'intelligenti' e seccava immensamente Hemingway? [...] Ecco l'effetto che mi ha fatto il signor Adorno: ora c'e' caccia seria, lavoro serio da fare in tutti i campi, da noi, e da Einaudi: non c'e' tempo da perdere con questa robetta: sono discorsi che piace fare anche a me, dopo cena, bevendo e chiacchierando in qualche osteria fuori porta: ma non piu' che tali. Non capisco che cosa ci trovino. E' lattime intellettuale: fenomeni di crescenza, che non hanno a che fare con l'attivita' di una casa editrice. Se la volete fare, fatela. Pero' dovete fare una collana di 'gettoni' filosofici e darla a dirigere a Vittorini!" (117). Infine, Bobbio interviene il 3 dicembre 1952 sostenendo che trova il libro "senz'altro meritevole di pubblicazione, raccomanda di affidare la traduzione in buone mani, poiche' si tratta di un lavoro non lieve. Solmi avanza la candidatura di Cases [...]. Il Consiglio e' d'accordo" (118).

Cantimori, pur non partecipando direttamente alle riunioni del mercoledi', veniva regolarmente informato dei temi trattati dal Consiglio e costituiva una preziosa fonte di suggerimenti editoriali tenuti in gran conto dallo stesso Giulio Einaudi, seppure spesso i suoi giudizi acquisivano un carattere di notevole originalita': "Questi messaggi di Cantimori sono celebri anche perche', a seconda dell'importanza dell'opera di cui trattava, li stendeva su una carta diversa. Usava persino carte del Cinquecento, Seicento, finissime, rarissime e li' scriveva con una calligrafia molto nitida. Se invece parlava, secondo lui, di cose volgari, allora strappava un foglio da un blocco e scriveva un bigliettino cosi', con la mano sinistra" (119). Comunque sia, la proposta di Solmi e' per il noto storico un ulteriore indizio a conferma della sua crescente convinzione che quel giovane redattore incarnasse una tendenza (per il momento ancora allo stato embrionale, ma che si precisera' meglio nell'immediato futuro) a sue giudizio assai deleteria sia per il funzionamento interno che per il complessivo progetto culturale della casa editrice. A tale ragione di carattere strategico generale, pero', si sommava anche una questione di competenze specifiche, ovvero Solmi avanzava proposte anche in un settore come quello storico di cui fino ad allora si era occupato principalmente lo stesso Cantimori. E spesso il suo coinvolgimento era scavalcato o veniva comunque assai ridotto. Solmi, infatti, non solo propose libri di storia antica contattando direttamente Arnaldo Momigliano per avere pareri e sollecitazioni in questo campo (120), ma presentava al Consiglio anche testi di storia contemporanea, ed in particolare tedesca - come ad esempio quello di Eyck sulla Repubblica di Weimar o quello di Ritter sulla cospirazione del 20 luglio 1944 (121). Insomma, a motivi di carattere personale e professionale si sommano considerevoli divergenze in ambito politico/culturale e, infine, quella che abbiamo gia' indicato come la questione generazionale. Ed in effetti, sottolinea ancora Mangoni, "non c'e' alcun dubbio che egli [Cantimori] guardasse con crescente preoccupazione i suggerimenti di Solmi, in cui sempre piu' gli sembrava scorgere un disegno complessivo nei confronti del quale esprimeva disagio se non fastidio" (122).

