[Nonviolenza] Voci e volti della nonviolenza. 706



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Numero 706 del 6 giugno 2015

 

In questo numero:

1. Per sostenere il centro antiviolenza "Erinna"

2. Enrico Peyretti: Quel fossato di coccodrilli tra Europa e Africa

3. Simone Scala: La casa editrice Einaudi al momento dell'ingresso di Renato Solmi

4. In memoria di Vladimir Jankelevitch

 

1. REPETITA IUVANT. PER SOSTENERE IL CENTRO ANTIVIOLENZA "ERINNA"

 

Per sostenere il centro antiviolenza di Viterbo "Erinna" i contributi possono essere inviati attraverso bonifico bancario intestato ad Associazione Erinna, Banca Etica, codice IBAN: IT60D0501803200000000287042.

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2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: QUEL FOSSATO DI COCCODRILLI TRA EUROPA E AFRICA

[Dal sito de "Il foglio. Mensile di alcuni cristiani torinesi" (www.ilfoglio.info) riprendiamo questo articolo di Enrico Peyretti apparso sul n. 407.

Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; e' stato presidente della Fuci tra il 1959 e il 1961; nel periodo post-conciliare ha animato a Torino alcune realta' ecclesiali di base; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Il diritto di non uccidere. Schegge di speranza, Il Margine, Trento 2009; Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana, Torino 2011; Il bene della pace. La via della nonviolenza, Cittadella, Assisi 2012; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi (articoli, indici, bibliografie) sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia (ormai da aggiornare) degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68]

 

"Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?". Tra le parole dette a Lampedusa dal papa-uomo Francesco, vorrei ritenere queste. La colpa di non piangere. Il cuore di pietra, di cui il profeta implora e promette il divino cambiamento in cuore di carne. La commozione delle viscere, dell'utero, che e' anche nei maschi fecondi come donne, quel movimento intimo come un figlio di nuovo concepimento, che ti allarga e moltiplica la vita, quella vibrazione dolorosa, ma vitale ed estatica come l'orgasmo dell'amore, quella commozione che piega il Samaritano sul ferito, cui rimasero indifferenti gli addetti al sacro, quello splangizesthai che ritorna nei vangeli come l'effetto profondo del respiro di Dio vivificante nel corpo e nel cuore umano (Matteo 9,36; 15,32; 18,27; 20,34; Marco 1,41; 6,34; 8,2; 9,22; Luca 7,13; 10,33; 15,20).

Quella impossibilita' di tollerare la sofferenza altrui, che comunque ti muove, o per fuggire dal ferito, o per correre a lui. La capacita' di piangere, senza la quale ogni male diventa banale, ogni delitto normale, ogni vittima una statistica. Quella nostra ferita che non deve guarire, che e' soffrire con chi soffre. Quella santa facilita' a piangere, che e' nei bambini, e il vangelo ci chiede di diventare (non ritornare) come loro. Quella lacrima che Dio ti manda, come segno del suo perdono. Nei vecchi libri di pieta' c'e' una apposita preghiera per ottenere il dono delle lacrime. Quel disgelo del cuore del volto e degli occhi, che e' primavera di rinascita.

Per i sommersi nel fossato di coccodrilli che divide il castello d'Europa dal deserto dell'Africa e dell'Asia che lo assedia, che fare? Tutto comincia dal lasciarsi toccare le viscere, abbandonare quella cintura di castita' che oppone l'acciaio alla pieta', lasciare che la carne umana a tutti comune, la comune fame di vita e dignita', che in tutti vuol vivere, sotto ogni colore di pelle, da qualunque destino veniamo, lasciare che da quella carne le vittime spremano una lacrima. Sara' come pioggia viva sul deserto che noi siamo. Poi verranno le politiche, i diritti scritti e i doveri.

 

3. RICERCHE. SIMONE SCALA: LA CASA EDITRICE EINAUDI AL MOMENTO DELL'INGRESSO DI RENATO SOLMI

[Il testo che segue riproduce il terzo paragrafo del primo capitolo del lavoro di Simone Scala, "Renato Solmi a confronto con Th. W. Adorno e M. Horkheimer. Storia intellettuale ed editoriale di una mediazione culturale", tesi di dottorato in Teoria e storia delle culture e letterature comparate, Universita' degli studi di Sassari, a.a. 2011-2012 (il testo integrale e' disponibile on line nel sito http://eprint.uniss.it).

Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e' stato impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. E' deceduto il 25 marzo 2015. Dal risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]

 

Tra la fine del 1949 e il 1950, pur rimanendo ancora in contatto con Milano e con la redazione di "Discussioni", Solmi trascorse un periodo di studio a Napoli presso l'Istituto italiano per gli Studi Storici fondato nel 1946 da Benedetto Croce e allora diretto da Federico Chabod. Sara' dopo questa importante esperienza formativa che si avvicinera' alla casa editrice Einaudi.

