Telegrammi. 623



 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 623 del 21 luglio 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

 

Sommario di questo numero:

1. Alcuni testi del mese di luglio 2006 (parte quinta)

2. Cessate il fuoco

3. Il ministro parolibero

4. Chi li paga?

5. I nipotini di Madre Coraggio

6. Funamboli

7. Una postilla

8. La guerra di sinistra

9. Una tesi

10. Un proclama dell'antico reame di Scaramacai

11. L'opposizione integrale alla guerra

12. Un centenario a Pisa e dieci note

13. Il cavaliere, la morte e il diavolo

14. Quando, quando, quando, quando

15. Judith Malina

16. La "Carta" del Movimento Nonviolento

17. Per saperne di piu'

 

1. HERI DICEBAMUS. ALCUNI TESTI DEL MESE DI LUGLIO 2006 (PARTE QUINTA)

 

Riproponiamo altri testi apparsi sul nostro notiziario nel mese di luglio 2006.

 

2. HERI DICEBAMUS. CESSATE IL FUOCO

 

Cessate il fuoco.

E' la cosa da chiedere allo stato di Israele, anche se i gruppi terroristi continuano a bersagliarne i cittadini.

Cessate il fuoco.

E' la cosa da chiedere a tutte le truppe di tutti gli stati.

Cessate il fuoco.

Il terrorismo non si contrasta con la guerra, che e' essa stessa terrorismo e ostetrica di terrorismo ulteriore.

Cessate il fuoco, aiutate le vittime, salvate le vite.

Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

3. HERI DICEBAMUS. IL MINISTRO PAROLIBERO

 

Riferiscono le cronache di un ministro che avrebbe definito l'impegno nitido e intransigente per la pace con l'aggettivo "suicida". Ritenendo quindi suicida la Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite, e praticamente tutti i grandi monumenti dell'umana civilta'.

Ma quel ministro parlando cosi' forse si sentiva emulo della grande stagione del surrealismo, anzi, meglio: di quel futurismo che predicava, anzi cantava, "la guerra, sola igiene del mondo".

Vorremmo sommessamente fargli notare che e' piuttosto proprio la scelta della guerra che e' omicida, onnicida, e quindi in definitiva anche suicida.

Quella scelta della guerra che dal '99 al 2006 lo ha visto acclamato protagonista (e nei nostri sempre piu' frequenti momenti di umor nero ci vien da chiederci chissa' cosa ne pensano le vittime jugoslave ed afgane, non solo delle sprezzanti parole, ma soprattutto delle gesta guerriere dell'illustre statista).

 

4. HERI DICEBAMUS. CHI LI PAGA?

 

Ah, mi pare di ritornar giovane, quando - mentre facevamo letteralmente la fame - non passava giorno che non ci sentissimo rivolgere dagli arresi al regime dello sfruttamento e della corruzione questo allegro ritornello: "Chi li paga?".

*

Nella mia memoria il primo volantino in cui mi capito' di leggere come l'allora Grande Partito qualificava noi poveri meschinetti della sinistra antistalinista di loschi provocatori al soldo della reazione era della prima meta' degli anni '70: non ricordo piu' in quale campagna elettorale, ma ricordo bene quel titolo roboante, ed infame: "chi li paga?". Poi privatamente i compagni di tante lotte che diffondevano quella sporcizia contro di noi ci dicevano che sapevano bene che erano tutte meznogne e farneticazioni e che anzi eccetera eccetera, ma la disciplina di partito imponeva eccetera eccetera, e si stupivano del nostro sconcerto.

Ce lo dicevano anche mentre eravamo davanti ai cancelli di Montalto per fermare il nucleare (dieci anni di fatica, di blocchi nonviolenti, d'infinite infinite assemblee davanti ai cancelli ed ovunque, di levatacce, e anche qualche colpo proibito - intendo colpi della nobile arte da parte di giovinotti in divisa - che incassavamo con eleganza): ci dicevano che eravamo nemici dello sviluppo, che volevamo ridurre l'Italia alla candela: quanti funzionari non solo dell'Enel ma anche delle organizzazioni burocratiche di massa mi hanno ripetuto questa solfa, ed anche qualche illustre professore che oggi continua ad impancarsi a sacerdote della scienza ed era invece, lui si', al servizio di lorsignori - che da sempre sono generosi con la servitu' che sa stare al suo posto.

Ce lo dicevano quando impedimmo la realizzazione di una devastante superstrada che avrebbe massacrato per sempre il territorio e la vita dell'Alto Lazio: ed eravamo quindi passatisti nemici del progresso al soldo del ritorno al feudalesimo, evidentemente.

Ce lo dicevano quando ci opponemmo alla penetrazione nell'Alto Lazio di imprese e personaggi collegati ai poteri criminali: ed eravamo quindi perfidi "giustizialisti" che volevano addirittura "fare l'analisi del sangue" alle imprese, vergogna, vergogna, e certo eravamo - questa la formula dell'epoca - "khomeinisti".

E ce lo dicevano quando lottavamo per abbattere il manicomio e le altre istituzioni totali in cui il disagio e la sofferenza umana venivano reificate e occultate, e ci si "prendeva cura" delle persone sofferenti chiudendole in gabbia e nei ceppi e sul letto di contenzione: ci dicevano allora che certo in quel nostro voler riconoscere l'umanita' di tutti gli esseri umani, in quel nostro voler contribuire a liberare tutti i dannati della terra, eravamo al servizio di chissa' quale piovra situazionista, e chissa' chi segretamente ci pagava: Ronald Laing? Erving Goffman? Michel Foucault? Frantz Fanon?

E ce lo dicevano quando organizzavamo in Italia la solidarieta' con Nelson Mandela che, se stava in galera, certo qualcosa contro l'ordine costituito doveva pur averla combinata: e ce lo dicevano signori che ancor oggi vengono spacciati per autorevoli voci della pace e della solidarieta'.

Ma ce lo dicevano anche quando ci opponevamo ai missili a Comiso e a tutti i missili a est come ad ovest, e certo lo facevamo per destabilizzare il mondo, poiche' si sa che "si vis pacem para bellum" (dove il latino "para" significa in italiano "prepara").

