Telegrammi. 277



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 277 del 9 agosto 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail:
nbawac at tin.it
 
Sommario di questo numero:
1. Nino Lisi: Due motivazioni
2. Gwen Lister: E' ora di cambiare
3. Ritu Sharma: La poverta' e' causa e conseguenza
4. Maria G. Di Rienzo: Le ciliegie di Srebrenica. Due testimonianze
5. Dekha Ibrahim: Il punto
6. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
7. "Azione nonviolenta"
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'
 
1. LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA. NINO LISI: DUE MOTIVAZIONI
[Ringraziamo Nino Lisi per questa riflessione che estraiamo da una sua piu' ampia lettera indirizzata a Paolo Arena e a Marco Graziotti che anch'essi ringraziamo per avercela messa a disposizione.
Nino Lisi, fa parte della comunita' di base di San Paolo a Roma, del comitato di gestione di "Amistrada" (Rete di amicizia con le ragazze e i ragazzi di strada guatemaltechi), e di molte altre esperienze di solidarieta' e di pace; da sempre impegnato nel movimento delle comunita' cristiane di base, ne e' uno dei rappresentanti piu' noti in Italia]
 
La mia opzione preferenziale per la nonviolenza ha due motivazioni.
Una e' di carattere psicologico: ho una specie di repulsione istintiva per la violenza.
L'altra e' di carattere, per cosi' dire, pratico ed ha a che vedere con la inefficacia della violenza come mezzo per risolvere qualcosa.
La violenza e' controproducente: genera altra violenza in un un circolo vizioso che genera catostrofi e in fondo al quale non c'e' che altra violenza e un orrore smisurato. Le rivoluzioni violente hanno portato spesso a questo esito. Nondimeno non nego agli oppressi il diritto di difendersi come ritengono utile e possibile, con i mezzi che vogliono. Constato che il piu' delle volte con la violenza non raggiungono il fine voluto e che gli obiettivi spesso sono stravolti o addirittura negati dai mezzi usati...
 
2. NAMIBIA. GWEN LISTER: E' ORA DI CAMBIARE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Gwen Lister apparso su "The Namibian" del 30 luglio 2010. La traduttrice, in una postilla personale, aggiunge che essendo "d’accordo al cento per cento, pensa che sostituendo alla parola 'Namibia' la parola 'Italia' il risultato non cambi".
Gwen Lister, nata nel 1953, e' una prestigiosa giornalista e saggista namibiana, attivista impegnata nel movimento antiapartheid (per questo duramente perseguitata) e per i diritti umani di tutti gli esseri umani, e' autorevole voce della lotta per la liberta' di stampa]
 
