Nonviolenza. Femminile plurale. 374



 

==============================

NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

==============================

Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 374 del 22 giugno 2011

 

In questo numero:

1. Il 23 giugno a Blera una conferenza di Giselle Dian su "Keith Haring, segno artistico e impegno civile"

2. Alcuni estratti da "Keith Haring: segno artistico, gesto esistenziale, impegno civile" di Giselle Dian (parte quarta)

 

1. INCONTRI. IL 23 GIUGNO A BLERA UNA CONFERENZA DI GISELLE DIAN SU "KEITH HARING, SEGNO ARTISTICO E IMPEGNO CIVILE"

[Dalle amiche e dagli amici della cooperativa "Il Vignale" di Blera (per contatti: tel. 3475988431 - 3478113696, e-mail: ilvignale at gmail.com) riceviamo e diffondiamo.

Giselle Dian, studiosa di fenomeni artistici e comunicazione multimediale, collaboratrice del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta"; nel 2010 ha realizzato un ampio studio su Keith Haring dal titolo "Keith Haring: segno artistico, gesto esistenziale, impegno civile", per il quale ha anche effettuato una serie di interviste a varie personalita' di vari campi del sapere (critici d'arte, filologi, filosofi, psicologi, sociologi, storici, operatori sociali, studiosi dei nuovi linguaggi artistici e dei media...). Ha pubblicato saggi, interviste e recensioni sul quotidiano telematico "La nonviolenza e' in cammino".

Keith Haring nasce il 4 maggio 1958 a Reading in Pennsylvania; primo ed unico maschio di quattro figli. Il padre e' il caporeparto di una societa' elettrica mentre la madre e' casalinga. In occasione della visita all'Hirshhorn Museum a Washington ammira le opere di Andy Warhol, che lasciano in lui una profonda traccia. Nel 1976 si iscrive all'Ivy School of Professional Art di Pittsburgh scegliendo l'indirizzo di grafica pubblicitaria, ma dopo i primi due semestri abbandona la scuola dedicandosi solo ed esclusivamente all'arte. Nel 1978 si trasferisce a New York, citta' che gli avrebbe offerto maggiori possibilita'. Qui si iscrive alla School of Visual Arts (Sva). Cerca il contatto con il pubblico esponendo i suoi disegni in locali pubblici e per le strade. Stringe rapporti di amicizia con artisti come Kenny Scharf e Jean-Michel Basquiat. Dal 1980 attira l'attenzione con i subway drawings, ovvero decorando gli spazi pubblicitari liberi all'interno della metropolitana di New York. Decide in seguito di lasciare la Sva e comincia ad organizzare diverse mostre collettive al Club 57 e al Mudd Club. Nel 1982 Tony Shafrazi diventa il gallerista di Haring. Per la sua prima personale l'artista fa uso per la prima volta di quadri di grande formato. I contatti con il panorama della pittura murale lo avvicinano a LA II, un giovane graffitista con il quale collabora. In poco tempo la sua fama cresce e viene conosciuto nei Paesi Bassi, in Belgio, in Giappone. In Italia espone alla galleria Lucio Amelio di Napoli. L'artista tiene lezioni di disegno presso le scuole di New York, Amsterdam, Londra, Tokyo e Bordeaux. Nel 1985 espone per la prima volta le proprie sculture in acciaio e alluminio alla Galleria di Leo Castelli di New York. In questo periodo cresce il suo impegno politico e si schiera contro l'apartheid. Nel  1986 apre il primo Pop Shop a Soho con l'obiettivo del contatto con il pubblico. Dopo aver contratto l'infezione da Hiv realizza dipinti sempre piu' duri e taglienti affiancati da un impegno legato alla ricerca contro l'Aids. Durante gli ultimi anni di vita esegue pitture murali a Barcellona, Chicago e Pisa, dove dipinge una facciata della Chiesa di Sant'Antonio con il murale intitolato "Tuttomondo". In questi anni crea una fondazione che ha il compito di promuovere progetti per l'infanzia e sostenere le organizzazioni impegnate nella lotta contro l'Aids. Haring muore di Aids il 16 febbraio 1990. Tra gli scritti e le interviste di Keith Haring: Diari, Mondadori, Milano 2001, 2007; L'ultima intervista, Abscondita, Milano 2010; tra le opere su Keith Haring: Renato Barilli, Haring, "Art dossier" Giunti, Firenze 2000; Alexandra Kolossa, Keith Haring, Taschen, Koln 2005; Christina Clausen, The universe of Keith Haring, Feltrinelli, Milano 2010 (libro + dvd); un sito di riferimento: Keith Haring Foundation, www.haring.com]

 

Giovedi' 23 giugno 2011, alle ore 17,30, presso la biblioteca comunale di Blera (Vt), in via Roma n. 61, la Cooperativa agricola "Il Vignale" organizza una conferenza pubblica su "Keith Haring, segno artistico e impegno civile".

Relatrice la critica d'arte Giselle Dian.

*

Cooperativa agricola "Il Vignale"

Per informazioni: tel. 3475988431 - 3478113696; e-mail: ilvignale at gmail.com

 

2. MATERIALI. ALCUNI ESTRATTI DA "KEITH HARING: SEGNO ARTISTICO, GESTO ESISTENZIALE, IMPEGNO CIVILE" DI GISELLE DIAN (PARTE QUARTA)

 

- Giselle Dian: L'opposizione alla bomba atomica ha caratterizzato la seconda meta' del Novecento; negli ultimi decenni essa si e' sviluppata anche contro le centrali nucleari, cogliendo una serie di decisivi nessi ed implicazioni. Quali sono state le esperienze cruciali e quali sono le riflessioni fondamentali del movimento antinucleare?

- Valeria Ando': Anche se i governi "rassicurano" sulla sicurezza delle centrali nucleari, non e' ancora dimenticato il disastro di Cernobyl, persiste il rischio di malattie per un ampio raggio di distanza, e soprattutto il problema delle scorie ci espone alla illegalita' delle mafie internazionali.

- Anna Bravo: La consapevolezza che non ci si salva da soli. La critica delle scienze, il concetto di limite. Una sana diffidenza verso i governi, lo smascheramento di molte menzogne.