I primi contatti con la casa editrice torinese avvengono l'anno precedente grazie all'interessamento del padre Sergio (che ha trascorso un certo periodo della propria vita a Torino dove aveva frequentato - tra gli altri - Piero Gobetti come collaboratore di "Il Baretti"). Questi, infatti, il 20 settembre 1950 scrive a Giulio Einaudi per presentargli il figlio, indicando tra i principali interessi intellettuali di quest'ultimo la filosofia e la cultura antica, ed in particolare quella greca, la storia delle religioni primitive e il pensiero politico moderno (51). Il 20 ottobre 1950 e' lo stesso Renato a scrivere da Milano a Natalia Ginzburg per organizzare una visita presso la sede torinese della casa (52). Circa un mese piu' tardi (22 novembre 1950) gli scrive Giulio Bollati che lo invita a trasferirsi a Torino e ad occupare un tavolo in un ufficio presso la casa editrice, per poi definire i dettagli del contratto di collaborazione con Einaudi stesso (53). Renato Solmi, tuttavia, trascorre ancora circa un anno a Milano pur lavorando gia' attivamente per l'Einaudi. Tra i primi incarichi a lui assegnati c'e' la preparazione di nuovi volumi da inserire nella collana P.B.S.L. (54) e la correzione delle bozze di La cultura greca e le origini del pensiero europeo del filologo classico Bruno Snell (55), del quale aveva gia' scritto una recensione pubblicata sulla rivista "Paideia" nel 1950 (56). Infine, dai verbali delle riunioni risulta che la prima "riunione del mercoledi'" (gli incontri tra i redattori si tenevano tradizionalmente il mercoledi' pomeriggio nella sede di via Biancamano, attorno ad un tavolo ovale e circondati dai libri pubblicati dalla casa alle pareti (57)) a cui Solmi partecipa e' quella del 5 novembre 1951 (58).

Prima di analizzare nel dettaglio qual e' stata l'attivita' di Solmi come redattore e collaboratore della casa editrice, ci pare opportuno descrivere brevemente il ruolo che l'Einaudi ha svolto nell'ambito della cultura italiana, con particolare interesse e riferimento al periodo che va dalla seconda meta' degli anni Quaranta alla prima meta' degli anni Sessanta. Si tratta, come vedremo, di circa un ventennio decisamente ricco di avvenimenti e di cambiamenti tanto per la casa editrice, quanto piu' in generale per il ruolo che essa ebbe nello sviluppo culturale e politico dell'Italia democratica.

All'interno della casa editrice (fondata nel 1933 da Giulio Einaudi con l'aiuto e il sostegno di giovani intellettuali antifascisti, quali tra gli altri Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Giaime Pintor, cioe' della cosiddetta "confraternita del liceo D'Azeglio" (59)) fu il cattolico e comunista Felice Balbo - a partire dal 1947 - a farsi portatore di un nuovo progetto editoriale organico e avanzato che doveva concretizzarsi nell'apertura di una biblioteca di cultura sociale e politica. Si trattava di intervenire su tematiche (studi sociologici, scienze, tecnica, ecc.) che "per responsabilita' dell'isolamento determinato dal fascismo e dal predominio della cultura idealistica nella sua componente gentiliana ma 'soprattutto crociana'" (60) non avevano trovato spazi adeguati in Italia. Tale progetto consisteva quindi, da un lato, nel ripensare complessivamente (considerate anche le mutate condizioni contestuali dopo l'anno spartiacque 1945) l'indirizzo teorico della casa editrice. Dall'altro, si trattava di organizzare una nuova collana sulla base della proposta che Balbo stesso manda a Giulio Einaudi il 21 giugno del 1947 sotto il significativo titolo di "AntiCroce". Egli partiva "dalla considerazione che la cultura idealistica, 'invalidando per principio le possibilita' stesse degli studi sociologici e in genere degli studi umanistici condotti con metodi scientifici o fenomenologici', aveva soffocato una nascita autonoma di questi studi in Italia" (61). Il piano interessera', in generale, anche tutte le altre iniziative editoriali in una prospettiva culturale che sara' - a partire dall'anno successivo - un tema di dibattito importante fra le diverse sensibilita' della redazione.

Era inevitabile, quindi, che la casa andasse definendo il proprio lavoro in un senso di collaborazione o comunque di dialogo costante con le forze democratiche e antifasciste, ed in particolare con il Partito comunista italiano. Come sostiene Gabriele Turi "la spaccatura politica che si ha nel paese nel maggio 1947 ha profonde ripercussioni sulla casa editrice, i cui legami col Pci si stringono ulteriormente provocando un sensibile mutamento nei suoi indirizzi culturali" (62). Il legame forte ma allo stesso tempo contrassegnato da una certa ambiguita' con il Partito comunista e' non solo centrale per comprendere le imprese di politica editoriale della casa, ma costituisce anche una costante che, con il suo andamento altalenante, consente di leggere le future discussioni all'interno della redazione einaudiana - continuamente in bilico tra dipendenza e autonomia, collaborazione e reciproca ingerenza, priorita' culturali e priorita' politiche. In qualche modo tra le due parti in causa viene idealmente stipulata una "sorta di contratto non scritto che ciascuno interpreta a suo modo" (63) con il fine comune di acquisire l'egemonia sulla cultura della sinistra italiana dell'epoca. E a conferma di questa aspirazione, bisogna rilevare che "nella societa del dopoguerra la funzione maieutica di Einaudi presso gli intellettuali di sinistra, esercitata soprattutto con la proposta di testi di storia - e, in parte, di economia -, ha assunto le vesti di una 'supplenza' culturale e civile rispetto alla stessa Universita' [...], ed ha avuto un rilievo particolare per la posizione eccezionale dell'editore torinese nel panorama culturale italiano, oltre che per i suoi rapporti politici" (64).