I namibiani sono (giustamente) furibondi per lo stupro ed il brutale omicidio di Magdalena Stoffels, avvenuti questa settimana sul greto di un fiume prossimo alla scuola “Dawid Bezuidenhou”, come del resto dovremmo sempre essere verso lo stupro e l’abuso di tutte le donne e i bambini, al di la' delle circostanze.
Noi nei media possiamo a buon diritto essere chiamati a rispondere del fatto che mentre la morte della diciassettenne Magdalena ha ricevuto ampia copertura sulle nostre pagine, cio' non e' accaduto per altri stupri ed omicidi. Il fatto e' che grazie alla vicinanza dei luoghi siamo stati in grado di coprire l’evento e le sue conseguenze, e abbiamo potuto concentrare l’attenzione dei lettori sulla tragedia e l’orrore di questo crimine. La perdita di una vita non e' piu' importante di un’altra, ma molti casi ci arrivano come segnalazioni, e noi non siamo presenti per descrivere o catturare nei dettagli le immagini che circondano tali delitti.
Ma poiche' siamo stati capaci di farlo con lo stupro e l’assassinio di Magdalena, si spera che cio' serva ad attirare di nuovo l’attenzione sulla violenza contro le donne ed i bambini, ed in effetti il nostro lavoro ha galvanizzato la comunita'. Mentre ci si trova nel processo in cui la comunita' stessa lascia uscire all’esterno il suo dolore e la sua indignazione per questa tragedia, i media hanno anche il compito di non incitare alla violenza pubblica, o alla “giustizia della folla”. L’angoscia e la rabbia sono comprensibili, ma le chiamate alla vendetta non sono la risposta al problema, ne’ lo e' la reintroduzione della pena di morte, o la castrazione, o la richiesta alla polizia di sparare per uccidere.
Magdalena e' stata violata e uccisa sul letto di un fiume; altre vengono assalite nelle loro stesse case, o di notte, o in zone affollate. Sono aggredite e uccise non da “animali” ne’ da “mostri”, ma da altre persone, ed i namibiani devono accettare il fatto che i crimini sono commessi principalmente da loro stessi.
Fare i conti con questo flagello della nostra comunita' significa riesaminare il nostro sistema di valori, e scoprire dove abbiamo sbagliato se cosi' tante persone commettono queste atrocita' in Namibia. E’ semplicistico e del tutto insensato adottare il concetto di uccidere le persone quando esse uccidono, o di tagliare membra quando la gente ruba, o di stuprare chi stupra: perche' cio' rimuove dalle nostre spalle la responsabilita' di far si' che tutti i namibiani crescano in un sistema di valori che riduca al mimino i crimini violenti nella nostra societa'.
Le nostre famiglie, chiese, organizzazioni della societa' civile, scuole e comunita', stanno facendo abbastanza per insegnare un codice etico alla nostra gioventu'? Insegnamo ai giovani che la violenza e' sbagliata, che e' inaccettabile picchiare le donne, che non dobbiamo commettere abusi ai danni di bambini e di animali, che e' inaccettabile rubare?
Le nostre famiglie, chiese, organizzazioni della societa' civile, scuole e comunita', stanno cercando soluzioni al problema che ci affligge? Non possiamo solo puntare il dito e biasimare il governo, biasimare le municipalita', e trovare capri espiatori di modo da non essere coinvolti. Gli sforzi pubblici avrebbero in definitiva maggior successo, in termini di ambienti piu' sicuri, se fossero diretti ad aggiustare le cose invece che a lamentarsi di continuo.
E dobbiamo davvero analizzare il sistema di valori che sta sotto a tutto, per evitare l’ipocrisia. Le voci piu' alte contro il crimine e la corruzione sono talvolta quelle di persone che comprano merci rubate; il marito che picchia la moglie siede poi in chiesa con aria soddisfatta la domenica; il ricco uomo d’affari che ottiene una concessione tramite le conoscenze giuste puo' essere la stessa persona che invoca pene esemplari per i ladri che gli sono entrati in casa.
Devono essere tenuti per responsabili i namibiani in generale, non solo il loro governo, la polizia e le altre istituzioni. Il tasso di violenza contro donne e bimbi, nella nostra societa', e' spaventoso. E’ ora che noi persone comuni si faccia qualcosa al riguardo, e invece di chiedere vendetta si cambi l’immorale tessuto della nostra societa'. Non puo' esserci modo migliore di ricordare le innocenti che sono morte a causa della nostra negligenza come nazione.
 
3. HONDURAS. RITU SHARMA: LA POVERTA' E' CAUSA E CONSEGUENZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione e adattamento il seguente articolo di Ritu Sharma.
Ritu Sharma e' cofondatrice e presidente di “Women Thrive Worldwide” (www.womenthrive.org)]
 
Quando Dulce Marlene Contreras diede vita alla sua organizzazione con sette amiche aveva una sola cosa in mente: aiutare le donne della sua zona rurale dell’Honduras a proteggersi dalla violenza domestica.
Figlia di contadini nella regione di La Paz, Marlene era stanca di vedere le donne della sua comunita' sopportare ogni genere di abusi. Nel 1993, Marlene fondo' la “Coordinadora de Mujeres de La Paz” (Comucap, in sigla) per destare consapevolezza attorno ai diritti delle donne. Marlene e le sue amiche cominciarono a costruire rifugi per donne maltrattate e ad istruire le donne della comunita' sui loro diritti umani, di modo che potessero lottare per se stesse.
Con il tempo, Marlene noto' che qualcosa mancava. Mentre il lavoro summenzionato era di certo critico, lei capi' che per ridurre la violenza contro le donne la Comucap doveva occuparsi anche di un problema che stava alle radici: la poverta'. “Fintanto che le donne non saranno piu' forti economicamente non saranno in grado di sfuggire davvero all’abuso”, dice Marlene.
Vedere questa connessione cambio' il modo in cui la Comucap lavorava. Assieme ai seminari sui diritti umani, l’organizzazione comincio' ad istruire le donne su come coltivare in modo organico caffe' ed aloe vera, il che permise alle donne di guadagnare qualcosa per le loro famiglie.
Inizialmente, la reazione della comunita' fu ostile: il rafforzamento economico delle donne veniva descritto come una minaccia alle famiglie. Ma mentre i programmi della Comucap si espandevano, Marlene e le sue amiche ne registrarono i risultati: piu' le donne guadagnavano, piu' erano in grado di difendersi all’interno delle case. La comunita' inizio' a vedere l’organizzazione come economicamente rilevante, e sempre piu' donne cominciarono a prendere decisioni condivise con i propri mariti e a proteggere i propri diritti ed i diritti dei loro bambini.
Oggi la Comucap fornisce un impiego a piu' di 250 donne della comunita' rurale. E la violenza domestica, come Marlene e' orgogliosa di riportare, si e' drasticamente ridotta. Il loro successo e' importante, perche' al mondo una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale o altro genere di abusi durante la sua vita, con picchi del 70% in alcuni paesi.
Cio' che molte persone non capiscono e' che la violenza contro donne e bambine e' una causa primaria, ed allo stesso tempo una primaria conseguenza, della poverta' delle donne. Le donne sono la maggioranza dei poveri nel mondo, vivono con meno di un dollaro al giorno e la violenza che devono fronteggiare le mantiene povere. Gli abusi impediscono alle donne di avere un’istruzione, di andare al lavoro, di guadagnare cio' di cui hanno bisogno per sollevare le loro famiglie dalla poverta'. Dall’altro lato, la poverta' significa per le donne non riuscire a sfuggire alla violenza, e cio' diventa un circolo vizioso che non permette alle donne di costruire esistenze migliori per se stesse e per i figli.
La buona notizia e' che esistono migliaia di organizzazioni locali come la Comucap, che lavorano all’interno delle proprie comunita' per dar sostegno alle donne che si trovano in situazioni violente, per aiutarle ad aiutare se stesse, e per cambiare gli atteggiamenti culturali che perpetuano la violenza nelle comunita'. Ogni paese e' diverso, e le organizzazioni locali sono quelle equipaggiate al meglio per contribuire a mettere fine all’epidemia globale di violenza.
Una delle cose migliori che possiamo fare oggi e' sostenere questi sforzi.
 