- Augusto Cavadi: Qui in Sicilia la fase cruciale e' stata costituita dalle lotte contro l'installazione dei missili a testata nucleare a Comiso, in quel di Ragusa. Oggi la zona e' denuclearizzata, ma sarebbe esagerato attribuire solo a quelle campagne il merito del risultato. Molto piu' decisivo e' stato il mutamento del quadro internazionale in seguito all'implosione del sistema sovietico. Credo che Gorbaciov sia uno dei massimi politici di tutti i tempi (anche se, mi pare, ci stiamo dimenticando di lui troppo presto).

- Giancarla Codrignani: Del nucleare "civile" si e' fatta esperienza a Chernobyl: anche in Italia si dovette sospendere di mangiare verdura. Cito il piu' banale degli effetti e la piu' femminile delle esperienze. Forse dobbiamo prendere atto delle nostre incapacita': non c'e' una cultura cosi' profonda da produrre un movimento unitario europeo. I principi sono noti, ma in Italia il governo pensa di installare centrali mentre quelli che gia' le posseggono incominciano a smantellarle. Tanto piu' che le energie alternative sarebbero un grande business.

- Andrea Cozzo: Hiroshima e' stato il simbolo della follia della guerra, come Chernobyl lo e' stato della follia del nucleare. Del resto, benche', per cosi' dire, in ordine logico inverso, guerre e nucleare hanno gli stessi effetti: l'atomica uccide gli esseri umani e il pianeta, come le centrali nucleari uccidono... il pianeta e gli esseri umani. Le lotte di Comiso, in Sicilia, all'inizio degli anni '80, sono state uno dei momenti piu' alti di questa convergenza tra il movimento ecologico e quello nonviolento: manifestazioni mondiali mostrarono con chiarezza, da allora a Porto Alegre e fino ad oggi, la capacita', da parte dei movimenti di trasformazione sociale, di "pensare globalmente, agire localmente" - di coniugare, cioe', una visione complessa e reticolare della realta' con un'azione concreta e articolata in diversi punti della Terra.

- Angela Dogliotti Marasso: Il movimento antinucleare ha esordito contro l'orrore della possibile distruzione del genere umano ad opera della bomba atomica. Questo evento, che ha segnato una tappa negativa nella storia umana, ha reso indispensabile un ripensamento a diversi livelli, due in particolare: nella politica internazionale, rendendo sempre piu' evidente la necessita' di trovare alternative alla guerra per risolvere i conflitti; nel rapporto scienza-tecnologia-societa' mettendo in discussione il paradigma positivistico di progresso inevitabile attribuito alla scienza. Cosi', anche l'applicazione "pacifica" dell'energia nucleare ha rivelato la sua omogeneita' ad un modello sociale centralizzato, energivoro, dilapidatorio di risorse, e ha reso attuale la ricerca gandhiana di un modello economico ecologico e controllabile dal basso.

- Elena Liotta: Credo che tre esperienze abbiano fortemente inciso nella cultura giovanile del secondo dopoguerra europeo: il nazismo e gli orrori del genocidio, la bomba atomica di Hiroshima e la divisione della Germania con il muro di Berlino. Scissioni, violenza, distruzione, ceneri. La guerra fredda e la persistente paura di una nuova guerra atomica erano l'incubo degli anni '50 e '60, e quando si inizio' a parlare di centrali nucleari - se mai fosse stato possibile prenderle diversamente - questa ombra aleggiava ancora potentemente fino a riprendere forza dopo Chernobyl. Quando le proteste vinsero a Montalto di Castro sembrava di aver allontanato un mostro e si pensava che a nessuno sarebbe piu' venuto in mente un progetto cosi' potenzialmente letale. Il movimento antinucleare e' qualcosa di piu' di una lotta specifica contro le centrali pericolose. E' schierarsi a favore della vita ridimensionandosi, rinunciando ai deliri di onnipotenza, accettando di fermarsi e rivedere radicalmente i nostri stili di vita. Decrescere nei consumi e nello sfruttamento del pianeta anche per quanto riguarda risorse ed energia. Vandana Shiva, una donna uscita dal crogiuolo del secondo Novecento, ce lo ricorda con grande coraggio a ogni suo nuovo scritto.

- Floriana Lipparini: I motivi per rifiutare le centrali nucleari sono molteplici, a partire dall'origine militare di questa tecnologia che ne segna fatalmente la natura. Gli spaventosi incidenti che gia' si sono verificati in diversi luoghi del mondo gia' di per se' dovrebbero bastare a chiudere il discorso: non esiste nessuna garanzia che non se ne ripetano, perche' nessuna centrale puo' essere considerata sicura al cento per cento, nemmeno quelle di cosiddetta ultima generazione. Errori umani non si possono mai escludere, non c'e' trasparenza rispetto agli impianti, la cittadinanza non ha potere di controllo. E per stare all'Italia, non esiste forse nessun paese al mondo meno adatto a questa tecnologia, data la morfologia del nostro territorio e la densita' demografica che non consente adeguate distanze dai centri abitati. Le conseguenze di un disastro sarebbero incommensurabili, ad esempio e' noto che per le nostre vecchie centrali non si era nemmeno provveduto a predisporre adeguati piani di emergenza, anche a causa degli inarrivabili costi di assicurazione. E infine consideriamo la nostra impotenza sul problema delle scorie: loro si' eterne, rispetto alle nostre brevi e fragili vite.

- Daniele Lugli: La connessione tra nucleare civile e militare, messa in rilievo da studi inoppugnabili, sotto diversi profili, scientifici e sociali, non avrebbe prodotto una coscienza diffusa senza l'incidente di Chernobil. L'allontanarsi nel tempo di quella vicenda, l'attenuarsi della sua memoria contribuisce a rendere accettabile, per una parte che credo crescente anche in Italia, l'opzione nucleare per usi civili. In ballo sono visioni diverse, difficilmente conciliabili, di cosa si intenda per progresso umano, convivenza sociale, vita felice.

