Nonviolenza. Femminile plurale. 295



 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 295 del 14 marzo 2011

 

In questo numero:

1. Liviana Gazzetta: In onore di Margaret Fuller

2. Liviana Gazzetta: Emilia Toscanelli Peruzzi, la "pasionaria" moderata (1826-1900)

3. Liviana Gazzetta: Laura Solera, la garibaldina senza fucile

4. Liviana Gazzetta: Nella cospirazione, la vita politica di Anna Grassetti

5. Liviana Gazzetta: Eleonora de Fonseca Pimentel, le donne e la repubblica

6. Liviana Gazzetta: Sulle barricate, "con tanto coraggio e migliore degli uomini"

7. Liviana Gazzetta: La doppia rivoluzione di Elena Casati

 

1. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: IN ONORE DI MARGARET FULLER

[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) riprendiamo questa serie di profili di donne del Risorgimento realizzata in occasione del centocinquantesimo anniversario dell'unita' d'Italia.

Liviana Gazzetta, padovana, laureata in Filosofia a Padova nel 1986 e in Storia a Venezia nel 1996 con una tesi dal titolo "La donna forte. Modelli femminili nella precettistica cattolica nella seconda meta' dell'800 in Italia", insegnante di storia e filosofia nei licei, fa parte della Societa' Italiana delle Storiche. Tra le opere di Liviana Gazzetta: Madre e cittadina. Una concezione dell'emancipazione alle origini del primo movimento politico delle donne in Italia, "Venetica. Annuario di storia delle Venezia in eta' contemporanea", XI, 1994; La rivoluzione pacifica: istruzione, lavoro ed emancipazione femminile nella rivista "La donna", "Bollettino del Museo civico di Padova", LXXXIV, 1995; con V. Maggiolo, Il lavoro femminile in Italia. La donna italiana nella famiglia, nella societa', nel mondo del lavoro all'epoca delle grandi trasformazioni industriali. Materiali per una didattica modulare, La Nuova Italia, 1999; "Il ben ammaestrare i fanciulli e' riformare il mondo". Gli istituti educativi cattolici nell'Ottocento, in Filippini, N. M., Plebani T. (a cura di), La scoperta dell'infanzia. Cura, educazione e rappresentazione. Venezia 1750-1930, Marsilio, 1999]

 

Questa sorta di immaginaria collana fatta di storie del nostro Risorgimento femminile, mi e' sembrato imprescindibile aprirla con un omaggio ad una sua "perla" straniera.

E non sembri una contraddizione: innanzitutto perche' quest'anno - in cui ricorre il bicentenario della nascita - in Italia quasi nessuno sembra essersene ricordato; e ancor piu' per testimoniare, attraverso la vita di questa donna, come l'idea di patria nel primo Ottocento potesse facilmente sposarsi con un internazionalismo delle volonta' e degli ideali che ben poco aveva a che fare con il nazionalismo xenofobo che caratterizzera', invece, l'eta' degli imperi.

Parlo di Margaret Fuller, nata appunto nel 1810 da una famiglia del Massachusetts di solida tradizione culturale e di fede puritana.

Nel suo ambiente Margaret pote' studiare il latino, il greco e, tra le lingue moderne, soprattutto l'italiano e il tedesco, traducendo - giovanissima - testi del Romanticismo tedesco.

Dal punto di vista etico-spirituale aderi' al trascendentalismo e alle posizioni espresse in particolare da Ralph Waldo Emerson.

Dopo aver lavorato per circa quattro anni come insegnante, si trasferi' nella cittadina di Concord, cenacolo del pensiero e della poesia americana dell'800. Nel '40 con Emerson ebbe la direzione della rivista politico-letteraria del gruppo, "The Dial", dove pubblico' i suoi primi scritti; nel '44 fu assunta come critico letterario dalla "New York Daily Tribune" e si trasferi' a New York.

La sua personale genealogia femminile passa, con ogni probabilita', attraverso la lettura delle opere di Mary Wollstonecraft, in particolare della nota Vindication of the Rights of Woman scritta al tempo della rivoluzione francese; così nel '44 Margaret pubblica il suo Woman in the Nineteenth Century, in cui giunge ad una sintesi originale tra dottrine trascendentaliste e teorie sull'emancipazione femminile, un libro certo fondamentale per le origini del femminismo americano e suscitatore di accese discussioni.

Nel '46, realizzando un sogno nutrito fin dagli anni della formazione, Fuller accetta l'incarico di corrispondente in Europa per la "Tribune" e parte da sola per un viaggio che la portera' in vari paesi: dapprima in Inghilterra, dove incontra Wordsworth, Carlyle e Mazzini, che la introduce alla complessita' della situazione italiana e la invita a scrivere sul nostro paese; quindi a Parigi, dove conosce George Sand e Adam Mickiewicz.

E' cosi' che nell'autunno del '47 la Fuller giunge a Roma, da sempre attratta dalla citta' che e' la culla della civilta' classica, e comincia il suo "engagement" per la causa italiana.