E ce lo dicevano quando ci battevamo contro le servitu' militari, ed allora sicuramente eravamo nemici dell'occupazione e delle istituzioni, pagati certo da qualche centrale eversiva diretta da qualche cinico e crudele nemico non solo di Capitan America ma anche della Civilta' con la maiuscola: Aldo Capitini? Danilo Dolci? Luce Fabbri?

E nella nostra solidarieta' col popolo cileno martoriato certo eravamo al soldo del Kgb, nella nostra solidarieta' con Solidarnosc perseguitata certo eravamo al soldo della Cia, e cosi' via, direbbe Kilgore Trout.

Che anni, ragazzi.

*

La cosa divertente e' che naturalmente non ci pagava nessuno.

Facevamo quel che credevamo giusto solo perche' lo credevamo giusto, e per quanti anni ho mangiato solo pane e bevuto solo acqua - quando non mi capitava, ma cercavo di non abusarne, di essere invitato a cena da amici o parenti -, ed ho finanche abitato per anni nella sede del nostro piccolo partito, attendendo che finissero le riunioni e dormendo qualche scomoda ora a cavallo dell'alba in stanze ancora annebbiate dal fumo delle altrui sigarette. Non e' stata una storia solo mia: credo che migliaia di persone amiche della verita' e della giustizia, amiche della nonviolenza e della dignita' umana, abbiano vissuto queste esperienze, almeno per qualche mese o qualche anno - per me e' stata la scelta su cui ho giocato la mia vita intera.

E' stata una bella gioventu'. Ma come possono capirlo i prominenti signori che oggi pretendono di rappresentare la sinistra degli umiliati e offesi, loro sempre eleganti, nel cui sguardo leggi la gioia per la carriera e il privilegio conseguiti, e conseguiti mettendosi al servizio ed entrando a far parte del potere che opprime, strangola e vampirizza i nove decimi dell'umanita' e porta il mondo alla catastrofe?

*

Ci voleva questa catastrofe della prostituzione alla guerra di tutta - dicesi tutta - la sinistra (ex-sinistra, in verita') istituzionale, per tornare a sentirmi ripetere quel grazioso motivetto di cui dicevo all'inizio: e cosi' vecchio e malmesso come sono mi e' toccato tornare a ricevere proprio gli stessi improperi di quando ero giovane: e' cambiato solo il medium, non piu' volantini o manifesti o comizi o attivi di sezione, ma e-mail, interviste tv, talk-show. Ne ha fatti di progressi la societa' dello spettacolo.

Ed e' inutile che io e quelli che con me condividono la scelta nitida della nonviolenza rispondiamo: tranquilli, non ci paga nessuno. Non serve rispondere oggi come non serviva allora, tanto chi ti insulta non ti ascolta.

Addirittura simpatiche persone che una volta pur ci facevano tanto di salamelecchi, in questi giorni - ma credo per nascondere a se stessi la gravita' del loro cedimento, e quindi non posso che sinceramente compatirli - hanno pensato bene di associarsi al coro che su orchestrazione del Grande Fratello e con dispendio di effetti speciali proclama ed ossessivamente ripete che per esser noi restati intransigenti nella difesa della Costituzione e nell'opposizione alla guerra, siamo ipso facto complici dei terroristi, complici dei golpisti, complici di ogni nequizia. Ohibo', forse esagerano un pocolino.

Ragazzi, Vico e Nietzsche vi avrebbero offerto gongolanti un gelato, anzi un'intera torta. E' proprio vero che tutto ritorna (e non solo in farsa, ma in tragedia ancora).

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Ma cosa ci rivela tutto cio'?

Che la guerra porta il fascismo, e che chi si appresta a votare per la guerra sente il bisogno anche di farsi totalitario, pretende che nessuno dica la verita', e se qualcuno non si accoda alla consegna del "credere, obbedire, combattere" allora va denunciato come nemico del popolo, come candidato al meritato castigo per indegnita' politica e morale dinanzi al soviet supremo, dinanzi al sant'uffizio, dinanzi alla fabbrica del programma.

Perche' la guerra porta il fascismo: e fa emergere l'autoritarismo, il militarismo e il patriarcato che ognuno si porta anche dentro, e che se cessi di contrastarlo tu per primo in te stesso nuovamente dilaga. Diceva bene il poeta di Augusta di non illudersi di aver vinto per sempre il nazismo, e che il ventre di quella bestia e' ancora fecondo.

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Pensavamo nella nostra beata ingenuita' di spiriti semplici come monsieur Teste che la catastrofe del '99 avesse insegnato qualcosa, e che quel pezzo di sinistra (pardon, ex-sinistra) istituzionale che aveva voluto, deciso, eseguito e sostenuto allora la guerra e le stragi si fosse pentito; invece si e' pentito quel pezzo di sinistra (pardon, ex-sinistra) istituzionale che la guerra non aveva sostenuto allora, e che adesso tutto pimpante rientra nei ranghi e marcia in ordine chiuso naturalmente verso l'immancabile vittoria - votando a favore della guerra e contro la Costituzione a braccetto con Fini e Berlusconi oltre che con Prodi e D'Alema. E cento sofismi non cancellano un fatto.

*

"E' questo il modo in cui finisce il mondo", cantava il coro degli uomini vuoti di Eliot, "non gia' con uno schianto, ma con un piagnisteo".

Ho letto in queste notti il libro postumo e incompiuto del mio antico maestro Franco Fortini recentemente pubblicato da una benemerita casa editrice di Macerata: che gioia, caro Fortini, sentire ancora la tua voce, e che conforto in queste amarissime ore.

 

5. HERI DICEBAMUS. I NIPOTINI DI MADRE CORAGGIO

 

Che triste spettacolo tante nobili ingenui che arrancano al seguito di Prodi e Berlusconi uniti nel sostegno al decreto che rifinanzia la guerra.

Che triste spettacolo tanti ex-militanti della sinistra (o militanti della ex-sinistra, a scelta) che si trovano oggi a votare il decreto che sancisce la continuita' della politica bellica in Afghanistan del nuovo governo con quella del precedente.