- Fulvio Cesare Manara: Non sono tanto attratto dai "movimenti", soprattutto da quelli cosi' sfuggenti e labili come quello antinucleare. O quello del pacifismo generico, anche. Sia chiaro, ne condivido radicalmente le istanze. Anzi, penso che probabilmente ci serve una la coscienza piu' radicale, che si esprima nel sentire la violenza che la specie umana esercita sui corpi, sulla materia. Non abbiamo ancora sufficiente "sentire" per allargare a questo modo la nostra coscienza, che e' ahime' ancora non solo antropomorfica, ma antropocentrica...

Inoltre, per parte mia sono ispirato dagli scritti e dalle parole di Guenther Anders. Non abbiamo ancora sviluppato la consapevolezza che l'energia cosiddetta "atomica" e' un sintomo della tecnologia che rende l'uomo obsoleto.

 

Ma c'e' molto a cui prestare attenzione, rispetto alla proliferazione degli armamenti nucleari, che ancora continua, e rispetto alla ricerca scientifica sul nucleare, che non e' proprio "pura" e "libera da condizionamenti"...

 

- Arianna Marullo: La riflessione sul nucleare oggi, al di la' delle implicazioni belliche, investe il nostro intero modello economico in quanto riflessione sull'energia, sull'utilizzo delle risorse della pianeta e sull'inquinamento. Mi sembra chiaro che se vogliamo salvaguardare la biosfera e' necessario ridurre i consumi e ripensare il nostro stile di vita.

 

- Lidia Menapace: La macchia indelebile di Hiroshima resta una macchia indelebile nella storia dell'umanita' e niente la puo' cancellare o risarcirne i danni. Tuttavia alcuni scienziati e numerosi  politici sostengono che l'uso dell'uranio o del plutonio sarebbero essenziali per sovvenire alla scarsita' di risorse energetiche (specialmente se vengono usate come il petrolio della  Bp!). Tuttavia anche uranio e plutonio sono risorse misurabili e destinate a finire in meno di mezzo secolo: i problemi di sicurezza e di smaltimento delle scorie che pongono (enormi, incommensurabili!) obbligherebbero a una militarizzazione totale delle societa' e a un assetto internazionale destinato alla guerra (atomica ovviamente) che distruggerebbe il pianeta 120 volte, come dice la follia ("Mad", mutual assurance of destruction) del momento. Anche il piu' sorvegliato, oculato e "sicuro" (?) loro uso verrebbe a costare cosi' tanto da diventare economicamente  svantaggioso. Anche se astrattamente l'idea di non rinunciare all'uso civile dell'energia che puo' derivare dalla fissione dell'atomo si puo' prendere in considerazione, le controindicazioni razionali sono insuperabili.

- Beppe Pavan: La produzione di energia dal nucleare comporta costi insostenibili per una quota insufficiente di energia prodotta, sottraendo le risorse necessarie allo sviluppo della ricerca nel campo dell'energia rinnovabile.

La pervicacia con cui i dominatori del mondo insistono e' troppo palesemente dettata dal desiderio di sostenere la competizione in campo bellico, l'unica che permette ai governi possessori della bomba di imporsi sulla scena internazionale con la minaccia estrema, per dominare economia e finanza con la rapina delle materie prime ai Paesi del mondo che non possono resistere alla minaccia della forza, ecc.

 

- Tiziana Plebani: Penso che le questioni piu' cruciali riguardino questi punti: la terra non e' solo nostra, non e' solo in mano agli uomini che possono farne cio' che vogliono. Questo tema e' legato alla consapevolezza del limite e a un'etica olistica. La seconda questione riguarda l'economia e la critica a uno sviluppo senza fine. L'economia deve essere al servizio delle persone, non il contrario; non puo' essere cieco sfruttamento delle risorse a rischio della vita stessa delle persone e dell'ecosistema.

 

- Nanni Salio: La questione nucleare e' tale per cui civile e militare sono due facce della stessa medaglia: non c'e' l'uno senza l'altro. Ma il nucleare civile rientra nella piu' ampia questione energetica, che e' segnata dal "picco del petrolio" e dagli effetti climatici (global change) dell'uso dei combustibili fossili (oltre a petrolio, gas e carbone). Il nostro stile di vita e l'attuale modello economico dominante e' totalmente dipendente dai fossili in generale e dal petrolio in particolare. Occorre agire in fretta per evitare che la concentrazione di CO2 e di altri gas serra continui a crescere ulteriormente, raggiungendo un punto di non ritorno. Purtroppo, al momento non ci sono scelte e decisioni incisive.

Il nucleare serve "solo" a produrre energia elettrica che, agli usi finali, conta per meno del 15% di tutto il fabbisogno. Qualora si volessero elettrificare tutti, o gran parte, dei trasporti (punto cruciale dell'intero sistema economico, produttivo, energetico), la quota di energia elettrica salirebbe di molto. L'eventuale scelta nucleare non sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico, perche' la disponibilita' di Uranio 235 (quello a tutt'oggi usato nelle centrali) si esaurirebbe in poco tempo, un paio di decenni.

 

Occorrerebbe utilizzare l'Uranio 238 trasformandolo in Plutonio 239 mediante reattori autofertilizzanti, che non sono in commercio. Il Plutonio e' l'elemento piu' tossico che esiste, oltre che radioattivo su tempi dell'ordine delle decine di migliaia di anni.

 

In breve, la questione energetica e nucleare richiede una totale revisione del nostro sistema socioeconomico: insediamenti urbani e produttivi su piccola scala; efficienza energetica sia nella produzione sia nella progettazione di qualsiasi bene (ciclo di vita dalla culla alla culla) evitando obsolescenza programmata degli oggetti e "usa e getta"; fonti rinnovabili decentrate di piccola potenza. Un modello di questo genere e' possibile e desiderabile, ma non si presta alla concentrazione di potere nelle mani di pochi, ne' a soddisfare avidita' e invidia di altrettanti pochi, come diceva il Mahatma Gandhi. Sta a noi scegliere, e quanto prima opteremo per questa transizione tanto meglio, per evitare di cadere in una situazione fuori controllo che produrrebbe un collasso con conseguenze inimmaginabili.