Se Cantimori, da un lato, aveva gia' inviato ad Einaudi la sua "ritirata patteggiata" (123) sui Minima moralia, dall'altro "sempre piu' spiccato appariva nelle sue Note ai verbali un atteggiamento di progressiva personalizzazione, un batti e ribatti che riguardava quasi sempre osservazioni di Solmi" (124). Cosi', ad esempio, quando quest'ultimo (insieme a Bobbio) propone la pubblicazione del terzo volume delle Idee per una fenomenologia pura di Husserl o indica Michele Ranchetti come traduttore di una prossima edizione di Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik di Scheler (125), Cantimori osserva: "Auff, auff, e altre espressioni di noia e impazienza per Husserl e Scheler. A forza di quella gente e di quei discorsi, i tedeschi si sono trovati disarmati intellettualmente di fronte a chi seppe trarre le conseguenze dell'irrazionalismo. E noi li propiniamo di nuovo ai nostri italiani? E non basta Ugo Spirito? Mi copro la testa di cenere, e profetizzo tempi brutti. Dixi et salvavi, con quel che segue. Corsa all'abisso" (126). Ancora piu' aspra, poi, si fa la polemica fra i due a proposito di La formazione della classe politica nell'Italia contemporanea di Perticone, libro proposto e caldamente sostenuto dallo stesso Cantimori. Dopo che Serini aveva avanzato delle riserve sull'opportunita' di pubblicarlo, il Consiglio incarica Solmi per una seconda lettura. Egli, nella riunione del 26 novembre 1952, "conferma i dubbi manifestati da Serini nella precedente riunione: il lavoro pecca per scarsa concretezza storica, per un'eccessiva tendenza alla teorizzazione non suffragata da dati e documenti precisi. Il Consiglio [...] decide negativamente" (127). La risposta di Cantimori non poteva che essere decisamente risentita e infarcita di sarcasmo. Infatti, il 30 gennaio 1953 scrive a Foa': "Protesto per il rifiuto che l'eccellentissimo ed eminentissimo consiglio ha fatto su proposta Solmi del saggio cosi' acuto e vivace del Perticone [...] Mi ha amareggiato particolarmente che sia stato proprio il Solmi, che dovrebbe avere il gusto per le cose perticoniane, con tutto il suo sociologismo tedesco, a respingere cosi' poco elegantemente Perticone. Se litigano fra fratelli (mentali), dove andremo a finire? [...] Non sono dunque convinto degli argomenti di Solmi; ammiro la capziosita' del suo modo di ragionare, ma dichiaro che l'ammirazione non basta" (128).

Appare abbastanza evidente che questi contrasti hanno un significato molto piu' profondo di quanto potrebbero avere semplici "battibecchi" episodici dovuti magari a reciproche ma normali divergenze sull'opportunita' o meno di pubblicare un dato libro. Riguardano, piuttosto, la posizione della casa editrice Einaudi nell'ambito della cultura italiana, ovvero il suo ruolo di guida tra le file della sinistra. Ed infatti, non si limitano a quello stretto giro di tempo, ma proseguono anche negli anni successivi toccando testi di grande risonanza. Cosi', ad esempio, nel verbale del 28 giugno 1955 Solmi attira l'attenzione su un gruppo di opere di carattere filosofico e saggistico nell'ambito della problematica marxista: Geschichte und Klassenbewusstsein e Theorie des Romans di Lukacs, Dialektik der Aufklarung di Horkheimer e Adorno, Reason and Revolution di Marcuse, un'antologia della Zeitschrift fur Sozialforschung con saggi di Horkheimer, Benjamin e altri, e - infine - Humanisme et terreur e Les aventures de la dialectique di Marleau-Ponty (129). Cantimori si rivolge direttamente a Solmi: "E' arrivato con la tua il verbale del 28 giugno: ci sono anche le tue problematiche proposte; molto problematiche, e, a parer mio, poco marxiste. Horkheimer-Adorno Dialektik etc. proprio non mi andrebbe giu'; gli altri non li conosco [...]. Ma la Dialektik dello Horkheimer proprio non mi piace. Allora, meglio il Bloch. Questo te lo scrivo a te personalmente, se vuoi anche per uso editoriale; io non commentero' il paragrafo problematico del verbale" (130). Solmi replicava: "Sono d'accordo con te che un programma di questo genere, posto al centro di un'attivita culturale, rischierebbe di confondere le idee. Ma pubblicare ogni tanto un libro in funzione di stimolo, e non (se Dio vuole!) di 'guida', non credi che possa essere utile?" (131). E quindi ancora Cantimori: "Quanto allo 'stimolo', d'accordo. Anche il notorio Wetter lo feci pubblicare in funzione di stimolo, ma in altro senso: affinche' si accelerasse la pubblicazione di testi autentici ecc. e si correggessero le sue unilateralita'; fu un errore da parte mia, lo ricordo solo per darti prova della mia convinzione dell'utilita' dello stimolo, in un certo senso. In altro senso pero' lo stimolo o pungolo puo' essere guida alla deviazione, e tanto piu' efficace nella sua peculiarita' disorientatrice-astrattistica, quanto meno come guida, com'e' realmente, se pure occultamente, e quanto piu' come stimolo, pungolo, interrogativo intelligente, cerca di porsi. Vedi che tanta utilita' il povero sottoscritto attribuisce allo 'stimolo', da non prendere posizione ne' 'consigliare', ne' scrivendo ad altri personalmente, fuor che a te 'stimolatore' o 'stimolante'. Pero' ti prego di rivedere la tua proposta sul volumetto dialettico Horkheimer-Adorno [...] se lo rileggi ti convincerai che non e' utile, e stimolante solo in senso nichilistico. Un po' di nichilismo, se non altro in omaggio a F. Venturi e ai suoi populisti, non guasta. Ma non pare che basti l'Adorno? Una volta lessi la prima edizione dell'Ideologia etc. del Mannheim, quella tedesca. La volevo tradurre, poi scomparve dalla biblioteca dov'era (eravamo nel 1945-46). Lo conosci? Cercalo; credo che forse ti piacerebbe. A me, personalmente, piacerebbe molto conoscere il tuo parere, per imparare a conoscerti meglio" (132). In realta', Solmi aveva gia' letto di Mannheim sia il saggio che gli indica Cantimori Ideologie und Utopie (del quale, insieme a Bobbio, aveva sconsigliato la traduzione nel Consiglio editoriale del 18 febbraio 1953 (133)) sia Essays on the Sociology of Knowledge (del quale, invece, in una lettera a Balbo del 25 settembre 1953 propone di escludere i saggi di tipo fenomenologico pubblicando "una raccolta di saggi prevalentemente metodologici centrati intorno al problema della rivoluzione gnoseologica operata dal marxismo" (134)). Comunque, la proposta di Cantimori di voler conoscere meglio Solmi colpisce o per lo meno sembra giungere con un certo ritardo, come colpisce anche il tono confidenziale e l'attenzione dello storico di non voler intervenire ufficialmente in senso critico, dato che ormai sono passati gia' alcuni anni da quando e' iniziata la loro disputa.