Che triste spettacolo l'ennesima violazione della Costituzione, e la protervia con cui si pretende di nascondere il misfatto sotto un cumulo di menzogne e contumelie.

Quanti, che da giovani volevano cambiare il mondo per realizzare giustizia e liberta', oggi hanno votano per la guerra e il totalitarismo, perdendo per sempre il rispetto di se'.

 

6. HERI DICEBAMUS. FUNAMBOLI

 

Riferiscono i mezzi d'informazione umoristiche esternazioni di sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati e sua eccellenza il ministro della Solidarieta' la cui palese funzione reale e' insolentire - e forse peggio - i parlamentari eletti nelle liste del cosiddetto centrosinistra che si oppongono alla guerra e difendono la Costituzione (e quindi giustamente votano contro l'iniquo e delittuoso rifinanziamento della illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra afgana), neppure tanto larvatamente accusandoli, in perfetto stile stalinista, di intelligenza col nemico, e verrebbe da dire, per gli appassionati del genere, di far parte del "blocco dei destri e dei trotzkisti" per usare la formula dei tempi del Breve corso di storia del Pc(b) dell'Urss che i piu' anziani e acciaccati dei lettori certo ricorderanno tanto quanto chi scrive queste righe.

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Addirittura sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati si e' spinto a sostenere - in una intervista sul "Corriere della sera" del 16 luglio 2006 - che quei parlamentari che non sostenessero con assoluta fedelta' il governo (traduzione in lingua corrente della formula "lealta' nei confronti del popolo che l'ha votata per durare cinque anni") dovrebbero abbandonare non solo il parlamento ma addirittura uscire "dalla politica come esercizio della medesima nella sfera delle istituzioni". Applausi. E la deportazione in Siberia?

Forse qualcuno dovrebbe ricordare a sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati e a sua eccellenza il minsitro della Solidarieta' che l'articolo 67 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" (cosi' testualmente, le pompose maiuscole comprese): "senza vincolo di mandato" significa che ogni parlamentare e' libero di votare secondo quanto gli detta la sua coscienza e la sua intelligenza.

E forse non sara' inutile ricordare che sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati e' lo stesso signore che nel 1998 non esito' a far cadere il governo Prodi ben sapendo quali catastrofiche conseguenze questo avrebbe avuto, e che nel 2001 fu elemento decisivo - decisivo - per la vittoria della coalizione golpista berlusconiana.

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Last, but not least: forse non sara' inutile neppure ricordare che approvando e sostenendo il decreto governativo sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero, e quindi di prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana, sua eccellenza il ministro della Solidarieta' ha violato la Costituzione della Repubblica Italiana cui pure aveva giurato fedelta' all'atto di assumere il suo incarico, Costituzione che esplicitamente ed inequivocabilmente proibisce la partecipazione italiana a una guerra come quella afgana.

Ma chi volete che ci faccia caso, a queste minuzie.

 

7. HERI DICEBAMUS. UNA POSTILLA

 

La testimonianza di Nurit Peled vale ovviamente anche per l'opposta e quindi analoga (e sovente assai peggiore) editoria diffusa negli altri paesi dell'area, ed in molte altre parti del mondo.

La lotta contro il razzismo, e l'educazione alla pace e alla convivenza, riguarda l'umanita' intera.

Ci sta a cuore Israele, ci sta a cuore la Palestina, ci sta a cuore la vita e la dignita', la sicurezza e la liberta' di ogni essere umano.

La pace non e' una remota meta: la pace e' la via.

La nonviolenza e' la scelta necessaria.

 

8. HERI DICEBAMUS. LA GUERRA DI SINISTRA

 

La guerra di sinistra uccide ma delicatamente

la guerra di sinistra usa la tortura ma prima chiude la porta

la guerra di sinistra fa le stragi compassionevoli

la guerra di sinistra e' umanitaria e multilaterale

la guerra di sinistra non e' neppure proprio guerra: per questo Berlusconi la vota.

 

9. HERI DICEBAMUS. UNA TESI

 

La nonviolenza e' anche molte altre cose, ma innanzitutto e' lotta politica contro la violenza.

Chi pensa che la nonviolenza sia balocco da psicoterapeuti o ricercatori accademici o mistici in pensione, e la politica invece sia cosa da lasciare ai farabutti che loro si' che sanno come va il mondo, non fa un buon servizio ne' alla nonviolenza ne' alla politica.

Dopo Hiroshima o la nonviolenza si fa giuriscostituente, si pone l'obiettivo e dispiega la capacita' di tradursi in istituti di civile convivenza e in architrave dell'organizzazione anche giuridica ed istituzionale delle relazioni tra le persone, tra i popoli e tra gli stati, o essa e' nulla.

 

10. HERI DICEBAMUS. UN PROCLAMA DELL'ANTICO REAME DI SCARAMACAI

 

A tutti i sudditi sua grazia il gran visir: "Tutti coloro che hanno chiesto o intendono chiedere, che hanno ricevuto, ricevono o sperano ricevere elemosine, incarichi, appalti o altri benefizi dall'augusto governo di questo augusto reame di Scaramacai, si astengano dal dichiarare ai quattro venti quanto questo governo e' ottimo, munifico e pupilla degli dei. Lo sappiamo gia', plebaglia".

 

11. HERI DICEBAMUS. L'OPPOSIZIONE INTEGRALE ALLA GUERRA

 

Ogni giorno questo foglio riproduce come penultimo testo che propone alla riflessione la "carta" del Movimento Nonvolento stesa da Aldo Capitini oltre quarant'anni fa. Come tutte le cose ripetute dopo un po' nessuno la legge piu'.

E allora forse non sara' inutile oggi commettere una ineleganza e chiedere una gentilezza.

L'ineleganza di riprodurla qui in apertura, la gentilezza di leggerla come se fosse una lettera che una persona buona ha inviato proprio a te proprio adesso.

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"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli".