Sono i mesi in cui la popolazione dello stato pontificio conosce una breve, ma esaltante stagione di speranze per il "papa liberale" (come viene chiamato Pio IX), che si uniscono a quelle di tutta l'Italia e che furono - com'è noto - all'origine della prima guerra d'indipendenza; ma sono poi anche i mesi del clamoroso voltafaccia del papa, delle sconfitte militari sabaude, della proclamazione della memorabile repubblica romana, la cui costituzione rimarra' punto di riferimento ideale dei patrioti democratici italiani fino al secondo dopoguerra.

Certo le lettere di Margaret al "Tribune" costituiscono a tutt'oggi una fonte importante per lo studio dei fatti italiani e - soprattutto - romani di questo periodo, anche se le sue corrispondenze ebbero un'interruzione di ben sette mesi (dall'aprile al dicembre del '48).

Margaret era, infatti, diventata madre: poco dopo il suo arrivo a Roma aveva conosciuto il marchese Giovanni Angelo Ossoli, un uomo che le fonti descrivono sicuramente inferiore a lei per intelligenza e cultura, ma pieno d'affetto per l'amante e poi per il figlio, che rompendo con la propria famiglia, da appassionato mazziniano si era arruolato nella guardia civica.

La stessa Fuller, non meno entusiasta del pensiero di Mazzini, partecipera' alla disperata lotta per la vita e per l'onore della Repubblica, impegnandosi personalmente nella cura dei feriti, incaricata della direzione delle ambulanze da un'altra protagonista delle nostre battaglie risorgimentali: Cristina Trivulzio di Belgioioso.

Proprio sulla condizione delle italiane Margaret sottolinea lucidamente la contraddizione di un paese in cui "la Madonna viene venerata assai piu' di frequente di Dio o Cristo", mentre le donne vengono lasciate nell'ignoranza e nella mancanza di responsabilita' pubblica e privata.

Nei suoi resoconti l'analisi critica del potere temporale della Chiesa - che a suo avviso compromette ogni possibilita' di riforma del papato -, lo sguardo scandalizzato di fronte a riti cattolici come quello del "bacio del piede" (davanti al quale obietta che il padre celeste vuole che i suoi figli non stiano ai suoi piedi, ma all'altezza del suo cuore), il senso di rifiuto provato di fronte alla vestizione non libera di una giovane monaca occupano tanta parte delle descrizioni e dei racconti; eppure tutti questi fenomeni rappresentano anche una sfida alla sua capacita' di comprensione, una sfida che l'intellettuale protestante accetta sforzandosi di conoscere da dentro le nostre identita' storiche.

Caduta la repubblica, nella primavera del '50 Margaret decide di tornare in America col marito e col figlioletto, che e' riuscita a salvare nonostante la balia l'avesse ridotto in condizioni di debolezza paurose; porta con se' un intero baule di documenti sulla rivoluzione italiana e un manoscritto che avrebbe dovuto diventare la sua storia della Repubblica Romana.

La nave, pero', carica di marmo di Carrara, fece naufragio proprio al largo delle coste americane e Margaret fini' cosi' la sua intensa vita spesa per la causa delle donne e dell'Italia.

Vedi on line il sito ufficiale dedicato a Margaret Fuller (www.margaretfuller.org)

 

2. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: EMILIA TOSCANELLI PERUZZI, LA "PASIONARIA" MODERATA (1826-1900)

[Dal sito de "Il paese delle donne"]

 

Il 30 settembre 1855 Emilia Toscanelli Peruzzi cosi' annotava nel suo diario: "E' del tempo che non mi occupo di politica e poco ne scrivo. Fu passione vivissima allorche' sembro' che le sorti d'Italia dovessero cambiarsi. Caduta ogni speranza, guardai gli avvenimenti senza commuovermi".

Si tratta di affermazioni che traducono il comune sentimento di disillusione seguito in Italia al fallimento del '48, ma certo anche il bisogno di difendersi da una tutta personale sofferenza "sottile e profonda" - per usare le parole di Lydia Becker - derivante da una viva passione che sembrava non trovare spazio nel corso della storia: la passione che Emilia nutriva forte per la causa italiana e che la spingeva ad occuparsi apertamente di politica ben oltre i modelli di genere del tempo e sicuramente oltre la sua stessa ideologia, per la quale netta doveva rimanere la distinzione tra patriottismo femminile e politica maschile.

Una passione che non era stato il suo matrimonio con Ubaldino Peruzzi - futuro esponente della Destra storica - a produrre in lei: come attestera' chi, dopo la sua morte, scrivera' che amava l'arte e la letteratura, alle quali anteponeva soltanto la politica. Emilia Toscanelli era nata nel 1826 a Pisa in una ricca famiglia in cui si incrociavano solidi patrimoni e antiche tradizioni mercantili e - per via materna - possedimenti e legami con la Corsica di Napoleone.

Cresciuta sotto la guida della madre, che le aveva assicurato una buona istruzione e continui stimoli culturali grazie a una trama di sapienti relazioni, Emilia era diventata una buona cattolica, anche se contraria al temporalismo papale; vicina alle tesi di Gioberti e complessivamente al cattolicesimo liberale, considerava centrale per la vita delle donne l'esperienza religiosa.