 

- Mao Valpiana: Nucleare militare e nucleare civile sono due facce della stessa medaglia. Purtroppo il movimento antinucleare mondiale fino ad ora si e' mosso solo per "reazione" (da Hiroshima a Chernobyl), dimostrando quindi una certa debolezza come movimento con un proprio "programma costruttivo" capace di indicare un diverso modello di sviluppo energetico per l'intera societa'. In Italia il momento decisivo e' stato certamente il referendum antinucleare del 1987, nel quale tutti i grandi partiti si sono trovati spiazzati davanti ad un'opinione pubblica che ha fatto una scelta di rinuncia all'energia atomica.

 

Solo una parte del movimento, pero' (quella piu' vicina alle istanze della nonviolenza), aveva chiaro che la rinuncia all'energia nucleare richiede una visione lungimirante dei "limiti dello sviluppo", come fu chiaramente evidenziato nel convegno "Sviluppo? Basta! A tutto c'e' un limite..." organizzato nel 1990 da Alexander Langer con la Campagna Nord/Sud e il Movimento Nonviolento. Ancor oggi, quell'analisi rappresenta sicuramente il punto piu' avanzato del movimento ecologista italiano.

*

- Giselle Dian: La solidarieta' internazionale con il movimento antiapartheid in Sudafrica ha caratterizzato gli anni Ottanta... Poi, negli anni '90, la liberazione di Nelson Mandela, la sua elezione a primo presidente democratico del Sudafrica, e l'esperienza straordinaria della Commissione per la verita' e la riconciliazione, costituiscono eventi di portata mondiale ed epocale. Quali riflessioni si possono trarre da questa vicenda?

- Valeria Ando': Quello che piu' mi colpisce e' l'esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione: che i nemici si possano pubblicamente affrontare, che le vittime possano rendere pubblico il loro dolore e i carnefici assumere le loro responsabilita' pubblicamente credo sia un esempio straordinario di soluzione di conflitti.

- Anna Bravo: Le spirali di vendetta si possono prevenire o fermare. Le vittime possono esere onorate non con la vendetta, ma con l'autocoscienza pubblica dei responsabili e la loro richiesta di perdono. E' una posizione cosi' rivoluzionaria che non credo sarebbe stata possibile senza grandi guide politico/spirituali, infatti in Algeria ha avuto effetti limitati.

- Augusto Cavadi: In un gruppo di lavoro durato tre anni e sfociato in un volume (Mafia e nonviolenza, a cura di Vincenzo Sanfilippo, Di Girolamo editore, Trapani 2007) abbiamo provato a immaginare che cosa possa significare, nel Meridione italiano, coniugare le esigenze della giustizia verso i familiari di vittime di mafia e la lungimiranza di agevolare la "conversione" reale dei cosi' detti "pentiti" e delle loro famiglie. E' un percorso teorico-pratico in corso, con le sue poche luci e con le sue molte ombre.

- Giancarla Codrignani: Che bisogna non perderne la conoscenza. La professoressa Gentili (dell'universita' di Bologia) mi diceva proprio ieri che, avendo chiesto agli studenti chi e' Mandela, nel silenzio generale uno ha espresso il suo parere, che Mandela era una persona che era stato a lungo in carcere e dopo gli avevano fatto un grande concerto. Io sono anche severa con gli anni '80: l'iniziativa solidale ha animato la campagna antiapartheid, ma quando un popolo trova la via della democrazia continua ad avere bisogno di amici che ne accompagnino lo sviluppo.

- Andrea Cozzo: L'istituzione e il funzionamento della Commissione per la verita' e la riconciliazione in Sudafrica ha avuto un'importanza enorme non solo nella costruzione di un nuovo Sudafrica, libero dall'apartheid come pure da ogni risentimento razziale in senso inverso, ma anche nella diffusione di una piu' generale cultura della gestione dei conflitti che riesca a pensare ad una giustizia non piu' "retributiva", cioe' punitiva, o anche "rieducativa", ma ad una giustizia "restaurativa", ovvero dialogante, capace di coinvolgere tanto la vittima, quanto il reo, quanto, ancora, la comunita' al fine di un reale superamento dell'ingiustizia e riparazione ad essa (in Italia, per esempio, opera in questa direzione, adesso, il diritto penale minorile).

- Anna Maria Crispino: Trovo l'esperienza della Commissione per la Verita' e la Riconciliazione in Sudafrica una delle "invenzioni" politiche piu' straordinarie della seconda meta' del XX secolo. Purtroppo non ha fatto scuola nel mondo (vedi ad esempio l'esito "congelato" delle guerra nella ex-Jugoslavia, la disperante incapacita' di risoluzione del conflitto israelo-palestinese, le guerre in corso in Iraq e Afghanistan). Forse non si e' riflettuto a sufficienza sulle matrici gandhiane dell'African National Congress (il partito di Mandela) e anche sulla straordinaria "scuola di politica" che, per iniziative auto-organizzate dei detenuti neri, sono state le carceri sudafricane sotto l'apartheid (a cominciare da Robben Island). Purtroppo, anche la classe politica sudafricana post-Mandela non sembra essere riuscita a ridurre le enormi diseguaglianze che sono tuttora presenti in Sudafrica, e la corruzione diffusa sta riducendo il valore esemplare della democrazia "arcobaleno".

- Angela Dogliotti Marasso: Credo che l'esperienza della Commissione sudafricana Verita' e Riconciliazione rappresenti una svolta epocale nei modelli di giustizia a livello mondiale. Riparazione invece che punizione, perdono in cambio di assunzione di responsabilita', sono le nuove prospettive orientate ad una cultura di nonviolenza e riconciliazione, la sola in grado di affrontare adeguatamente le complesse questioni e i conflitti dell'eta' contemporanea.

- Floriana Lipparini: Nelson Mandela e' un'altra di quelle figure irripetibili che arrivano al cuore dell'opinione pubblica mondiale. Condivido molto l'idea che l'arte e la letteratura abbiano contribuito in maniera profonda a coinvolgere tantissime persone di tutto il mondo, sollecitandone la sensibilita' e il senso di solidarieta'. Ci sono libri meravigliosi che ne parlano dall'interno, come quelli che amo molto di Nadine Gordimer. La decisione di affidarsi alla Commissione per la verita' mi ha veramente colpito, perche' rappresenta un esempio, una  preziosa alternativa nonviolenta nella ricerca di giustizia. Purtroppo pero' non e' facile cancellare in poco tempo le conseguenze di una storia cosi' sanguinosa. Permangono disparita', ingiustizie, sofferenze, e persino le stesse immense ricchezze del paese scatenano avidita' e pericoli. Questo puo' contribuire all'esplodere di episodi di razzismo e a rivalita' tribali, come e' in effetti avvenuto.