 

12. HERI DICEBAMUS. UN CENTENARIO A PISA E DIECI NOTE

 

Nel centenario della nascita del satyagraha - la proposta gandhiana di lotta contro la violenza con la forza della verita' -, la bella rivista "Quaderni satyagraha" e il benemerito Centro Gandhi di Pisa promuovono un convegno, appunto a Pisa, dall'8 all'11 settembre 2006.

Gli anniversari talvolta sono utili occasioni di bilancio e di rilancio di idee e iniziative. E il cielo sa quanto vi sia bisogno di una piu' profonda e piu' vasta e adeguata ricezione, comprensione e scelta della nonviolenza. Soprattutto in un momento come questo in cui grande e' la confusione delle lingue, ed anche cio' che avrebbe dovuto essere certo viene revocato in dubbio (ad esempio la distinzione tra la guerra e la pace, tra l'uccidere e il salvare, tra commettere il male e compiere il bene, tra violenza e nonviolenza).

Ed anche chi come il sottoscritto non partecipera' al convegno pisano, al quale spera che molte e molti intervengano, ed ai cui organizzatori augura ogni bene, si sente sollecitato a proporre qualche sparsa, breve riflessione. E proponendole da un foglio volante le scrivera' con la leggerezza cui e' mestieri attenersi se letti esser si vuole.

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1. La nonviolenza ovviamente non nasce con Gandhi, e sebbene di essa Gandhi sia una delle figure piu' esemplari ed uno degli artefici maggiori, essa ha fatto le sue prove e dato i suoi frutti in esperienze anche molto lontane da quelle alla tradizione piu' propriamente gandhiana ascrivibili.

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2. La nonviolenza non e' un canone di autori, e men che mai una galleria di autorita' o un reperorio di precetti; e' invece - a noi pare - vasto e complesso un insieme di insiemi.

Di vicende storiche. Di proposte epistemologiche, assiologiche, metodologiche, deliberative, operative, valutative. Di progetti sociali e politici. Di esperienze e di riflessioni, di testimonianze personali e di processi sociali, di movimenti di trasformazione, di pratiche istituzionali, di obiezioni e di codificazioni, di percorsi rivoluzionari e di lente, caute riforme e reintegrazioni. Di ricerca interiore, di pratiche relazionali tra soggetti esistenziali e storici, di negoziati tra persone giuridiche, di appercezione del mondo e di dinamiche di convivenza.

Trovi tracce della nonviolenza in antichi testi sapienziali e nelle moderne costituzioni, e puo' capitare che le trovi dove meno te le aspetti, e viceversa le vedi talora dileguarsi dove pur pensavi di trovarle. La nonviolenza e' anche un atteggiamento di meraviglia e di sobrieta', un saper dire di si' e un saper dire di no.

E di queste molteplici dimensioni della nonviolenza hic et nunc ci preme mettere in particolare evidenza la sua dimensione giuriscostituente: ovvero il fatto che essa sia fondativa e inveratrice di diritto, principio di organizzazione della societa', scelta generativa di strumenti legislativi e finanche di ordinamenti giuridici: politica in senso forte, politeia in senso pieno; ci pare essere questa una decisiva sfida attuale, ineludibile uno dei compiti dell'ora.

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3. Ma la nonviolenza e' in primo luogo ed essenzialmente questo: lotta contro la violenza; lotta sia contro la violenza dispiegata e flagrante, sia contro quella cristallizzatasi in strutture e culture, in modi di produzione e ordinamenti. La nonviolenza si da' solo nella lotta contro la violenza; fuori dalla concretezza - e quindi anche della contestualita' - di questa lotta, nonviolenza non si da'. Poiche' la nonviolenza, che e' riconoscimento di umanita' e amore per il mondo, tale riconoscimento invera e tale amore dispiega nella concreta lotta contro cio' che umanita' denega  e il mondo devasta.

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4. I movimenti storici di lungo periodo che in eta' moderna piu' e meglio hanno inverato e per cosi' dire non solo ampiamente sperimentato, ma inventato nelle sue concrete epifanie la nonviolenza, sono l'esperienza storica del movimento dei lavoratori - ovvero degli oppressi dai rapporti di produzione e di proprieta' dati - nelle varie articolazioni della corrente socialista (dal marxismo all'anarchia), e soprattutto il movimento delle donne.

Certo vi sono state molte altre esperienze, da fondamentali tradizioni religiose alla migliore ecologia, dal movimento dei diritti civili e antirazzista alle esperienze della psichiatria democratica e della lotta alle istituzioni totali, dalle esperienze di lotta anticoloniale a quelle per un'educazione liberatrice, ma le vicende del movimento operaio e contadino, e le vicende del movimento delle donne, ci sembrano particolarmente preziose e aggettanti.

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5. Il femminismo, a parere di chi scrive, nella sua pluralita' di esperienze e riflessioni, e' l'esperienza storica nonviolenta piu' nitida e piu' coerente, la vera e propria "corrente calda" della nonviolenza in cammino.

Della nonviolenza in cammino come pratica di autocoscienza e di liberazione dell'umanita', come scelta di "mettere al mondo il mondo", come "forza dell'amore" operante nel cuore del mondo e della storia, nei luoghi sociali ed esistenziali del produrre e del riprodurre, del preservare e del trasmettere, del soffrire e del generare, dell'incontro e del conflitto, del silenzio ricettivo e del dialogo con le sue intermittenze ed angoscie, dell'etica della cura e della vita activa, e del principio speranza intrecciato al principio disperazione e al principio responsabilita', della nascita nel senso forte arendtiano.

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6. In Italia la nonviolenza grazie ad alcune figure esemplari ed ormai riconosciute (sia operanti in Italia, sia prevalentemente vissute altrove) ma anche grazie a figure non ancora riconosciute nella loro effettuale grandezza (come ad esempio la grande militante e pensatrice anarchica Luce Fabbri, la straordinaria pensatrice e militante della liberazione Franca Ongaro Basaglia) ha sedimentato anche una tradizione specifica.