L'idea di fondo con cui aderi' al Risorgimento era quella del pacifico sviluppo delle riforme nel rispetto della tradizione e degli assetti sociali, un'idea che portava ad una vera e propria ammirazione nei confronti di Cavour e delle sue strategie e che finiva, invece, col gettare un giudizio pesantemente negativo sulle forze democratiche e soprattutto sui mazziniani (tanto da definirli "indegna setta").

Nel 1850 aveva sposato Ubadino Peruzzi, gonfaloniere di Firenze, direttore delle strade ferrate del Granducato di Toscana, piu' volte sindaco e ancora ministro della Pubblica Istruzione; esponente del moderatismo liberale toscano, aperto sostenitore dell'unita' nazionale, il Peruzzi peroro' la causa dell'annessione della Toscana al regno d'Italia presso Napoleone III, e si trasferi' poi a Torino diventando ministro.

Cosi' Emilia, che si sentiva personalmente umiliata dal giogo straniero sull'Italia, profitto' di tutte le occasioni offerte dalla sua posizione per partecipare agli avvenimenti politici in corso.

Sempre decisa a farsi un'opinione personale e documentata, continuo' a leggere, informarsi, intrattenere un fitto scambio epistolare con protagonisti e interpreti di quegli eventi e segui' il marito nei vari spostamenti, coronati infine dal ritorno a Firenze dopo la proclamazione a capitale del Regno; continuo' inoltre a gestire il suo salotto proprio in funzione della parte politica cui si sentiva collegata idealmente e praticamente, mostrando non solo interesse e passione per le vicende nazionali e internazionali in corso, ma anche una notevole perspicacia e intelligenza politica.

Diventato progressivamente meno frequentato dopo lo spostamento della capitale a Roma, il salotto della Peruzzi ritorno' in auge con l'ingresso di alcune figure di giovani intellettuali emergenti come Vilfredo Pareto e Sidney Sonnino.

Nel '72 Emilia comincio' ad interessarsi attivamente anche di emancipazione femminile, grazie soprattutto alla lettura del classico di John Stuart Mill The subjection of women del '69, che le era stato suggerito proprio dal giovane Pareto.

Il moderatismo la guido' anche su questo terreno, peraltro aperto alla discussione dell'opinione pubblica nazionale del tempo non solo per la nascita delle prime voci del movimento emancipazionista, ma anche e forse soprattutto per l'interesse che le classi dirigenti dello stato nazionale mostravano verso il tema della "nuova italiana".

Su una questione cosi' dibattuta la Peruzzi decise di indagare opinioni di esperti e confrontare tesi diverse grazie ad un questionario preparato ad hoc come terreno comune di analisi; e in quella che probabilmente e' la sua sintesi personale al dibattito da lei stessa sollecitato e' dato leggere che "nel consorzio civile non puo' esistere una perfetta uguaglianza di diritti e di doveri per l'uno e per l'altro sesso. Se la natura non avesse fatta la disuguaglianza converrebbe che la creassero i Governi (...) O sfacelo o disuguaglianza".

Emilia era cioe' convinta non solo che esista un'incancellabile differenza tra uomini e donne, ma anche che essa costituisca in se' un bene, pur nell'asimmetria che cio' comporta; apriva uno spiraglio alla possibilita' di votare, ma non di essere votate, e soprattutto affidava alla lenta e graduale trasformazione della realta' la possibilita' di spingersi oltre.

Portava cosi' alle ultime conseguenze le opinioni di tutta una vita, anche se ne era un'evidente smentita.

 

3. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: LAURA SOLERA, LA GARIBALDINA SENZA FUCILE

[Dal sito de "Il paese delle donne"]

 

Laura Solera nacque a Milano nel 1813, in una famiglia in cui - nonostante la Restaurazione - si erano mantenuti vivi il legame cogli ideali rivoluzionari e la domanda di indipendenza nazionale: val la pena di ricordare che Francesco Solera, zio di Laura ed ex ufficiale napoleonico, fu nel '48 ministro della guerra nella repubblica guidata da Daniele Manin a Venezia, e che il cugino Temistocle compose il libretto di famose opere verdiane quali, ad esempio, il Nabucco.

La stessa Laura fu uno straordinario esempio della sensibilita' etica, civile e politica che animo' il protagonismo femminile di matrice democratico-repubblicana lungo il processo risorgimentale.

Dopo il matrimonio con Giobatta Mantegazza, all'eta' di diciassette anni, si trasferi' a Monza, dedicandosi personalmente all'istruzione di base dei tre figli; in questo suo impegno fu influenzata dalla conoscenza del pensiero e delle iniziative dell'abate Raffaello Lambruschini, dalla sua idea di religione utile alla societa' e dalla sua lettura civile del ruolo delle "donne bennate" per la "rigenerazione sociale" d'Italia.

Allo scoppio della rivoluzione, durante le cinque giornate di Milano Laura fu subito in prima fila nella raccolta di fondi e nell'organizzazione dell'assistenza ai patrioti, incaricata ufficialmente dal Governo provvisorio della Lombardia dell'istituzione di un servizio di ambulanze per il soccorso ai feriti.

Nello stesso frangente compose anche un breve scritto dal titolo di Madre lombarda, con cui incitava le concittadine all'impegno civile e politico e lei stessa si orientava ormai chiaramente in senso repubblicano.

