Telegrammi. 708



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 708 del 14 ottobre 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E,
01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Per un 4 novembre di lutto e d'impegno contro la guerra
2. Ivan Bettini: Mio nonno
3. Antonio Bruno: 4 novembre non festa ma lutto
4. Alessio Di Florio: Davanti alle carneficine
5. Giovanni Gadda: Una vita decente a tutti
6. Martina Lucia Lanza: "Il 24 maggio..."
7. Floriana Lipparini: Rompere la barriera del silenzio e dell'indifferenza
8. Gianfranco Monaca: Il sudore del Gethsemani
9. Sergio Paronetto: Inutile strage, pura follia, aggressione che si fa crimine
10. Assunta Signorelli: Mai piu' guerre!
11. Daniela Thomas: Il problema piu' grave
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. PER UN 4 NOVEMBRE DI LUTTO E D'IMPEGNO CONTRO LA GUERRA
[Riproponiamo la seguente breve nota. Per contatti con i promotori
dell'iniziativa "Ogni vittima ha il volto di Abele": Movimento
Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax:
0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org;
Peacelink: e-mail: info at peacelink.it, sito: www.peacelink.it; Centro
di ricerca per la pace di Viterbo: e-mail: nbawac at tin.it, web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/]

Il Movimento Nonviolento, Peacelink e il Centro di ricerca per la pace
di Viterbo propongono a tutte le persone amiche della nonviolenza in
tutte le citta' d'Italia l'iniziativa "Ogni vittima ha il volto di
Abele".
Proponiamo che il 4 novembre si realizzino in tutte le citta' d'Italia
commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre,
commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre
e le violenze. Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine
dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, cessi di essere il
giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi
invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime
delle guerre gli esseri umani viventi esprimono, rinnovano, inverano
l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni,
mai piu' persecuzioni.
Queste iniziative proponiamo che si svolgano in orari distanti e ben
distinti dalle ipocrite celebrazioni dei poteri militari, che quelle
vittime fecero morire. E proponiamo che si svolgano nel modo piu'
austero, severo, solenne: deponendo omaggi floreali dinanzi alle
lapidi ed ai sacelli delle vittime delle guerre, osservando un
rigoroso silenzio...
Facciamo ovunque del 4 novembre un giorno di memoria delle vittime di
tutte le guerre e un giorno di impegno nonviolento per la pace che
salva le vite.

2. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. IVAN BETTINI: MIO NONNO
[Ringraziamo Ivan Bettini (per contatti: ivan.bettini at rcm.inet.it) per
questa testimonianza.
Per un sintetico profilo di Ivan Bettini riportiamo la seguente breve
scheda autobiografica: "Sono nato nel 1964 a Gorgonzola (Mi). Sono
sposato e ho due figli. Sono laureato in filosofia con una tesi su "Il
dovere degli inermi. Guerra e pace nel pensiero di Norberto Bobbio".
Mi sono avvicinato alla nonviolenza a sedici anni, grazie all'incontro
con altri giovani obiettori di coscienza con i quali ho costituito
prima il Collettivo obiettori e poi il Centro per la nonviolenza di
Gorgonzola, che e' stato attivo tra il 1980 e il 1998. Nel 1995 sono
stato tra i fondatori della lista civica "Democrazia e'
Partecipazione", per la quale sono stato consigliere comunale dal 1998
al 2003. Sono socio fondatore della cooperativa MondoAlegre, che
gestisce sette botteghe del mondo, con prodotti del commercio equo e
dell'agricoltura biologica, nell'est milanese. Sono delegato Rsu,
eletto nella lista del Collettivo Prendiamo la parola - Slai Cobas, al
Comune di Milano, dove lavoro dal 1985 come bibliotecario. Non ho la
patente e sono vegetariano". Cfr. anche l'intervista nei "Telegrammi
della nonviolenza in cammino" n. 346]

Il 4 novembre io ricordero' mio nonno. Bettini Cesare fu Abele, classe
1895, contadino analfabeta di Bisentrate, frazione di Pozzuolo
Martesana, nel 1915 venne arruolato in fanteria e spedito al fronte.
Passo' tre anni in trincea, mangiando, d'inverno, pane e neve. Una
sola volta - nell'estate del 1916 - torno' a casa in licenza, per la
fienagione. Cavaliere di Vittorio Veneto, partecipava ogni anno, il 4
novembre, alla sfilata e al pranzo sociale dell'Associazione
Combattenti e Reduci. Ma non  era per lui una giornata allegra. Ogni
volta che nel tardo pomeriggio io e mio padre andavamo a prenderlo
alla Trattoria di vicolo Serbelloni, lo trovavamo ubriaco e in
lacrime. Negli altri giorni dell'anno non si ubriacava mai, neanche a
Natale. Piangeva spesso invece nell'ultimo anno di vita, il 1980,
quando, ormai devastato dalla malattia, la guerra era rimasta il suo
ultimo ricordo e il suo unico argomento di conversazione. Piangeva per
i compagni che aveva visto morire e perche' aveva ucciso. Per questo
il 4 novembre io ricordero' mio nonno. Ricordare mio nonno - ne sono
certo - mi dara' la forza per continuare a vivere e a lottare.

3. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. ANTONIO BRUNO: 4 NOVEMBRE NON
FESTA MA LUTTO
[Ringraziamo Antonio Bruno (per contatti: brunoa01 at aleph.it) per
questo intervento.
Antonio Bruno e' da sempre impegnato nei movimenti pacifisti e
ambientalisti, pubblico amministratore e promotore di rilevanti
iniziative nonviolente a Genova; attualmente e' capogruppo di Sinistra
Europea - Prc al Comune di Genova; impegnato nel "Comitato Verita' e
Giustizia per Genova" e nelle vertenze territoriali liguri contro le
grandi opere e per un diverso modello economico]

4 novembre non festa ma lutto.
A distanza di quasi un secolo dal termine della Grande guerra questo
slogan mantiene una sua verita' piu' sulla necessita' di elaborare il
lutto che sull'oppotunita' di fare festa.
Anche perche' le celebrazioni sono diventate sempre piu' fiacche e
prive di significato.
Non che oggi non si faccia la guerra (vedesi Libia e Afghanistan), ma
non viene piu' esaltata.
Non c'e' piu' un consenso esplicito alla guerra, ma una delega, una
ulteriore perdita di democrazia a cui la societa' occidentale delega
la difesa militare del nostro stile di vita.
E' per questo che ricordiamo con tenerezza e rabbia chi e' morto per
la patria, per avere territori che l'Austria ci avrebbe ceduto (non il
Sud Tirolo pero'), ma vogliamo contestare la guerra e il sistema
politico-industriale che l'alimenta.

4. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. ALESSIO DI FLORIO: DAVANTI ALLE
CARNEFICINE
[Ringraziamo Alessio Di Florio (per contatti:
ciranovagabondo at peacemail.it) per questo intervento.
Alessio Di Florio e' nato nel 1984 in Abruzzo dove vive tutt'ora.
Sostenitore del Movimento Nonviolento e di associazioni e movimenti
impegnati nella solidarieta' internazionale, pacifista e ambientalista
impegnato negli ultimi anni in campagne contro il razzismo e la
violenza istituzionale in Italia (a partire dai Cie), nella denuncia
della devastazione e della speculazione industriale ed edilizia e del
business del malaffare e della malagestione del ciclo dei rifiuti, per
la nascita del Parco Nazionale della Costa Teatina e la difesa
dell'ambiente della costa abruzzese, contro l'infiltrazione mafiosa in
Abruzzo, e in associazioni e movimenti come Pax Christi, l'Arci, il
Wwf, l'Associazione antimafie "Rita Atria", alcune cooperative del
commercio equo e solidale, l'Abruzzo social forum, Noi siamo Chiesa,
Libera ed altri. Collabora con Peacelink, del cui nodo abruzzese e'
responsabile, Unimondo, Girodivite, Censurati.it, Il Dialogo ed altri.
Alcuni suoi articoli sono comparsi anche in altre riviste e siti
internet d'informazione alternativa. Cfr. anche l'intervista in "Coi
piedi per terra" n. 294]

Da ormai molti anni PeaceLink denuncia il carattere militarista e
mistificatorio della realta' storica del 4 novembre, giorno in cui si
dovrebbe esprimere la vergogna e il lutto per l'orrenda carneficina
della prima guerra mondiale, e non festa per una presunta vittoria.
Quindi non puo' che sostenere, partecipare e far conoscere la campagna
"Ogni vittima ha il volto di Abele".
E' quest'anno ancor piu' importante. Nel centesimo anniversario della
prima avventura militare italiana in Libia (se si imparasse che
"historia magistrae vitae" quanto il progresso umano farebbe un balzo
in avanti), nel decimo anniversario dell'inizio della guerra in
Afghanistan e della "guerra infinita", festeggiare una guerra e' un
crimine e un atto disumano. Oggi, come cinquant'anni fa, facciamo
risuonare e ascoltiamo l'appello che Aldo Capitini lancio' al termine
della Marcia Perugia-Assisi: con la nonviolenza diciamo no ad ogni
guerra, bandiamola dal futuro dell'umanita'. E' questo l'unica umana
scelta per commemorare i morti della prima guerra mondiale, per
ricordare i morti di ogni guerra.
Siamo nel pieno di una profonda crisi economica che sta minacciando la
liberta', la dignita' e i diritti di tutti. Sono quindi ancor piu'
scandalosi gli immensi investimenti nella radice di ogni guerra: gli
armamenti.
L'Italia ha speso in dieci anni in Afghanistan quasi 4 miliardi di
euro, nello stesso periodo Emergency con poco piu' dell'1% di
quell'importo ha realizzato tre Centri chirurgici, un Centro di
maternita', una rete di 29 Posti di primo soccorso e Centri sanitari,
curando oltre tre milioni di persone.
Mentre vengono minacciati lo stato sociale e il sistema scolastico,
che tutelano i piu' deboli e il futuro dell'Italia, si continua
sciaguratamente a voler acquistare 130 cacciabombardieri d'attacco
Joint Strike Fighter F-35. Rinunciando ad un solo cacciabombardiere la
Rete Disarmo ha denunciato che si potrebbero costruire 183 asili per
12.810 bambine e bambini. La Rete Disarmo chiede di sostenere la
mobilitazione contro quest'assurda e disumana scelta firmando la
petizione su www.disarmo.org e aderendo su
www.facebook.com/taglialealiallearmi
Il 4 novembre saremo nelle piazze e nelle strade d'Italia anche per
questo. Davanti alle carneficine di oggi e di ieri, a tutte le guerre
e alle loro vittime, una volta per tutte si svuotino gli arsenali e si
riempiano i granai (e si diano risorse per scuole, ospedali, centri
d'accoglienza per i poveri, etc.) come ebbe a dire il compianto
Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

5. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. GIOVANNI GADDA: UNA VITA DECENTE A TUTTI
[Ringraziamo padre Giovanni Gadda (per contatti:
gadda.giovanni at pime.org) per questo intervento che estraiamo da una
piu' ampia lettera.
Padre Giovanni Gadda opera nel centro missionario del Pime (Pontificio
istituto missioni estere) di Milano, ed e' assistente spirituale
dell'Associazione Laici Pime]

Se avessimo dato l'equivalente delle spese belliche ai supposti
"nemici" (sempre creati da noi), avremmo avuto i beni o le terre
invidiate senza vittime e strascichi di odio e dolori: quando
impareremo?
Perche' partiamo sempre dal nostro miope punto di vista e non facciamo
uno sforzo per metterci un po' nei panni degli altri?
E' intelligenza fare una guerra, motivata subdolamente, per dimostrare
che siamo i piu' forti o capaci di vincere coi massacri chi non la
pensa come noi?
Il nostro mondo e' ancora capace di dare una vita decente a tutti. Non
molliamo...

6. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. MARTINA LUCIA LANZA: "IL 24 MAGGIO..."
[Ringraziamo Martina Lucia Lanza (per contatti: menelya at alice.it) per
questo intervento.
Martina Lucia Lanza e' nata nel 1985 in provincia di Verona.
Attualmente svolge il servizio civile presso il Movimento Nonviolento,
sede nazionale di Verona, in cui segue la redazione di "Azione
Nonviolenta". Laureanda di specialistica in "Istituzioni e politiche
dei diritti umani e della pace", facolta' di Scienze Politiche di
Padova]

Il 24 maggio e' una data importante per il fronte austriaco della
prima guerra mondiale, ora so anche perche'. Ma quando andavo alla
scuola elementare era importante per motivi che non conoscevo.
Ricordo bene questa data perche', ogni anno, in questo stesso mese di
ottobre, le maestre ci facevano fare le prove di canto per quando
saremmo andati tutti assieme, con le nostre bandierine tricolore in
mano, a cantare al monumento dei caduti: "Il Piave mormorava calmo e
placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio...".
Ricordo quelle fredde giornate davanti ad una costruzione di cemento,
che ritenevo bruttissima, e i cappotti scuri e pesanti degli anziani
presenti alla commemorazione.
Ricordo anche che non capivo, non capivo perche' dovevamo stare li' e
cosa stavamo cantando, anche se il ritmo era divertente, ma le parole
erano astruse e imparate a pappagallo.
Probabilmente sfruttare la malleabilita' dei bambini, sempre pronti ad
imparare qualcosa di nuovo, aveva come scopo, non troppo celato,
quello di instillare tra i giovani della mia generazione un senso di
appartenenza o di patriottismo.
Fortunatamente non e' bastato imparare quelle canzoncine e io ne sono
la riprova, come lo e' questo mio anno di servizio civile al Movimento
Nonviolento.
Quel lavoro di patriottismo spicciolo sulla mia mente non ha
attecchito, ricordo ancora le parole, come ricordo quelle delle poesie
e le canzoni di Natale imparate sempre a scuola.
Credo sia stato cosi' anche per gli altri bambini che con me
partecipavano a quelle giornate. Tuttavia, per diversi di loro, molto
piu' semplicemente, il 4 novembre rimane una festa comandata, ed ora,
che non e' piu' segnata in rosso sul calendario, non fara' neanche
fare il primo ponte con gli sci ai piedi.

7. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. FLORIANA LIPPARINI: ROMPERE LA
BARRIERA DEL SILENZIO E DELL'INDIFFERENZA
[Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle42 at gmail.com)
per questo intervento.
Floriana Lipparini, giornalista, ha lavorato per numerosi periodici,
tra cui il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche
diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia.
Impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia,
Donne per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha
coordinato negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista
delle donne di Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel
segno del femminile, del pacifismo, dell'interculturalita',
dell'opposizione nonviolenta attiva alla guerra. E' autrice del libro
Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edito nel 2005 in
Croazia da Shura publications in edizione bilingue, italiana e croata,
e nel 2007 pubblicato in Italia da Terrelibere.org in edizione
riveduta e ampliata. Si veda anche l'intervista in "Coi piedi per
terra" n. 389]