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7. Ma molti limiti particolarmente penosi questa tradizione specifica della nonviolenza in Italia ha subito. E ad esempio:

a) il misconoscimento della caratterizzazione nonviolenta di pratiche ed elaborazioni che sono tali a tutti gli effetti, ma in relazione a cui i soggetti protagonisti esitano ad accogliere il termine nonviolenza per definirle poiche' sovente coloro che pure la nonviolenza concretamente agiscono subiscono il condizionamento di una visione falsa e stereotipata della nonviolenza, che la caricaturizza come vilta' o rassegnazione, quando invece la nonviolenza e' eminentemente lotta, lotta la piu' nitida e la piu' intransigente contro ogni forma di violenza, di ingiustizia, di oppressione, di menzogna;

b) per quanto concerne invece i movimenti nonviolenti organizzati (sovente piccoli e fin minuscoli, e segnati talora da ingenuita', rissosita', subalternita') ha pesato assai negativamente l'autoghettizzazione in una marginalita' talora persino introiettata e addirittura rivendicata ed esibita;

c) vi e' poi stato il danno provocato dall'uso strumentale e distorsivo da parte di chi riducendo la nonviolenza a repertorio di tecniche ne ha cancellato la dimensione assiologica ed epistemologica (e particolarmente l'esigenza di rigorizzare la relazione tra mezzi e fini), e molto ha contribuito a ridurne la percezione diffusa alla caricatura che tutti sanno;

d) ed infine l'uso a mo' di ideologia di ricambio da parte di partiti e correnti di partito che hanno pensato di poterne strumentalizzare il nome per squallide operazioni trasformiste.

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8. Della nonviolenza chi scrive queste righe propone ad un tempo una nozione ampia ed aperta che include nell'alveo della nonviolenza esperienze e riflessioni anche molto diversificate e fin reciprocamente critiche e confliggenti su punti non marginali; ed ovviamente ne propone quindi una nozione pluridimensionale, plurale, contestuale: la nonviolenza non si da' in vitro, ma sempre nell'intreccio e nel conflitto con la violenza cui si oppone, e quindi e' sempre relativa, storicamente situata, culturalmente condizionata. Non si da' mai solo in luce ma sempre necessariamente anche in ombra, non puo' mai presentarsi senza scorie ma sempre in cammino e in ricerca e in conflitto in primo luogo con se stessa. La nonviolenza e' anche la cognizione delle scelte tragiche di cui consiste l'operare nella societa'.

Ma insieme chi scrive queste righe propone anche una esigenza di rigorizzazione linguistica e concettuale. Muovendo da una comprensione filologicamente adeguata dei termini e dei concetti di ahimsa e satyagraha si puo' e si deve ricostruire un quadro storico e teoretico che ad un tempo colga l'ampiezza delle esperienze storiche e la varieta' delle pratiche concrete - sempre situate, sempre relative - ma insieme definisca una rete concettuale che non dia luogo ad equivoci, stereotipi e caricature.

Ma, ancora una volta, il primato ci sembra che debba essere della prassi: la dimensione conflittuale ed insieme comunicativa, propositiva di alternative relazionali e costruttive nel farsi stesso della lotta contro la violenza e l'ingiustizia, e' il proprium ed il primum della scelta nonviolenta; diciamolo una volta ancora: la nonviolenza e' lotta contro la violenza e la menzogna; al di fuori di questo impegno di lotta essa svanisce.

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9. In Italia oggi si pone il problema dell'uscita della nonviolenza (ovvero delle esperienze nonviolente e delle persone che nella loro pratica concreta reinventano giorno per giorno la nonviolenza) dalla subalternita' nel campo dell'agire politico.

Naturalmente non si tratta affatto ne' di fare un partito in piu', ne' di fondare una corrente rivoluzionaria o riformatrice "entrista" o "separatista"; non si tratta di creare nuove sigle o di ripercorrere strade gia' rivelatesi fallimentari (intergruppi, proclami, propagandismo): si tratta piuttosto di porre all'ordine del giorno per tutte le persone di volonta' buona la scelta della nonviolenza come alternativa, hic et nunc, al disordine costituito, alla catastrofe (bellica, sociale, ambientale) incombente.

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10. Pluralita' e apertura devono caratterizzare questa nostra conricerca, sapendo che ogni persona che alla nonviolenza si accosta lo fa a partire da un suo percorso originale, e che ogni persona che alla nonviolenza si accosta la invera in modo peculiare: la nonviolenza e' anche uno straordinario campo di ricerca, di creazione, e di dialogo, e di incontro. Non e' fusionale, ama le convergenze ma anche le distinzioni, promuove autonomia non unanimismi, unita' non totalitarismo.

Ad esempio chi scrive queste righe si e' accostato alla nonviolenza svolgendo e approfondendo - "al fuoco della controversia" e nel vivo di un impegno di militante politico ovvero altresi' di operatore sociale che si prende cura delle persone concrete nelle concrete vicende - il proprio marxismo critico e antitotalitario, e nel suo esser amico della nonviolenza Rosa Luxemburg ed Hannah Arendt, Simone Weil e Simone de Beauvoir, Virginia Woolf e Rigoberta Menchu', Luce Fabbri e Vandana Shiva contano per molti versi ancor piu' di Mohandas Gandhi e di Martin Luther King; ad esempio chi scrive queste righe e' in dissenso con parti non marginali della proposta di Lev Tolstoj e con parti anche sostanziali di quella di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, da cui pure molto ha imparato: la nonviolenza ha molti volti e molti percorsi.

E sa anche, chi scrive queste righe, che si puo' decidere di diventare persone amiche della nonviolenza non abbandonando i propri precedenti pensieri ma proprio approfondendoli e per cosi' dire rigorizzandoli, pensandoli ancor piu' profondamente.

Per questo si puo' fare la scelta della nonviolenza muovendo dalle piu' diverse opinioni religiose, filosofiche, politiche: si puo' scegliere la nonviolenza perche' si e' socialisti, o perche' si e' liberali, o perche' si e' anarchici, o perche' si e' democratici, o perche' si e' illuministi, o perche' si e' legati alla tradizione; perche' si privilegia l'individuo, o perche' si privilegia la comunita', per le ragioni della giustizia, o per le ragioni della liberta' (o anche per l'intreccio - sempre mobile, sempre plurale - di giustizia e liberta'); o anche perche' si e' buddisti, o perche' si aderisce all'ebraismo, o al cristianesimo, o al'lislam, o ad altre fedi ancora, o perche' si ha un visione materialistica del mondo. E tutto questo ci pare sia un bene, la nonviolenza e' anche, appunto, "convivialita' delle differenze".