Oltre alla diffusione dei libri Einaudi tra i militanti comunisti, cio' che la casa editrice si aspettava dal Pci era la possibilita' di occuparsi di opere la cui pubblicazione dipendeva direttamente dalla volonta' del Partito stesso (in primo luogo i quaderni di Gramsci (65), e poi i classici del marxismo, ecc.) e la possibilita di diffondere in Italia in esclusiva le opere provenienti dall'Unione Sovietica - grazie alla positiva mediazione con l'ambasciata - nel tentativo di sprovincializzare la cultura italiana coniugando la tradizione liberale (a cui moltissimo aveva contribuito anche dall'interno della casa editrice il padre di Giulio, Luigi Einaudi) con quella marxista (66).

Ma la difficolta' nell'instaurare rapporti solidi e non equivoci era dovuta tanto a fattori interni, quanto a fattori esterni. Da un lato, infatti, la fase di passaggio della stessa Einaudi, disposta si' al dialogo e anche a sostenere una "scelta di campo", ma che al tempo stesso non voleva rinunciare ai propri spazi decisionali indipendenti ne' al confronto con la "cultura autocritica della borghesia" (Vittorini) (67); dall'altro il delicato momento tanto per la situazione politica dell'Italia che si avviava verso le prime elezioni politiche democratiche (1948), quanto di quella internazionale in cui gli schieramenti andavano sempre piu' a definirsi in un senso di rigidita' e di netto scontro ideologico.

Inoltre, la casa editrice era gia' riuscita a ritagliarsi un ruolo di primo piano nell'ambito della cultura italiana di allora. Una parte non secondaria di questo successo era dovuta alla capacita' di coinvolgimento che la Einaudi riusciva ad esercitare sia nei confronti del proprio pubblico (ad esempio mediante gli incontri con i lettori durante la "Settimana Einaudi" o con la pubblicazione del "Notiziario Einaudi" - molto piu' di meri momenti propagandistici), che in quelli dei collaboratori: entrambi i soggetti si sentivano parte integrante di un progetto culturale assai ampio e in grado di agire e contribuire alla formazione della societa' italiana in un periodo di ricomposizione democratica dopo il ventennio della dittatura fascista (68). Non a caso, nota ancora Turi, "se ci si chiedesse - e si potesse verificare - come fossero costituite, soprattutto dagli anni '40 agli anni '60, le biblioteche di sezioni, circoli o comuni, o la 'biblioteca domestica' di un ceto medio-alto di intellettuali e di studenti legati al movimento operaio e democratico, con ogni probabilita' si ricostruirebbe uno spezzone consistente e significativo del catalogo einaudiano, in particolare nei testi di storia e di letteratura, con una netta prevalenza della saggistica, divenuta carattere distintivo della cultura di sinistra" (69). Infatti, un progetto che si proponeva finalita' tanto grandi non poteva prescindere dal superare i confini di una diffusione rivolta esclusivamente ad un pubblico colto. Doveva, anzi, utilizzare le potenzialita' di cui la rete distributiva del Pci disponeva: le riviste, i giornali, le sezioni, i singoli militanti. La contropartita era accettare collaborazioni e suggerimenti (se non vere e proprie ingerenze) da parte di membri del partito nelle scelte editoriali. Ne scaturiscono "reciproche preoccupazioni da una parte e dall'altra: per il Pci si tratta di porre limiti e controlli all'idea del militante di base che l'editore di Gramsci fosse un 'nostro' editore; per Einaudi si tratta di mantenere un'autonomia che tuttavia non mettesse in crisi i rapporti privilegiati con il Pci" (70).

Da parte comunista, poi, e' chiaro che il valore e la portata del progetto einaudiano non poteva in alcun modo essere sottovaluto. L'ostacolo piu' grande che si determina, tuttavia, e' stabilire i limiti rispetto a cio' che rientra tra le opere potenzialmente accettabili e quelle che invece non lo sono, considerando anche che alcuni importanti collaboratori della casa appartenevano o erano comunque prossimi a quel "partito-non partito" (Bobbio) erede della "Rivoluzione liberale" di Gobetti che era il Partito d'azione - "dileguato dalla lotta politica ma non dall'animo di tanti intellettuali (e a Torino, poi!)" (71) -, mentre altri (come ad esempio Pavese e Vittorini), pur nella loro adesione al Partito comunista, avevano rispetto ad esso un atteggiamento piuttosto critico se non talvolta apertamente ostile: ne facevano parte "in un modo un po' speciale" (72). A tal proposito e' interessante quanto scrive Giulio Einaudi a Fabrizio Onofri il 26 giugno 1947: "Io sono perfettamente d'accordo con te che deve porsi come limite negativo l'anticomunismo: ma quali sono i limiti dell'anticomunismo? Qualunque libro borghese, specie quando tratta di economia, di politica e di storia, a un esame severo non puo' non apparire in certi punti anticomunista. Bisogna pero' secondo me distinguere l'anticomunismo assoluto (quello che mobilita forze sociali e ideologiche per isolare il Partito comunista) dall'anticomunismo critico, quello cioe' che pur dissentendo da noi si schiera con noi nel fronte democratico politico e culturale [...]" (73). Le scelte della casa editrice erano quindi rinchiuse tra i "limiti dell'anticomunismo critico" e le ragioni editoriali, la sua composizione interna (bisogna ricordare che tra i collaboratori si potevano contare esponenti di primo piano del Partito comunista come Muscetta e Giolitti) e la collegialita' e la discussione - anche conflittuale, ma mediata da Giulio Einaudi - come modalita' di prendere le decisioni (74). D'altro lato il Pci voleva avere garanzie che le scelte di Einaudi non andassero a scontrarsi contro le strategie in ambito culturale del partito stesso, considerando soprattutto che un elevato numero di lettori einaudiani era costituito proprio da militanti o simpatizzanti comunisti. Ma, allo stesso tempo, era grande l'interesse di raggiungere ambienti che i classici canali di partito non potevano raggiungere, tenendo anche presente che in quel torno di tempo l'editoria ufficiale del Partito era ancora scarsamente organizzata e aveva un peso assai limitato (75).