Al momento del fallimento della rivoluzione la Solera continuo' a ricoverare e curare feriti nella sua villa di Cannero, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, insofferente di tutte le limitazioni che doveva subire in quanto donna nella partecipazione alla mobilitazione. Nella primavera del '49, mentre il marito era accorso volontario alla difesa delle Repubblica romana, gli scriveva una lettera di fuoco in cui cosi' si lamentava: "Quanto mi duole di non essere a Roma anch'io. Non ch'io creda importante la mia presenza, Dio me ne guardi. (...) D'altronde, se potessi partir sola, parrebbe una cosa ridicola. Sembrerebbe che dessi un'eccessiva importanza alla mia utilita'. Se fossi uomo si troverebbe giusto che mi battessi per l'indipendenza, ma a una povera donna non e' neppure concesso di farsi illusione sul proprio meschino contributo. Non ho mai tanto maledetto il mio sesso!".

D'altra parte, finita l'esperienza della Repubblica, la famiglia Mantegazza manovro' per addossare direttamente a lei la responsabilita' delle scelte politiche del marito, determinando in sostanza la separazione tra i due.

Tornata quindi a Milano, senza lasciarsi vincere dal "ronzio malevole" che la circondava - come lei stessa afferma - nel '50 Laura fondo' il Ricovero per lattanti e slattati (che raccoglieva bambini tra i 15 giorni di vita e i due anni e mezzo) con sedi in vari quartieri della citta', e una scuola per adulte analfabete.

Durante la seconda guerra d'indipendenza e l'impresa dei Mille, mentre i figli Emilio e Paolo (futuro noto esponente del positivismo italiano) si arruolavano tra i volontari, la Solera Mantegazza torno' al centro di una ricca rete di iniziative per il sostegno economico a Garibaldi (confezione e vendita di coccarde, lotterie a favore dei garibaldini, vendita di foto del Generale per il fondo sacro al riscatto di Roma e Venezia, ecc.), entrando in contatto e supportando il gruppo femminile che lavorava nelle file del partito d'azione.

Per il "desiderio del cuore di avere ogni giorno, ogni ora sue notizie", dopo Aspromonte si reco' personalmente ad assistere Garibaldi alla fortezza di Varignano, presso La Spezia, continuando a svolgere un ruolo di coordinamento degli aiuti materiali, economici e politici a sostegno del Generale e dei garibaldini in difficolta'.

Dopo l'unita' ideo' un'associazione tra donne italiane per la promozione di prodotti nazionali e quindi per il boicottaggio anti-austriaco ed anti-francese, un'azione che doveva essere anche uno strumento per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei ceti popolari.

Rimasto sulla carta questo progetto, negli stessi mesi fondava a Milano - insieme con Ismenia Sormani - l'Associazione Generale di Mutuo Soccorso per le Operaie, il cui motto recitava: "Lavoro, affetto, istruzione": le socie promettevano, infatti, di essere figlie affettuose e ottime madri, cosi' come cittadine attive e premurose nell'istruirsi.

Tale societa' mutualistica femminile fu presto tra le piu' avanzate ed efficienti d'Italia, con gestione tutta femminile e sussidi non solo di malattia, ma anche di maternita', di vecchiaia e piu' tardi di cronicita'.

Nel '67 la Solera vi affianco' una sezione di lavoro e cucitura a macchina, che doveva sostenere le socie nei periodi di disoccupazione, e ancora un fondo per prestiti, doni di nozze e sussidi a vedove e nubili.

All'associazione furono collegate anche una scuola festiva e una scuola gratuita di "cucitura meccanica", dove si dava la possibilita' di acquistare a rate una macchina da cucire; la sua ultima impresa fu la fondazione di una scuola professionale che - sotto la guida dell'amica e "discepola" Alessandrina Ravizza - divenne un esperimento d'avanguardia nell'istruzione femminile del tempo con l'insegnamento di discipline come la computisteria, il disegno industriale e la pratica commerciale.

 

4. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: NELLA COSPIRAZIONE, LA VITA POLITICA DI ANNA GRASSETTI

[Dal sito de "Il paese delle donne"]

 

Tra le figure femminili attive nella cospirazione patriottica, un'attenzione particolare la merita Anna Grassetti Zanardi, che ebbe un ruolo di primo piano nell'organizzazione mazziniana all'interno delle Legazioni pontificie gia' nella fase pre-quarantottesca.

Della sua vicenda conosciamo, purtroppo, solo la storia politica: nata a Bologna nel 1815, sposa il mazziniano Carlo Zanardi, e con lui viene coinvolta nel tentativo, voluto da Nicola Fabrizi nonostante l'opposizione di Mazzini, che prese vita nel '43 a Savigno (borgo della collina bolognese), nella speranza di suscitare un moto rivoluzionario piu' ampio nel territorio emiliano: il 15 agosto 1843 un'ottantina di patrioti assali' una compagnia di carabinieri e truppe pontificie che si trovavano all'osteria di Savigno e dopo uno scontro militare si dettero alla macchia per una decina di giorni, avvicinandosi a Bologna con l'intento di provocarvi una ribellione, e infine, vista l'inutilita' dei loro sforzi e ormai braccati dalle forze pontificie, si sbandarono. Alcuni vennero catturati, altri riuscirono invece a passare il confine grazie, appunto, anche all'aiuto di Anna: impegnata inizialmente come "provveditrice di viveri e di vestiario per i volontari", come lei stessa racconta nelle sue vivaci Memorie ed appunti intorno alla vita politica di Anna Grassetti Zanardi - conservate al Museo del Risorgimento di Bologna -, le fu poi affidato il compito di mettere in salvo il gruppo di cospiratori, prima nascondendoli nella sua abitazione e poi avviandoli verso la Toscana e la Corsica.