*

Il convegno pisano puo' costituire una buona opportunita' di incontro e di dialogo, di franca, fraterna e sororale discussione. Ovviamente da solo non basta. Gia' e' previsto e in preparazione dopo di esso un altro incontro di riflessione - promosso da un assai tempestivo e opportuno appello di Mao Valpiana e sul quale stanno gia' ragionando e lavorando vari amici del Movimento Nonviolento - specificamente sulle proposte per una politica nonviolenta, che sviluppi e precisi la riflessione avviata nell'incontro fiorentino dello scorso maggio (e prosegua il percorso di cui una tappa essenziale e per cosi' dire suscitatrice e' stata la marcia Perugia-Assisi specifica per la nonviolenza del 2000).

Ci pare sia giunto da tempo il momento che la nonviolenza esca da ogni subalternita' (era giunto gia' alla fine degli anno '70 del secolo scorso, in verita'; ed anzi - per dirla tutta - Aldo Capitini lo aveva capito con straordinaria preveggenza ancor prima quando fondo' il Movimento Nonviolento come sviluppo delle precedenti esperienze affinche' fosse riferimento e fomite, "centro" della politica della nonviolenza che avvertiva ormai come una ineludibile necessita' storica - e cosi' gia' Gandhi dopo Hiroshima).

E ci pare sia giunto da tempo il momento che la nonviolenza esca da ogni ambiguita': sappia essere davvero "aggiunta" specifica ed insieme chiarificazione e rottura necessaria - poiche' solo nella rottura si da' ricomposizione, e solo nella resistenza al male si costruisce il bene, e solo nell'opporsi alla menzogna si istituisce verita', e solo salvando le vite si impedisce che siano distrutte: il pacifismo parastatale e carrierista e quello militarista e totalitario hanno fallito e non potevano non fallire giunti alla prova: solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

 

13. HERI DICEBAMUS. IL CAVALIERE, LA MORTE E IL DIAVOLO

 

1. Lo stato delle cose

Il governo in carica (espressione della coalizione cosiddetta di centrosinistra) ha deliberato un decreto che conferma l'illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra afgana. Alla Camera dei Deputati tale decisione e' stata approvata con il voto di tutte le forze politiche, essendosi riconosciuta nel decreto anche tutta la coalizione cosiddetta di centrodestra; solo quattro deputati hanno votato no alla guerra e alla violazione della legalita' costituzionale.

La partecipazione militare italiana alla guerra afgana e' in esplicito e totale contrasto con l'art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, che non solo "ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli", ma la ripudia altresi' "come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (sapevano bene, i costituenti, che tutti gli aggressori e tutti gli assassini amano presentarsi come "pacificatori"); il ripudio della guerra e' talmente forte che l'Italia consente anche "alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni" e "promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo" (lo ricordiamo perche' alcuni mascalzoni - ed alcuni sprovveduti da loro ingannati - hanno pensato di poter citare la seconda parte dell'art. 11 sostenendo che significasse l'esatto contrario della prima parte, mentre come e' ovvio ne e' estensione e conseguenza).

Indipendentemente da ogni altra considerazione basterebbe questo semplice riferimento alla lettera della Costituzione della Repubblica Italiana a rendere superflua ogni discussione ulteriore. La partecipazione italiana alla guerra afgana e' proibita dalla Costituzione: ed il fatto che una maggioranza parlamentare eversiva negli anni scorsi abbia reiteratamente violato la Costituzione non autorizza a proseguire nel delitto. Punto.

Basterebbe gia' questo, ma e' sempre meglio saperne anche di piu': e allora sara' opportuno leggere le testimonianze dall'Afghanistan per sapere cosa li' stia veramente accadendo (in particolare i volontari di Emergency si sono molto impegnati a tal fine - ed alcuni loro interventi abbiamo riprodotto nei giorni scorsi anche su questo foglio): come continuino la guerra e le morti, e come la presenza militare italiana sia parte della macchina della guerra, della coalizione che fa la guerra, e quanto necessario sia invece impegnarsi per la cessazione della guerra, per il disarmo di tutte le parti, per recare soccorso a tutte le vittime, per sostenere chi lotta senza armi e senza violenza contro i poteri criminali, per i diritti umani e la democrazia.

La macchina propagandistica bellica ha cercato ancora una volta in queste settimane di ingannare l'opinione pubblica italiana, occultando la realta' della guerra e addirittura pretendendo di far credere che il rifinanziamento della partecipazione militare italiana alla guerra afgana fosse una scelta di pace.

Non solo: vi e' stato altresi' il tentativo (infame tentativo, e peraltro largamente riuscito) di nascondere la realta' della gravissima violazione della legalita' costituzionale.

Ed infine si e' cercato di intimidire - con diffamazioni persino umoristiche nella loro scellerata protervia - i parlamentari che hanno annunciato la volonta' di opporsi alla guerra e di difendere la Costituzione (addirittura accusandoli di "fare il gioco del nemico" e simili scempiaggini, che del resto sono le medesime scempiaggini che ogni potere autoritario diffonde contro chi non accetta di adeguarsi alla sua violenza - e la scelta della guerra e' sempre la scelta della violenza).

Questa e' la realta' dei fatti.

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2. Paralipomena

E non ci interessa aggiungere qui molto altro. Che pure si potrebbe aggiungere.