La questione centrale era quindi la realizzazione di un progetto editoriale che, secondo gli auspici di Balbo, "veniva a comporre l'intelaiatura della cultura di sinistra di quegli anni, andando nello stesso tempo incontro a lettori provenienti da ambienti altrimenti meno permeabili" (76). Certamente anche Botteghe Oscure aveva voce in capitolo sulle scelte delle opere da pubblicare, sia tramite i collaboratori della casa editrice iscritti al Partito, sia mediante i contatti diretti con i membri della direzione culturale. D'altronde, da un punto di vista delle preferenze culturali si era affermata la tendenza, in alcuni suoi membri, di rifiutare - o per lo meno di guardare con sospetto - ogni apertura al cambiamento, ogni accenno alla modernita', e cio' a causa di "una consolidata propensione tradizionalista di molti dei dirigenti del Pci, effetto della loro formazione culturale, sulla quale si erano sovrapposte, senza modificarla, l'esperienza clandestina e l'organizzazione rivoluzionaria" (77). Non va poi dimenticato che, come in Unione Sovietica, in base agli ukase di Zdanov (e di Stalin), l'arte e la letteratura contemporanee che non rientravano in determinati canoni venivano attaccate e, quando non direttamente censurate, sicuramente addomesticate, qui erano i canali ufficiali del Partito comunista a consigliare o sconsigliare questo o quel libro ai propri militanti in una politica culturale fortemente tenuta sotto controllo.

In modo particolare e' dopo la sconfitta elettorale del 1948 (avvenuta in un clima fortemente influenzato dalla retorica della propaganda ufficiale - spesso dai toni apocalittici - del mondo polarizzato) che si presenta con maggiore insistenza l'esigenza di definire con rigore e chiarezza il rapporto Einaudi/Pci e gli ambiti in cui la collaborazione poteva essere proseguita. Innanzitutto "Giulio Einaudi ha deciso di riservare 'i rapporti ufficiali col partito' a se stesso, e in subordine a Balbo e a Giolitti" (78). Poi, per quanto riguarda l'organizzazione da un punto di vista operativo, lo stesso Giulio Einaudi scrive a Giolitti: "la cosa fondamentale e' questa: dopo aver chiarito qual e' il nostro programma nel quale desideriamo la collaborazione del Partito, occorre stabilire in questo campo i rapporti tra noi e il Partito" (79). Si andavano meglio definendo (almeno nella volonta' espressa da Einaudi) quelle reciproche competenze che erano fino ad allora rimaste piuttosto sfumate. Cio' riguardava soprattutto la distinzione tra diverse tipologie di libri e in modo particolare le opere provenienti dall'Unione Sovietica. Queste, infatti, potevano essere suddivise in tre categorie: libri cui, pur uscendo per Einaudi, spettava al Pci la scelta del curatore, traduttore, ecc., oltre che la responsabilita' "ideologica"; libri che venivano scelti e proposti dalla casa editrice ma realizzati in collaborazione con il Partito; infine libri che rientravano nella normale attivita' editoriale, per i quali era richiesto esclusivamente il parere di Emilio Sereni (80).

Risulta chiaro che, da un punto di vista interno alla casa editrice Einaudi, siamo di fronte ad una fase di importanti cambiamenti e che quindi il programma annuale del periodo prevedeva una sostanziale riorganizzazione delle collane per andare incontro a nuovi interessi, ad un nuovo pubblico e a nuovi collaboratori (81). Le novita' erano tuttavia sempre e comunque da riallacciare alla tradizione einaudiana, soprattutto nel senso di farle rientrare in un progetto culturale non legato all'immediato o alle necessita' dell'attualita' ma che si potesse collocare in una prospettiva piu' a lungo termine, poiche', come scrisse Bobbio a Einaudi, "le case editrici si misurano a decenni, non a mesi" (82). Ci sono, dunque, collane che proseguono con maggior decisione nel solco della continuita' - come la collana filosofica per la quale, non toccata direttamente dalla riorganizzazione, la tendenza dei consulenti (Bobbio e Balbo) era quella di dedicarsi in modo particolare ai classici abbandonando gli autori piu' controversi e privilegiando la fenomenologia e la logica (83) - e collane invece fortemente innovative e che si ponevano nella scia del cambiamento - come quella dei Saggi. Quest'ultima, infatti, divenne la collana di avanguardia, rivolta al pubblico piu' giovane e in cui dovevano convergere opere di critica letteraria, cinema, teatro, ecc. sotto la guida di Muscetta, Serini e Vittorini (84).