Dopo il ritorno dall'esilio del marito, avvenuto nel '46 in seguito all'amnistia concessa da Pio IX, Anna e' ancora attiva insieme a lui allo scoppio della rivoluzione del '48, aggregandosi addirittura al battaglione di volontari giunti in Veneto guidati da Livio Zambeccari, e passando poi nel '49 alla difesa della Repubblica romana.

Dopo la caduta del governo repubblicano a Roma e' a lei che Mazzini affida la responsabilita' di riorganizzare la rete cospirativa nell'area emiliano-romagnola: come lei stessa racconta, "... e cosi' Mazzini mi comunico' la Corrispondenza Segreta e partii per Bologna colle debite istruzioni, ove riannodai le fila e stabilii comitati a Bologna, Ferrara, Comacchio, Spoleto...". Certo anche Anna, come molte altre protagoniste della stagione risorgimentale, deve aver trovato nel mazzinianesimo quelle dottrine e quella sensibilita' che non solo favorivano la presa di coscienza femminile degli eventi in corso, ma ancor piu' maturavano l'idea dell'uguale dignita' e dell'uguale diritto alla libera realizzazione di se' che apertamente Mazzini teorizzava per le donne non meno che per gli uomini nella futura repubblica d'Italia.

Negli anni 1852-1854 anche in territorio pontificio, come nel Lombardo Veneto, gli attivisti mazziniani furono colpiti duramente con una serie di processi e condanne. Anche Anna Grassetti fu arrestata nel '52, assieme ad un gruppo di mazziniani ferraresi e ad altri cospiratori romagnoli; sconto' complessivamente cinque anni di carcere, finendo a domicilio coatto nel '57, per poi ricevere la grazia l'anno successivo anche per intercessioni di alcune nobildonne bolognesi. Durante la detenzione fu rinchiusa nella fortezza di Ferrara, nelle carceri di Civita Castellana e quindi a Roma. Nelle carceri di Termini suscito' una vera sommossa tra le recluse, protestando per le vessazioni e i soprusi cui erano sottoposte e che troviamo variamente narrate nelle sue Memorie: "Alla cima della scala stava una suora che reggeva pei capelli una giovinetta quindicenne e la sferzava a sangue perche' non voleva scendere nella segretina ove la Superiora l'avea condannata per un mese a pane e acqua perche' aveva commesso il gravissimo delitto di rompere un Cristo di pietra che le era caduto nello spolverare. (...) Inorridii a quella vista, e dirigendomi alla suora non potei a meno di esclamare: E' cosi' dunque che voialtre praticate i precetti di amore e di carita' che andate proclamando?". Spostata poi al convento-carcere del Buon Pastore, non manco' di criticare in particolare il sistema "solutorio" invalso tra quelle suore, oggettivamente complice di divorzi interessati, come ricostruisce lei stessa qualche tempo dopo: "Usavasi nei tempi decorsi, che quando qualche marito era annoiato della moglie, per isbarazzarsene, l'accusava di adulterio, e siccome la superiora del Buon Pastore fingeva di tenere gran deposito di stoffe estere, scialli ecc. di gran valore, i mariti conducevano le mogli cola' col pretesto di far loro un dono di loro soddisfazione, o per il giorno natalizio o per l'onomastico ecc. e poi le poverette restavano cola' rinchiuse per anni e anni ed anche per tutta la vita. Cosi' appunto accadde ad una povera sposa di 22 anni incinta di sette mesi".

Anna torna poi in prima linea con le campagne garibaldine degli anni '60, ottenendone vari riconoscimenti. Le cronache cittadine di fine Ottocento ce la descrivono, ormai vedova, sempre in testa al gruppo dei reduci garibaldini durante i cortei patriottici e soprattutto quelle stesse fonti sottolineano che - coperta il petto di medaglie - usava "com'essi indossare la gloriosa camicia rossa".

 

5. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: ELEONORA DE FONSECA PIMENTEL, LE DONNE E LA REPUBBLICA

[Dal sito de "Il paese delle donne"]

 

La figura della de Fonseca Pimentel e' certo nota, e non mancano gli studi che ce ne restituiscono tutta la complessita' e la grandezza, nella breve stagione della Repubblica partenopea del 1799.

Quello che rimane ancora da fare - ed e' il motivo per cui ci pare giusto inserirla in questa ideale "collana" - e' una ricostruzione della ricezione della sua vicenda nella memoria delle protagoniste del Risorgimento nazionale.

Perche' varie e di grande interesse sono le tracce che testimoniano di un'influenza del suo personaggio in settori della mobilitazione femminile repubblicana, a fronte di una tendenziale prevalenza di modelli molto piu' rassicuranti in ambito moderato.