Insomma, seppur con tono che va dal paternalistico a quello piccato e sarcastico, Cantimori aveva comunque visto giusto nell'individuare nelle proposte e nelle scelte di Solmi un progetto che arrivava ben al di la' della consueta attivita' editoriale propria di una grande casa editrice che doveva far fronte a differenti interessi, ad un pubblico variegato, all'affermazione di un mercato culturale sempre piu' ampio, ecc. Per dirla con Luisa Mangoni (a proposito della polemica seguita alla pubblicazione dei Minima moralia a cui partecipa - come vedremo - anche Cases, ma con un significato che va oltre il singolo episodio), "E' come se Solmi pensasse in verticale, all'interno di una linea riferita a una sola specifica cultura, quella di sinistra, e Cases, ma molto piu' di lui Cantimori, in orizzontale guardando all'impasto delle culture degli anni Trenta. E non sfuggiva forse a Cantimori quanto Solmi esprimesse qualcosa che era nell'aria e che nelle sue proposte si rifletteva nella casa editrice" (135). Ed in effetti, abbiamo gia piu' volte richiamato l'attenzione su quanto Solmi fosse coinvolto nell'elaborazione teorica e pratica di un progetto che - interessando l'attivita' dell'intera casa editrice - mirava ad agire in termini positivi sia sulla societa' che sulla politica italiana utilizzando gli strumenti della cultura e dell'attivita' editoriale. Un'importante testimonianza rispetto a tale tema e a quel "qualcosa che era nell'aria" e' data da cio' che accadde durante la "Settimana Einaudi" del giugno/luglio 1954. Ci riferiamo, in modo particolare, alla relazione tenuta a Bologna da Franco Fortini e pubblicata poi in una sintesi curata dallo stesso Solmi nel numero del luglio di quello stesso anno del "Notiziario Einaudi", il mensile informativo redatto da Calvino dal maggio 1952 al novembre 1959.