Tale riassetto delle diverse competenze interne non riusci' tuttavia a limitare del tutto i conflitti tra i collaboratori della casa. Anzi, in certi casi le novita' ebbero l'effetto di acutizzarli fin quasi a vere e proprie rotture. Questione centrale era ancora una volta quella della "direzione ideologica della Einaudi e di chi, di conseguenza, dovesse prioritariamente gestire i suoi rapporti con il Pci" (85), ma anche quella della necessita' di esercitare un certo "autocontrollo ideologico" (86) che preservasse dal compiere passi falsi nelle future scelte editoriali. Di quanto l'equilibrio fosse precario e di quanto profonde fossero le fratture (interne, ma che si proiettavano inevitabilmente anche verso l'esterno) e' esempio il cosiddetto "Caso Falqui", che porto' quasi al divorzio definitivo tra la casa editrice e Muscetta (87), e quindi il Pci - peraltro allora impegnato in un "difficile periodo di elaborazione" politica, ideologica, di alleanze, ecc., come testimonia Giolitti (88).  Enrico Falqui aveva proposto a Pavese la pubblicazione di una raccolta di suoi saggi letterari. Quando anche altri membri della casa editrice (Einaudi e Vittorini) si espressero positivamente e il libro venne inserito nel piano editoriale, Muscetta minaccio' le proprie dimissioni e attacco' molto duramente l'autore a causa di un articolo di quest'ultimo risalente al 1941 e che lo stesso Muscetta aveva letto come una "delazione" nei suoi confronti: "In una collana dove sono usciti e usciranno saggi di Parodi, Pancrazi, Ginzburg, Russo, Pintor, Sapegno, Cecchi, un tuo libro si esclude da se', per l'indirizzo tutto formalistico e amministrativo dei tuoi 'bilanci' letterari. D'altra parte, coi tempi che corrono, ti conviene imbracarti nel 'culturame'? Tu sei sempre stato, e sei tuttora, un uomo d'ordine, e non vale la pena di correre certi rischi, anche se con un libro stampato da Einaudi si tratta di conquistarsi a buon mercato una patente di serieta' intellettuale" (Muscetta a Falqui, 5 agosto 1949). Ad ogni modo si giunse, anche grazie alla positiva mediazione di Giolitti, alla pubblicazione dei saggi di Falqui senza che Muscetta lasciasse la casa editrice. Una volta di piu', quindi, la questione di fondo sollevata nel periodo a cavallo tra anni Quaranta e anni Cinquanta riguarda la collocazione della casa editrice rispetto al Partito comunista. Insomma, si trattava di circoscrivere adeguatamente i settori in cui concretizzare il rapporto con il Pci dal punto di vista editoriale e stabilire se "il suo compito [della Einaudi] fosse rivolgersi prioritariamente all'interno del Pci [...] per contribuire in modo determinante all'elaborazione di una 'linea culturale piu' efficiente e coerente', o se essa dovesse utilizzare prima di tutto il prestigio ormai acquisito anche al fine di diffondere tra un 'pubblico colto' opere e temi che altrimenti non sarebbero fuoriusciti dall'ambito del partito" (89). Occupare una zona di confine, pero', poteva significare spesso ottenere un risultato contrario a quelle che erano le reali intenzioni. In questo modo alcune scelte editoriali furono viste con diffidenza dal Partito comunista e, specularmente, altre suscitarono il sospetto da parte dei lettori fuori dal Partito (90). Dunque, pur accettando la scelta di collocarsi all'interno di un determinato schieramento, era chiaro per tutti che il vero discrimine doveva comunque restare quello legato alla qualita' del libro da inserire nel catalogo. La conseguenza fu la decisione di pubblicare opere non gradite a Botteghe Oscure, come Il fiore del verso russo curato da Poggioli (uscito nel 1949, voluto fortemente da Pavese e, altrettanto fortemente, attaccato sia da Muscetta che dallo stesso Togliatti, oltreche' da buona parte della stampa di partito) (91) oppure autori come Eliade, Frobenius e Lowith e, per "aprire delle brecce nella tradizione storicista e idealista" (92), di iniziare a stampare testi di discipline come l'etnologia, l'antropologia e la storia delle religioni (discipline queste ultime che nell'Italia di allora trovavano una spazio assai limitato e che quindi molto sono debitrici alla scelta coraggiosa della Einaudi di creare una collana apposita, la Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici o Collana viola fondata da Cesare Pavese e Ernesto De Martino nel 1948).