- Daniele Lugli: Si e' trattato di un processo di liberazione molto complesso e profondo. Ha comportato affrontare la violenza nelle sue forme piu' estreme e radicate: violenza diretta, verso le persone, la loro vita, la loro integrita' fisica, violenza strutturale di una societa' fondata sulla conquista ed il dominio coloniale, culturale per l'affermata supremazia della "razza bianca". Si e' resa possibile proprio perche' su tutti questi piani diversi e correlati vi e' stata una risposta creativa, ispirata io credo alla nonviolenza, su tutti questi piani. C'e' ancora molto bisogno di una mobilitazione ricca e complessa perche' la situazione del Sudafrica, in cui l'ineguaglianza sociale appare in crescita, sia affrontata in modo adeguato. I mondiali di calcio non mi sembrano costituire la risposta appropriata a questa esigenza.

- Arianna Marullo: La vittoria contro l'apartheid e l'esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione sono la prova della forza e della fecondita' della lotta nonviolenta. Sono il segno concreto che non bisogna arrendersi di fronte alle difficolta' dell'impegno per la giustizia e la pace, il segno anche dell'importanza della solidarieta' internazionale.

- Ettore Masina: Ho avuto il privilegio e l'onore di poter visitare Nelson Mandela nella sua casa di Soweto, cinque giorni dopo la sua liberazione. Mi e' sembrato un uomo stremato dalle emozioni e dalla fatica di ricevere continuamente personaggi pubblici e vecchi amici. Inflessibile nella sua scelta della nonviolenza. Disse subito a me e ai miei colleghi (un gruppo di deputati italiani) che di li' a pochi giorni, nella prima grande manifestazione di massa avrebbe chiesto a tutti di deporre le armi se davvero volevano costruire uno stato libero e giusto. Le sue parole ci emozionarono per la forza etica e politica che contenevano, ma non ci meravigliarono. Sapevamo di una scelta lungamente maturata. Quello che mi colpisce maggiormente, ricordando quei giorni, e' un incontro avuto con il signor Meyer, ministro dei rapporti con il Parlamento nel governo Botha. Ci disse, a un certo punto, che i suoi colleghi avevano compreso la necessita' dell'uscita dall'apartheid. Si arresto' un istante e torno' sul discorso: "compreso anche emotivamente", chiari'. Meyer era (e') un boero, dunque appartenente alla minoranza afrikaner, la piu' razzista. Quel suo discorso conteneva dunque una preziosa lezione: nonviolenza vuol dire anche controllo delle emozioni, riscatto delle emozioni.

In quegli stessi giorni avemmo la fortuna di poter parlare a lungo con Desmond Tutu. Questo piccolo uomo dai capelli candidi e dal volto color carbone si muoveva disinvolto nella grande sede dall'arcivescovado anglicano di Cape Town, senza nessun imbarazzo per i  grandi ritratti dei suoi predecessori inglesi che sembravano guardarlo con sospetto dalle pareti. Sorridendo diceva cose enormi, sottolineando i progressi del popolo nero piuttosto che le lotte sopportate. Stava studiando la Commissione per la verita' e la riconciliazione, di cui sarebbe stato il presidente. Mirava a una pacificazione inter-razziale, da realizzarsi pero' senza la cancellazione della storia e senza lasciare in solitudine le vittime e i loro parenti. I colpevoli di tante violenze avrebbero ottenuto il piu' ampio perdono se l'avessero richiesto ammettendo le proprie colpe. A questo modo verita', giustizia e amore si sarebbero abbracciate.

 

- Lidia Menapace: Purtroppo il Sudafrica non e' stato assunto come esempio da far circolare e seguire e dal quale imparare le dfficolta', i processi, i passi, gli smacchi, i ritorni. Si preferisce darsi a credere che la pace sia una cosa gia' confezionata, che cade dall'alto: invece la pacificazione, cioe' la costruzione della pace, e' un processo difficile. In qualche misura la scarsa attenzione dedicata al Sudafrica mostra una qualche inconcludenza del movimento per la pace.

 

- Sergio Paronetto: In Sud Africa e' nata la nonviolenza moderna. Il Sud Africa, nonostante tutto, e' laboratorio mondiale della nonviolenza. Emblematica e' diventata l'azione di Nelson Mandela e Desmond Tutu che ha favorito tante iniziative analoghe e complementari: gli Interventi civili di pace per la prevenzione e trasformazione dei conflitti a livello sia internazionale che locale o interpersonale; l'azione dei gruppi sudamericani "Nunca mas", delle donne africane per i diritti umani, delle Commissioni per la riconciliazione attive in Africa, in Sud America e in Medio Oriente, gestite spesso dalla societa' civile e dalle Chiese; le recenti scuole del perdono e della riconciliazione. Negli ultimi anni sulla scia di Hannah Arendt e degli studi sulla "giustizia ricostitutiva" si e' cominciato a comprendere che il perdono puo' diventare virtu' sociale e politica, uno strumento necessario per superare le cause della violenza, lenire le sofferenze (emotive, mentali, fisiche), favorire il recupero e il reinserimento nella societa' dei colpevoli, ricostruire la vita sociale.

 

- Beppe Pavan: Le mie riflessioni sono gia' tutte nelle cose che ho scritto sopra. Quello che risulta sempre piu' incredibile e insopportabile e' che questa lezione della storia non venga imparata a memoria: ne' dai dominanti, che ogni volta cercano di imporsi, pur sapendo che non durera', alla ricerca di un vantaggio economico per se', indipendentemente dalle ricadute nella vita dei loro stessi figli; ne' dalle popolazioni sottomesse, che a volte votano per o subiscono governi razzisti, animate da una cultura della ricerca del privilegio immediato e impossibile.