Mi sento in colpa.
Mi sento in colpa perche' non so trovare il modo di  rompere la
barriera del silenzio e dell'indifferenza che circonda ormai da tempo
il fatto di stare in un Paese che sta combattendo guerre e ammazzando
civili inermi.
Mi sento in colpa perche' le parole che ho scritto e che scrivo contro
la guerra forse m'illudono - e forse illudono anche altri - di aver
fatto il giusto,  di aver agito contro la guerra.
Mi sento in colpa perche' non trovo la capacita' di interpellare
direttamente, una per una, le amiche pacifiste di un tempo per chieder
loro come mai non riusciamo a ricostruire un movimento che in altri
momenti ha contato, si e' visto sulla scena pubblica, ha preso
iniziative, e oggi sembra dissolto nel nulla.
Mi sento in colpa perche' sugli orrori della guerra in Libia - la
democrazia a suon di bombe sui civili! - non riesco a coinvolgere
nemmeno le donne con cui divido piu' strettamente i pensieri e gli
incontri. E non riesco a spiegare in modo abbastanza convincente alle
amiche piu' giovani che la guerra e' la manifestazione piu' diretta e
potente dell'ordine patriarcale, quindi le riguarda, riguarda la loro
vita e la vita di tutte le donne. Perche'? Non solo perche' si tratta
di un orrore e di una follia che non hai mai risolto nulla ("si vis
pacem para bellum" e' la piu' grande sciocchezza che qualcuno abbia
mai pronunciato) ma perche' legittima e potenzia la violenza maschile,
con cui dovranno fare i conti. E perche' toglie risorse economiche
alla societa' e alla possibilita' di costruire una vita degna.
Mi sento in colpa perche' non riesco a immaginare la strada per
raggiungere le persone giuste, belle, gioiose e indignate che si
stanno finalmente ribellando alle orribili ingiustizie che i poteri
ovunque ci infliggono, e convincerle che e' necessario indignarsi con
la stessa forza anche contro le guerre, e che non lo dimentichino sui
loro cartelli e nei loro interventi.
Mi sento in colpa perche' la stanchezza forse prende il sopravvento
sulla necessaria ostinazione senza la quale nessun obiettivo si
raggiunge.
Mi sento in colpa ogni volta che il pessimismo mi fa dubitare che
abbia senso far parte di una specie vivente convinta di aver raggiunto
alti livelli di civilta', eppure ancor oggi dedita alla violenza e
alla morte in molteplici forme, di cui la guerra e' la piu'
allucinante perche' considerata legittima e giustificata.
Poi capita di ascoltare una musica, leggere uno scritto, guardare un
dipinto, ammirare la bellezza di un luogo, l'armonia di una chiesa, di
una casa, l'inferriata di un balcone, un piccolissimo giardino
seminascosto e selvatico... Capita di vedere parenti o amici prendersi
cura di una persona malata con immenso calore e generosita'... Capita
di scoprire che moltissime persone hanno preso in affido a distanza
bambini privi di qualsiasi risorsa, in luoghi lontanissimi. Capita...
Allora riesco a credere che valga la pena esistere, che la vita su
questo pianeta, che la vita di noi esseri umani abbia senso e ragione.
Ma a quel punto l'assurdita' delle violenze e delle guerre colpisce
ancora di piu'.

8. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. GIANFRANCO MONACA: IL SUDORE DEL
GETHSEMANI
[Ringraziamo Gianfranco Monaca (per contatti: astensis at promotus.it)
per questo intervento.
"Gianfranco Monaca, Asti 31 luglio 1934, Giac responsabilita'
diocesana Asti 1950-54, seminario, ordinazione presbiterale Asti 1959,
animazione pastorale e socio-culturale vari ambienti, pastorale
migranti in Belgio (Seraing) e licence en sciences cathechese a
Luouvain con Francois Houtart 1965-1970, rientro in Asti, animazione
socio-culturale ambiente rurale, intanto laurea sociologia a Torino
con Luciano Gallino, passaggio alla formazione/socializzazione giovani
handicappati (Ial Cisl, poi comune di Asti) 1974-1990, direzione
centro documentazione didattica musei civici Asti 1990-1999
(funzionario comunale), Pensione Inpdap. Attivita' volontariato
editoria e grafica con Ldc Leumann catechesi e biblica per ragazzi,
pubblicazioni varie storia locale, immigrazione, collaborazione a
"Tempi di Fraternita'" (testi e immagini). Attivita' nell'Associazione
culturale Tempi di fraternita' (onlus) prevalentemente sui temi della
sicurezza sul lavoro, immigrazione, riscoperta e valorizzazione del
pensiero alfieriano; in collaborazione con "Noi siamo Chiesa"
promozione della memoria e dell'opera di Ernesto Buonaiuti". Molto
attento alle realta' sociali, politiche e religiose, ha anche fatto
diverse mostre personali e ricevuto numerosi riconoscimenti come
artista (ha esposto la prima volta ad Asti nel 1952); dal sito
www.astilibri.com riprendiamo il seguente piu' ampio profilo
autobiografico: "Sono nato ad Asti il 31 luglio del 1934. Ho scoperto
molto tardi che non era stata una giornata felice per l'Europa: il
cancelliere austriaco Dollfuss fu assassinato quel giorno dai nazisti,
allo scopo di prendere il potere in Austria. Penso che questo fatto
abbia creato un clima avvelenato di paura e di insicurezza che ha
condizionato in un modo o nell'altro la vita della gente in quegli
anni. L'anno dopo la guerra in Africa Orientale per la conquista
dell'impero, nel '36 la guerra di Spagna, nel '38 le leggi razziali,
nel '39 l'invasione della Polonia da parte della Germania nazista, poi
della Francia, del Belgio, dell'Olanda... e l'entrata in guerra
dell'Italia, per potersi sedere al tavolo della "pace" con qualche
centinaio di morti e spartire con la Germania il bottino di guerra.
Avevo cinque anni quando venne ad Asti Mussolini. Ricordo l'aspetto
strano della citta' addobbata con grandi drappi neri e tricolore.
Probabilmente in casa non se ne diceva un gran bene, perche' ricordo
che mi tenevo nascosto al di sotto del davanzale del balcone e avevo
paura di guardare, poi vinse la curiosita'. Il duce passava in piedi
su una macchina scoperta, ma visto dall'alto non era niente di
speciale e mi tranquillizzai. Ma furono pochi attimi. Poi vennero i
tempi dei bombardamenti, degli sfollati, della resistenza. Mio
fratello era partigiano e i miei genitori dovettero darsi alla macchia
per non essere presi come ostaggi. Finche' non mi resi conto di queste
cose non capii perche' in casa nostra si rideva cosi' poco. Riempivo
lunghe ore di solitudine divorando i libri della "Scala d'oro" della
Utet e tentando di disegnare i castelli e i cavalieri di cui
pullulavano quelle letture. Mi mandarono a prendere qualche lezione di
musica dal maestro Baroncini, ma non se ne fece niente; non era affar
mio. Provarono con il professor Rosa e con la pittura e il disegno le
cose andarono meglio, ma l'impegno nelle attivita' delle
organizzazioni giovanili era cio' che mi gratificava di piu'. Dopo la
maturita' classica all'Alfieri frequentai per un anno la facolta' di
architettura a Torino, ma l'impegno sociale e politico mi attirava con
maggiore forza, e piu' ancora il lavoro di riflessione filosofica e
teologica e quello dell'intervento pedagogico. A diciannove anni
decisi di intraprendere gli studi teologici, che portai a termine con
successo. L'attivita' di animazione culturale e pastorale mi andava
bene, mi pareva fosse esattamente quello che avevo sempre desiderato,
purche' l'avessi potuta svolgere con creativita' e fantasia. Questo mi
condusse a inventarmi percorsi nuovi e a vivere esperienze esaltanti:
lavorai per cinque anni in Belgio tra gli emigrati nella cintura
carbosiderurgica di Liegi e conseguii la laurea in scienze religiose
all'universita' di Lovanio nel pieno del periodo della contestazione,
con una tesi di cui fu relatore Francois Houtart, uno dei piu' vivaci
teologi e sociologi del mondo, ancor oggi punta di diamante del
rinnovamento conciliare, irriducibile oppositore del revisionismo e
della normalizzazione. Pubblicai piu' tardi su questa esperienza "Come
alberi che camminano" per l'Editrice Esperienze, a cura dell'Istituto
per la Storia della Resistenza di Asti. Rientrato in Italia, mentre
lavoravo al recupero e inserimento dei giovani handicappati (e ci
lavorai fino al '91, dopo che la struttura passo' alla gestione
comunale), avendo attivato alcuni corsi di formazione professionale
speciale nell'ambito dello Ial-Cisl di Asti, preparai gli esami e mi
laureai nel 1975 in Sociologia a Torino con una tesi sulle
"Centocinquanta ore", istituite per legge nel 1973. Pubblicai
"Bestiario intimo" per le Edizioni Omega, collaborai ad alcune collane
dei Fratelli Fabbri e della Elledici, di argomento pedagogico. Su
invito di Francesco Coppo ho fatto alcune mostre personali e ho
partecipato a lungo, per le cortesi insistenze dello squisito amico
Giovanni Arri jr, alle mostre collettive della Promotrice. Fu un
antico e valente mio insegnante di esegesi biblica, Pietro Daquino, a
coinvolgermi in alcune sue ricerche sulla storia locale e nella
redazione della rivista "Il Platano". Forse era destino, visto che
gia' nel '61 don Alfredo Bianco mi aveva chiesto una piccola
collaborazione per la sua "Asti medioevale". Giovanni Boano, come
presidente della Cassa di Risparmio di Asti, mi affido' il compito di
"raccontare" il duomo, e ne nacque "Asti: un duomo, una citta'" nel
1988. Per la Cassa avevo gia' fatto "La storia di Asti, quasi una
controstoria" e "Vittorio Alfieri", combinando insieme il testo e i
disegni, ma senza produrre un "fumetto" come si intende di solito
questo genere. Dal 1991 questo divento' il mio mestiere, essendo
passato a dirigere il Centro per la documentazione didattica dei Musei
Civici. La citta' mi si veniva presentando come un'immensa
enciclopedia di tutti i saperi, e mi entusiasmava - e ancora mi
entusiasma - scoprire e far scoprire dagli altri (i concittadini e i
giovani innanzitutto) gli aspetti sorprendenti di cio' che
frettolosamente si costeggia ogni giorno senza avvedersene. Che e',
tutto sommato, una metafora della vita stessa. Cosi' ho "raccontato"
la chiesa e il quartiere di San Secondo in "Asti: San Secondo dei
mercanti". E subito dopo ho fatto con Saviolo "Attenzione immigrati",
una serie di epigrammi disegnati di impegno sociale; nello stesso
senso va la mia collaborazione con il mensile "Tempi di fraternita'",
del quale curo particolarmente la pagina dedicata all'"Elogio della
Follia" e che ha pubblicato "Grand Hotel Giubileo", una raccolta di
umorismo grafico. Teologia, sociologia, storia, umorismo grafico e
vita civile sono modi diversi per "incarnare" (con maggiore o minor
successo, ma almeno ci provo) l'eterno nel quotidiano, come agitando
senza sosta un barattolo in cui materia e spirito rischiano
continuamente di separarsi depositandosi a differenti livelli"]