La conferenza di Fortini si intitolava "Vita del libro e problemi della lettura" e - nonostante il titolo potesse far pensare ad un tema poco engage' - si trattava di "un'analisi critica della situazione culturale di oggi, e della funzione che, nelle attuali circostanze, potrebbe svolgere una casa editrice consapevole delle sue responsabilita'" (136). Fin dalle prime parole che usa nel presentarla condividendone sostanzialmente il contenuto, Solmi ci introduce direttamente al cuore della questione: qual e' la responsabilita' sociale di una casa editrice. Il punto da cui l'analisi di Fortini prende avvio e' la constatazione della crisi della lettura - e di conseguenza del libro - dovuta alla sua subordinazione rispetto ad altre forme della pseudocultura di massa e dell'industria culturale che proprio in quegli anni vanno via via affermandosi (stampa quotidiana, cinema, radio, televisione, ecc.). Data tale crisi della cultura libraria, bisogna ora stabilire (o per lo meno indagare) quale puo' essere la funzione dell'editoria e quali i suoi compiti. Rispetto ad altre attivita' commerciali o industriali, la particolarita' di una casa editrice e' data principalmente dal fatto che essa - nell'ambito dell'economia di mercato - si situa in un posizione mediana tra le normali regole della produzione, della distribuzione, ecc. e l'unicita' del suo prodotto - unicita' data dalle caratteristiche intrinseche e dal valore d'uso di quest'ultimo (137).

Abbiamo osservato in precedenza quanto grande sia stato lo sforzo dell'Einaudi per sprovincializzare la cultura italiana postfascista. Secondo Fortini (e secondo Solmi) questo processo non deve essere interrotto poiche' ancora "occorre tenere il pubblico italiano al corrente di tutto cio' che si fa e si scrive nei paesi stranieri [...] ma nello stesso tempo, occorre gettare le basi per una elaborazione autonoma di questo materiale, per un rinnovamento organico della nostra cultura" (138). E' necessario, quindi, pensare ed elaborare un piano coerente e strutturale, non episodico, che preveda la commissione, la traduzione e la pubblicazione di testi che affrontino determinate questioni e alimentino il dibattito culturale in una prospettiva a lungo termine e non piu' legata alla contingenza o alla polemica del quotidiano. Nella sua relazione, Fortini, poi, individua tra le cause della mancata realizzazione di tale progetto, fino a quel momento, la politica culturale tanto del riformismo azionista e socialdemocratico, quanto quella dei socialisti e dei comunisti. Per motivi differenti, infatti, "gli uni come gli altri hanno predicato l'umilta' e la concretezza, la ricerca particolare, gli uni come gli altri hanno combattuto l'utopia, le grandi sintesi affrettate" (139). Entrambi - pur avendo importanti ed innegabili meriti nella diffusione e nel sostegno della cultura in Italia - hanno affermato la necessita' di una scissione tra militante e studioso e hanno annullato l'idea che l'intellettuale possa essere punto di sintesi fra cultura e politica, fra ieri e domani. E' proprio per rimediare a questo deficit che Fortini chiede uno sforzo alla casa editrice Einaudi. Essa dovrebbe mettere in atto un programma di lavoro che preveda opere del pensiero marxista, del movimento operaio italiano e internazionale, di teoria economica, di problematiche sindacali, ecc. Ma soprattutto: "questo lavoro - questa azione critica per la quale non mancano certo le forze nel nostro paese - dev'essere compiuto, e chiaro, guardando all'avvenire, assumendosi il coraggio dell'utopia... Cominciamo a dire dunque la nostra saggezza o la nostra incertezza o magari la nostra ignoranza, cominciamo a dire cosa vogliamo per dopodomani e non solo per domani mattina" (140).