 

Il bisogno e il desiderio di liberta', indispensabile per vivere bene, e' troppo forte: ma dobbiamo continuamente scoprirlo e riscoprirlo per impedire che venga ogni volta soffocato. La strada che credo sia piu' efficace e' quella che si costruisce attraverso la presa di consapevolezza delle singole persone e la resistenza nel tempo. La militanza politica fine a se stessa, cioe' intesa all'ingresso nella stanza dei bottoni, non garantisce il reale cambiamento culturale che e' la base di ogni cambiamento sociale duraturo. Bisogna partire da se', dalle proprie relazioni, imparando a viverle con cura e rispetto di ogni differenza.

 

- Tiziana Plebani: L'esperienza della riconciliazione ha aperto una nuova strada nella storia, una nuova speranza su come superare i conflitti senza azzerare la memoria; un nuovo modo di fare giustizia senza giustiziare.

 

- Annamaria Rivera: Io oggi ne trarrei la riflessione che mai si deve dare per acquisito una volta per tutte cio' che si e' conquistato tramite i movimenti e le lotte. Il paese che con tanto coraggio ha lottato contro il regime dell'apartheid e se ne e' liberato, che ha avuto un dirigente della grandezza morale e politica di Nelson Mandela, che ha inventato uno strumento straordinario come la Commissione per la verita' e la riconciliazione, e' lo stesso paese in cui nel 2008 sono stati uccisi almeno cinquanta migranti provenienti da altri paesi africani, nel corso una violenta ondata di xenofobia popolare (della popolazione nera!), alimentata o comunque favorita dall'alto. Nel corso di quelle violenze almeno tredicimila migranti furono costretti alla fuga ed alcuni arsi vivi. E' lo stesso paese in cui permangono spaventose ineguaglianze sociali, sacche estreme di poverta' e di abbandono, un tasso di analfabetismo fra i piu' alti al mondo. L'accesso al potere politico ed economico e' riservato a una minoranza infima, che oggi non ha vergogna di ostentare i segni della propria ricchezza. Ed e' questo a produrre frustrazione e rancore negli strati di popolazione piu' sfavoriti: il razzismo, si sa, e' la socializzazione del rancore. Per fortuna, in Sudafrica ci sono anche vivaci movimenti sociali dal basso che contestano attivamente le politiche governative e si battono per il diritto al lavoro, all'alloggio, all'istruzione: per tutti e tutte, non solo per i sudafricani doc.

 

La stessa cosa si potrebbe dire per il movimento delle donne. Certo, la sua eredita' preziosa e' evidente in molti ambiti. Ma, soprattutto in Italia, c'e' un arretramento in altrettanti ambiti per cio' che riguarda la condizione concreta delle donne e la considerazione in cui sono tenute. Nel nostro paese si e' determinato un processo vertiginoso di mercificazione dell'immagine e del corpo femminili. Quanto alla parita' fra uomini e donne, il rapporto del 2009 del World Economic Forum assegna all'Italia il 72mo posto su 135 paesi, addirittura il 96mo per quanto riguarda l'accesso al lavoro e l'uguaglianza di trattamento. Un posto ben lontano da quello di altri paesi europei e piu' in basso di molti paesi detti in via di sviluppo. Il che vuol dire che c'e' stata negli anni piu' recenti addirittura una sorta di backlash, di ritorno indietro e di rivincita contro le rivendicazioni delle donne.

 

Una considerazione conclusiva: Malgrado tutto, i movimenti dei quali abbiamo parlato hanno lasciato tracce quasi ovunque nel mondo. Anzi, se in alcuni paesi occidentali la loro eco sembra affievolita, altrove le suggestioni che hanno lasciato ispirano vivaci movimenti per i diritti civili e l'uguaglianza degli esseri umani. Per esempio, alcuni paesi arabi conoscono movimenti femministi tanto importanti quanto da noi misconosciuti. Ancora un esempio. Il movimento "altermondialista", il piu' importante degli ultimi anni, dal carattere davvero internazionale, e' quello che, a mio parere, e' riuscito a sintetizzare quasi tutti i temi venuti alla ribalta dagli anni Sessanta in poi: l'ecologia, il femminismo, il pacifismo, l'antirazzismo, l'uguaglianza economica e sociale fra gli esseri umani e fra le diverse aree del pianeta. Questo movimento, che da noi oggi sembra indebolito, e' ben presente, con tutti i suoi contenuti, nei paesi latinoamericani e in molti dei paesi detti in via di sviluppo.

 

- Nanni Salio: La prima e' la grande capacita' di Nelson Mandela e di Desmond Tutu di avviare un processo di riconciliazione su larga scala. Poi e' stata importante la solidarieta' di esponenti della comunita' bianca, che man mano si sono coinvolti nella lotta. Un terzo elemento importante e' stato il boicottaggio internazionale e l'isolamento che il Sudafrica ha subito rispetto al resto del mondo: Questo e' cio' che si sta tentando di fare anche nei confronti dello stato di Israele, per indurlo ad affrontare seriamente la questione palestinese.

 

La componente artistica e' anch'essa importante, perche' costituisce una forma di diffusione di un pensiero molto efficace.

 

Il lavoro di riconciliazione e' lungo e impegnativo, indispensabile se non si vuole ricadere in errori e conflitti laceranti.

 

- Mao Valpiana: Sono molto d'accordo sul fatto che la Commissione per la verita' e la riconciliazione rappresenti un momento alto nella storia della nonviolenza mondiale. Anche questa e' un'esperienza che andrebbe meglio studiata e fatta conoscere di piu' alle nuove generazioni. Anche la storia personale di Mandela e il suo rapporto con Desmond Tutu devono essere meglio indagati e fatti conoscere. Non dobbiamo mai accontentarci di una conoscenza superficiale dei fatti. La scrittura della storia della nonviolenza e' importante tanto quanto la realizzazione di azioni nonviolente, che possono essere tramandate solo se studiate, analizzate, divulgate. Il movimento antiapartheid in Sudafrica e' una pagina fondamentale per la nonviolenza.