Non a caso la giornalista napoletana fu studiata e celebrata nell'ambito del nascente movimento emancipazionista di marca mazziniana: la direttrice del periodico "La Donna", Gualberta Beccari, nel promuovere una delle sue operazioni editoriali femminili (in questo caso a beneficio dei "danneggiati poveri" dell'inondazione di Roma del 1871), non dimentico' di includervi proprio la Pimentel.

Anche Jessie White Mario, nota tra l'altro per aver seguito Garibaldi nelle sue varie campagne militari, in un'opera sullo stato delle opere pie scritta alla fine dell'800, la collocava in una sorta di genealogia femminile che arrivava fino ad Adelaide Cairoli, con l'intento di richiamare le italiane ad una ripresa dell'azione patriottica nell'impegno sociale.

E ancora fonti indirette ci dicono che pure su Elena Casati Sacchi - madre delle suffragiste Beatrice e Ada Sacchi - la figura della de Fonseca esercito' forte attrattiva per le capacita' intellettuali, la fierezza del carattere e la dignita' mostrate fino alla morte.

La chiave di questa influenza crediamo sia nella eccezionalita' della sua testimonianza di liberta' come donna e come intellettuale.

Nata nel 1752 a Roma, dai portoghesi Clemente e Caterina Lopez, Eleonora de Fonseca Pimentel aveva mostrato grande intelligenza e propensione agli studi, studiando greco, latino, matematica, storia naturale.

La famiglia si era trasferita a Napoli nel 1760, davanti al peggioramento drastico dei rapporti tra la S. Sede e il Portogallo in seguito all'espulsione dei gesuiti ordinata dal primo ministro Pombal, mentre nella citta' partenopea gli stimoli all'approfondimento culturale e al dibattito politico erano favoriti dalla stagione riformatrice avviata dal governo Tanucci.

A sedici anni grazie alla sua produzione poetica Eleonora fu cooptata nell'accademia dei Filaleti e successivamente nell'Arcadia di Napoli; alcuni suoi componimenti furono elogiati da Metastasio.

Cosi' nel 1776 fu nominata bibliotecaria della regina Maria Carolina d'Asburgo e in questa posizione prestigiosa ebbe la possibilita' di frequentare importanti esponenti dell'illuminismo, addirittura di avviare un rapporto epistolare con Voltaire.

Le infelici vicende del suo matrimonio, deciso dal padre dopo una lunga trattativa economica, non ne fiaccarono la volonta' di conoscere e scrivere; dopo la separazione dal marito nell'85, la de Fonseca chiese ed ottenne un sussidio mensile dalla corte per i suoi meriti letterari.

Nel '90 tradusse dal latino e corredo' l'importante opera del Caravita: Niun diritto compete al Sommo Pontefice sul Regno di Napoli, pronunciandosi apertamente per la separazione tra stato e chiesa.

Intanto le notizie sulla rivoluzione francese e i nuovi assetti politici facevano precipitare il clima a corte e nel Regno; la de Fonseca fu dapprima licenziata dalla sua funzione di bibliotecaria, quindi accusata di promuovere riunioni di sediziosi: incarcerata nel '98, poco prima dell'inizio della campagna del Regno di Napoli contro la Repubblica romana, scrisse un Inno alla liberta' che sarebbe poi stato recitato al momento della proclamazione della Repubblica partenopea.

Nel gennaio '99 guido' un gruppo di donne che, travestite da uomini, portarono alla conquista di Forte di S. Elmo prima dell'arrivo delle truppe francesi e dal febbraio dello stesso anno avvio' la nota esperienza del "Monitore napoletano", organo della Repubblica, di cui rimase direttrice fino alla fine.

Alla caduta della Repubblica fu nuovamente incarcerata, quindi processata e impiccata nella pubblica piazza del Mercato: le testimonianze raccontano che perfino nel supplizio - proprio perche' donna - le si vollero imporre condizioni particolarmente umilianti.

 

6. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: SULLE BARRICATE, "CON TANTO CORAGGIO E MIGLIORE DEGLI UOMINI"

[Dal sito de "Il paese delle donne"]

 

Non e' certo una caratteristica esclusiva del Risorgimento, ma la presenza femminile sulle barricate per la liberta' e l'unificazione nazionale merita la nostra attenzione per molti motivi. Partiamo dall'esempio di Luigia Battistotti Sassi, la cui notorieta' e' tutta legata agli episodi che ne fecero una protagonista delle Cinque giornate a Milano.

Il 18 marzo del '48 strappo' di mano le pistole ad un soldato austriaco e con queste indusse altri cinque ad arrendersi; pare anche fosse attiva nell'organizzazione della prima barricata antiaustriaca, a borgo S. Croce.

Nata a Stradella, Luigia Battistotti (1824-1876?) si era trasferita a Milano per il matrimonio con l'artigiano Salsi (o Sassi); e qui allo scoppiare dell'insurrezione colse le opportunita' offerte dalla situazione rivoluzionaria per oltrepassare i confini socialmente assegnati al suo sesso e per indossare abiti maschili, coi quali continuo' a partecipare ad alcune operazioni armate, tra cui l'assalto ad un deposito di munizioni sul Naviglio. Il Governo provvisorio la volle poi in prima fila per il "Te Deum" di ringraziamento e qualche giorno dopo decise di assegnarle una pensione annua come eroina delle barricate, mentre in citta' si vendeva il suo ritratto per le strade.