Ad esempio alcuni hanno messo in rilievo come da un sondaggio condotto da un autorevole istituto di ricerca per conto di uno dei piu' prestigiosi quotidiani italiani si evincerebbe che la maggioranza del popolo italiano sia contro la guerra e a favore della cessazione della partecipazione militare italiana a quella in corso in Afghanistan. Ci conforta, certo, ma anche se l'intero popolo italiano fosse stato a favore della guerra afgana, la partecipazione italiana ad essa sarebbe restata illegale e criminale; ed anche se una sola persona si fosse opposta alla guerra avrebbe avuto ragione quella sola persona: ed e' per questo che l'Italia e' una repubblica fondata sulle leggi: perche' anche se l'intero popolo venisse ubriacato, ingannato ed abbrutito, la Costituzione resterebbe presidio di verita' e di giustizia, e quel popolo - pur ubriacato, ingannato ed abbrutito - preserverebbe comunque dal precipitare nel baratro (certo, se la Costituzione venisse rispettata e fatta valere).

E tuttavia il fatto che sia ragionevole supporre che la maggioranza del popolo italiano sia per la pace e per la cessazione della partecipazione italiana alla guerra afgana, ebbene, la dice lunga almeno sul fatto che le decisioni scellerate assunte da ristrette oligarchie (i vertici dei partiti che tutti - da An al Prc - hanno imposto alla Camera il voto a favore della guerra in violazione della Costituzione) potranno pur trovare una complicita' pressoche' totalitaria in un parlamento umiliato e sopraffatto, ma non nel popolo italiano.

E ancora: ha detto bene il senatore Fernando Rossi nel testo sopra riportato che  "la missione Isaf non e' piu', se mai lo e' realmente stata, una 'missione multilaterale Onu di pace' ma si e' fusa con 'Enduring Freedom' (missione unilaterale di guerra decisa e voluta dalle gerarchie militari e dal presidente degli Stati Uniti)", poiche' "nell'agosto 2003 la missione Isaf si trasforma da missione Onu a missione a comando Nato: alleanza militare formalmente in guerra a fianco degli Usa, in virtu' di un improprio richiamo all'art. 5 del Trattato dell'Alleanza del Nord Atlantico"; e giustamente ricorda che "come ha spiegato il generale Fabio Mini (ex comandante della missione Kfor in Kosovo) le forze Isaf, nel 2005 e nel 2006, si sono trovate impegnate a fianco, ed al posto delle forze Usa, in operazioni di 'bonifica', ovvero nella guerra ai talebani", e che "nei primi sei mesi del 2006, la 'missione di pace' ha prodotto 2500 morti afgani e 84 militari Nato e Usa, ed e' a tutti noto che, per coprire il fallimento militare (e morale) della loro guerra, hanno gia' deciso una escalation (aumentarne  l'ampiezza e la potenza distruttiva)".

E quanto alla bubbola che chi si oppone alla guerra e difende la Costituzione e' un complice della destra golpista, suvvia: Berlusconi e tutta la sua coalizione hanno votato alla Camera dei Deputati a favore del decreto, puntigliosamente ed orgogliosamente  rivendicando la continuita' di esso con la loro politica bellica (e per quanto possa suonare davvero incredibile, almeno per una volta dicevano la verita').

E del resto nessun governo puo' pensare che gli sia lecito violare la Costituzione.

Se il governo espressione della maggioranza parlamentare del cosiddetto centrosinistra vuole essere fedele al giuramento di fedelta' alla Costituzione effettuato da ciascuno dei suoi ministri nelle mani del Presidente della Repubblica all'atto di assumere l'incarico, disponga che l'Italia cessi di partecipare alla guerra afgana e ritorni nell'alveo della legalita'.

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3. La guerra porta il fascismo (anche in camicia arcobaleno)

Tra la scelta della guerra e il dispiegarsi dell'autoritarismo e fin del totalitarismo vi e' un nesso evidente: le persone che sostengono la guerra non sopportano che possano esistere persone che alla guerra si oppongono: e' per questo che secondo i guerrafondai e i loro complici coloro che si oppongono alla guerra devono essere marchiati d'infamia, giacche' se si oppongono alla guerra devono avere inconfessabili motivi, abominevoli mandanti, colpe mostruose.

La rappresentazione di questo spettacolo abbiamo visto darsi anche in queste settimane: invece di chiedere conto del loro agire ai ministri e ai parlamentari che hanno decretato e sostenuto la scelta della guerra e della violazione della legalita' costituzionale, la macchina della propaganda ha cercato di accusare di inauditi quanto immaginari misfatti quei parlamentari che alla guerra si oppongono e che al dettato costituzionale si tengono fedeli (e che sono almeno in questo in sintonia col sentire di tanta parte - probabilmente l'assoluta maggioranza, come sostiene quel sondaggio - del popolo italiano che e' stanco di vedere il nostro paese trascinato in guerre sciagurate, ed e' ancora piu' stanco di vedere cittadini italiani in divisa tornare a casa chiusi nelle bare).

In un ordinamento giuridico fondato sul riconoscimento dei diritti e della dignita' delle persone vi e' un nesso tra pace, democrazia, legalita': la guerra travolge la democrazia e precipita nell'illegalita'. E senza legalita', senza democrazia, senza pace cessa la civile convivenza, e solo la barbarie prevale, e la morte. La guerra e' sempre nemica dell'umanita'.

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4. Da un breve corso di diritto pubblico

E per farla finita con una scempiggine propalata troppo a lungo dai propagandisti della guerra ricordiamo anche quanto segue.

In Italia il governo e' espressione di una maggioranza parlamentare (le elezioni politiche in Italia eleggono il parlamento, non il governo): l'attuale maggioranza parlamentare e' frutto della vittoria elettorale di una coalizione che si e' caratterizzata sia come contrapposta all'illegalitarismo della destra eversiva, sia per aver lungamente sostenuto di essere in sintonia con l'impegno per la pace e contro la guerra (ed infatti almeno alcune delle forze politiche presenti nell'attuale maggioranza parlamentare negli anni scorsi si sono costantemente espresse - ed hanno costantemente votato - contro il periodico rifinanziamento della partecipazione militare italiana alla guerra afgana).

Chi sta venendo meno agli impegni assunti con l'elettorato?

E' chi difende la Costituzione e si oppone all'eversione, o e' chi viola la Costituzione e si fa complice dell'illegalitarismo della destra eversiva?

E' chi si oppone alla guerra e alle stragi oggi come ieri, o e' chi decreta la prosecuzione della partecipazione alla guerra e alle stragi?