A questa vera e propria proposta programmatica, quasi un manifesto, si aggiunge, nello stesso numero del "Notiziario", un articolo di Renato Solmi intitolato "La settimana del libro Einaudi". Qui egli fa un resoconto finale dell'iniziativa culturale tenutasi dal 26 giugno al 5 luglio in cinque diverse citta' (Mantova, Bologna, Ancona, Bari e Lecce) e di cui la conferenza di Fortini costituisce uno dei tanti eventi in cartellone. Non si tratta, pero', della cronaca o del riassunto di cio' che e' stato discusso in quei giorni. Piuttosto Solmi si ricollega a quanto sostenuto da Fortini per aggiungervi importanti considerazioni e svilupparne le idee di fondo. Lo scopo di questa settimana di incontri, conferenze, letture, ecc., secondo Solmi, non puo' limitarsi solo a far pubblicita' ai libri editi dalla casa torinese. Molto piu' importante e' tentare di creare un contatto e avviare un dialogo tra "produttori e consumatori del libro", ovvero porre le basi per un'iniziativa che preveda - con le parole di Solmi - "l'abbandono della piattaforma dell'economia di mercato nell'attivita' editoriale: un primo, rudimentale tentativo di organizzare i rapporti tra una casa editrice e il suo pubblico, sulla base di una concezione per cui anche i lettori fanno, in qualche modo, parte dell'organismo produttivo, ed hanno il diritto di far sentire la propria voce e di influenzare le sue decisioni" (141). Questo nuovo tipo di rapporto, quindi, non si deve basare sulle consuete regole della domanda e dell'offerta, del si' e del no rispetto ad una determinata pubblicazione. Piuttosto si deve fondare sulla creazione di rapporti reciprocamente piu' coinvolgenti, attivi e "dialetticamente creativi [...]. Una casa editrice dovrebbe considerarsi, in un certo qual modo, come un istituto di interesse pubblico" (142).

A questo punto Solmi, partendo dagli incontri di Bologna (e dalla situazione culturale della citta' emiliana ed in particolare della rivista "Il Mulino"), si occupa di alcune questioni di ordine generale, ma comunque importanti per delineare lo stato della cultura italiana di quegli anni e comprendere l'analisi da cui prende avvio la sua proposta per il futuro. Innanzitutto egli rileva "la frattura tra la generazione cresciuta e maturata tra le due guerre e quella che si e' formata dopo la liberazione" (143). Affrontando quindi un tema che abbiamo gia' richiamato come centrale nella discussione interna e nell'attivita' dell'Einaudi, Solmi nota che la "generazione dei padri" era cresciuta all'ombra della grande letteratura ottocentesca e prevalentemente di quella francese, "ma la politica, il marxismo, la sociologia anglosassone, restarono praticamente al di fuori del loro orizzonte: eccezion fatta, beninteso, per coloro che erano impegnati nella lotta contro il fascismo" (144). La generazione successiva, invece, liberata dalle limitazioni imposte dal regime (concretizzatesi spesso nell'evasione e nel disimpegno) si interesso soprattutto di storia e di filosofia: "molti furono letteralmente schiacciati dalla mole di materiale e di esperienze che avrebbero dovuto elaborare in brevissimo tempo. La filosofia crociana aveva legittimato i limiti e gli inconvenienti della divisione del lavoro [...], e fornito un attestato di buona coscienza ai letterati e agli storici, ai critici e ai poeti. Una visione complessiva ed organica dei problemi culturali avrebbe sconvolto queste distinzioni e messo ciascuno - con le sue deboli forze - di fronte al problema della totalita'" (145). La questione della divisione del lavoro e della specializzazione della ricerca, della scissione di cultura e politica - che rinvia, appunto, alla forte influenza del pensiero crociano sugli intellettuali italiani formatisi tra le due guerre e durante il fascismo - ha coinvolto anche il marxismo, o almeno la sua forma ortodossa (come gia' ricordava Fortini). Inoltre, ritiene ancora Solmi, questa situazione ha determinato anche una spaccatura netta tra Italia settentrionale e Italia meridionale. A nord di Firenze, infatti, "l'irruzione delle correnti culturali europee, determinando il suo crollo definitivo [del pensiero di Croce], ha aperto una fase di confusione e di disorientamento" (146). A Milano come a Torino - sebbene secondo modalita' differenti - il rapido succedersi di tendenze e di correnti (dall'esistenzialismo al neopositivismo) ha fatto in modo che si creasse una vera e propria crisi culturale, un disorientamento generale - anche tra le file dei marxisti - condannando cosi' la cultura all'improduttivita', alla divisione teorica e, infine, all'allontanamento da un progetto di rinnovamento sociale del paese: "abbiamo visto fiorire e deperire un marxismo romantico e letterario, un marxismo cattolico, un marxismo fenomenologico e problematico. [...] Dietro Croce i marxisti romani e napoletani ritrovano Labriola e De Sanctis; ma nel Nord, c'e' il vuoto: o una tradizione positivistica e riformistica che non fornisce appigli o possibilita' di sviluppo" (147).