La rappresentazione che ne fu data, tuttavia, cozzava contro tanta liberta' ed "eterodossia", se si pensa che la dipingeva con il fucile in pugno ma in abiti femminili, quasi la partecipazione anche armata delle donne agli eventi rivoluzionari del Risorgimento fosse, nel complesso, socialmente meno disdicevole dell'uso degli abiti maschili. Uso che sembra, invece, aver accomunato in quegli anni sia note esponenti dell'aristocrazia, come la principessa di Belgioioso, sia donne di estrazione popolare come appunto la Battistotti o Colomba Antonietti, morta nella difesa della repubblica romana del '49 in uniforme di bersagliere. O ancora la palermitana Teresa Testa di lana, capraia, che vestita da uomo - con pistola e pugnale alla cintura e sciabola ad armacollo - partecipa alle azioni delle squadre popolari e poi non si rassegna al disarmo per la creazione della Guardia nazionale.

La partecipazione delle donne ai moti insurrezionali e' un chiaro segno della radicalita' delle attese popolari di cambiamento che si registro' in vari momenti del nostro Risorgimento. Come mostra, ad esempio, la storia di Giuseppa Calcagno: nata - secondo alcune fonti - nel 1826 a Barcellona (Me), fino all'insurrezione Giuseppa non godette di grande considerazione, soprattutto per la relazione che intratteneva con un certo Vanni, un ragazzo molto piu' giovane di lei; ma durante la rivolta a Catania nel maggio 1860 riusci' ad impossessarsi di un cannone e lo manovro' con sangue freddo e abilita' tali da meritarsi il soprannome di "Peppa la cannoniera" ; dopo essersi cosi' distinta nel moto popolare catanese venne nominata vivandiera della Guardia nazionale, ma per partecipare alla presa di Siracusa Peppa decise di assumere definitivamente gli abiti maschili. Fu premiata con una medaglia d'argento al valore militare e quindi il Comune di Catania le assegno' una pensione per i servigi resi alla causa della liberazione dai Borboni; una pensione accompagnata da questa significativa motivazione: "Poche sono le pagine dell'Istoria in simili casi che le donne si abbiano combattuto per la Patria con tanto coraggio e migliore degli uomini". Dopo i fasti rivoluzionari Giuseppa continuo' a vivere secondo la nuova liberta' e il nuovo ruolo assunto, "nei bivacchi e nelle caserme", come dicono le fonti.

Piu' o meno esplicitamente, l'uso femminile delle armi nelle stagioni rivoluzionarie del '48 e poi del '60 segnala senza dubbio anche una domanda di indipendenza e "risorgimento delle donne". A partire dal '48, infatti, attraverso il nodo della presenza femminile nella guardia civica anche in Italia viene posta la questione dei diritti delle donne e della loro partecipazione alla sfera pubblica. In particolare durante l'esperimento repubblicano a Venezia, mentre la citta' andava organizzando la sua guardia civica, venne formalizzata la richiesta di usare le armi e addirittura di costituire un battaglione femminile. E va detto che il poter imbracciare le armi a sostegno di una guerra nazionale - dalla Rivoluzione francese in poi - era considerato segno d'appartenenza nazionale; anche a livello simbolico costituiva la piu' forte espressione della propria inclusione nel corpo della cittadinanza. Per questo le richieste femminili di partecipare alla guardia civica o di costituire guardie femminili mostrano, piu' di altri fenomeni, il nesso che nel corso del Risorgimento si stabili' tra identita' civile e politica e identita' nazionale, e tra queste e domanda di cittadinanza piena anche per le donne. Non a caso il tema della cittadinanza politica delle donne fu posto esplicitamente all'attenzione dei governi provvisori e delle forze in campo nelle citta' insorte da alcuni gruppi, circoli e - soprattutto - giornali femminili, dal veneziano "Circolo delle donne" alla "Tribuna delle donne" di Palermo.

 

7. STORIA E MEMORIA. LIVIANA GAZZETTA: LA DOPPIA RIVOLUZIONE DI ELENA CASATI

[Dal sito de "Il paese delle donne"]

 

Elena Casati puo' essere considerata una delle figure esemplari di quella doppia rivoluzione, sul piano del risorgimento nazionale ma anche del "risorgimento femminile", che segna la vita di molte protagoniste della costruzione dello stato unitario.

Nata a Como il 29 settembre 1834, aveva ricevuto in famiglia un'educazione ispirata agli ideali della stagione rivoluzionaria; dal '48 in poi, tra l'altro, al ritorno degli austriaci era vissuta in esilio insieme alla madre vedova, Luisa Riva, convinta mazziniana, passando dal Canton Ticino a Lione (dove la famiglia aveva avviato un rinomato caffe'), a Zurigo e infine a Bruxelles.