Se il rabbi di Nazaret sudo' veramente sangue nella notte del
Gethsemani, credo che cio' sia avvenuto pensando all'enorme peso della
violenza che in molti modi l'uomo esercita sull'uomo. Qualcosa che
sfida l'onnipotenza divina, perche' sfugge perfino alla sua
possibilita' d'intervento che deve rispettare la nostra liberta'.
Paradossalmente, i violenti sembrano essere gli unici della cui
salvezza possiamo essere del tutto sicuri, se crediamo che la
preghiera di Gesu' sia l'unica che raggiunga infallibilmente lo scopo:
"Perdona loro, perche' non sanno quello che fanno". La follia della
Croce non sta nel fatto che Gesu',  potendo evitarla, si sia
sottoposto alla condanna, ma nel fatto che abbia scagionato i suoi
crocifissori nel  momento stesso in cui lo crocifiggevano. Quando
qualcuno si dichiara non credente e accusa la proposta cristiana di
assurdita', le tonnellate di volumi di apologetica scritti nei secoli
per controbattere tale accusa dimostrano soltanto la propria
inutilita'. Perdonare il violento e' totalmente assurdo e questo e' il
punto piu' discriminante della fede.
O forse no? Infatti, Gesu' avrebbe potuto fermarsi alla prima parte
dell'invocazione, e sarebbe stato sufficiente: "Padre, perdona loro".
Il Figlio sapeva perfettamente che il Padre non avrebbe avuto bisogno
di alcun "perche'"; Gesu', anche in quel momento drammatico si
preoccupa di noi, discepoli dalla debole fede, e sente di dover
motivare la sua incredibile preghiera con una ragione indiscutibile:
"perche' non sanno quello che fanno". Dopo aver ricordato il comando
biblico "Ama il prossimo tuo come te stesso (in quanto e' te stesso,
perche' e' te stesso)", Gesu', sapendo bene che avremmo avuto forti
perplessita' a riconoscere noi stessi nei violenti, aveva aggiunto una
ragione umanamente credibile: "non sanno quello che fanno". Una
ragione elementare, non sono imputabili. Nessun uomo di legge puo'
obiettare alcunche'. Non puo' fare altro che assolvere. Pero'...
Pero' abbiamo bisogno di tribunali funzionanti e giustamente
lamentiamo la paralisi della giustizia, perche' rimane importante
sapere la verita', come chiedono sempre le vittime delle violenze,
siano esse di origine privata che istituzionale, comunque mimetizzate;
e' giusto che la violenza venga portata alla luce del sole e le
vittime vengano risarcite per quanto possibile, anche per escludere il
pericolo che qualcuno si trasformi in aggressore per farsi giustizia
da se' e si prolunghi cosi' la spirale della violenza.
Nel vangelo stesso qualcosa sembra contraddire il perdono
incondizionato invocato sul Calvario: il capitolo 25 di Matteo non
concede alcun perdono ai colpevoli di omissioni: "Non mi avete dato da
mangiare, non mi avete dato da bere...". La condanna e' assoluta, e
non vale la scusa di coloro che "non sapevano". Cosi' come il "non
sapevamo" non guasta la festa di coloro che si sentono premiati per il
loro comportamento amorevole verso gli sconosciuti. Sapere o non
sapere chi sia il destinatario delle nostre azioni e' secondario, e'
il comportamento quello che conta. E l'omissione sembra essere punita
come il peggiore dei delitti.
I morti in guerra sono tutti vittime di una violenza intenzionale? I
bambini soldato sono colpevoli di violenza consapevole? Che cosa si
deve intendere per "guerra"? Esistono guerre sante e a quali
condizioni? Quanti sono morti a causa delle omissioni altrui?
Omissioni di soccorso, ma anche gravi silenzi, omissioni di controllo,
occultamento di notizie, mancate intercettazioni...
Le Sacre Scritture di qualunque tradizione, come tutte le Narrazioni e
la Storia in genere, non si possono usare come un testo di diritto:
sono numerose le pagine che attribuiscono a Dio e agli uomini, con le
migliori intenzioni, atteggiamenti di inaudita violenza e occorre
elaborare la nostra cultura partendo dal messaggio complessivo di pace
che ci viene da un certo modo di intendere la vita e/o le religioni,
cosi' come spetta a noi purificare la nostra ansia di liberta' - che
talvolta e' una "religione laica" - sapendo che anch'essa e' stata
deturpata piu' volte da inaudite violenze.
Le fabbriche di armi sono le sole che non fanno neppure un'ora di
cassa integrazione. Ci lavorano spesso le madri e le mogli dei soldati
che saranno uccisi dai proiettili che loro hanno confezionato. Dieci
euro al mese per adottare una scuola e un prelievo fiscale per
bombardarla? Il dirigente scolastico che concede le aule ai
propagandisti del servizio militare volontario non ha ancora scoperto
la propria corresponsabilita' nelle "missioni di pace" che uccideranno
bambini a diecimila chilometri di distanza? Questo, probabilmente, e'
il sudore del Gethsemani.
Se il 4 novembre sara' un'occasione per stringere le mani di quanti
accettano di interrogarsi sul senso di parole come guerra, giustizia,
fortezza, perdono, vendetta, amor patrio, martirio... avremo fatto un
passo in piu' verso la civilta'.

9. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. SERGIO PARONETTO: INUTILE
STRAGE, PURA FOLLIA, AGGRESSIONE CHE SI FA CRIMINE
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti:
paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo intervento.
Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico "Luigi Einaudi" di
Verona dove coordina alcune attivita' di educazione alla pace e ai
diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il
servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di
Cooperazione internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al
servizio militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo
Mazzolari, di Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera
prima nella selva amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla
Cordigliera assieme al vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano
con cui collabora in programmi di alfabetizzazione secondo il metodo
del pedagogista Paulo Freire. Negli anni '80 e' consigliere comunale a
Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il disarmo e in
gruppi promotori delle assemblee in Arena suscitate dall'Appello dei
Beati i costruttori di pace. In esse incontra o reincontra Alessandro
Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo,
Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e tanti
testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva
gia' conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale e del
cui Centro studi fa parte e di cui attualmente e' vicepresidente
nazionale. E' membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e del
Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto: La nonviolenza
dei volti. Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004.
Una recente intervista a Sergio Paronetto e' nei "Telegrammi della
nonviolenza in cammino" n. 433]