In che modo, allora, una casa editrice come l'Einaudi puo' agire positivamente in una tale situazione? Da un punto di vista editoriale - lo ha gia' riferito Fortini a Bologna - promuovendo la pubblicazione di testi che vadano nella direzione di aprire al suo pubblico il panorama piu' avanzato della cultura internazionale nel quadro di un'analisi critica complessiva. Dal punto di vista della politica culturale, invece, con l'elaborazione di un progetto concreto legato alla richiesta di liberarsi dai legami dell'economia di mercato e (come sostiene Solmi in un suo testo del 1999 ricordando i suoi anni all'Einaudi) con il "tentativo di dare realta' e consistenza a un disegno di fondazione democratica della casa editrice sulla partecipazione azionaria e sul sostegno attivo delle sue migliaia o decine di migliaia di lettori, a cui Giulio Einaudi aveva dato energicamente il suo appoggio" (148). Si trattava, quindi, di avviare un vasta e capillare campagna azionaria affinche un quanto piu' possibile cospicuo numero di lettori einaudiani partecipasse economicamente al sostegno della casa (sottoscrivendo sue azioni). Ed infatti, a partire dal 1955, la casa editrice Einaudi diventa una s.p.a., riuscendo a coinvolgere per la sottoscrizione di capitale un numero importante di sostenitori (149). Oltre che una mera operazione finanziaria ed imprenditoriale per riposizionare l'azienda (fino ad allora condotta quasi a livello famigliare) sul mercato culturale in via di profondo cambiamento, la campagna azionaria assume - almeno agli occhi di Solmi e di altri collaboratori a lui vicini - anche un significato politico di notevole rilievo. Grazie ad essa, infatti, si potrebbe mettere a punto - in base anche a quanto e' stato piu' volte e in piu' sedi teorizzato, tra gli altri, da Fortini - "una qualche forma di organizzazione democratica e cooperativa degli intellettuali e degli scrittori, degli studiosi e dei pubblicisti, che avrebbe dovuto permettere loro di sottrarsi, almeno in una certa misura, agli imperativi del mercato [...] da un lato, e alla divisione specialistica e burocratica del lavoro intellettuale dominante nelle universita' e negli istituti di ricerca dall'altro" (150). In base a quest'idea, sia i lavoratori dell'Einaudi (di qualunque livello), sia i consumatori dei suoi prodotti si sarebbero trovati coinvolti in una rapporto piu' stretto e articolato. In tal modo, essi - dato che le basi economiche non sarebbero piu' state nelle mani di un unico o di pochi amministratori, ne' la programmazione editoriale avrebbe dovuto rendere conto alle regole di mercato valide per qualsiasi altro prodotto industriale - avrebbero collaborato (secondo modalita', in realta', non meglio definite) alla direzione e allo sviluppo della stessa attivita' editoriale in un senso non privatistico ma socialmente piu' responsabile.

Tuttavia, da un punto di vista pratico e concreto, l'idea di coinvolgere economicamente i sostenitori della casa editrice non sortisce gli effetti sperati e comunque non in modo sufficiente rispetto ai propositi iniziali. Dai primi mesi del 1955, infatti, i collaboratori della casa editrice si recarono personalmente la' dove credevano avrebbero trovato sostegno e interesse per questa operazione, ovvero - ricorda Solmi - "Daniele Ponchiroli e io (ma anche altri membri della redazione) andammo, per un periodo di tempo abbastanza lungo, a batter cassa e a sollecitare adesioni fra gli esponenti piu' noti della borghesia e della cultura antifascista a Milano e altrove, con risultati non del tutto soddisfacenti" (151).