Un'ulteriore frattura, questa volta tutta interna alla casa editrice, era legata al clima polemico instauratosi tra la sede torinese e quella romana (93): "segni di crescente tensione interna erano del resto percepibili dai verbali delle riunioni dei Consigli editoriali di Torino e di Roma, come ad esempio la richiesta, avanzata da Muscetta nel corso del Consiglio del 9 novembre 1949, di una piu' regolare informazione dei consulenti romani sulle decisioni assunte nelle riunioni del mercoledi' a Torino, con una conseguente formalizzazione della verbalizzazione dei Consigli" (94). La richiesta di una verbalizzazione ufficiale che potesse mettere nero su bianco le posizioni di ciascuna sede rende chiaro quanto diffuso fosse ormai un clima di sospetto e di reciproca diffidenza: "piu' rilevabile e' invece una certa difficolta' di rapporti fra gli einaudiani di Torino e quelli di Roma. Pavese disapprova le 'beghe romane', lo stesso Giulio diffida 'dell'ambiente intellettualoide' della Capitale. Il solito Muscetta parla, in risposta, 'dell'almo consiglio torinese'" (95). In effetti, quando viene sottolineata l'mportanza della tradizione per la casa editrice, bisogna ricordare che ad essa va ricondotto anche il cosiddetto "metodo Einaudi" relativo al lavoro editoriale svolto inizialmente con perizia quasi artigianale dai membri del Consiglio in un rapporto pressoche' paritario. Originariamente, infatti, nelle riunioni di questo organismo si discuteva "di idee e di libri" e non "di tirature, di vendita, di mercato" (Giulio Einaudi). Le discussioni economiche (cosi' come, in realta', anche alcune scelte definitive) erano rinviate semmai ad altri luoghi (96). Difatti, le riunioni a cui partecipavano i dirigenti editoriali, amministrativi e commerciali si tenevano il giovedi': "Si trattavano insomma le questioni che nelle riunioni dei consulenti non si devono trattare. Non si deve parlare di tirature, di vendita, di mercato, quando un Cases, un Bobbio, un Calvino, un Mila, un Solmi, un Fossati si stanno appassionando a discutere di idee e libri. Perche' altrimenti si tagliano le ali da soli. Il libro non si vende? Allora non faccio nemmeno la proposta. Sto zitto. Invece fai la proposta, dimmi il valore dell'opera. Il tuo giudizio influira' anche sulla decisione successiva: certo si vende poco, pero' ha questi meriti. Decidiamo di farlo?" (97). Con l'esplodere di nuovi "casi eclatanti" (alcuni, come vedremo, centrali anche nel lavoro e nella vita di Solmi), il deteriorarsi di tale metodo (con la conseguenza di una sempre maggiore limitazione di fatto del ruolo del Consiglio editoriale) e' un chiaro sintomo sia del logorarsi dei rapporti professionali tra i collaboratori della casa editrice, sia - e piu' in generale - del mutare del clima complessivo al suo interno, delle idee di fondo che la guidavano e quindi, di riflesso, del contesto storico e sociale in cui essa operava. Ed in effetti l'aumento della conflittualita' costituisce l'indizio principale da tener presente nel momento in cui si vogliono ricostruire ed analizzare le nuove modalita' con cui ora venivano prese le decisioni riguardo ai libri da tradurre e da pubblicare: "ognuno cercava per suo conto, isolatamente, possibili risposte di fronte a strettoie che potevano sembrare intollerabili, se non a patto di essere introiettate; ognuno per conto suo valutava e affrontava possibili prospettive diverse. [...] Un elemento comune tuttavia puo' essere identificato: una delle conseguenze della logica dello schieramento consisteva nella distorsione di percorsi e culture, nei costi che venivano pagati nella convinzione, profonda e reale, che essi fossero necessari" (98).

In questo gia' travagliato complesso di circostanze si inserisce il tragico evento del suicidio di Cesare Pavese (27 agosto 1950), momento altamente drammatico in cui probabilmente esplose funestamente la miscela instabile del suo impegno collettivo e della sua disperazione individuale. Neanche tale evento, tuttavia, riusci' a riavvicinare del tutto le differenti posizioni all'interno della casa editrice. Oggetto delle frizioni erano sia il complessivo progetto culturale perseguito dall'Einaudi, sia le convinzioni (e talvolta le esternazioni) personali dei singoli membri del Consiglio. Inoltre, bisogna considerare che anche un terzo elemento decisivo minava profondamente l'equilibrio delle varie componenti interne alla casa editrice. Alle differenze politiche e a quelle culturali, si aggiungeva quella generazionale. Una nuova generazione, infatti, faceva il suo ingresso all'Einaudi. Il mondo in cui i nuovi collaboratori avevano fatto le prime esperienze intellettuali era completamente mutato rispetto a quello dei loro padri. Nati intorno alla seconda meta' degli anni Venti, i nuovi consulenti erano stati interessati solo dalle ultime fasi sia del fascismo che della Resistenza (99): "E' comunque nel corso degli anni Cinquanta che quel rissoso amalgama stabilitosi intorno alla casa editrice comincia a dissolversi. Formatosi nel 'troppo euforico periodo dopo-liberazione' (l'espressione e' di Giolitti), il gruppo ha vissuto gli esordi della guerra fredda senza sfaldarsi, pur fra tanti contrasti" (100). La questione generazionale rimarra' anch'essa questione irrisolta inasprendosi ulteriormente nei primi anni Sessanta e vedra' proprio Renato Solmi tra i principali protagonisti. E' in considerazione di questo quadro generale e per tentare per lo meno di smussare gli angoli ed evitare contrapposizioni eccessivamente dure che, probabilmente, Balbo propone che i verbali delle riunioni fossero scritti "in modo che risultino le varie opinioni personali, le responsabilita' delle varie proposte e gli accordi piu' entusiasti o piu' riservati dei vari consulenti a ciascuna proposta" (101).