4. BOSNIA. MARIA G. DI RIENZO: LE CILIEGIE DI SREBRENICA. DUE TESTIMONIANZE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per il seguente articolo.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Un piu' ampio profilo di Maria G. Di Rienzo in forma di intervista e' in "Notizie minime della nonviolenza" n. 81]
 
Per più di quindici anni, “Women for Women International” ha condotto programmi diretti alle sopravvissute di guerra bosniache: ad oggi, piu' di 7.000 donne hanno ricevuto istruzione professionale, aiuto finanziario ed educazione scolastica. Due membri dell’organizzazione, Laura e Teisha, raccontano di seguito le loro esperienze
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Srebrenica, la testimonianza di Teisha
Nel luglio 1995, piu' di 8.000 uomini e ragazzi bosniaci furono uccisi in quello che divenne poi noto come “il massacro di Srebrenica”. Inoltre, fra i 25.000 ed i 30.000 rifugiati nell’area di Srebrenica furono vittime di “pulizia etnica”. Oggi nella citta' vi sono molte donne che partecipano ai programmi di “Women for Women International”, in maggioranza vedove di guerra o donne che hanno perso i loro figli in guerra.
La loro ultima idea e' stata quella di rendere la citta' piu' fruibile ai turisti, perche' ad esempio c’e' un forte che molti vanno a visitare ma non ci sono ristoranti, o posti dove stare. Dopo uno dei nostri seminari, si sono riunite ed hanno deciso di intraprendere una prima azione che avrebbe lasciato un segno nella citta' ed allo stesso tempo sarebbe stata di sostegno alle loro famiglie.
C’e' un Festival delle Ciliegie che si tiene ogni anno in citta', ma che non ha mai portato guadagni a Srebrenica. Le donne si sono presentate al Consiglio comunale ed hanno chiesto di avere il controllo sulla festa. Il Consiglio, composto unicamente da uomini, si mostro' abbastanza scettico ma diede loro il permesso richiesto.
Per la prima volta il Festival e' stato un successo. Le donne hanno fatto pubblicita', hanno venduto cibo, hanno guadagnato dei soldi, si sono organizzate tra loro per dividersi le responsabilita', ed era la prima volta che lavoravano insieme al di fuori del nostro programma, ma anche la prima volta in cui parecchie di loro hanno avuto occasione di incontrare i propri vicini, perche' a parte gli incontri con noi non escono praticamente di casa.
Le loro case sono il solo posto dove andavano una volta uscite dai seminari. I loro mariti fanno la spesa, fanno qualsiasi cosa richieda l’uscire di casa, e le donne erano veramente rinchiuse fra quattro mura precedentemente a questa vicenda. Prima che io lasciassi la Bosnia, stavano discutendo i prossimi passi da intraprendere, fra cui l’eleggere una donna al Consiglio comunale: se ci riescono, sara' la prima volta nella storia della citta'.
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Sarajevo, la testimonianza di Laura
Sugli edifici ci sono ancora i segni lasciati dalle pallottole e da altri proiettili. I bosniaci hanno ricostruito davvero molto, ma alcuni danni sono tuttora visibili. C’e' questo stridente contrasto, perche' e' un paese davvero bello, in una campagna collinosa, ma ad esempio in una vecchia parte della citta', dove ci fu un’esplosione, il cratere e' stato riempito di asfalto rosso, e sui pendii delle colline ci sono croci bianche sin dove puoi spingere l’occhio.
Le tensioni etniche esistono ancora, il paese e' diviso. Non lo sapevo questo, prima di arrivare la' e constatarlo di persona. Quando ero in Ruanda non c’era cosi' tanta evidenza del genocidio e la gente non era propensa a parlarne. In Bosnia, le persone sono piu' disposte a parlare delle tensioni che persistono nel loro paese, ed ancor di piu' dei problemi che lo stesso fronteggia. Il conflitto in Bosnia non e' stato risolto: si e' fermato, ed e' tutto.
La gente probabilmente pensa che la Bosnia sia uno dei posti piu' tranquilli in cui noi lavoriamo, perche' dalla guerra e' passato abbastanza tempo. Ma cio' che e' accaduto durante la guerra e' ancora parte delle vite delle donne, e l’economia distrutta dalla guerra non ha avuto una ripresa sufficiente, cosi' le donne hanno ancora un gran bisogno di aiuto.
 