Questi avvenimenti ebbero delle ripercussioni anche per quel che riguarda i rapporti tra i redattori. Ad esempio, tra la fine del 1954 e l'inizio del 1955, il Consiglio di redazione discusse il progetto avanzato da Ernesto de Martino per una collana di inchieste etnografiche. Con esse ci si proponeva, tra l'altro, di analizzare i cambiamenti in atto in Italia in quella fase di passaggio di una societa' sostanzialmente agricola verso una rapida industrializzazione. Nelle riunioni del primo e del 3 giugno 1955 fu proprio Solmi a riferire del progetto della "Nuova collana di studi e inchieste sulla vita contemporanea" che avrebbe dovuto comprendere: "1) studi e inchieste su problemi di vita nazionale; 2) opere di pubblicistica politica o culturale; 3) studi di politica internazionale e di 'storia contemporanea'" (152). E' evidente come questi tre punti coincidessero quasi alla perfezione con i suggerimenti editoriali indicati da Solmi e da Fortini pochi mesi prima. Com'e' facile comprendere, tuttavia, tale indirizzo non era certamente l'unico che avesse voce nel Consiglio. La linea sostenuta da Solmi si scontro con quella sostenuta - tra gli altri - da Muscetta (che aveva patrocinato per primo fin dal settembre 1954 la proposta di De Martino), ovvero con quella di un punto di vista interno al Pci riconducibile al gia' ricordato "marxismo meridionale" e oggetto principale delle critiche di Solmi e di Fortini (e piu' tardi anche di Calvino) (153). La collana non vide mai la luce (se non per un'unica pubblicazione: Inchiesta a Palermo di Danilo Dolci (154)), ma la discussione intorno ad essa manifesto una volta di piu' il sorgere dentro alla casa editrice di una tendenza che operava con il fine di mettere in atto scelte culturali ed editoriali innovative, spesso contrapposte a quelle sostenute dal Pci e rappresentate dalla "generazione dei padri" (soprattutto Cantimori, Muscetta, Giolitti): "l'intervento di Fortini alla Settimana Einaudi del 1954 aveva portato alla luce scontentezze, dubbi, che da tempo aleggiavano nella casa editrice. Ma si andava anche, agli occhi di alcuni, delineando l'esistenza di un gruppo, certamente confermato dall'impianto che Solmi aveva dato al 'Notiziario Einaudi' in quella occasione, che aveva in Solmi il suo referente interno" (155). Ulteriore testimonianza sia della spaccatura tra due diverse componenti, sia del ruolo prominente esercitato da Solmi come rappresentante di una di esse, e' la lettera di Bollati a Cantimori del 29 novembre 1954: "S. [Solmi] fa e fara' sempre e soltanto 'i fatti suoi'. Di qui una sottile 'superbia' intellettuale e una tematica tipica: 'liberta' della cultura', 'discussioni all'interno del marxismo', 'separazione di teoria e prassi' [...]. Tematica non pericolosa in se stessa, almeno nel senso che e' gia' da tempo chiaramente individuata e situata; ma pericolosissima perche' S. la innesta su esigenze e spunti e problemi che affiorano realmente nel campo marxista (ma nei marxisti con ben diverso accento e tipo di partecipazione e con quella cautela o talvolta timidezza e goffaggine che derivano da un senso sempre vigile di responsabilita')" (156). Ritorna, da questo punto di vista, una caratteristica del pensiero di Solmi che abbiamo gia' avuto modo di osservare all'epoca di "Discussioni", ovvero quando egli sosteneva, polemizzando con i dirigenti comunisti, che l'intellettuale militante doveva conservare una sostanziale autonomia rispetto alle linee dettate dalla dirigenza del Partito, esercitando il diritto di criticarle apertamente, anche e non secondariamente per una strategia politica a lungo termine, senza per questo motivo dover essere emarginato o privato di un qualche ruolo politico.

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Note

106. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi. In occasione della pubblicazione del libro di Luisa Mangoni", in "L'indice dei libri del mese", XVI, 7/8, luglio-agosto 1999, pp. 17-20. Ora in: Idem, Autobiografia documentaria, cit. p. 758.