C'e' molta saggezza nelle parole di Benedetto XV del primo agosto
1917: "In si' angoscioso stato di cose, dinanzi a cosi' grave
minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, ne' per
suggerimento od interesse di alcuna delle parti belligeranti, ma mossi
unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comune dei
fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l'opera Nostra e la Nostra
parola pacificatrice, dalla voce stessa dell'umanita' e della ragione,
alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a
chi tiene in mano le sorti delle Nazioni... Siamo animati dalla cara e
soave speranza... di giungere quanto prima alla cessazione di questa
lotta tremenda, la quale ogni giorno di piu' apparisce inutile
strage". Nel 1920, egli pubblica l'enciclica "Pacem Dei munus
pulcherrimum" in cui sviluppa il suo messaggio, inascoltato a partire
dai vescovi e dalle comunita' cristiane, sulla centralita' per tutti i
credenti del "Vangelo di pace".
Qualche anno dopo, solo don Primo Mazzolari, col suo splendido "Tu non
uccidere" del 1955, continua la riflessione, ripresa al Concilio
Vaticano II. Non intendo approfondire la questione delle incoerenze e
delle contraddizioni presenti nella Chiesa cattolica sul tema della
guerra. Vorrei solo ribadire che oggi la guerra non appare e non e'
solo inutile ma e' un fenomeno di pura follia (alienum a ratione, come
dice Giovanni XXIII nella "Pacem in terris" del 1963). Fenomeno
assurdo anche perche' controproducente, costosissimo e feroce.
Basta guardare al decennio trascorso. Dopo tante guerre e imprese
armate il mondo non e' piu' sicuro ne' meno spaventato. Le azioni
militari in nome dell'"antiterrorismo" hanno provocato circa 250.000
vittime in Iraq e Afghanistan e quasi 7 milioni di profughi. In dieci
anni gli Stati Uniti hanno speso tremila miliardi di dollari e perso
settemila uomini. Ad essi bisogna aggiungere quelli della coalizione e
tutte le vittime sconosciute di cui nessuno e' mai riuscito a
conoscere i nomi o a ricostruire le storie. Quanti morti per "non
vincere" il terrorismo, perdere prestigio e aggravare la voragine
finanziaria! Da parte sua l'Italia spende in Afghanistan 700 milioni
di euro ogni anno. In Libia, nei primi tre mesi di guerra, ne ha speso
altrettanti. Nel frattempo continua il progetto dei cacciabombardieri
F 35. Che spreco criminale di risorse! E' aperta anche una "questione
immorale": si sta indagando sull'intreccio tra corsa agli armamenti,
vendita di armi ad alcuni paesi, legami tra alcune aziende italiane,
vertici della politica (qualcuno l'ha definito "il colpo del secolo").
Intanto occorre ribadire che il miglior modo di onorare le vittime
delle guerre e' quello di evitare altre tragedie e di prevenire
ulteriori lutti. Ogni violenza genera altra violenza, ogni attacco
produce un altro attacco. E' assurdo, insomma, come rilevava in Libia
monsignor Martinelli, condurre una "missione di pace" bombardando. Lo
strumento bellico proprio non funziona per la difesa dei deboli o il
ripristino dei diritti violati. Solo la pace con mezzi di pace, cioe'
la nonviolenza, tiene aperta la speranza. Occorre risvegliare tante
realta': l'Europa, l'Onu, il diritto internazionale, il Parlamento
italiano senza una seria politica estera, le religioni che a fine
ottobre si radunano ad Assisi in un "pellegrinaggio di pace", il
movimento ecumenico che a Kingston ha ragionato sulla "pace giusta",
il movimento italiano della pace che nell'ultima Perugia-Assisi ha
diffuso un decalogo utile per una politica di pace non solo assente ma
anche irrisa, la societa', ognuno di noi.
Per i cattolici (e per tutti) ricordo l'appello della Santa Sede nel
lontano 1976: "La corsa agli armamenti, anche quando e' dettata da una
preoccupazione di legittima difesa e' nella realta' un pericolo e
un'ingiustizia per la natura stessa delle armi moderne e per la
situazione planetaria [...]. Questo sistema di relazioni
internazionali, basato sulla paura, sul pericolo, sull'ingiustizia,
costituisce una specie di isterismo collettivo; una pazzia che sara'
giudicata dalla storia. E' un controsenso, perche' e' un mezzo non
proporzionato al suo fine. La corsa agli armamenti non garantisce la
sicurezza [...]. Questa corsa folle mantiene in piedi una pace falsa,
una falsa sicurezza. Diviene un fine anziche' un mezzo, come si
illudeva di essere. Instaura un disordine istituzionalizzato.
Costituisce una perversione della vera pace. In ogni occasione,
opportuna o meno, i cristiani, seguendo il Vicario di Cristo, debbono
denunciare questa preparazione scientifica dell'umanita' alla propria
fine [...]. La corsa agli armamenti si e' trasformata in una corsa ad
aumentare forza al potere. E' gia' attualmente un mezzo per imporre
alle nazioni piu' deboli, e persino ai blocchi antagonisti, il proprio
dominio. E' dunque al servizio di un autentico imperialismo e di un
neocolonialismo e permette alle grandi potenze una nuova spartizione
del mondo [...]. Costituisce in realta' un furto, perche' i capitali
astronomici destinati alla fabbricazione e alle scorte delle armi
costituiscono una vera distorsione dei fondi da parte dei gerenti
delle grandi nazioni o dei blocchi meno favoriti. La contraddizione
manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature
militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (paesi in via
di sviluppo; emarginati e poveri delle societa' abbienti) costituisce
gia' un'aggressione verso quelli che ne sono vittime. Aggressione che
si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro
alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame". Spero che la
prossima Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2012, "Educare
i giovani alla giustizia e alla pace", riprenda tale argomentazione
profetica e ne faccia strumento operativo per tutti.

10. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. ASSUNTA SIGNORELLI: MAI PIU' GUERRE!
[Ringraziamo Assunta Signorelli (per contatti:
assuntasignorelli at libero.it) per questo intervento.
Per un profilo di Assunta Signorelli da un'intervista apparsa nei
"Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 268 riprendiamo la
seguente notizia autobiografica: "Nata nel 1948 sono una femminista
basagliana non pentita e non dissociata con esperienze prima dei
vent'anni nei movimenti dei cattolici del dissenso a Roma e poi del
movimento studentesco alla facolta' universitaria di Medicina, infine
dal '72 lunga marcia dentro le istituzioni totali fondamentalmente a
Trieste ma anche in altri luoghi. Ultima (in ordine di tempo)
esperienza significativa: tre anni in Calabria lavoro nell'istituto
'Papa Giovanni XXIII' di Serra d'Aiello (Cosenza) che per mesi nel
2008 ha occupato le cronache dei giornali, esperienza culminata con
uno sgombero forzato delle persone accolte che mi ha dato la misura di
cosa sia la violenza delle istituzioni del potere contro i deboli.
Militanza femminista, di genere, che nel corso del lavoro si e'
espressa con la costituzione del Centro Donna Salute Mentale che ha
operato dal 1990 al 2002, unica esperienza di lavoro istituzionale di
un servizio pubblico con sole operatrici donne e diretto solo
all'utenza femminile con sofferenza psichica dalle forme piu' leggere
alle piu' gravi. Esperienza conclusasi per una forma di violenza
sotterranea continuamente agita e mai esplicitata da parte della
direzione del dipartimento di salute mentale di cui quel servizio
faceva parte. Dal 1977 lavoro come dipendente del servizio sanitario
nazionale come psichiatra a tempo pieno, e attualmente sono la
responsabile del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura del
Dipartimento di salute mentale di Trieste"]

Nata al sud, cresciuta in una cultura che con la morte come necessita'
per il mondo, come evento naturale che assicura il rinnoversi della
vita, fa i conti tutti i giorni ho sempre provato sgomento e gelo di
fronte alla violenza del genere umano: incomprensibile ed estranea
evoca in me la sensazione della fine e dell'inutilita' di un sentire
ragionevole.
Per questo pensare a chi e' morto in guerra, quelle di ieri e  quelle
di oggi, tante, troppe, mi riporta ad una sensazione d'impotenza ed
inutilita' dell'umano esistere: da sempre lavoro  con i, le "senza"
diritti, denari, salute, e da sempre con loro cerco di capire in che
direzione bisogna andare per costruire un mondo che non abbia bisogno
di guerre, che sappia assumere il conflitto come parte vitale del
vivere e da questo tragga le ragioni ed il senso della costruzione di
luoghi accoglienti e vitali per tutti e tutte.
E allora proprio mentre una "civilta'" fondata sull'esclusione dei e
delle "senza", sullo sfruttamento dei corpi e delle intelligenze,
sulla violenza stupida del piu' forte sta vivendo il suo fallimento e
la sua fine, ritornano alla mente i milioni di copri massacrati dalle
stupide guerre, corpi che non potranno avere requie finche' un sistema
di rispetto e valorizzazione delle differenze governera' il mondo
nelle sue molteplici articolazioni.
Quattro novembre, allora, come giornata del ricordo e della
riflessione non per celebrare vittorie inesistenti ed inutili ma come
impegno ad un mai piu' guerre!

11. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE. DANIELA THOMAS: IL PROBLEMA PIU' GRAVE
[Ringraziamo Daniela Thomas (per contatti: daniela.thomas at ymail.com)
per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera.
In un precedente intervento sul nostro foglio cosi' Daniela Thomas si
presentava: "mi occupo di simbologia del profondo, mitologia, scrivo
(anche se finora ho pubblicato un solo libro di racconti, "Segni di
vita", ed. La Zisa), sono operatrice alla Biblioteca dei Bambini e dei
Ragazzi "le Balate" di Palermo. E di questo sono orgogliosa, perche'
e' la sola biblioteca per bambini che ci sia a Palermo, perche' si
trova in un quartiere molto difficile in cui la violenza e' all'ordine
del giorno sin dal primo istante di vita e perche' andiamo avanti
senza il sostegno delle istituzioni ma con il nostro lavoro e il
sostegno dei privati, e gia' abbiamo 5000 libri. Mi occupo anche, con
un piccolo gruppo di donne che abbiamo chiamato Domodama, di informare
le mamme sull'importanza del parto naturale e dell'allattamento al
seno, che sono il primo gesto nonviolento di accoglienza, eccoti il
link del blog su cui scriviamo (io col nome di Samina):
http://domodama.wordpress.com "]

E' fondamentale, per me, che prendiamo coscienza di noi stessi. Se
riuscissimo a percepire l'importanza e il senso della nostra esistenza
ci attiveremmo tutti.
Io sono profondamente convinta che il problema piu' grave, in questo
momento storico, e' la mancanza di consapevolezza di se': nessuno si
impegna, convinto di essere solo "una goccia nel mare".
Ma dagli antichi saggi sappiamo che ogni goccia e' tutto l'oceano: e'
da ognuno di noi che deve partire, come tu ben sai, ogni possibile
rivoluzione, ogni cambiamento...

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza
individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello
locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato
di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via
il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita'
mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in
armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e
di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla
provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola
cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la
diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso
come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che
sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui
distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza
dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il
rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della
menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di
informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero,
la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la
formazione di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 708 del 14 ottobre 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E,
01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

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