In conclusione, come spiega bene Luisa Mangoni, la storia della casa editrice Einaudi tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta puo essere ricondotta alla categoria del "disagio". Questo, causato dai fattori che abbiamo appena riassunto, fu favorito anche da una sempre minore condivisione delle scelte e da una crescente specializzazione nei vari ambiti, soprattutto se confrontato con quanto accadeva durante i primi anni di vita della casa editrice: "il 'disagio' poteva assumere varie forme. Il parlare 'lingue diverse', l'isolamento e il 'silenzio' che ne derivava si rivelavano anche, in termini consapevoli per alcuni, inconsapevoli per altri, in una sorta di sottolineatura del 'mestiere' e della ricerca, in un chiudersi nel proprio ambito di competenza, in un sottrarsi al dibattito politico e ideologico [...] in una 'professionalizzazione' delle scelte che tra il 1951 e il 1954 sembrava divenire sempre piu' elemento caratterizzante anche della politica editoriale della Einaudi" (102). Il limitare al minimo il dibattito politico e ideologico all'interno della casa editrice si concretizzo', da un punto di vista editoriale, nella scelta di ridurre la pubblicazione di opere prettamente ideologiche, teoriche ecc. e di dedicarsi primariamente a libri di analisi e d'inchiesta oppure legati a determinati ambiti accademici o tecnico-scientifici (103). Cio' probabilmente e' dovuto da un lato all'indebolirsi della presa della cultura comunista (nonostante il tentativo del Partito di condizionare la vita culturale del paese), dall'altro al riemergere dell'idealismo crociano in grado di influenzare non poco lo stesso pensiero marxista e storicista (104). Piu' concretamente, il nuovo corso - se cosi' lo si puo' definire - e' anche causato dalla crescente concorrenza commerciale con altre case editrici, prima fra tutte la Laterza (casa editrice barese legata a Benedetto Croce e che puo' essere considerata in qualche modo l'omologo dell'Einaudi per interessi culturali (105)). Con quest'ultima, ad esempio, la competizione riguardo, come caso specifico di quegli anni, l'edizione completa delle opere di De Sanctis. Ma evidentemente, e piu' in generale, tale competizione andava ben oltre la pubblicazione esclusiva di un singolo autore - per quanto prestigioso - e concerneva, semmai, anche questioni di politica e di "egemonia" culturale.

*

Note

51. L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Bollati Boringhieri, Torino 1999, p. 601, n. 627.

52. Archivio Einaudi, incartamento Renato Solmi, foglio 1.

53. Archivio Einaudi, incartamento Renato Solmi, foglio 2.

54. Archivio Einaudi, incartamento Renato Solmi, foglio 5.

55. Archivio Einaudi, incartamento Renato Solmi, foglio 12.

56. R. Solmi, "La cultura greca e le origini del pensiero europeo in un libro di Bruno Snell", "Paideia", V, 5, settembre-ottobre 1950, pp. 344-348. Ora in: Autobiografia documentaria, cit. pp. 33-39. In linea con i suoi studi universitari e anche la recensione de L'umanismo platonico nell'interpretazione di Werner Jaeger, pubblicata in "Lo Spettatore italiano", III, 3, marzo 1950, pp. 57-63 e ripubblicata in Autobiografia documentaria, pp. 21-31. In entrambi i casi Solmi dimostra il suo interesse per la storia della cultura antica, cercando pero' di ricondurla all'attualita' culturale e, in ultima istanza, politica.

57. S. Cesari, Colloqui con Giulio Einaudi, Theoria, Roma-Napoli 1991, p. 106.

58. T. Munari (a cura di), I verbali del mercoledi'. Riunioni editoriali Einaudi 1943-1952, Einaudi, Torino 2011, p. 319. Gli altri collaboratori della casa editrice presenti a questa riunione sono: Bollati, Boringhieri, Einaudi, Foa, Giolitti, Muscetta, Natalia Ginzburg e Serini.

59. S. Cesari, cit., p. 30.

60. L. Mangoni, cit., p. 335.

61. G. Turi, Casa Einaudi. Libri, uomini, idee oltre il fascismo, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 254-255.

62. Ibidem, p. 195.

63. N. Ajello, "Il Pci ambiguo alleato", in "La Repubblica", 11 maggio 1999, p. 48.

64. G. Turi, cit., p. 208.

65. Cfr. S. Cesari, cit., p. 54: "Quanto, all'epoca, veniva dall'Unione Sovietica, era materiale ufficiale, comunque una documentazione del sistema economico che la reggeva. [...] Bisogna pensare al nostro rapporto con il Partito comunista per la pubblicazione delle Opere di Gramsci. Rischiavamo di perdere Gramsci per fare Trockij. Credo che risultera chiaro a tutti come questo dilemma non ci abbia tormentato: se pubblicare Trockij o Gramsci. Abbiamo scelto Gramsci".

66. G. Turi, p. 210.

67. L. Mangoni, cit., p. 339.

68. Ibidem, p. 346.

69. G. Turi, cit. p. 13.

70. L. Mangoni, cit., p. 347.

71. N. Ajello, cit.

72. E. Vittorini, Cultura e liberta', cit, p. 189.

73. L. Mangoni, cit., p. 350.

74. S. Cesari, cit., p. 11: "Ma la storia di Einaudi e' la storia di un gruppo, di un collettivo formato, in tempi diversi, da molte e diverse intelligenze 'conflittuali': questo vuol dire che c'era un legame profondo, fecondo e contraddittorio tra di noi e la realta', come e' naturale che succeda in una casa editrice di cultura, se e' davvero tale, se non e' una macchina che insegue un proprio astratto ideale. Certo, cercavo di governare questi conflitti. Lo rivendico. Cio' non vuol dire che ci sia sempre riuscito".

75. G. Turi, cit. p. 196: "le Edizioni Rinascita e le Edizioni di cultura sociale si fonderanno solo nel 1953 per dar vita agli Editori Riuniti".