107. Ibidem, p. 759.

108. Ibidem, p. 760. Inoltre, nel verbale della riunione del 5 marzo 1952 e' riportata la relazione di Solmi, in cui si legge - tra l'altro - "Il Guerin, nell'analisi di questi tre problemi dell'America di oggi [sindacati, problema negro e problema agrario], conduce una critica serrata del sistema capitalistico americano. [...]". Il Consiglio decide di fare leggere il libro anche ad altri consulenti. Bobbio esprime un giudizio abbastanza favorevole, ma rinvia la decisione ad un'ulteriore lettura da parte di Calvino. Questi, nonostante i "dubbi sull'obiettivita' dell'autore nei confronti dei comunisti americani, [...] ritiene il libro interessante e utile". Tuttavia viene deciso di richiedere ancora il parere di Venturi e di Giolitti. Cfr. T. Munari, cit. pp. 372, 420 e 426.

109. Citato in L. Mangoni, cit., p. 816.

110. T. Munari, cit., p. 330.

111. Ibidem, p. 394.

112. Ibidem, p. 342.

113. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi", cit., p. 762.

114. T. Munari, cit., p. 372. In questa stessa occasione Mila fa presente l'opportunita' di pubblicare opere di Adorno in campo musicale.

115. L. Mangoni, cit., p. 815.

116. T. Munari, cit., p. 416.

117. D. Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti 1927-1942, Einaudi, Torino 1991, pp. 807-808. Lettera di Cantimori a Bollati del 23/06/1952.

118. T. Munari, cit., p. 492.

119. S. Cesari, cit., p. 131.

120. L. Mangoni, cit., p. 812.

121. Ibidem, p. 810.

122. Ibidem, p. 813.

123. Ibidem, p. 818 e n. 765.

124. Ibidem.

125. T. Munari, cit., p. 478. Si tratta del verbale della riunione del 12 novembre 1952.

126. Ibidem, p. 479.

127. Ibidem, p. 487.

128. L. Mangoni, cit., p. 819.

129. Archivio Einaudi, Verbali editoriali.

130. L. Mangoni, cit., p. 823. Lettera a R. Solmi del 31 luglio 1955. In realta' Cantimori gia' nel 1949 scrive a Balbo di possedere una copia di Storia e coscienza di classe comprata nel 1933, troppo usata, annotata, sottolineata ecc. per poterla mostrare a qualcuno e che "Lukacs non ama, come saprai, che si parli di Geschichte und Klassenbewusstsein; credo abbia, almeno in parte, torto; ma non in tutto". D. Cantimori, cit., p. 793, lettera a Balbo del 7 marzo 1949.

131. L. Mangoni, cit., p. 823.

132. D. Cantimori, cit., pp. 810-811. Lettera a R. Solmi del 5/8/1955.

133. L. Mangoni, cit., p. 824.

134. Archivio Einaudi, incartamento R. Solmi.

135. L. Mangoni, cit., p. 826.

136. R. Solmi, "La funzione d'una casa editrice nella situazione culturale d'oggi", in "Notiziario Einaudi", anno III, n. 7, luglio 1954, p. 1.

137. Ibidem, p. 2.

138. Ibidem.

139. Ibidem.

140. Ibidem, p. 3.

141. Idem, "La settimana del libro Einaudi", in "Notiziario Einaudi", anno III, n. 7, luglio 1954. Citato da Idem, Autobiografia documentaria, cit., p. 117.

142. Ibidem, p. 118.

143. Ibidem.

144. Ibidem, p. 119.

145. Ibidem.

146. Ibidem.

147. Ibidem, p. 120.

148. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi", cit., p. 760.

149. S. Cesari, cit., p. 202.

150. R. Solmi, "I miei anni all'Einaudi", cit., p. 761.

151. Ibidem, p. 761.

152. T. Munari, I verbali del mercoledi'. Riunioni editoriali Einaudi 1953-1963, Einaudi, Torino 2013, p. 208.

153. L. Mangoni, cit., p. 835.

154. Cinquant'anni di un editore. Le edizioni Einaudi negli anni 1933-1983, Einaudi, Torino 1983, p. 608.

155. L. Mangoni, cit., p. 840.

156. Ibidem, pp. 840-841.

 

3. ANNIVERSARI. IN MEMORIA DI JESSIE BERNARD

 

Ricorre oggi, 8 giugno, l'anniversario della nascita di Jessie Bernard (Minneapolis, 8 giugno 1903 - Washington, 6 ottobre 1996), illustre sociologa, docente, intellettuale femminista.

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Anche nel ricordo di Jessie Bernard proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 707 dell'8 giugno 2015

 

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