 

*

 

- Giselle Dian: Da alcuni anni si ha la sensazione che almeno in alcune parti del mondo finalmente i diritti delle persone omosessuali vengano almeno formalmente riconosciuti, e che il pregiudizio e la violenza omofoba non godano piu' di una complicita' diffusa. E' realmente cosi'? Ed attraverso quali tappe di impegno civile e di progresso culturale si e' giunti a questa situazione, e quanto cammino c'e' ancora da percorrere, e quali iniziative occorre intraprendere affinche' ad ogni persona sia riconosciuto il diritto alla libera autodeterminazione ed autogestione del proprio orientamento sessuale e delle proprie scelte di vita?

 

- Valeria Ando': Si e' fatto molto ma molto resta ancora da fare. Certo, gli omosessuali non sono piu' considerati ammalati da curare, ma registro ancora un certo discredito a livello sociale e etico. Deve essere abbattuta la norma della obbligatorieta' della eterosessualita'.

- Anna Bravo: C'e' una divisione: si puo' dire, grosso modo, che in occidente si sono fatti passi decisivi (ma ancora oggi c'e' chi tende agguati a omosessuali, e  in Italia non c'e' alcun riconoscimento delle convivenze); mentre in molte parti del mondo omosessuali, bisex e transgender sono imprigionati/e e uccisi/e. L'occidente, anche in questo caso in nome delle specificita' culturali (e degli interessi economici e degli equilibri strategici) agisce in modo troppo poco incisivo.

- Augusto Cavadi: Come osservatore della valenza religiosa dei comportamenti sociali sono particolarmente sensibile ai processi intra-ecclesiali di liberazione dalle bende dell'omofobia. Con la stima verso persone quali Franco Barbero di Pinerolo e Alessandro Esposito di Trapani, cerco di dare anch'io una mano a riflettere sulla falsa connessione fra fede biblica e intolleranza nei confronti delle sorelle e dei fratelli che (per un groviglio di fattori) trovano piu' congeniale veicolare l'amore attraverso gesti omofili. E mi pare di poter dire che questa battaglia si inserisce all'interno di una guerra molto piu' impegnativa: liberare la visione cristiana dell'uomo dalla sessuofobia atavica in cui si e' gradatamente - e inesorabilmente - imprigionata.

- Giancarla Codrignani: Certamente un grande progresso c'e' stato: se ne parla! Tuttavia la cronaca delle aggressioni conferma che il pregiudizio e' ancora forte. La sessualita' fa ancora paura e si rimuovono le cause del suo produrre violenza: nei confronti delle donne (stupro), dei bambini (pedofilia), di gay e lesbiche. Chi pensa che non siano "secondo natura" e' ignorante: probabilmente le bestie sono meno violente, ma in ogni caso l'uomo non e' un animale. Produce cultura...

- Andrea Cozzo: L'avanzamento culturale nel campo dell'etica sessuale, avvenuto negli ultimi quaranta-cinquanta anni e soprattutto negli ultimi venti, e' certamente notevole: si e' trattato innanzitutto della messa a fuoco di un problema, dello "scoperchiamento" di una pentola in cui bollivano questioni che si aveva difficolta' ad affrontare e addirittura a riconoscere. Penso che siamo ancora all'inizio della riflessione e soprattutto all'inizio di un reale cambiamento delle pratiche e della cultura che investono, in fondo, tutta la concezione del rapporto tra i generi e di ciascuno col proprio corpo.

- Anna Maria Crispino: Sulla questione dei diritti delle persone omosessuali i segnali mi paiono contraddittori: se negli Stati Uniti e' recentemente passata una legge che elimina il divieto di prestare servizio nell'esercito dichiarando esplicitamente il proprio orientamento sessuale, in Italia, ad esempio, ci sono state otto aggressioni ad omosessuali nei primi mesi di quest'anno... E nel mondo islamico l'omosessualita' e' in molti paesi ancora punita severamente.

- Elena Liotta: Credo che l'impegno civile e collettivo contro tutte le forme di razzismo, discriminazione, oppressione e sfruttamento abbia nei tempi lunghi rinforzato tutti i diritti delle diversita'. Una specie di grande effetto alone potrebbe ipoteticamente cambiare in modo quasi inavvertito atteggiamenti e visioni culturali anche radicate. In fondo, volendolo, basterebbero due generazioni opportunamente educate con tecnologie e mass-media odierni a sostituire le mentalita' ancora violente e autoritarie. Purtroppo accade il contrario e cioe' che con gli stessi media si addormentano le coscienze, si saturano esigenze superficiali, si inducono bisogni fittizi. Ormai da circa trent'anni. Il problema sono gli interessi di corporazioni che non vogliono il cambiamento di sistema e stile di vita e neanche la perdita di opportuni  capri espiatori. Il pericolo di moralismi e integralismi diretti a specifiche fasce di popolazione rimane sempre presente. La cultura, l'esempio personale e il diritto sono gli unici veri argini possibili. Sull'arte ho a volte dei dubbi poiche' spesso mi appare pilotata, selezionata, commercializzata e non spontanea e autentica.

- Floriana Lipparini: Penso che qualche progresso in tale senso sia stato compiuto ma vedo anche che nel medesimo tempo continuano a riemergere forme di intolleranza, e di vera e propria violenza razzista, dovute probabilmente al peso degli integralismi religiosi, oltre che alla difficolta' di molte persone nell'accettare cio' che ritengono diverso dalla "norma". Si tratta di una evoluzione civile e culturale verso una societa' realmente laica, cui molto puo' contribuire, ad esempio, il ruolo della scuola.

- Daniele Lugli: Ho anch'io l'impressione di un progresso in questo ambito. Quanto pregiudizio e violenza omofoba siano presenti e pronti a scatenarsi non ha bisogno di alcuna illustrazione. E tuttavia anche a livello normativo, sia pure con modalita' ancora insufficienti, il tema e' stato recentemente preso in considerazione. Un decreto legislativo del 2003, il numero 216, attuativo di una direttiva europea, sulla parita' di trattamento in materia di lavoro e occupazione ne parla esplicitamente. All'art. 3 infatti afferma che si applica a tutte le persone "Il principio di parita' del trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di eta' e di orientamento sessuale". E' vietata percio' ogni forma di discriminazione diretta o indiretta. E' un principio da estendere a ogni ambito della vita sociale e da tradurre in pratica concreta.