Grazie a cio' pote' conoscere personalmente, ancora giovanissima, i massimi esponenti del partito d'azione, da Aurelio Saffi a Maurizio Quadrio allo stesso Mazzini; il quale nel giorno del suo ventesimo compleanno le scrisse una lettera che la spronava a spendere la vita, nonostante tutte le asperita', per grandi ideali: "L'onda del mare e' salsa ed amara; il labbro rifugge dal dissetarsene. Ma quando il vento soffia sovr'essa e la solleva in alto nell'atmosfera, essa ricade dolce e fecondatrice. E la vita e' come l'onda del mare: si spoglia dell'amaro che la invade levandosi in alto".

Cio' che piu' stupisce della vita della Casati, oltre e parallelamente ai dati della sua militanza politica, e' la volonta' di autonomia e la fierezza che la contraddistinguono.

Gia' orfana di padre, alla morte della madre nel '55 Elena torna in Italia con le due sorelle e si stabilisce a Como nella casa dello zio materno, che ne era diventato il tutore.

Ma qui, invece che sottostare alle regole della famiglia tutrice, Elena ingaggia cogli zii - ossequienti al potere religioso e politico - un duro braccio di ferro che la portera', dopo alcuni mesi di contrasti, a decidere di andare a vivere da sola.

Elena non solo era ormai saldamente orientata su posizioni repubblicane e per l'indipendenza nazionale, ma era anche ormai lontana dall'adesione iniziale al cattolicesimo, e si opponeva risolutamente alle pressioni dei Riva perche' volesse almeno "salvare le apparenze" compiendo le pratiche previste dalla chiesa.

Nonostante vari tentativi messi in atto per dissuaderla, la Casati lascio' la casa degli zii per prendere in affitto una camera nel palazzo dove era nata e dove quindi poteva godere di qualche appoggio. Naturalmente questa scelta le procuro' pettegolezzi e vere e proprie calunnie, anche perche' Elena, non temendo di contravvenire a tutte le regole del tempo, stava cercando di entrare in contatto con Achille Sacchi, che aveva conosciuto nella sua casa di Zurigo all'epoca dell'esilio e di cui si era innamorata.

In tutto questo Elena e' attivamente in contatto con Mazzini, di cui sostiene finanziariamente i progetti; nel '56 si reca temporaneamente a Genova, dove si stava preparando il terreno ad una spedizione nell'Italia borbonica, ed entra in contatto con la rete femminile cui lo stesso Mazzini faceva affidamento: soprattutto Carlotta Benettini, che lo ospitava, e Maria Alimonda Serafini; un anno dopo vi conosce anche Jessie White, cui rimarra' legata da profonda amicizia per tutta la vita. Fallito il tentativo di Pisacane e i moti per sollevare Genova e Livorno, Elena torna a Como, sempre in contatto con la rete mazziniana, ricevendo e divulgando il cifrario in uso per la corrispondenza con il Maestro.

Nel '58 al momento del matrimonio con Achille Sacchi fu necessario un intervento dello stesso Mazzini per convincere Elena ad accettare il rito cattolico, in nome del rispetto per le tradizioni religiose storicamente date; la Casati, che piu' tardi non volle neppure battezzare i figli, si sentiva portatrice di convinzioni che non potevano riconoscersi nelle forme religiose egemoni.

Certo tra i due si consolido' quell'unione profonda, sul piano sentimentale e politico-ideale, che portava Mazzini a parlare dei Sacchi come ad una sola persona: "Scrivo a voi per Achille, 'due corpi e un'anima'".

I due furono al centro dei preparativi per le azioni garibaldine seguite alla seconda guerra d'indipendenza; Elena dopo l'impresa dei Mille e' attiva nel tentativo di conciliare i progetti di Mazzini e di Garibaldi, l'uno rivolto prioritariamente alla liberazione del Veneto, l'altro teso alla "conquista" di Roma; lavora cosi' per la Societa' Emancipatrice che nasce dall'unione dei comitati di provvedimento sorti a partire dalla spedizione garibaldina.

Nell'estate del '61 sorge a Genova il Comitato femminile per il fondo sacro per Roma e Venezia, un'organizzazione femminile parallela a quella maschile per gli stessi obiettivi politici, dotato quindi di una sua autonomia di funzionamento. Nello spirito della dottrina mazziniana, infatti, la separatezza di genere tra strutture associative era intesa in chiave funzionale, cioe' non definitiva: come luogo di esercizio delle capacita' femminili, mezzo di sostegno reciproco nell'azione pubblica, simbolo e quindi stimolo alla mobilitazione femminile.

Deluse tutte le attese, quando con la terza guerra d'indipendenza il Veneto viene ceduto all'Italia, i Sacchi si trasferiscono definitivamente a Mantova. Gia' madre di cinque figli, Elena viene allora coinvolta nel nuovo progetto mazziniano dell'Alleanza Repubblicana, fatta sorgere dopo la rottura definitiva con la monarchia e per un'autonoma azione dei repubblicani in vista del raggiungimento dell'unita'.

Ma ormai anche per la Sacchi si trattava di riorientare la propria iniziativa, e un suo ritorno sulla scena pubblica si avra' solo con la mobilitazione emancipazionista per l'abolizione della prostituzione di stato.

 

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE

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Numero 295 del 14 marzo 2011

 

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