Non solo: i ministri che hanno giurato fedelta' alla Costituzione, come conciliano quel loro giuramento con la violazione della Costituzione commessa all'atto dell'approvazione del decreto che dispone la prosecuzione di una guerra illegale e criminale?

E infine: come e' ammissibile che un Presidente della Repubblica intervenga ripetutamente per condizionare il Parlamento affinche' si esprima a favore della guerra e contro la Costituzione?

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5. I diritti umani presi sul serio

Il primo diritto umano e' quello di non essere uccisi. La guerra ne e' la piu' flagrante e feroce violazione. Deliberare la prosecuzione della partecipazione alla guerra significa far morire degli esseri umani.

Altro occorre fare per la popolazione afgana: occore recare solidarieta' alle vittime della guerra: innanzitutto cessando di partecipare alla guerra ed impegnandosi per la pace. Cessando di finanziare la guerra e finanziando invece interventi umanitari: quanti ospedali come quelli di Emergency era possibile realizzare con i soldi spesi per finanziare la partecipazione militare italiana alla guerra?

C'e' bisogno di aggiungere altro?

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6. L'aggiunta nonviolenta

Tutto quanto precede naturalmente prescinde da ogni riferimento alla nonviolenza.

Non c'e' infatti bisogno di essere persone amiche della nonviolenza per ritenere che la pace sia un bene e la guerra sia un male, che la Costituzione sia cosa  buona e la sua violazione sia cosa cattiva, per preferir salvare le vite umane anziche' sopprimerle, per preferire le leggi alla violenza assassina.

Per le persone amiche della nonviolenza le cose sono piu' semplici ancora, essendo uno dei convincimenti fondamentali di esse che la guerra sia sempre un male e che ad essa sempre occorra opporsi.

Sono infiniti i luoghi in cui tutte le maestre e tutti i maestri della riflessione e dell'azione nonviolenta ribadiscono questa tesi fondamentale, e del resto essa e' nota anche al piu' sprovveduto degli orecchianti: la nonviolenza si oppone alla violenza; la nonviolenza si oppone alle uccisioni; la nonviolenza si oppone alla guerra.

Scrive Aldo Capitini nel documento fondativo del Movimento Nonviolento che la prima delle "fondamentali direttrici d'azione del Movimento Nonviolento" e' "l'opposizione integrale alla guerra".

In Afghanistan e' in corso una guerra cui l'Italia sta illegalmente partecipando; la nonviolenza si oppone alla guerra, ergo si oppone anche alla illegale partecipazione italiana ad essa. E davvero non c'e' nulla da aggiungere. Quando le cose sono semplici non c'e' bisogno di complicarle, come sapeva quel barbiere Guglielmo che teneva bottega in Occam.

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7. Perche' certo e' un gran perche'

"Il cavaliere, la morte e il diavolo" e' uno dei capolavori (degli innumerevoli capolavori) di Albrecht Duerer. E' un'opera che non ha mai cessato d'interrogarmi, e nella mia gioventu' ne ho posseduto una riproduzione ed ho passato ore e notti a compulsarne ogni dettaglio con una lente d'ingrandimento (poi in uno dei miei traslochi ho perso sia quella riproduzione che la lente d'ingrandimento, pazienza; ma ho conservato la monografia di Panofsky, e l'Apocalypsis cum figuris). Cosa significa quel cavaliere? Cosa significa quella morte? Cosa quel diavolo? Cosa quel cane, cosa quel cavallo, quella citta' lontana sul monte, sullo sfondo oltre la selva selvaggia ed aspra e forte? Cosa ci dice, cosa ci chiede l'umanista che ha inciso questa immagine in cui ti specchi in sgomento e in orrore, in dolore e in tensione, in orgoglio e umilta'? A quale fermezza, a quale ripulsa, a quale accettazione, a quale rivendicazione, a quale coscienza "sofferta con anima e corpo" ti  convoca ancora?

 

14. HERI DICEBAMUS. QUANDO, QUANDO, QUANDO, QUANDO

 

Quando la guerra la fanno i palestinesi, sono terroristi.

Quando la guerra la fa lo stato di Israele, e' terrorista.

Quando la guerra la fanno i ceceni, sono terroristi.

Quando la guerra la fa la Russia, e' terrorista.

Quando la fanno gli Usa, la Nato e l'Italia, allora e' civilta' e democrazia.

 

15. HERI DICEBAMUS. JUDITH MALINA

 

C'e' un testo di Judith Malina, le sue Note di regia a The Brig (in Kenneth H. Brown, La prigione, Einaudi, Torino 1967, 1977, pp. 83-106), che quando le leggesti la prima volta subito ti apparvero un testo capitale.

Sono non molte pagine, che possono essere lette ad un primo livello come un eccellente testo tecnico di drammaturgia come metacomunicazione. Ma possono essere lette altresi' come un manifesto politico libertario, un acuto saggio sociopsicoantropologico, e come un appello alla scelta nonviolenta consapevole di se' e dell'altro proprio nell'acuta percezione e nella presa in carico dell'affrontamento pieno e rigoroso delle dinamiche e delle strutture della violenza.

Come i grandi scritti analitici e teorici del suo maestro Piscator, del suo amato Artaud, come quelli di Brecht, e' un testo aggettante, pluridimensionale, aperto, che interroga e convoca al dibattere senza reticenze, al deliberare in comune, e all'azione che riveli ed illumini, che liberi e riscatti, che rompa le catene esterne e quelle interiorizzate, che riconosca e quinde resusciti umanita'.

Ed e' anche, tra l'altro, una sorta di piccolo manuale portatile di addestramento all'ermeneutica nonviolenta, indispensabile primo passo per giungere all'azione diretta nonviolenta.

Judith Malina, artista ed intellettuale, militante anarchica e femminista, maestra di nonviolenza.

 

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

 

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.

Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:

1. l'opposizione integrale alla guerra;

2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;

3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;

4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.

Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.

Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

 

17. PER SAPERNE DI PIU'

 

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 623 del 21 luglio 2011

 

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

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