76. L. Mangoni, cit., p. 379.

77. Ibidem, p. 379.

78. N. Ajello, cit.

79. L. Mangoni, cit., p. 402, Lettera di Einaudi a Giolitti del 22 ottobre 1948.

80. Ibidem, p. 403.

81. Fu nel consiglio del 1213 gennaio 1949 che venne definita la redazione e le responsabilita' per le singole collane: il nucleo attorno a Einaudi era composto da Balbo, Fonzi, Natalia Ginzburg, Giolitti, Muscetta, Pavese, Scassellati, Serini. Nel corso di quello stesso anno si aggiunsero Giulio Bollati, Paolo Boringhieri, Giorgio Filogamo e Italo Calvino. Cfr. T. Munari, cit., p. XVII (prefazione di L. Mangoni) e pp. 54-56.

82. G. Turi, cit., p. 159.

83. L. Mangoni, cit., pp. 437-438.

84. Ibidem, p. 440 e T. Munari, cit., p. 58.

85. Ibidem, p. 543.

86. Ibidem, p. 550.

87. Ibidem, pp. 543-549.

88. Ibidem, p. 549.

89. Ibidem, p. 552.

90. Ibidem, p. 557.

91. M. Pirani, "Quando il Pci censuro' i poeti russi dell'Einaudi", in "La Repubblica", 22 gennaio 2008, p. 1.

92. G. Turi, cit., p. 231.

93 Nell'immediato dopoguerra l'Einaudi aveva tre sedi: Torino, Milano e Roma. Verso la fine del 1946 venne chiusa la sede milanese, mentre rimasero in attivita' (seppure spesso con profonde divergenze editoriali) sia quella torinese che quella romana.

94. L. Mangoni, cit., 578.

95. N. Ajello, cit.

96. T. Munari, cit. p. XI (prefazione di L. Mangoni).

97. S. Cesari, cit., p. 107.

98. L. Mangoni, cit., p. 585.

99. Ibidem, cit, p. 607: "una posizione da 'Terza generazione', si potrebbe dire, servendosi del titolo della rivista di Scassellati e del gruppo di Balbo di qualche tempo dopo".

100. N. Ajello, cit.

101. Ibidem, cit., p. 605.

102. L. Mangoni, cit., pp. 616-617.

103. T. Munari, cit., pp. 241-248. Si tratta del verbale della riunione editoriale del 23-24 maggio 1951, in cui vengono riportate - ad esempio - le seguenti parole riferibili a Giolitti: "Naturalmente l'orientamento del nostro lavoro va precisato in termini non soltanto esclusivi: Giolitti lo indica in una posizione culturale marxista intesa in senso gramsciano. Tale posizione implica innanzi tutto la necessita' di un lavoro critico, filologico 'positivo': ai libri genericamente ideologici, teorici, saggistici, saranno in ogni caso da preferire libri di fatti, di analisi, di tecnica [...]", p. 246. In realta', gia' nel verbale della seduta editoriale del 12-13 gennaio 1949 si legge: "il 1949 non e' il 1945, quando tutti gli editori si misero a stampare libri politici, e nuovi editori sorsero apposta per stampare libri politici. Nel 1945 sembrava che qualsiasi libro politico fosse buono (e invece non era vero, tanto che tutte le collane politiche sono morte o quasi). Nel 1949, invece, nessuno stampa piu' libri politici, perche' oggi per stampare tali libri bisogna distinguere le opere vive da quelle morte, le opere utili per la presente generazione da quelle inutili, e per scegliere opere vive e utili ci vuole cultura (quella cultura che gli altri editori generalmente non hanno)", p. 65.

104. L. Mangoni, cit., p. 628.

105. N. Ajello, Intellettuali e Pci. 1944-1958. Laterza, Roma-Bari 1979, p. 84.

 

4. MAESTRI. IN MEMORIA DI VLADIMIR JANKELEVITCH

 

Ricorre oggi l'anniversario della scomparsa di Vladimir Jankelevitch, resistente antifascista, filosofo e musicologo, acutissimo indagatore della trama e dei nodi dell'esistenza umana, nitido esploratore ed assertore dei doveri morali che fondano l'umana dignita', il giusto condursi, la civile convivenza.

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Vladimir Jankelevitch, nato il 31 agosto 1903 a Bourges, deceduto a Parigi il 6 giugno 1985, ha preso parte alla Resistenza ed e' stato docente di filosofia morale alla Sorbona, la sua riflessione e le sue ricerche in ambito filosofico, morale, musicale, costituiscono grandi contributi alla cultura contemporanea. Tra le opere di Vladimir Jankelevitch: Henri Bergson, Morcelliana; L'ironia, Il Melangolo; Trattato delle virtu', Garzanti (traduzione parziale); Il non-so-che e il quasi-niente, Marietti; L'avventura, la noia, la serieta', Marietti; Perdonare?, Giuntina; Il paradosso della morale, Hopefulmonster; La coscienza ebraica, Giuntina; Pensare la morte?, Cortina; La menzogna e il malinteso, Cortina. Opere su Vladimir Jankelevitch: un buon punto di partenza e' il fascicolo monografico di "Aut aut", n. 270, novembre-dicembre 1995, Vladimir Jankelevitch. Pensare al margine, a cura di Enrica Lisciani-Petrini, con vari contributi ed un'ampia bibliografia (estratta da questa fonte, la bibliografia delle opere di Jankelevitch apparse in volume e' stata riportata anche ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 413 del 12 novembre 2002).

*

Anche nel ricordo e alla scuola di Vladimir Jankelevitch proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Ogni vittima ha il volto di Abele.

Vi e' una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.

Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVI)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 706 del 6 giugno 2015

 

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