5. KENYA. DEKHA IBRAHIM: IL PUNTO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Dekha Ibrahim estratto da una recente intervista rilasciata di recente ad Emma Reinhardt, fondatrice e direttrice di "Hervoices", che e' andata in Kenya per intervistarla.
Il testo e' accompagnato dalla seguente premessa di Maria G. Di Rienzo: "Ho raccontato la storia di Dekha Ibrahim molte volte, in questi anni, durante conferenze o in articoli (uno di essi su 'Azione nonviolenta'). E’ la storia di come un gruppo di donne, di fatto escluse dalla politica ufficiale e dal processo decisionale, misero fine alla guerra nel distretto di Wajir, in Kenya, tramite un responso pro-attivo nonviolento durante gli anni ’90. Il loro lavoro continua, assicurando stabilita' e dialogo nell’area menzionata, e Dekha e' stata chiamata a parlarne innumerevoli volte. Ecco cosa ha detto"]
 
Quando parlo di questo, un ricordo mi affiora sempre alla mente: e' mio padre, possa Dio dar riposo alla sua anima. Camminavo con lui da casa nostra verso il centro della città di Wajir, e lui si fermava e salutava, si fermava e salutava. Non andava diritto. Io ero giovane, avevo forse undici anni, e volevo che arrivassimo alla fine. Il nostro compito era arrivare in un dato punto, andare da A a B.
E lui diceva: “No, a B arriverai comunque, ma mentre ti muovi verso B prendi tempo, saluta i vicini, chiedi loro come stanno”. Io di solito rispondevo: “Ma e' una perdita di tempo, fa caldo, andiamo avanti e basta”. E lui: “Figlia mia, verra' un giorno, un tempo, in cui capirai cosa sto facendo. Per il momento, fai pure domande”.
Cosi' appresi il suo modo di essere aperto. Vedeva che non riuscivo a capire, ma allo stesso tempo non mi chiudeva la bocca, mi lasciava essere com’ero. Mio padre mori' nel 1982. Nel 1997 stavo camminando dal mio ufficio all’ufficio postale: lasciai il posto alle tre del pomeriggio e arrivai all’ufficio postale alle cinque, mi si chiuse proprio in faccia. E continuavo a dirmi: santo cielo, e' un percorso per cui ci vogliono quindici minuti e tu ci hai messo due ore!
Cosa stavo facendo? Esattamente quel che faceva mio padre: mi fermavo, salutavo, mi fermavo, parlavo, ma in modo inconscio. Percio' non portai a termine il mio compito. Pero' ebbi questi meravigliosi contatti con le persone, salutandole e chiedendo loro come stavano.
Allora pensai: “Ecco il punto. Grazie, papa', grazie mille”. Adesso lo so, e' tutto sulle relazioni, tutto gira intorno al curarsi delle persone. E qualche volta non importa se porti a termine il tuo compito o no".
 
6. APPELLI. IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento.

Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato.

Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235.

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Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

 
7. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
 
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
 
8. SEGNALAZIONI LIBRARIE
 
Riletture
- Maurizio Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. IV + 172.
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Riedizioni
- Jacques Derrida, La scrittura e la differenza. Margini, Einaudi, Torino 1971, 2002 e 1972, 1997, Mondadori, Milano 2010, pp. XXIV + 824, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori).
 
9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
 
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
 
10. PER SAPERNE DI PIU'
 
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
 
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 277 del 9 agosto 2010
 
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