- Fulvio Cesare Manara: Ho la percezione che siamo ancora ben lontani da una seria liberazione sessuale per i cosiddetti "omosessuali", come del resto, direi, anche per ogni altro essere umano. Porsi l'obiettivo della liberazione sessuale, separatamente da una serie di altre forme di liberazione, non e' rischioso e controproducente?

I sintomi della violenza omofoba e dell'incapacita' di accogliere ogni differenza sessuale mi sembrano evidenti e diffusi, proprio nelle nostre societa' che predicano la liberta'.

 

Penso che siamo ancora troppo legati all'idea che il "diverso" debba "integrarsi"... E' un bel problema, no?

 

- Arianna Marullo: Indubbiamente negli ultimi tempi si ha la percezione, per lo meno in alcuni Paesi, che l'omosessualita' sia finalmente riconosciuta come uno dei modi di vivere la propria sessualita'. Questa sensazione sembra confermata anche dall'iter giuridico di alcune nazioni che ha portato, o sta portando, alla promulgazione di leggi che riconoscono l'unione di coppie dello stesso sesso. Allo stesso tempo pero' assistiamo frequentemente a violente derive omofobiche. Si passa dalle manovre di censura di manifestazioni come il gay pride al tentativo di far passare l'insensata equazione "omosessualita' = pedofilia", dall'ostracismo verso i progetti di legge che riconoscono modelli familiari diversi da quelli tradizionali fino all'aggressione fisica di omosessuali o di coloro che intervengono in loro difesa (ricordiamo il caso della giovane napoletana pestata a sangue l'anno scorso per aver tentato di difendere un amico). Questi fatti mi fanno ritenere che, anche se molta strada e' stata percorsa, il cammino per una reale accettazione del diritto all'autodeterminazione di ciascuno sia, purtroppo, ancora lungo. E' necessario lavorare per superare l'attuale cultura dominante oppressiva, patriarcale e paternalista, innanzitutto attraverso l'impegno quotidiano di ciascuno, quindi con la proposta di nuovi modelli culturali centrati sul rispetto dell'altro.

 

- Lidia Menapace: Su cio' posso solo rispondere che temo una involuzione corporativa: il movimemto omosessuale  credo dovrebbe riconoscersi in un generale movimento per la liberta' di espressione e scelta sessuale: se ogni volta si chiede una legge, si finira' in una vita tutta legata da leggi. Il recente vergognoso episodio romano, che ha indotto la giovane vittima a rivolgersi a Berlusconi perche' faccia una legge contro l'omofobia (almeno si fosse rivolto al parlamento!) mostra gia' questa pericolosa tendenza.

 

- Beppe Pavan: Le persone omosessuali e omoaffettive sono quelle che per prime, secondo me, hanno goduto degli effetti positivi della rivoluzione femminista, almeno nel senso che in alcune parti del mondo, ecc. Purtroppo non e' una condizione molto diffusa, neppure nei Paesi piu' aperti. Pesa terribilmente la misoginia e l'omofobia delle caste gerarchiche cattoliche, che sfruttano il ricatto elettorale per garantirsi la complicita' dei governi. Bisogna certamente conquistare leggi favorevoli, senza dimenticare mai il discorso del punto precedente: partire da se' e resistere nel tempo, perche' il rischio di tornare indietro e' sempre in agguato. E diffondere la cultura della convivialita' in ogni luogo di vita.

 

- Tiziana Plebani: Credo che nelle pratiche, nella vita comune cio' sia piu' avanti di quanto appaia nel piano normativo, nella legislazione. Ma credo che nei media, nello spettacolo, nella pubblicita' siamo diventati tutti oggetti sessuali, merci sessuali, c'e' troppo sesso dappertutto. Non c'e' eros, non c'e' attrazione, nel mercato dei gesti, della cultura dominante non siamo "persone" ma oggetti sessuali piu' o meno vincenti.

 

- Nanni Salio: La questione sessuale, oltre a quella piu' specificamente omosessuale, rimane una delle problematiche piu' importanti per uomini e donne, giovani, ragazzi, adolescenti. Nonostante vi sia, soprattutto in Occidente, una diffusa liberta' di comportamenti, non esiste una buona educazione alla sessualita', affettivita', sensualita'. Questa e' una lacuna che riguarda anche i movimenti e la cultura della nonviolenza.

 

Eppure non mancano opere straordinarie in tutte le principali culture che potrebbero costituire una buona base di riferimento.

 

In Occidente i processi di liberalizzazione e di maggiore e piu' profonda conoscenza della sessualita' hanno condotto anche a forme, ancora parziali, di riconoscimento della diversita' sessuale e del diritto di scelta in questo campo.

 

Ovviamente le contraddizioni sono ancora molte e anche gli ostacoli. Da un lato la Chiesa cattolica, stretta tra "pedofilia" e "sessuofobia"; dall'altra forme integraliste di pensiero e di concezione maschilista che continuano a essere presenti in alcuni settori della societa'.

 

In altre aree culturali il problema e' ancora piu' acuto, anche se lentamente qualcosa sta cambiando.

 

- Mao Valpiana: Aldo Capitini, scrivendo nel 1962 la "Carta ideologico-programmatica" del Movimento Nonviolento aveva gia' ben presente questa tematica. Al secondo punto, dopo l'opposizione integrale alla guerra, volle inserire: "la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione". Allora non si parlava ancora cosi' esplicitamente di omosessualita', ma il diritto alla propria liberta', nel rispetto di tutte le altrui liberta', era chiaro in una fondamentale definizione di nonviolenza scritta dallo stesso Capitini: "La nonviolenza e' apertura all'esistenza, alla liberta', allo sviluppo, di ogni essere".

 

In questo cammino di liberazione penso, pero', che forme di provocazione fini a se stesse, di esibizioni estreme, non abbiano niente a che fare con la sobrieta' ed il rispetto che ognuno deve a se stesso e agli altri.

(parte quarta - segue)

 

==============================

NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

==============================

Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 374 del 22 giugno 2011

 

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

 

Per non riceverlo piu':

nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

 

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web

http://web.peacelink.it/mailing_admin.html

quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

 

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web:

http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

 

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

 

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it